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Primo Capitolo
Il secolo dei Lumières, l’epoca di Denis Diderot:
il contesto storico, filosofico, culturale del Settecento francese
I. Denis Diderot, tra l’epilogo del Secolo d’Oro e l’era della Ragione
A Versailles si spengono le luci dell’ultimo giorno del Re Sole. Fuori dalla
corte si attende solo un cenno che autorizzi l’accensione dei fuochi per celebrarne il
commiato. Gli istanti che scandiscono l’estrema ora di Luigi il Grande, in quel 1°
settembre del 1715, li si potrebbe pure immaginare sottoforma di pensieri e ricordi,
seguendo il cui flusso il sovrano sembra prendere serenamente congedo dal mondo e
dal nuovo secolo. Un ultimo piacevole giro sulla giostra della memoria, per
allontanare almeno alla fine le insofferenze patite nella direzione politica del Paese,
segnata da pubblici fallimenti e conflitti intestini. E allora, con pacifica nitidezza, il
vecchio Luigi XIV ripensa alle feste spettacolari dal gusto barocco del secolo
precedente, con cui si scacciava la noia dalle mura di corte e si umiliava l’indigenza
al di fuori di esse. Sempre continuando a immaginare con la fantasia il suo epilogo, il
tiranno per meglio convincersi a sollevarsi dal trono, richiama alla memoria gli
allestimenti di meravigliosa e geniale bellezza, ai quali aveva assistito durante gli
14
anni migliori del regno di Francia, in compagnia del cardinale Mazarino
8
. Sulla
superficie delle sue palpebre sembrano, così, susseguirsi balletti, rappresentazioni di
melodrammi italiani, e poi commedie e tragedie di autori francesi destinati a
conquistare fama immortale
9
; e ancora, le prove grandiose di ingegneria
scenografica, autentici capolavori artistici realizzati per celebrare l’immagine
dell’uomo unicum investito di potere assoluto.
Il suo potere assoluto, sebbene avesse giustificazione nella teoria del ‘diritto
divino dei re’
10
, si era sempre dimostrato pienamente legittimo, in virtù dei meriti e
8
Il cardinale Mazarino, primo ministro di Luigi XIV (1638 -1715), detiene l’incarico della
effettiva direzione del governo francese dal 1743 al 1661, in attesa che il sovrano raggiunga la
maggiore età. Durante il periodo della suo ministero, l’opera italiana (il melodramma)
assurge a genere degno di corte. Prima di Mazarino, il cardinale Richelieu, ministro di Luigi
XIII (dal 1624 al 1643), imprime alla cultura francese un orientamento classicista a partire
dagli anni Trenta, divenendo il patrono di una politica culturale che riflette il più generale
intransigente centralismo assolutistico. Richelieu nel 1637 fonda l’Académie Française, con
cui istituisce ufficialmente l’autorità in fatto di gusto e di esemplarità per la lingua nazionale.
La questione sulle n o r m e d r a m m a t u r giche ispirate alla classicità si era già imposta
all’attenzione del mondo teatrale francese con la Lettre à Godeau sur les vingt-quatre heures
(1630) di Jean Chapelain, interpret e del pensiero di Richelieu e futura guida del consesso
accademico istituito dal cardinale (Cfr. P. Bosisio, Teatro dell’Occidente, Led, Milano, 1995, p.
435).
9
G l i a u t o r i t e a t r a l i d i f a m a i m m o r t a l e s o n o M o l i è r e ( 1 6 2 2 -1673), Racine (1639-1699),
Corneille (1606-1684), i quali tuttora detengono in ordine il primato dei tre drammaturghi
più rappresentati alla Comédie-Française. La classifica formulata dall’amministrazione del
più antico e importante teatro di Parigi (e aggiornata fino al 31 dicembre 2004) indica, infatti,
che delle opere di Molière si è circa a 33.040 repliche; di Racine a 9.408; di Pierre Corneille a
7.194. Dopo di loro si collocano Musset (6.665), Marivaux (6.023), Dancourt (5.659), Regnard
(5.372), Voltaire (3.945), Augier (3.304), Hugo (3.171), Scribe (3.081), Beaumarchais (3.023),
etc. etc. Per approfondimenti, visita l’elenco completo alla pagina http://www.comedie-
francaise.fr/histoire/som4.php.
