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alla moneta unica europea è stato finora dedicato un solo studio di un certo spessore,
che sarà ampiamente riassunto all’interno del cap. III.
In conseguenza di tutto ciò, il tentativo che ci si propone con questo lavoro è quello
di affrontare la moneta unica europea da un duplice punto di osservazione
psicosociale: da una parte attraverso un’analisi teorica e speculativa dell’argomento
sulla base delle conoscenze derivanti dalla psicologia economica e della psicologia
del denaro in particolare, cercando così di formulare ipotesi e previsioni del tutto
originali sull’impatto psichico dell’euro sugli individui che si accingono ad
utilizzarlo; dall’altra attraverso un impianto sperimentale, creato ad hoc, che
permetta di raccogliere specifiche informazioni su un certo numero di questioni
inerenti la moneta unica, ponendo attenzione alle opinioni e agli atteggiamenti dei
soggetti coinvolti nella ricerca, così come alle possibili distorsioni che l’introduzione
di questo nuovo mezzo di pagamento potrà portare sia a livello cognitivo sia a livello
economico.
Il presente lavoro si articola perciò in quattro sezioni: nella prima si passeranno in
rassegna i principali studi psicologici aventi per oggetto i problemi monetari, al fine
di offrire una panoramica della letteratura psicoanalitica, psicosociale e della
psicologia generale dedicata al denaro e alle questioni connesse, da cui partire per
analizzare a livello teorico l’impatto dell’introduzione dell’euro.
Nella seconda parte, infatti, si tenterà di affrontare la questione attraverso una
riflessione critica sui possibili effetti a livello emotivo, cognitivo e comportamentale,
pensando all’euro attraverso diversi modelli teorici, fino a ricostruire l’oggetto di
ricerca osservandolo da un vertice psicologico.
Nel terzo capitolo saranno poi discusse le ricerche psicologiche espressamente
dedicate alla questione, che si riducono in fondo a quelle pubblicate dal Journal of
Economic Psychology nel 1998. Vale la pena di anticipare che l’importanza di questi
studi sta nel fatto che riescono ad approfondire gli atteggiamenti verso l’euro e le
determinanti di questi in ciascuno dei paesi aderenti all’Unione Monetaria, attraverso
un indagine quantitativa di notevole portata.
La quarta parte, infine, è dedicata alla descrizione e alla discussione dell’esperimento
di psicologia economica condotto all’interno del Dipartimento di Psicologia
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dell’Università Cattolica di Milano, che si propone di verificare sul campo alcune
delle ipotesi in precedenza affrontate.
Si può concludere affermando che l’obiettivo generale di questa ricerca è duplice: da
una parte, a livello euristico, si tratta di studiare un fenomeno socialmente ed
economicamente rilevante attraverso i paradigmi propri delle scienze psicologiche;
dall’altra, a livello applicativo, ci si propone di iniziare ad analizzare l’impatto
dell’introduzione della moneta unica sugli atteggiamenti e sui comportamenti delle
persone che saranno coinvolte da quest’innovazione.
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CAPITOLO I
Psicologia e denaro
1.1 Una tematica trascurata?
Il denaro è chiaramente al centro degli interessi dell’economia, a volte definita la
scienza che si occupa dei “valori misurabili tramite moneta” (Williams 1981, p. 13).
E’ tuttavia stato oggetto di numerosi studi anche da parte di altre discipline
scientifiche, a partire dalla sociologia o dall’antropologia.
E la psicologia? Sarebbe strano pensare che la scienza che si definisce “lo studio del
comportamento umano” non abbia esaustivamente affrontato questo argomento
centrale nella propria prospettiva. Sembra invece unanime (Ferrari e Romano 1999;
Furnham e Argyle 1998) che il denaro, nella storia ormai più che centenaria di questa
disciplina, sia stato nettamente trascurato.
Ciò è peculiare, se si considera che la psicologia ha ampiamente dibattuto su
tematiche considerate, almeno fino a qualche tempo fa, dei veri e propri tabù: si
pensi solo a ciò che concerne il sesso o la morte.
