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Ma quello dell’ambiente è solo un punto importante, non l’unico, che
stabilisce la sostenibilità di un’azienda.
E, nel 2003, le nostre imprese sono riuscite a migliorare anche in
altri indicatori del “Djsi”:
ξ hanno reso più trasparente il rapporto con il pubblico;
ξ hanno migliorato la “corporate governance”: un parametro che misura
“l’equità” del Consiglio di Amministrazione in base a vari criteri, come la
presenza di Consiglieri di diversi sessi e nazionalità; e inoltre, la
comunicazione al pubblico dei guadagni dei managers;
ξ hanno formalizzato di più le strategie, e i bilanci aziendali;
ξ si sono più sensibilizzate nell’ambito del rapporto con i clienti;
ξ hanno messo più a fuoco l’approccio e la gestione delle risorse umane.
Ma perché l’Italia comincia ad ascoltare le ragioni del “capitalismo
sostenibile”; e come mai questo, almeno secondo gli studi del “Djsi”, si sta
imponendo a livello mondiale?
Magari c’entra pure la filantropia, ma le motivazioni principali sembrano
più prosaiche: molte delle più grandi aziende mondiali si sono accorte che
“essere sostenibili” fa bene ai “profitti”.
A livello personale - a meno di una cocente delusione - non posso
pensare che i criteri essenziali che qualificano la sostenibilità di un’impresa
siano riconducibili, in sostanza, all’enfasi del profitto!
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Siamo, in tal senso, in una strategia di “breve periodo”, che poco e male
si concilia, e si integra, con il “processo sistemico” che, com’è noto, realizza
“benefici globali di lungo periodo”, che vanno ben oltre la metà della vita di un
essere umano.
Sempre a mia opinione, la mera esaltazione del “profitto” concilierebbe
solo per via indotta la manutenzione, la conservazione, il miglioramento del
“pianeta terra”, in quanto intransigente “sistema” di ricchezza socio-ambientale,
ed economico-finanziario.
“Le nuvole si ammassano, il cielo si rabbuia, le foglie si alzano verso
l’alto: sappiamo che pioverà”.
Sappiamo, anche, che dopo il temporale la pioggia andrà ad immettersi
nella falda freatica a chilometri di distanza, e che domani il cielo sarà chiaro.
Tutti questi eventi sono lontani nel tempo, e nello spazio, eppure sono tutti
collegati nell’ambito dello stesso “sistema”.
Ognuno di essi ha influenza sul resto, un’influenza che normalmente è
nascosta alla vista.
Si può comprendere il “sistema” di un temporale soltanto contemplando
l’intero, non una qualsiasi singola parte di esso.
Anche le aziende, e le altre imprese umane, sono dei “sistemi”.
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8
Esse pure sono legate da tessuti invisibili di azioni interconnesse, che
spesso richiedono anni per esercitare completamente i loro effetti reciproci
2
.
A mia modesta opinione, se non ci si libera dagli obsoleti “modelli
mentali”, peraltro estremamente individualistici, quanto dannosi, sarà
particolarmente gravoso sviluppare un globale, sano, premiante, “percorso
etico” con la padronanza condivisa del “pensiero sistemico”, e l’assidua realtà
di “organizzazioni” proiettate costantemente verso un “apprendimento
generativo”.
Pertanto, alla luce di un nuovo paradigma di “valori”, e di “management”,
ritengo che sia destinata a subire una profonda trasformazione anche la stessa
concezione di “leadership”.
In realtà, la leadership è stata per troppo tempo concepita come potere e
controllo su cose e persone, ed ha operato a tal fine accentrando il potere
decisionale, e costringendo tutto e tutti ad uniformarsi.