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La nozione di ‘diritto divino dei re’ esiste già in epoca medievale, ma nell’età travagliata
della Riforma viene usata intensamente come principale meccanismo politico per
incrementare il potere dei re all'interno delle monarchie centralizzate. La sua formulazione
dottrinale più esauriente è però realizzata dal vescovo cattolico Jacques-Bénigne Bossuet
(1627-1704). Egli scrive non per giustificare l'autorità di una monarchia già autocratica, ma
per proteggerla dalla frantumazione della propria unicità assoluta, di riflesso a quella del
credo religioso e della gestione dell’economia. L’urgenza della legittimazione giuridica del
potere assoluto e divino del re si avverte in seguito agli incidenti e ai tumulti che avevano
già scosso il trono francese (le "fronde", guerre civili mosse dai nobili contro l'autorità di
Luigi XIII e poi di Luigi XIV). Sostenendo la tendenza gallicana della cattolicesimo francese e
la forma esasperata dell’assolutismo intollerante di Luigi XIV (che tocca il proprio vertice di
intolleranza con la revoca nel 1685 dell’Editto di Nantes, e la conseguente ripresa delle
persecuzioni contro i protestanti), Bossuet contribuisce alla rottura radicale fra autorità e
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del carattere dello stesso Luigi XIV, sorprendentemente capace (certamente più dei
suoi successori al trono) di tirare a sé con vigore le redini per la guida di un territorio
vasto, articolato e irrequieto come quello di Francia. Questa forza aveva iniziato,
però, a mostrare segni di cedimento e ad esaurirsi, in seguito agli ultimi difficili
frangenti di rovinosa politica estera ed economica, e a causa dei conflitti interni con
gli stati minori di Francia, sempre più influenti
11
.
L’indebolimento dell’energia politica accentratrice sembrava riflettersi anche
nel decadimento del gusto per quella magnificenza celebrativa dell’arte e degli
spettacoli. Un’irrefrenabile tendenza centrifuga, di emancipazione e distacco dalla
corte, pareva muovere le arti, che progressivamente iniziano a offrirsi ad una sempre
più estesa e ‘volgare’ – cioè popolare – fruizione.
La mente offuscata di questo gigante morente non può serbare la memoria delle
pose e delle giravolte danzate allo speciale evento realizzato in onore della sua
nascita, in cui lui stesso, il delfino, era stato simbolicamente rappresentato come il
massimo astro celeste, il sole
12
. Separano quella messa in scena dall’ultimo saluto al
società della cultura, che caratterizza gran parte dell’illuminismo francese (Cfr. L. Geymonat,
Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. III – Il Settecento, Garzanti, Milano, 1971, p. 25).
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Il panorama della politica estera diretta da Luigi XIV si prospetta spiccatamente bellicoso.
Infatti, dopo la sconfitta della Guerra della Lega d’Augusta (1688-97) contro l’Inghilterra e
gli Asburgo, segue la Guerra per la successione alla corona di Spagna (1701-14), combattuta,
e anch’essa persa, contro una grande coalizione imperiale di principi, tra i quali già emerge
Federico I, elettore del Brandeburgo e re di Prussia. Nella situazione della politica interna si
intende evidenziare almeno un fatto, di per sé abbastanza eloquente per riflettere il tipo di
rapporto che si instaura tra il monarca e il resto della società al vertice, cioè i nobili. Per
diminuire il potere dell’aristocrazia, in costante competizione conflittuale con il sovrano,
costui da una parte nega ai Parlamenti il diritto di contestare gli editti promulgati dal re,
prima della loro registrazione di validità (cioè prima che l’ordinanza acquisisca efficacia
esecutiva); ma dall’altra, coltiva un pubblico consenso accogliendo la nobiltà a corte,
‘mantenendo’ i cortigiani ad un livello tale di grandeur di c ui pare impossibile lamentarsi
(Per una presentazione generale del panorama storico, politico e filosofico vedi D. Outram,
L’Illuminismo, tr. it. G. Arganese, Il Mulino, Bologna, 1997).
