Introduzione
Il presente lavoro ha ad oggetto lo studio specifico dell’esecuzione indiretta in ambito
processuale civile e amministrativo. Questa espressione ricomprende i metodi attraverso i
quali si può giungere ad un adempimento spontaneo (o, secondo una felice espressione,
“spintaneo” ) da parte del debitore di una obbligazione, evitando, cioè, qualsiasi forma di
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esecuzione forzata (cioè diretta). Ciò può essere semplicemente opportuno in un’ottica di
snellimento delle procedure esecutive, ma diventa necessario e inderogabile qualora la
prestazione da eseguire sia di natura infungibile, cioè insuscettibile di essere eseguita con la
forza. In tali situazioni, il creditore rischia di rimanere insoddisfatto per l’inadeguatezza dei
tradizionali sistemi di esecuzione forzata ad assicurare ciò che alla parte spetta di diritto. A
seguito di una secolare elaborazione dottrinale, concorde per una maggiore attenzione verso
questa particolare forma di esecuzione, anche su ispirazione di modelli stranieri, il legislatore
ha ritenuto di prestare ascolto a tali istanze, dotando il sistema di misure coercitive
patrimoniali, prima nel 2009, per il processo civile e, alcuni mesi dopo, anche per il processo
amministrativo.
L’approdo legislativo, lungi dall’essere risolutivo, si è contraddistinto per una grave
approssimazione redazionale, soprattutto per ciò che riguarda l’istituto processualcivilistico,
contenuto nell’art. 614-bis del codice di rito. Le conseguenze di una stesura gravemente
imprecisa sono pesate prevalentemente sulla giurisprudenza ordinaria, stordita da una norma
poco chiara e sulle parti interessate, restie ad avventurarsi in un sistema poco conosciuto.
Allo stesso tempo, l’esistenza di un istituto nel processo amministrativo (art. 114 co. 4 lett.
e) cod. proc. amm.) molto simile nella forma ma profondamente differente nella portata
applicativa, ha contributo ad alimentare gli equivoci nel panorama dell’esecuzione indiretta.
Nella situazione odierna il sistema di misure coercitive apprestato dal legislatore rischia di
rimanere solo una mera garanzia “sulla carta”, priva di risvolti pratici; con il rischio
imminente di conseguenze sanzionatorie davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la
quale nella nota sentenza Hornsby ha cristallizzato il principio di effettività dell’esecuzione,
secondo cui il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l'ordinamento giuridico interno di uno
Si tratta di un neologismo ironico, derivato dalle parole “spontaneo” e “spinta”, utilizzato nel presente contesto
1
da diversi autori per sottolineare la quasi inesistente spontaneità di un soggetto nell’adempiere un’obbligazione
dietro la minaccia di una sanzione.
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Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse
inoperante a danno di una parte.
1
Il presente studio si pone l’obiettivo di fare luce sulle suddette discrasie e incertezze
attraverso una ricerca di stampo comparatistico tra il processo civile ed amministrativo, non
solo ricostruendo i contributi dottrinali e giurisprudenziali sul tema ma anche proponendo
soluzioni interpretative, anche di natura sostanziale, innovative per una reale ed efficace
affermazione dell’esecuzione indiretta nel sistema giuridico italiano.
Si procederà, quindi, ad una analisi del contesto entro il quale si colloca l’esecuzione
indiretta, ponendo attenzione ai motivi che hanno impedito, e tuttora impediscono, un suo
ampio utilizzo nelle procedure giudiziarie. Successivamente, si proporrà una breve analisi dei
principali modelli stranieri. Il corpo vero e proprio dell’elaborazione è rappresentato dai
capitoli III e IV , dedicati alla misura coercitiva nel processo civile e amministrativo. Infine,
nel capitolo conclusivo si tenteranno alcune ricostruzioni ermeneutiche ritenute coerenti con
una maggiore diffusione degli istituti in commento.
“ However, that right [the right to a court] would be illusory if a Contracting State’ s domestic legal system
1
allowed a final, binding judicial decision to remain inoperative to the detriment of one party”. CEDU, 19 marzo
1997, Hornsby c. Grecia, par. 40 in www.echr.coe.int.