Il nuovo paradigma di leadership - la “leadership morale” - penso che
significhi, invece, (da quanto mi è stato possibile apprendere nel breve, anche
attraverso delle personali esperienze lavorative) che un leader vincente, oggi,
dovrebbe principalmente preoccuparsi di rendere un servizio alla comunità,
piuttosto che cercare il massimo vantaggio immediato per sé, o per le proprie
idee, per la propria carriera, o per i propri privilegi personali: il suo principale
dovere dovrebbe essere servire i migliori interessi dell’intero sistema socio-
2
Senge P. M. (1993), “ L’Arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo “
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economico, piuttosto che di una particolare ideologia, parte, schieramento,
azienda.
Ma quanto appena prospettato, che rivela una visione sacrale dell’etica,
evidenzia un ribaltamento totale del modo di fare impresa, che
consapevolmente richiederebbe tempi lunghi, un processo di cambiamento
strutturale, e una capacità di apprendimento globale e condivisa.
Del resto, attraverso l’elaborazione dei temi sui quali il Chiar.mo Prof.
Scrimieri mi ha invitato a riflettere, e commentare, mi sono apparse subito
chiare le difficoltà, le incertezze,…anche i benefici del dubbio, emergenti da un
percorso così innovativo, quanto essenziale, per il “sistema azienda”, peraltro
elemento vitale di un “sistema globale”: ne avrò ulteriore conferma nel corso
della progressiva stesura e attenzione dell’elaborato che, mi auguro, possa
concludere brillantemente il mio primo ciclo di Studi Universitari.
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________________La responsabilità sociale d’impresa: caratteri generali________________
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CAPITOLO I
LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA:
CARATTERI GENERALI
1. Le aziende e le loro responsabilità
Parlare di responsabilità sociale in ottica aziendale significa necessariamente
riallacciarsi alla vexata questio della natura e funzione della dimensione etico-sociale
dell’impresa, ossia al complesso dibattito sulla conciliazione tra valori etici e
comportamento imprenditoriale
1
.
Non c’è da stupirsi se quello della presunta incompatibilità della sfera
economica con quella etica sia un argomento che accompagni l’economia da
sempre; il ruolo che quest’ultima riveste all’interno della società è sicuramente
fondamentale.
Il processo di cambiamento sociale e culturale che attraversa la società
contemporanea, considera la concezione dualistica di etica ed economia come una
visione miope e parziale che deve essere oltrepassata.
L’economia è chiamata oggi a ridefinirsi in relazione al contesto antropologico e
socio-ambientale in cui opera e da cui riceve vincoli ed opportunità.
Per altro verso all’etica è richiesta la capacità di imporre, nei confronti del rischio
della frammentazione dell’umano, un modello complessivo di persona che faccia valere
la sua importanza non aprioristicamente, ma nel concreto della problematica
economica, interpretandone le mancanze e i possibili miglioramenti.
1
Di Cura M., "Perché alle organizzazioni del XXI secolo si chiede di essere Socialmente Responsabili? In
che modo possono realizzare un comportamento etico e come possono comunicarlo?",
www.datamanager.it
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A livello di elaborazione teorica, è la dottrina sociale della Chiesa ad aver indicato
la strada da percorrere quando nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II affermava: “il
valore sociale per un’impresa non può essere ridotto ai soli temi del profitto e del
benessere…, ma deve spingersi fino a riconoscere la centralità della persona, il vero
criterio di ogni razionalità economica o politica. […]. L’integrale sviluppo della persona
umana non contraddice, ma piuttosto favorisce, la maggiore produttività ed efficacia del
lavoro. […]. L’azienda stessa è una comunità di persone”
2
.
Il Cattolicesimo, quindi, legittima il capitalismo e le sue più dirette espressioni, ma
allo stesso tempo opera numerosi richiami ad una maggiore attenzione al rapporto fra
solidarietà e profitto.
Di fatto solleva dubbi sulla possibilità che il Mercato, con le sue regole, sia in grado
di indirizzare il cammino dell’uomo assicurandone un progresso rispettoso dei canoni
cristiani.
Come ben si evince dal richiamo alla priorità del lavoro sul capitale, contenuto
nella Laborem excercens (1981), essa fa un appello a non accontentarsi solo
dell’optimum economico, ma a situare l’efficienza economica in relazione alla sua
finalità fondamentale: lo sviluppo dell’uomo.