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Si fa riferimento al Ballo della Notte, spettacolo di danza ricco di figure allegoriche e
simboliche, realizzato nel 1635 per i festeggiamenti in onore del principe ereditario. Nella
metà del XVII secolo, il balletto come genere artistico consisteva in una rappresentazione
16
pubblico, i suoi lunghi settantasette anni, trascorsi con la corona salda sulla testa per
più di mezzo secolo.
È certo che i muti pensieri di un sovrano non sono assolutamente intelligibili, e
queste reminiscenze e riflessioni di Luigi XIV sono del tutto immaginarie, in quanto
tali, fittizie. Tuttavia, esse sono utili fantasie che si impongono come evidenti e
ipotetiche strutture di rinvio al panorama artistico, oltre che politico, di un’epoca
d’Oro, che volge a trasformarsi in epoca dei Lumi. La metafora della luminosità
permane nel lessico storico-letterario, ma tra un’epoca e l’altra la qualità e la fonte
della luce variano.
Il gioco retorico con la figura del Re Sole termina con la chiusura del suo
stanco occhio, così che la prospettiva della presente indagine possa andare oltre la
dimensione politica e culturale con cui il massimo protagonista del Seicento francese
si relazionava; per rivolgersi finalmente agli aspetti, alle immagini e ai protagonisti
dell’era successiva, quella in cui domina l’indirizzo di pensiero tradizionalmente
denominato ‘illuminismo’.
Appena due anni prima dell’epilogo dell’era di Louis le Grand, in un paese di
provincia dell’Haute Marne, nasce quello che per gli amici e i nemici è stato il
Philosophe dell’Illuminismo: Denis Diderot (Langres, 5 ottobre 1713 – Parigi, 31
luglio 1784).
Figlio di Didier Diderot, bravo e benestante artigiano (coutelier, coltellinaio), il
primogenito Denis cresce immerso in quella fetta di società, la borghesia, destinata
pantomimica cadenzata, eseguita con i passi delle danze dell’epoca. Esso era la forma d’arte
prediletta alla corte francese, insieme all’opera italiana. Luigi XIV, personalmente interessato
all’arte della danza, tanto da partecipare nel 1645 a Le nozze di Peleo e Teti di Isaac Bensérade,
danzando in ben sei ruoli differenti, fonda nell’anno della sua effettiva presa dei poteri di
reggente di Francia, cioè nel 1661, l’organo garante e tutore dello sviluppo artistico e
professionale dell’arte coreutica, l’Académie Royal du Ballet (Cfr. P. Bosisio, op. cit., p. 393).
17
ad assumere sempre più rilevanza economica e culturale in uno stato nazionale come
quello di Francia. La felice condizione familiare sembra non gli consenta di avvertire
direttamente i reali disagi sofferti, invece, da chi si sostiene principalmente con
un’attività legata ai prodotti della terra. La parte più umile del popolo ha, infatti,
attraversato da poco violenti epidemie e carestie, da cui ne è uscito stremato
13
.
Difatti, nelle sue memorie, il filosofo non accenna mai alla percezione di particolari
ristrettezze economiche, nonostante si debba presumere che anche il nucleo familiare
di un coltellinaio di provincia, che si inserisce nella compagine sociale del terzo stato
– di media condizione – fosse fortemente vessato dal fisco
14
, volto quasi tutto al
sostegno dell’abbagliante e sfarzoso lusso della vita di corte (cioè della famiglia
reale, così come di tutti i suoi parassiti, della nobiltà e del clero). Quindi, il mondo
naturale immediatamente attiguo a Diderot sembra preservarlo dal malcontento
diffuso, determinato anche da un altro decisivo fattore: il peso esercitato sulla
popolazione dalle campagne belliche intraprese da Luigi XIV, mosse per mire
espansionistiche, prestigio internazionale e per risolvere antiche rivalità
15
.