Furnham e Argyle (1998) notano che è raro che in un manuale di psicologia sia
riscontrabile la voce “denaro” nell’indice analitico. Nemmeno nell’ambito della
psicologia del lavoro o delle organizzazioni è frequente avere a che fare con capitoli
dedicati, per esempio, alla forza motivante del denaro o agli aspetti simbolici dei
salari. E’ inoltre curioso notare che nessuno fra gli psicologi che si sono occupati
delle motivazioni umane (si pensi per esempio a Maslow o a McClelland) abbia
ritenuto opportuno postulare l’esistenza di un primario bisogno di accumulare
ricchezza.
Verrebbe da pensare che, stando così le cose, sarebbe necessario un serio studio
psicologico sulle motivazioni per cui tale argomento sia stato tanto trascurato dagli
stessi ricercatori.
Bisogna tuttavia riconoscere che un po’ tutte le correnti psicologiche e i settori
d’applicazione hanno avuto a che fare con studi riguardanti il denaro. La
psicoanalisi, a partire dallo stesso Freud, si è occupata del simbolismo inconscio
della moneta. I comportamentisti ne hanno trattato, all’interno del loro paradigma,
considerandolo come una potente forma di rinforzo. I cognitivisti hanno mostrato la
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frequente irrazionalità del comportamento economico, in contrapposizione alla
visione di homo economicus tipico della teoria della scelta razionale di matrice
neoclassica. La psicologia dello sviluppo ha studiato le rappresentazioni del denaro
nel corso della maturazione psicologica dei bambini. Anche la psicologia clinica ha
fornito una tassonomia di comportamenti patologici nell’utilizzo del denaro. Non
esiste, comunque, un’unitaria teoria psicologica sul denaro: si tratta piuttosto di studi
e lavori che tentano di avvicinare la materia da diverse angolazioni.
Nel corso del presente capitolo si cercherà di tracciare un quadro sintetico relativo ai
diversi approcci attraverso i quali i più importanti ambiti di ricerca psicologica si
sono misurati con il complesso tema del denaro, per fornire così le basi teoriche e le
evidenze empiriche che risultano indispensabili per analizzare, in questa luce,
l’impatto dell’introduzione della moneta unica europea. Ci si soffermerà in
particolare sull’apporto della psicologia dinamica (attraverso il filtro della
psicoanalisi), della psicologia generale e della psicologia sociale.
1.2 Psicoanalisi e denaro
I lavori di orientamento psicoanalitico dedicati primariamente al tema del denaro
sono abbastanza rari, soprattutto all’interno degli scritti dei classici; si trovano nei
testi di tecnica alcuni riferimenti ai problemi connessi all’onorario e alla situazione
economica del paziente, ma il rapporto dell’individuo con le tematiche economiche
è, in generale, trascurato.
Freud stesso si occupa del denaro soltanto marginalmente. E’ piuttosto nota la sua
teoria relativa al legame fra erotismo anale e interesse nei confronti del denaro
(Freud 1908; 1914; 1915; 1932). Partendo dall’intuizione che alcune caratteristiche,
quali ordine, parsimonia e ostinatezza, si trovano spesso correlate in un unico quadro
di personalità, il padre della psicoanalisi mette in relazione tali tratti con una
fissazione allo stadio anale dello sviluppo evolutivo. In particolare l’ordine, e le
conseguenti manie per la pulizia, deriverebbero da una formazione reattiva nei
confronti del primario interesse del bambino per le feci; l’ostinazione sarebbe legata
al piacere di trattenere le feci ed espellerle solo di propria iniziativa; mentre la
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parsimonia o avarizia deriverebbe da una forte associazione simbolica tra i prodotti
del proprio corpo, in particolare le feci, e il denaro.
Tale simbolizzazione avverrebbe già in tenera età e sarebbe dovuta all’osservazione,
da parte del bambino, del fatto che l’atteggiamento dei genitori nei confronti dei
propri escrementi si connota in modo profondamente ambivalente: da una parte sono
visti come sporchi e repellenti, ma dall’altra sono in qualche misura tenuti in gran
considerazione, dato l’interesse che i genitori manifestano nell’educazione alla
pulizia del figlio. Per il quale, infatti, essi rappresentano spesso la prima forma di
‘dono’: Freud nota per esempio che, di regola, i bambini non sporcano gli estranei.