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Capitolo I. L’esecuzione di obblighi infungibili
SOMMARIO: 1.1. La nozione di obbligo infungibile - 1.2. L’incoercibilità degli obblighi
infungibili: “nemo ad factum praecise cogi potest” - 1.2.1. Mancata esecuzione dolosa di un
provvedimento del giudice - 1.2.2. Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità - 1.3. Una
misura coercitiva generale: un istituto fortemente invocato in dottrina - 1.3.1. I tentativi di
riforma - 1.4. Misure coercitive settoriali nel nostro ordinamento
1.1 La nozione di obbligo infungibile
Uno dei problemi più rilevanti nella sistematica giuridica è la corrispondenza tra titolarità
di un diritto sostanziale in capo ad un soggetto ed effettiva tutela in sede processuale. Se è
vero che, in un ordinamento che si ritenga civile, non è consentito al singolo di farsi giustizia
da sé (salvo rari casi, come la legittima difesa in ambito penale che, però, non attiene agli
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argomenti oggetto di questa trattazione), è altrettanto vero che l’intervento dello Stato per
garantire l’attuazione di un diritto in fase esecutiva talvolta incontra limiti invalicabili.
L’ordinamento, nei casi di inadempimento del soggetto obbligato, tende a proteggere il
creditore dall’inerzia del debitore mediante l’esecuzione forzata, sia essa in forma specifica o
per equivalente. Al creditore, quindi, sarà (o dovrebbe essere) garantito “il conseguimento non
già di un bene in genere ma di quel determinato e preciso bene sul quale si è costituito il
rapporto giuridico”
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È ancora attualissima la teorizzazione operata da Chiovenda relativamente alla modalità di
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conseguimento del bene oggetto dell’obbligazione. Questa è condizionata da due fattori: la
natura del bene da conseguire e la natura dei mezzi per conseguirlo.
In relazione alla prima si distingue tra:
1. beni consistenti nel conseguimento di una cosa (obblighi di dare) certa e determinata
(corpus) oppure individuata nel genus;
FIANDACA e MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 3 ed., 2009, Zanichelli, Bologna, 283.
1
FERRARA L., L’esecuzione processuale indiretta, 1915, Jovene, Napoli, 1.
2
C HIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile. I concetti fondamentali. La dottrina delle azioni, 1947,
3
Jovene, Napoli, 253.
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2. beni che si conseguono col compimento di una certa attività da parte dell’obbligato
(obblighi di fare);
3. beni che si conseguono con l’astensione da una certa attività da parte dell’obbligato
(obblighi di non fare).
Chiaramente, tale categorizzazione ha lontane radici nel diritto romano (a differenza che
nella tradizione di diritto comune in area germanica, ove si predilige la distinzione tra
prestazioni positive e negative) : in proposito, può essere interessante citare una massima di
4
Paolo in Digesto 45, 1, 2: “stipulationum quaedam in dando, quaedam in faciendo
consistunt”. Il facere, come antitesi del dare, abbraccia chiaramente sia obblighi positivi che
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negativi, pur non risultando dal brocardo citato.
I mezzi esecutivi, invece, sono le misure che permettono agli organi esecutivi di far
conseguire al creditore il bene al quale ha diritto. Essi sono:
1. mezzi di coazione, che tendono a soddisfare la pretesa creditoria solo con la
partecipazione dell’obbligato, incidendo sulla sua volontà affinché adempia
spontaneamente;
2. mezzi di surrogazione, che permettono al creditore di conseguire il bene cui ha diritto
indipendentemente dalla partecipazione e senza la volontà del debitore.
Questa teorizzazione, come molti concetti giuridici, risulta essere di immediata
comprensione “sulla carta”, ma presenta rilevanti ostacoli pratici nella concreta attuazione.
Nel caso di violazione di un obbligo di dare (pagamento di una somma di denaro, consegna
o rilascio di bene mobile o immobile), il titolare del diritto potrà sempre essere soddisfatto
mediante la tecnica dell’esecuzione forzata diretta (mezzo di surrogazione) e cioè, tramite la
sostituzione di un terzo all’obbligato. Difatti, poco importa che l’estinzione di un credito
pecuniario o la consegna di una cosa determinata avvenga spontaneamente ad opera del
debitore piuttosto che attraverso l’intervento della forza pubblica: il creditore è interessato
solo al conseguimento del bene della vita.
Situazione molto diversa si ha in caso di violazione di obblighi di fare o di non fare: qui, è
fondamentale distinguere tra fungibilità o infungibilità dell’obbligo (rectius d e l l a
C HIANALE, alla voce “Obbligazione di dare”, in Digesto delle discipline privatistiche sez. civ., 1995, UTET,
4
Torino, 354.