Quando Diderot, terminati nel 1726 gli studi inferiori presso il collegio dei
gesuiti della città natale, si trasferisce a Parigi per frequentare il liceo (probabilmente
13
L’ultima grave carestia si abbatte sulle campagne tra il 1709 e il 1710 spazzando via un
quinto dell’intera popolazione francese.
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Nobili e clero, le classi sociali col censo più alto, hanno fino alla Rivoluzione del 1789 il
privilegio dell’esenzione fiscale. La manovra si rivela utile per non inimicarsi i notabili, che
mal tollerano la prepotente affermazione della dinastia dei Borbone al trono di Francia, la
quale si era imposta sul trono con una mo na rchia dispotica e accentratrice escludendo
gradualmente qualunque altra famiglia dai poter i di governo. Con una tale situazione di
equilibrio precario del consenso politico, legato al favoritismo economico degli aristocratici,
il fisco di corte si abbatte solo sulle categorie inferiori della società.
15
La difficile situazione di politica estera incide sull’economia interna del paese, e di riflesso
sugli unici contribuenti alle cui casse, cioè il popolo; infatti, l’ultimo aspro e lungo conflitto
innescato dalla Francia per la successione della corona spagnola costringe l’esercito francese
ad incrementare le proprie file con gente del popolo, inesperta nel mestiere delle armi e
sottratta a quello dei campi.
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il Louis Le Grand) e poi l’Università della Sorbonne (conclusa brillantemente nel
1732), il giovane studente respira nella capitale un’atmosfera relativamente
tranquilla, che risente degli effetti di una reggenza ben disposta, per garantire
stabilità al sistema monarchico, a scendere anche a compromessi con le altre parti
della società francese
16
. In particolare, Parigi gode di un periodo di pace dovuto a
una buona amministrazione Fleury, durante cui fioriscono le lettere e le scienze, il
dibattito politico e culturale, nonostante sia sempre abituale l’esercizio della censura,
pronta ad intervenire, ma spesso solo dopo che sia stato concesso agli autori il diritto
di pubblicazione e di rappresentazione. La libertà di stampa, come un appendice del
diritto di usufrutto di una proprietà privata (intellettuale), è ormai riconosciuta e
affermata; e gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione sono presto
aggirati, con il ricorso all’anonimato o alla pseudonimia, oppure con una fuga delle
lettere verso editori stranieri, protetti all’interno di confini geografici neutrali o più
tolleranti, come la Svizzera o l’Inghilterra.
Gli anni più freschi di Diderot, soprattutto quelli precedenti al matrimonio con
la bella, ma bisbetica Nanette
17
nel novembre del 1743, sono movimentati dalle
16
Alle morte di Luigi XIV gli succede il pronipote Luigi XV (1715-1774), che all’epoca ha
però solo cinque anni. Pertanto, il Parlamento di Parigi affida a Filippo d’Orléans i poteri
della reggenza fino al 1723. E Filippo d’Orléans, per ingraziarsi la fiducia dell’aristocrazia, in
conflitto con il vecchio sovrano, restituisce ai Parlamenti il diritto, precedentemente abrogato
da Luigi XIV, di contestare gli editti del re, prima di registrarne la validità e l’efficacia
esecutiva. I rapporti fra gli stati della società francese vivono ufficialmente un periodo di
serenità. Inoltre, l’assenza di particolari contrasti nella diplomazia internazionale consente
un sano e fruttuoso ricircolo di idee, teorie, opere e persone fra gli stati europei più
all’avanguardia.
17
Antoinette Champion, figlia di una ricamatrice, sposata contro il veto paterno, della quale
il volubile Diderot smetterà assai presto di esserne innamorato, e con la quale giungerà a
intrattenere un rapporto formale in nome del rispetto, nonostante la reciproca in
sopportazione. L’amico J.-J. Rousseau riferisce di lei il carattere meno dolce e amabile della
sua fidanzata Thèrese, definendo quella di Diderot bisbetica, sguaiata, incapace di riscattare
in alcun modo la propria villania (Cfr. Idem, Confessioni, Libro settimo).