Ora, un atteggiamento del tutto simile è riscontrabile nei confronti del denaro:
sicuramente valutato e ritenuto della massima importanza, ma anche considerato
“sporco”, “vile” e frutto del demonio. A conferma di questa visione vengono citati
anche gli usuali indizi psicoanalitici: le associazioni libere, i sogni, i miti, le
superstizioni e le tradizioni religiose. Musatti nota che l’equivalenza inconscia fra
sterco e denaro è riscontrabile, nella cultura italiana, anche in numerosi pregiudizi e
espressioni popolari (Musatti 1949, p.121). Erickson (1958) e Brown (1959)
sottolineano la correlazione, nel mondo medioevale come in quello moderno, fra
escrementi, demonio e denaro.
Sarebbe poi l’educazione, ed un successivo processo di sublimazione, a rafforzare
questo legame simbolico, rimuovendo e spostando però il primitivo interesse fecale
verso un più accettabile e tollerato amore per la ricchezza. In questo modo sarebbero
spiegabili alcuni stereotipi caratteriali, come l’avaro, che accumula ricchezze in
analogia al rifiuto del bambino di sottomettersi ai desideri dei genitori, o il
dissipatore di ricchezze, che nei momenti di bisogno ed insicurezza si troverebbe a
spendere somme ingenti per sperimentare l’affetto e la primitiva approvazione
parentale.
Tuttavia, in altri punti dell’opera di Freud, vengono accennati ulteriori utilizzi
simbolici del denaro, in riferimento ad entità extraeconomiche diverse fra loro: in
“Psicopatologia della Vita Quotidiana” (Freud 1901, pp. 191-192) le dimenticanze
di pagamenti sono considerate come un “comportamento equivoco anche nella
maggior parte delle persone cosiddette oneste” e sarebbero legate alla tematica
dell’oralità (“l’avidità primitiva del lattante”); altrove accettare del denaro assume il
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“valore di una dichiarazione d’amore” (Freud 1913a, p. 225), mentre un significato
inconscio ricorrente lo utilizza come simbolo di bambini (Freud 1914; 1915)
Come notano Ferrari e Romano (1999), quindi, in questa fase dell’evoluzione del
pensiero freudiano il denaro è essenzialmente visto come simbolo, qualcosa che sta
per qualcos’altro, del tutto incapace di interessare di per sé l’uomo: dal momento che
la felicità consisterebbe nella soddisfazione di un desiderio infantile, il denaro, in
quanto “oggetto adulto”, non può certo essere così importante nella vita affettiva. E’
però possibile ravvisare due importanti eccezioni a questa concezione: nel “Caso
clinico dell’uomo dei topi” (Freud 1909) per la prima volta il denaro non sta per
qualcos’altro ma, al contrario, nell’interpretazione di un sogno è esso stesso
simboleggiato dalle feci; mentre in “Inizio del trattamento” (Freud 1913b), un raro
passo in cui si parla anche dell’onorario in analisi, emerge una visione
inaspettatamente contraddittoria rispetto alle considerazioni in merito sparse in altri
punti della sua opera. Qui Freud, infatti, vede il denaro sotto una nuova luce: in
primo luogo come mezzo di sostentamento e di acquisizione di prestigio, ma
secondariamente lo avvicina ai fattori di ordine sessuale, nel senso che “le faccende
di denaro sono trattate dalle persone civili in modo del tutto analogo alle cose
sessuali, con la stessa contraddittorietà, pruderie, e ipocrisia” (Freud 1913b, p.
341). Questo passo lascia quindi intravedere la possibilità che il denaro divenga fonte
di conflitti intrapsichici o di rimozioni; ciò che sarebbe parzialmente dimostrato
anche dalla pratica analitica, per cui molti pazienti disponibili a parlare senza falsi
pudori della propria vita più intima e segreta sarebbero ugualmente restii a trattare le
questioni economiche che li riguardano (Klebanow e Lowenkopf 1991; Viderman
1993; Ferrari e Romano 1999).