Un approccio relazionale di questo tipo, permetterebbe di dare ruolo e valore alla
molteplicità di soggetti con i quali – direttamente o indirettamente – l’impresa si trova ad
operare nell’adempimento delle sue attività, attivando ciascuno a proporre ed agire,
nella diffusione di una cultura della responsabilità condivisa e reciproca: individui,
pubbliche autorità, gruppi politici.
2
Golzani G., “La Centesimus Annus: incontro tra Chiesa, economia e società civile”, Aggiornamenti
sociali n. 1/92.
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Ne consegue l’abbandono di un mercato governato da meccaniche sterili e
opportunistiche e, la creazione di un mercato che dia a tutti la possibilità di parteciparvi
attivamente, con particolare attenzione a coloro che attualmente ne sono esclusi,
chiamato ad evolvere verso un’istituzione economica al servizio dello sviluppo
complessivo della persona umana
3
.
Poiché la responsabilità sociale d’impresa origina volontariamente dalle aziende,
anche Confindustria ha partecipato attivamente al dibattito nazionale e internazionale in
qualità di rappresentante delle aziende italiane.
Secondo Confindustria: “è solo lasciando alle imprese la possibilità di sviluppare i
propri modelli specifici all’interno di un quadro volontario, che potanno essere ottenuti
progressi in questa materia”
4
.
Le iniziative nel campo della responsabilità sociale delle imprese non dovrebbero,
quindi, essere utilizzate come un modo per introdurre nuova legislazione nel settore
della politica sociale e del lavoro.
A conferma dell’interesse verso la responsabilità sociale, anche gli innovativi casi
di accountability di numerose associazioni industriali, intendendo per tali le
esperienze di realtà associative che hanno adottato forme di reporting istituzionali
coerenti ai principi della responsabilità sociale d’impresa.
Nonostante le numerose definizioni che nel corso degli anni sono state date al
concetto di responsabilità sociale d’impresa, risulta evidente la coerenza del significato
sostanziale, profondamente legato alla dimensione comportamentale dell’azienda:
essere socialmente responsabili significa gestire un determinato business in modo da
3
Paolo VI (1967), “Popolorum progressio” n. 24.
4
Documento congiunto Confindustria/CBI, vertice di Siviglia, giugno 2002, www.confindustria.it
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controllare e, possibilmente, migliorare, gli effetti sociali e ambientali dell’attività di
impresa.
Per il World Business Council for Sustainable Development, responsabilità sociale
di impresa è infatti il “continuo impegno dell’azienda a comportarsi in maniera etica e a
contribuire allo sviluppo economico, migliorando la qualità della vita dei dipendenti, delle
loro famiglie, della comunità locale e, più in generale, della società”
5
.
Secondo l’organizzazione statunitense BSR – Business for Social Responsibility,
responsabilità aziendale o cittadinanza d’impresa (corporate citizenship) significa
“gestire un’azienda in maniera tale da soddisfare o superare costantemente le
aspettative etiche, legali, commerciali e pubbliche che la società ha nei confronti delle
aziende”.
L’oggetto della responsabilità sociale d’impresa è, dunque, l’impatto causato
dall’operare dell’azienda nella realtà sociale ed ambientale di cui fa parte e con la quale
esiste un rapporto di reciproca interdipendenza.
In base alla definizione del Libro verde della Commissione europea
6
, per
Responsabilità Sociale d’Impresa si intende "l'integrazione su base volontaria, da parte
delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni
commerciali, nei processi decisionali e nei loro rapporti con le parti interessate".
Nel documento è specificato che essere socialmente responsabili vuol dire “non
solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là
investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti
interessate”.
5
Perrini - Tencati (2003), tratto da “Economia & Management” n. 5.
6
Commissione della Comunità europea (2001), “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità
sociale delle Imprese” , www.europe.eu.int/comm/index_it.htm