19
accese e gioviali discussioni nei salotti e nei primi celebri caffè letterari, in
compagnia di uomini e donne di cultura, come Jean-Jacques Rousseau, Condillac,
d’Alembert, il conte Buffon, il barone d’Holbach, e come le ‘maestre di sala’ M.me
Deffand, M.me Geoffrin, M.me Necker e M.lle de l’Espinasse.
A partire dalla metà del Settecento Diderot inizia a pubblicare. Dopo le opere
curate in veste di traduttore e commentatore
18
, vede la luce nel 1746 il suo primo
scritto filosofico, Pensées philosophiques, pensieri filosofici composti “fra il venerdì
santo e il giorno di Pasqua”, secondo la testimonianza della figlia Angelique.
Nonostante la reazione immediata della censura, la quale condanna al rogo l’opera di
Diderot (fra le più lette e riedite in Francia, Germania e Italia), l’intellettuale non
posa la penna, mandando in stampa, ininterrottamente fino al 1749, una serie di
opere pungenti di vario genere letterario, tanto apprezzate dai lettori moderni, quanto
disapprovate dalla censura. Edito nello stesso anno dei Pensées, il saggio De la
suffisance de la religion naturelle precede i celebri discorsi immaginati per lo
scettico a passeggio (La promenade du sceptique, del 1747). La sua letteratura
licenziosa, costituita dai piccanti romanzi Bijoux indiscrets e L’oiseau blanc, conte
bleu, entrambi del 1748, non è meno finalizzata alla rappresentazione e alla critica
della società, quanto i precedenti scritti.
Per una completa biografia di Diderot vedi A. M. Wilson, Diderot: gli anni decisivi, Feltrinelli,
Milano, 1971; e Idem, Diderot: l’appello ai posteri, Feltrinelli, Milano, 1977 (entrambi tradotti in
italiano da M. Ludioni).
18
Nel 1743 Diderot traduce i tre volumi dell’autore inglese Temple Stanyon sulla storia della
Grecia; due anni dopo, nel 1745, pubblica la traduzione commentata dei Principes de la
Philosophie morale, ou Essai de M. S*** sur le mérite et la vertu, di Shaftesbury. Nel frattempo,
quindi tra il 1743 e il 1746, Diderot collabora alla traduzione di un dizionario di medicina e
chirurgia, di Robert James, e lascia annotazioni alla traduzione dell’Essay on Man di
Alexander Pope.
20
Diderot ‘cavalca’ la grande onda del proprio successo letterario con una fresca
e persistente eccitazione, pur sapendo di rischiare di perdere l’equilibrio e di cadere,
inghiottito dalle conseguenze per le proprie scelte controcorrenti. Ma un’onda troppo
grande, troppo pericolosa, se corre verso alte coste frastagliate, può solo terminare la
corsa infrangendosi con violenza, rovinando tutto quello che porta con sé. Così
l’entusiasmo compiaciuto di Diderot, incoraggiato dalla complicità di amici e lettori
illuminati, si trasforma in disperazione nel carcere di Vincennes. In una di quelle
torri, il filosofo della nuova generazione dei lumières
19
viene rinchiuso nell’estate del
1749, in seguito all’arresto per la pubblicazione de La lettre sur les aveugles à
l’usage de ceux qui voient, opera accusata di corrompere i costumi sociali,
propagandando sottilmente l’ateismo attraverso un materialismo anti-innatista.
Tuttavia, la battuta d’arresto imposta al filosofo dal guardasigilli d’Argenson lo
spaventa molto, ma non lo persuade a cessare di partecipare all e discussioni che
costituiscono l’illuminismo francese.
A questo punto, è opportuno compiere un passo indietro e focalizzare
l’attenzione su quella che viene considerata ‘manualisticamente’ una determinata
categoria storica e filosofica, cui retrospettivamente si fa appartenere il pensiero di
Diderot.