E’ tuttavia difficile parlare, a questo proposito, di un’evoluzione del pensiero di
Freud: in fondo la concezione del denaro come simbolo, che interessa l’uomo solo in
quanto spostamento del primitivo interesse per le feci, sembra molto più frequente
all’interno dei suoi scritti. Si sente piuttosto la mancanza di una trattazione unitaria e
sistematica del tema in esame: stupisce cioè, come si diceva all’inizio, che così poco
spazio sia stato dedicato dal padre della psicoanalisi a questo argomento.
Anche Jung pare trascurare questo tema: gli unici riferimenti al denaro riscontrabili
all’interno della sua opera si trovano nel manoscritto di una conferenza tenutasi alla
11
Tavistock Clinic (Jung 1936). Il denaro è qui visto come “il vero dio di questo
mondo, l’ultima ratio di tutte le cose” (p. 296). Il fondatore della psicologia analitica
nota quindi, non senza sarcasmo, la sacralità che è intrinsecamente legata alla
rappresentazione del denaro; tuttavia non accenna ad eventuali valori simbolici ad
esso legati. Piuttosto sembra emergere una visione estremamente pessimista del
mondo economico ed in particolare di quello monetario, come dimostra questo passo
a commento dei ricorrenti fenomeni inflativi in atto all’epoca: “Il valore del denaro
sta quasi ormai diventando una finzione garantita dallo Stato. Le banconote si
trasformano in carta straccia e tutti si convincono a vicenda che questi pezzetti di
carta hanno un qualche valore, perché è lo Stato a sostenerlo” (Jung 1936, p. 303).
Sembra dunque che il denaro sia un’entità del tutto aliena all’individuo, considerata
falsa e appartenente esclusivamente all’ambito politico-economico (è anche definito
come “energia dello Stato” – p. 302).
Un interesse maggiore in questo senso è dimostrato da uno fra i più diretti
continuatori dell’opera di Freud: Sàndor Ferenczi, che dedica diversi saggi
all’argomento (Ferenczi 1914; 1916), evidenziando gli stadi attraverso i quali
l’originale piacere per gli escrementi si sviluppa nell’amore per il denaro. Per
l’autore ungherese il corpo del bambino rappresenta una vera e propria base per
l’attività simbolica, che si configura come un processo di condensazione. Il simbolo
in senso propriamente psicoanalitico è definito come un paragone in cui uno dei
termini dell’equazione è rimosso nell’inconscio: così il denaro viene assunto come
simbolo delle feci, primario oggetto d’interesse e di intensi affetti da parte del
bambino, dal quale però l’educazione distoglie l’attenzione per favorire lo
spostamento verso oggetti più socializzati. Avverrebbe quindi un graduale passaggio
di interesse che, attraverso il fango, la sabbia o le pietre, si rivolge sempre più verso i
manufatti: bottiglie di vetro, noccioli di frutta e bottoni sarebbero le prime monete
del bambino. In seguito le monete vere e proprie attirerebbero l’attenzione del
bambino non tanto in funzione del loro valore intrinseco, ma piuttosto per le qualità
percettive, come la lucentezza, il colore e il suono che producono. “Ancora un passo
e l’identificazione dello sterco con l’oro è ormai compiuta. Il piacere provocato dal
contenuto intestinale diviene il piacere per il denaro, il quale, tuttavia, non è altro
12
che sterco inodore, disidratato e luccicante: pecunia non olet” (Ferenczi 1914, p.
327).
Karl Abraham approfondisce ulteriormente il rapporto fra carattere anale e denaro
(Abraham 1917; 1925), considerando come spesso per i pazienti nevrotici spendere
denaro allevi l’angoscia e la depressione. Nel breve scritto intitolato “Lo spendere
denaro nello stato di angoscia”, inoltre, fa compiere un nuovo passo all’analisi
psicoanalitica dell’argomento, descrivendo una paziente che, soggetta ad un divieto
parentale particolarmente severo, si trova a spendere denaro anziché libido: viene
cioè ipotizzata un’equivalenza inconscia fra spesa monetaria e spesa libidica, nel
momento in cui quest’ultimo spendere fosse “fortemente desiderato ma
nevroticamente inibito” (Abraham 1925).