GROSSO G., Contenuto e requisiti della prestazione, 3 ed., 1966, Giappichelli, Torino, 29.
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prestazione ).
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Sebbene la legge non si esprima sulla predetta distinzione, ciò non significa che questa non
esista, ma è anzi in rerum natura. Si tratta di un classico elemento normativo extra-giuridico
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e, in quanto tale, non definibile con gli strumenti del giurista, bensì facendo ricorso ad altre
branche della conoscenza. Peraltro, a differenza di fattispecie dello stesso tipo, che fanno
rinvio a norme sociali o di costume, quali, ad esempio, la nozione di atto osceno in diritto
penale, che rinvia al “comune sentimento del pudore”, il concetto di infungibilità della
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prestazione è di immediata percezione nell’analisi dei casi concreti piuttosto che facendo
ricorso ad una definizione astratta. Di conseguenza, il lavoro induttivo della dottrina risulta
quanto mai arduo in situazioni di questo genere. Ciononostante, lo sforzo delle varie correnti
tra i processualcivilisti ha condotto a risultati interessanti.
Le varie sfumature di significato attribuite alla fungibilità/infungibilità delle obbligazioni
di facere o non facere ruotano attorno ad un nucleo centrale: può definirsi infungibile la
prestazione che non può essere adempiuta se non dall’obbligato, poiché strettamente
personale, o che, in ogni caso, non può essere realizzata da un terzo soggetto, con pari effetti
satisfattivi per il creditore. Il debitore, insomma, non può essere sostituito da altro soggetto
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terzo nell’adempimento. La mente va subito al più classico dei casi: l’artista (pittore,
musicista, scultore, scrittore, attore teatrale e così via...) che si obblighi a realizzare un’opera
su commissione. Ciò che interessa al committente è l’originale apporto che l’artista, e solo
l’artista che ha scelto, può dare all’opera oggetto del contratto (la prestazione). Il committente
non ha alcun interesse ad un’opera eseguita da altro artista: non è certo la stessa cosa farsi
dipingere una tela da Giorgio De Chirico piuttosto che da qualsiasi altro pittore che, per
quanto capace, non avrà mai lo stile inconfondibile del primo artista. E si badi che non si
tratta tanto di qualità e fama dell’artista, in quanto ci ritroveremmo nella medesima situazione
CONSOLO e GODIO sub art. 612, in CONSOLO, Codice di procedura civile commentato, 2010, IPSOA, Milano,
6
1920.
REDENTI, Diritto processuale civile III, Giuffrè, Milano, 1954, 302.
7
MONDINI A., L’attuazione degli obblighi infungibili, 2014, Giuffrè, Milano, 63.
8
FIANDACA e MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 3 ed., 2009, Zanichelli, Bologna, 83.
9
Ex multis, MONDINI, op. cit., 62; BORRÈ, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, 1966, Jovene,
10
Napoli, 127; FERRARA L., op. cit., 95; LOMBARDI A., Il nuovo art. 614-bis c.p.c.: l’astreinte quale misura
accessoria ai provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c., in Giur. mer., n. 2/2010, 2; SILVESTRI E., in AA.VV ., Il
processo civile riformato, diretto da TARUFFO, 2010, Zanichelli, Bologna, 503; GAMBA sub art. 614-bis, in
CARPI e TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, 2013, CEDAM, Padova, 1920.
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di inadempimento contrattuale qualora per l’esecuzione dell’opera si offrisse il fratello di De
Chirico, Alberto (noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio), probabilmente di pari fama e
forse dotato di una migliore tecnica pittorica: il committente non troverà alcun interesse nella
tela dipinta dal sostituto, poiché manca quel quid indefinibile che lo ha spinto a scegliere
quello invece di questo. Il campo dell’arte, o più in generale delle prestazioni d’opera
intellettuale, come è facile immaginare, è terreno fertile di obblighi infungibili.
Ciò che caratterizza l’infungibilità della prestazione è quindi l’intuitus personae e, di
conseguenza, la oggettiva ineseguibilità da parte del terzo. Ciò provoca drammatiche
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conseguenze in ambito processuale (e di attuazione dei diritti).