19
Lo storico americano Peter Gay interpreta il pensiero illuministico come un fenomeno
unitario, fissandone la cronologia nei termini delle vite dei grandi pensatori che lo hanno
caratterizzato, individuando così, una prima fase originaria dell’illuminismo (con Voltaire e
Montesquieu), una seconda di maggior frammentazione speculativa e dialettica (con
Diderot, d’Alembert, Rousseau) e una terza fase di “tardo illuminismo” che abbraccia la
generazione di Lessing e Kant (Cfr. P. Gay, The rise of modern paganism, 1966, citato in D.
Outram, op. cit., p. 10). Alla luce di tale schematica tripartizione, da assumere come mero
strumento didattico, il contributo di Diderot nella compagine delle molteplici correnti di
pensiero illuministico risulta storicamente centrale, di media generazione, e che si potrebbe
essere quasi tentati di considerare (secondo una logica hegeliana) come appartenente a uno
stadio dialettico intermedio dell’illuminismo, in cui la critica negativa tenta di superare la
semplice posizione dei problemi già scorti e sofferti, gettando le concrete premesse per il
successivo e cosciente inveramento delle soluzioni proposte ai problemi.
21
II. L’Illuminismo: clima filosofico e artistico
Nel terzo volume di Storia del pensiero filosofico e scientifico curato da
Ludovico Geymonat, si osserva come preliminare che l’illuminismo non è da
considerare
un vero e proprio indirizzo filosofico o scientifico, bensì un’atmosfera culturale
che improntò di sé quasi tutte le correnti filosofiche e scientifiche del secolo,
malgrado le sostanziali differenze riscontrabili tra l’una corrente e l’altra […]
Per profonde che siano queste differenze […], esistono tuttavia […] alcuni
caratteri comuni, che sembrano riflettere lo slancio innovatore da cui fu
pervasa gran parte della società europea
20
.
Siffatto generale “slancio innovatore” è sostenuto dalla fiducia nella ragione, quale
strumento atto a chiarire tutti i problemi dell’uomo, di carattere filosofico,
scientifico, religioso, politico e sociale. L’ottimismo nell’applicazione incondizionata
di questo strumento si traduce nella più generale fiducia nelle capacità critiche
dell’uomo, nella chiarezza delle argomentazioni, nell’assoluta superiorità dello
‘spirito scientifico’ rispetto ad ogni forma di oscurantismo e dogmatismo.
A prescindere dalle divergenze fra i vari indirizzi illuministici, che possono
riguardare i modi di concepire le fonti, l’attività e i risultati dell’esercizio scientifico
della ragione per la costituzione del sapere, tutte le correnti in largo senso
illuministiche condividono la fondamentale convinzione nella possibilità di
incrementare il patrimonio conoscitivo dell’umanità; conseguentemente, anche di
migliorare la qualità della vita, attraverso una progressiva e graduale correzione degli
errori, in cui abitualmente si incorre, con la dissoluzione delle false credenze e
20
L. Geymonat, , op. cit., pp. 15-16.
22
superstizioni radicate nell’animo umano, mediante un’attenta e ripetuta verifica di
ogni concezione
21
. La diffusione del ‘lume’ della ragione, di un abito mentale
generalmente scettico e progressista (contrapposto alla tradizionale inclinazione per
cui passivamente si accettano miti e dogmi come indiscutibili), è sentita vivamente
dagli esponenti dell’illuminismo come un ‘dovere’.
L’uomo moderno, dedito allo studio delle scienze fisiche e sociali, si assume
una nuova e nobile responsabilità: approfondire, discutere e effondere il più possibile
la cultura, nonché il proficuo atteggiamento laico nello studio e nella ricerca
scientifica; affinché tutti gli uomini possano partecipare dello spirito scientifico e
“fare della ragione uno strumento di elevazione dell’umanità”
22
. Lo scienziato, così
come il filosofo, sente il dovere morale di illuminare i contemporanei, per fornire
loro una piena consapevolezza intorno all’effettiva situazione dell’uomo, libero dalle
superstizioni.