Occorre però notare che molti autori, come pure si è visto nei casi di Abraham e
Ferenczi, approfondiscono le intuizioni di Freud senza tuttavia apportare sostanziali
modificazioni alla sua teoria: così Anna Freud (1950), che riprende in toto le idee del
padre all’interno di una più ampia digressione sulle particolarità del carattere anale,
Melanie Klein (1945; 1946), che analizza più a fondo l’equivalenza inconscia fra
escrementi e doni, o Fenichel (1947), che descrive i fondamenti psichici dell’impulso
ad accumulare ricchezze.
Bion, in un passo presente all’interno di “Esperienze nei gruppi” (Bion, 1961), cerca
invece di guardare il denaro da una prospettiva inedita, nel tentativo di utilizzare le
sue teorie sui gruppi per aggiungere nuove conoscenze agli studi sulle fluttuazioni di
valore della moneta. Secondo l’autore la fonte di valore del denaro non risiede
esclusivamente nel valore intrinseco dell’oggetto utilizzato o in fattori puramente
economici, ma anche nell’assunto di base
1
prevalente in un determinato momento
all’interno di una società. In questo modo il valore psicologico del denaro sarebbe
diverso nel gruppo dominato dall’assunto di base di attacco-fuga rispetto a quello del
gruppo di dipendenza o di accoppiamento: in un gruppo attacco-fuga, per esempio
una nazione in guerra, “il valore della moneta è legato alla sua convertibilità in
armamenti”, mentre in un gruppo di dipendenza, come può essere un gruppo
religioso, “dipende dalla capacità di controbilanciare i sentimenti di colpa suscitati
1
Un assunto di base può essere definito come un’insieme di fantasie inconsce, condivise dai membri
di un gruppo, volte ad agire come difese contro le angosce psicotiche riattivate nei partecipanti dalla
relazione gruppale.
13
da una situazione di dipendenza […] per mezzo dell’acquisizione di un sentimento di
virtù. Nel caso dell’assunto di base di accoppiamento, il valore del denaro
sembrerebbe risiedere nel dare la possibilità di ottenere una compagna per mezzo di
un acquisto o del pagamento di una dote” (Bion 1961, p. 120).
Sebbene, come spesso accade leggendo questo autore, il testo risulti un po’ criptico
ed oscuro, non si può non notare il tentativo di attribuire una fonte psicosociale
inconscia al valore del denaro, in netta contrapposizione alla visione razionalista
degli economisti.
Fra i pochi a concedere ampio spazio alla riflessione psicoanalitica su questo tema,
occorre ricordare senz’altro Norman O. Brown (1959). La sua analisi parte da due
caratteristiche costitutive del denaro: l’irrazionalità e la sacralità. Sembrerebbe
incredibile pensare al denaro in questi termini; il senso comune, infatti, lo considera
un bene assolutamente profano, proprio in quanto si fonda sull’assunto di razionalità.
Ma da una parte la psicoanalisi ha dimostrato gli atteggiamenti profondamente
irrazionali nei confronti di questo oggetto. Dall’altra si constata che nelle società
primitive il denaro, o gli oggetti speciali che adempiono alla sua funzione ove
assente (conchiglie, ornamenti, pietre, ecc.), possiedono degli attributi di magia,
religiosità, sacralità. Ciò sarebbe legato al simbolismo che inevitabilmente, in tutte le
culture, gli è associato. “In altre parole, il complesso del denaro, arcaico o moderno,
è inseparabile dal simbolismo; e il simbolismo non è, come pensava Simmel, il
marchio della razionalità, ma il marchio del sacro” (Brown 1959, p. 278). Sarebbe
inoltre il potere, e in particolare il potere sociale, a collegare il denaro al campo del
sacro: “in origine il potere era sacro, ed esso rimane tale nel mondo moderno” (p.
284).