Solo in caso di fungibilità la conseguente condanna potrà essere attuata con l’esecuzione
forzata attraverso la surrogazione di un terzo. Qualora, viceversa, la condanna per
inadempimento abbia ad oggetto un obbligo infungibile, il creditore avrà come unica
possibilità di soddisfazione (sia chiaro, senza contare la tutela per equivalente costituita, ad
esempio, dal risarcimento del danno) il ricorso a misure coercitive di esecuzione indiretta, che
premano sull’obbligato affinché questi adempia spontaneamente. Quando ciò che spetta al
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creditore non è ottenibile dallo stesso in sede giurisdizionale ma solo tramite mezzi di
esecuzione indiretta e questi non sono previsti dalla legge, si verifica uno “scollamento” tra
spettanza formale e conseguimento del bene della vita nella realtà materiale, con la
conseguenza che il bene non è praticamente conseguibile.
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In tali frangenti, l’ordinamento, qualora non voglia avvalersi di strumenti di coartazione
della volontà (esecuzione indiretta), non può far altro che rendere tanto più generica la
prestazione quanto questa possa divenire eseguibile coattivamente (la sostituzione del bene
con uno simile oppure una prestazione sostitutiva del terzo) fino al massimo della genericità
che è, ovviamente, rappresentata dalla prestazione in denaro, il tantundem stimato in giudizio
(massima fungibilità ed eseguibilità). Tale atteggiamento, tipico degli ordinamenti giuridici
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privi di misure coercitive per l’adempimento, è stato definito “monetizzazione o
SILVESTRI E., alla voce “Esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare”, in Enciclopedia Treccani online;
11
GAMBA sub art. 614-bis, in CARPI e TARUFFO, op. cit., 1924.
PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna, 1979, Giuffrè, Milano, 8.
12
CHIOVENDA, op. cit., 255.
13
MANDRIOLI, Diritto processuale civile vol. IV, 2012, 22 ed. (a cura di Carratta), Giappichelli, Torino, 16.
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mercificazione dei diritti di obbligazione”.
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Secondo Rescigno, anzi, gli obblighi di fare nascerebbero già ab origine come semplici
“obbligazioni di indennità” e darebbero vita al solo e semplice risarcimento dei danni
derivanti da inadempimento, poiché per natura non esiste altra tutela “reale” che permetta di
conseguire il vero bene oggetto dell’obbligazione originaria.
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Non solo nelle prestazioni d’opera intellettuale si rinvengono esempi di obblighi
infungibili: si pensi al caso del preliminare di vendita di cosa altrui ex artt. 1351 e 1478 c.c.. È
giuridicamente incoercibile la volontà del terzo proprietario a procurare il bene al soggetto
obbligato in quanto soggetto terzo rispetto alla pattuizione contrattuale.
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Altri esempi sono rappresentati dagli obblighi di diritto familiare, come, ad esempio,
l’obbligo di consegna del minore. Peraltro, nonostante certa dottrina ritenga che la consegna
del minore sia equiparabile a quella di una res, parificando la fattispecie a quella di un obbligo
di rilascio fungibile, c’è ancora un certo dibattito tra gli operatori del diritto. In ogni caso, il
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codice di rito prevede già, all’art. 709-ter, una misura coercitiva speciale per assicurare
l’esecuzione degli obblighi genitoriali nei confronti della prole.
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Non si può certo pensare che il creditore di una obbligazione infungibile possa ritenersi
soddisfatto dalla condanna al risarcimento dei danni inflitta al debitore per la mancata
esecuzione. L’esistenza in taluni ordinamenti di misure coercitive atte a spingere il debitore al
volontario adempimento muovono dalla premessa della priorità dell’esatto adempimento
rispetto al risarcimento dei danni. È innegabile che tale costruzione dogmatica si sia sempre
affermata nel nostro diritto sostanziale: si pensi, con riguardo ai contratti a prestazioni
corrispettive, all’exceptio inadimpleti contractus (eccezione d’inadempimento) o alla
risoluzione del contratto come strumenti di difesa contro la non esatta esecuzione del
contratto. Tutto ciò dimostra l’antigiuridicità dell’inadempimento anche se accompagnato da
una offerta di risarcimento dei danni; quest’ultimo, infatti, si colloca sul gradino più basso
nella soddisfazione creditoria.
PROTO PISANI, op. cit., 22.
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RESCIGNO, alla voce “Obbligazioni (nozioni)” in Enciclopedia del diritto, 1979, Giuffrè, Milano, 194.
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LOMBARDI, op. cit., 2; MANDRIOLI, Manuale cit., 186 sub nota 22.
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Cfr. DANOVI, Infungibilità dell’obbligazione e poteri del giudice nei giudizi di separazione in Dir. fam. 1997,
18
III, 1013; MONDINI, op. cit., 77.
V . infra parr. 1.4 e 3.5.
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