Partendo da questi presupposti, Brown fa un ulteriore passo nell’affermare che “tutto
il complesso del denaro è radicato nella psicologia della colpa” (p. 301), poiché
l’ambito del sacro è strettamente connesso con il senso di colpa. Ma il senso di colpa,
per la psicoanalisi ortodossa, è anche una derivazione dell’istinto di morte, cioè
quella “categoria fondamentale delle pulsioni che si oppongono alle pulsioni di vita
e tendono alla riduzione completa delle tensioni” (Laplanche e Pontalis 1967, p.
483). Già in precedenza l’autore aveva ipotizzato una relazione fra analità e istinto di
morte. Di conseguenza, il complesso del denaro non è solo una manifestazione di
14
istinti sessuali (anali) sublimati, ma anche dell’istinto di morte. L’uomo, quindi, nel
tentativo di sfuggire all’angoscia di morte, vedrebbe nel denaro, così come
nell’accumulo di grandi ricchezze o nella costruzione di opere immortali, un mezzo
per sopravvivere al suo destino finale (Brown 1959).
A conclusione di questa breve rassegna di studi analitici, si può dire che l’apporto
della psicoanalisi allo studio del denaro risulta di notevole interesse per tutto ciò che
riguarda gli aspetti simbolici, consci e inconsci, relativi a tale materia. E’ stato così
mostrato, pur con tutti i dubbi metodologici cui è appena il caso di accennare, che
non è possibile considerare tale argomento solo da un’ottica cognitiva e, a fortiori,
razionalistica (si pensi al modello economico): il substrato affettivo che caratterizza
il rapporto dell’uomo con il più usuale mezzo di pagamento a sua disposizione
determina tutta una serie di atteggiamenti e di comportamenti poco spiegabili da un
punto di vista meramente razionale.
Si può allora pensare, per utilizzare un concetto tipicamente psicoanalitico, che la
rappresentazione mentale del denaro venga forgiata attraverso un processo di
sovradeterminazione, termine che sta ad indicare “il fatto che una formazione
dell’inconscio – sintomo, sogno, ecc. – rinvia ad una pluralità di fattori
determinanti” (Laplanche e Pontalis 1967, p. 602). Ciò spiegherebbe almeno in parte
l’intrinseca complessità dell’oggetto in considerazione, ben lontano da rappresentare
un puro strumento funzionale, come invece vorrebbero gli economisti.
15
1.3 Psicologia generale e denaro
Settori di ricerca psicologica certo più sperimentali della psicologia dinamica hanno
condotto studi dedicati al denaro utilizzando un’ottica meno clinica; sono stati
pubblicati diversi lavori, la maggior parte dei quali ha usufruito di tecniche di
indagine quali interviste e questionari, mentre un numero più limitato di ricerche ha
utilizzato esperimenti di laboratorio o in situazioni ecologiche. I primi studi si sono
concentrati prevalentemente sugli aspetti percettivi delle monete e delle banconote,
mentre in tempi più recenti hanno trovato spazio ricerche imperniate sulle emozioni
connesse all’uso del denaro e sui problemi cognitivi che ne derivano.
1.3.1 Percezione
Un esperimento condotto da Bruner e Goodman (1947) sulla percezione delle monete
si è rivelato di considerevole importanza, poiché ha funto da paradigma per una serie
di successive ricerche che hanno replicato e approfondito le ipotesi testate. Gli autori
ipotizzano che la percezione psicofisica degli oggetti sia influenzata da due fattori
psicologici: il valore soggettivamente attribuito all’oggetto e il bisogno oggettivo. In
questo senso la percezione delle dimensioni delle monete sarebbe sovrastimata
rispetto ad oggetti neutri dello stesso ordine di grandezza a causa del valore
socialmente attribuito al denaro; inoltre questo fenomeno avverrebbe in misura
maggiore per le persone che si trovano in una condizione di bisogno, come per
esempio chi appartiene agli strati meno ricchi della società.
Ad un campione costituito da bambini di dieci anni, provenienti da famiglie ricche o
povere, fu chiesto di stimare quale fascio di luce, all’interno di una sequenza
proiettata sulla parete che variava per le dimensioni in ordine crescente o
decrescente, corrispondesse ad una serie di monete in uso; un gruppo di controllo
procedeva a stimare le dimensioni di semplici dischi grigi attraverso gli stessi fasci di
luce. I risultati mostrarono che entrambi i fattori ipotizzati influivano sulla
percezione: infatti le monete erano giudicate più grandi dei corrispondenti dischi
grigi, soprattutto quanto più cresceva il valore economico delle monete in questione.
Inoltre i bambini provenienti dal gruppo economicamente meno agiato
sovrastimavano le monete in maniera significativamente maggiore rispetto a quanto
16
facevano i bambini ricchi. Infine questi effetti crescevano all’aumentare del valore
nominale della moneta considerata.
Questo esperimento è stato ampiamente replicato e i risultati sono stati quasi sempre
confermati, anche quando gli studi riguardavano paesi differenti (si veda McCurdy,
1956; Dawson, 1975; per una rassegna: Tajfel, 1977).
Ulteriori ricerche hanno tentato di mettere in relazione l’influenza esercitata sulla
percezione da parte di altri fenomeni rilevabili economicamente, quale per esempio
l’inflazione. Lea (1981) e Furnham (1983) hanno così mostrato che le persone
tendono a sottostimare la taglia di una stessa moneta o di una banconota in seguito a
periodi di inflazione. Leiser e Izak (1987) hanno riconfermato questa ipotesi in una
ricerca condotta in Israele in un periodo di altissima inflazione, che ha portato in
breve tempo a sostituire due volte la valuta nazionale. Nell’esperimento si chiedeva
ai soggetti di stimare le esatte dimensioni di una serie di monete, che venivano
proiettate in modo da apparire tutte della stessa taglia. I risultati mostrarono che i
tagli in uso precedentemente alle sostituzioni valutarie erano percepiti come più
grandi rispetto alle loro reali dimensioni e soprattutto rispetto alle nuove monete in
circolazione. Ciò prova che l’inflazione ha un notevole effetto sulla percezione del
denaro, inducendo una sottostima delle dimensioni delle monete che perdono valore
d’acquisto.
Bisogna inoltre ricordare due studi (Bruce et al. 1983a; Bruce 1989) che hanno
cercato, all’interno di un progetto di ricerca più ampio, di verificare quanto le
caratteristiche percettive delle monete influiscono sul valore ad esse attribuito,
indipendentemente dal valore nominale. Si è visto così che non è tanto la colorazione
o il metallo utilizzato a conferire valore alla moneta, quanto piuttosto lo spessore o
l’elaborazione del bordo. Sembra inoltre che esistano delle vere e proprie regole
riguardanti la forma, il colore, il bordo e le due facce, che determinano il valore
percepito delle monete.
E’ stato anche dimostrato che le dimensioni delle monete influenzano il giudizio sul
loro valore (Bousted et al. 1992). Nell’esperimento in questione, due monete di
dimensioni differenti ma dello stesso valore (5 sterline) venivano viste sulla strada,
dai passanti, in uguale misura; quella più grande, però, veniva raccolta con frequenza
significativamente maggiore. Ne consegue che le persone tendono a valutare di più le
17
monete di dimensioni maggiori, al di là del loro valore nominale. Anche in questo
caso, inoltre, l’inflazione influisce: ripetendo l’esperimento dopo cinque anni, si è
visto che aumenta la probabilità di non raccogliere la moneta pur vedendola (Bousted
et al. 1992).
Tutti questi lavori mostrano che la percezione del denaro non è quasi mai libera da
illusioni o distorsioni, che solo in parte possono essere spiegate da fattori economici.
Le motivazioni principali di tali fenomeni sono da ricercare nei forti connotati
emotivi e cognitivi di cui il denaro è pregno, come dimostrato dalle ricerche che ci
accingiamo a trattare.
1.3.2 Pensiero
Il concetto di denaro è apparentemente in stretta connessione con la razionalità
attribuita all’homo economicus. Non c’è dubbio che si tratti di una nozione
complessa, la cui acquisizione in età evolutiva richiede un notevole sforzo
cognitivo
2
. Già Simmel (1971) suggeriva che l’utilizzo di questo concetto avesse in
sé una sorta di potere razionalizzante, promuovendo il pensiero astratto nell’uomo.
Nelle sue parole: “il denaro, intervenendo tra l’uomo e le cose, rende possibile
all’uomo un esistenza per così dire astratta, un essere libero da immediati riguardi
alle cose e da un’immediata relazione con esse, senza il quale non esisterebbe una
certa probabilità di sviluppo della nostra interiorità. […] Ciò è condizionato dal
fatto che il denaro ci risparmia in sempre crescente misura i contatti immediati con
le cose, mentre nello stesso tempo ci facilita infinitamente la loro dominazione e la
scelta di ciò che ci piace” (Simmel 1971, pp. 169-170).
Quest’ipotesi è stata ripresa da Lane (1991), il quale afferma che il denaro, in quanto
segno, sarebbe un vero e proprio economizzatore di funzioni cognitive, intendendo
questo ad almeno tre livelli. In primo luogo, infatti, fornisce la base per la
costruzione di schemi con cui rappresentare la realtà in maniera cognitivamente più
semplice: il concetto di povertà, per esempio, è più facilmente esprimibile in termini
di reddito o di patrimonio monetario, piuttosto che facendo riferimento all’insieme di
oggetti posseduti o a disposizione di un individuo. Secondariamente il denaro
2
Sono numerosi gli studi di psicologia dello sviluppo dedicati all’acquisizione del concetto di denaro
nei bambini, a partire dal noto lavoro di Berti e Bombi (1979). Per una rassegna si veda Furnham e
Argyle (1998, cap. 3), Lewis, Webley e Furnham (1995, cap. 2) o Berti e Bombi (1988).
18
permette la costruzione di scenari paralleli in cui scegliere le opportunità
economicamente più vantaggiose: si pensi alla scelta di investire un capitale, in cui le
differenti opzioni determinano diverse rappresentazioni mentali delle situazioni
conseguenti. Il denaro contribuisce infine ad una maggiore astrazione del concetto di
causalità, nel senso che permette di superare i vincoli fisici del rapporto causa –
effetto, per esempio nel momento in cui si pianificano le conseguenze delle proprie
operazioni economiche (spese, risparmi, investimenti).
Occorre però precisare che da queste considerazioni non è certo possibile trarre
un’equivalenza tra denaro e razionalità. Lane stesso nota gli effetti distorcenti del
denaro, inteso in questo caso come simbolo, nei confronti della razionalità. La
distinzione tra segno e simbolo è qui fondamentale: in quanto segno, infatti, il denaro
permette effettivamente i vantaggi cognitivi sopra descritti, ma come simbolo in un
certo senso si autonomizza, diviene oggetto di desiderio in quanto tale e, come già
Marx e Keynes avevano indicato, si pone all’uomo come fine e non più come mezzo,
producendo vere e proprie nevrosi che si manifestano in ossessioni per il risparmio o
in comportamenti razionalmente inspiegabili (si pensi alla categoria degli
overspender).
Anche un esperimento condotto sul comportamento di consumo e risparmio (Thaler e
Shefrin 1988) dimostra che il denaro non è un puro segno, psicologicamente
intercambiabile: il suo utilizzo dipende profondamente dal modo in cui è acquisito.
Nella ricerca citata si chiedeva a tre gruppi sperimentali, distinguibili per il modo con
cui una somma di denaro era stata guadagnata, di indicare quanto avrebbero speso di
tale somma; al primo gruppo spettavano 2400$ da incassare immediatamente, al
secondo dodici rate mensili da 200$, mentre al terzo 2400$ pagati dopo cinque anni
insieme agli interessi. Nonostante a livello puramente razionale non ci fosse
differenza fra le tre situazioni, il primo gruppo dichiarò che avrebbe speso più di
800$, il secondo avrebbe speso almeno metà della quota, mentre il terzo avrebbe
risparmiato l’intera somma. Da questo e da altri esperimenti sembra quindi che le
somme più soggette a spesa siano i guadagni correnti, seguiti dai patrimoni
disponibili, mentre i patrimoni futuri verrebbero tendenzialmente risparmiati. Ciò
dimostra che gli individui hanno una sorta di conti mentali (mental accounting) delle