L’illuminismo che si delinea nell’arco temporale del Settecento non deve, però,
essere considerato come un qualcosa che erompe improvvisamente nella storia, con
esatti termini ab quo e ad quem
23
. Infatti, il processo di rottura con le strutture di
pensiero della mentalità medievale, inizia in Europa indubbiamente nel Seicento, da
quando si afferma il razionalismo scientifico e dalla diffusione dell’empirismo: tappe
21
Ivi, p. 16.
22
Ibidem.
23
I n t e r e s s a n t e è l a s i n t e s i c h e l a s t o r i c a i r l a n d e s e D o r i n d a O u t r a m f a d e l l e v a r i e
interpretazioni e opinioni critiche sull’Illuminismo, che si sono succedute nella storia del
pensiero nel tentativo sempre vivo di formulare una sua esaustiva determinazione storico-
concettuale, a partire dalle ‘illuminanti’ definizioni di Kant e di Meldelssohn (l’illuminismo
concepito come processo non concluso, di posizione di problemi e di discussioni varie e
continue), fino alle visioni più recenti (come quelle proposte da Cassirer, Habermas, Adorno
e Horkheimer, Venturi, Foucault), contrastanti tra loro, ma tutte senz’altro utili per cogliere i
riflessi dello stesso illuminismo nelle epoche seguenti, e per comprendere il senso e il valore
dell’interpretazione del passato, sempre rivelatrice delle logiche e delle dinamiche di
pensiero del presente attuale (Cfr. D. Outram, “Che cos’è l’illuminismo”, in op. cit., pp. 7-21).
23
mediante cui la filosofia tenta di emanciparsi dalla teologia, ovvero dalle
giustificazioni di carattere religioso – almeno in ambito epistemologico – per
garantire il necessario spazio alla ricerca e all’avanzamento gnoseologico.
I migliori frutti si producono in Inghilterra, con il pensiero di Hobbes, Spinoza,
Locke, Newton (senza dimenticare i preliminari e fondamentali apporti teorico-
scientifici del francese Descartes e del tedesco Leibniz). Tuttavia, la vera
modernizzazione della cultura ha luogo solo nel secolo seguente. Le strutture,
sgretolate dai padri fondatori del pensiero moderno, crollano definitivamente nel
Settecento. Infatti, se nel Seicento la chiesa cattolica poteva ancora intervenire nei
dibattiti di cosmologia e di fisica, nel Settecento gli scienziati non rendono affatto
conto della condanna che continua a gravare sulle nuove teorie, come su quella del
copernicanesimo, ormai universalmente accettata; e si giunge, alla fine del secolo
con Laplace, a poter fare addirittura a meno dell’ipotesi di dio come principio di
spiegazione
24
.
In Francia l’illuminismo si presenta come movimento di idee che cerca di
rispecchiare in sé la grande esigenza innovatrice della borghesia settecentesca. E
l’originalità degli illuministi francesi consiste propriamente nel loro nuovo interesse
per il mondo umano, per l’antropologico. Il concreto peso politico, l’attiva
preoccupazione sociologica, fanno distinguere i lumières francesi del XVIII secolo
dai filosofi del XVII. Questi ultimi sono, infatti, rivolti quasi esclusivamente allo
studio, alla sintesi teorica e all’evoluzione dello stato delle scienze e delle lettere,
vincendo senz’altro le proprie battaglie sul piano gnoseologico, teorico, ma
rimangono molto distanti dal concepire o provvedere all’effettiva destabilizzazione o
24
Cfr. L. Geymonat, op. cit., p. 22.
24
riforma del reale statu quo politico. Il radicalismo, il vigore polemico, lo slancio che
spinge i philosophes del Settecento a trasformare la propria filosofia in ideologia, in
strumento ideologico del terzo stato, sono apporti originali e di altissimo valore.
Anche se le ricerche di scienziati come Euler, d’Alembert, Lagrange, Lavoiser
non fanno compiere al pensiero matematico, fisico, biologico, svolte innovatrici
come quelle dovute al pensiero di Cartesio, Fermat, Newton, Harvey o Malpighi,
bisogna riconoscere che una cospicua parte degli illuministi francesi del Settecento
25
,
ponendo in primissimo piano la polemica storico-politica, getta le basi per la nascita
delle scienze sociali e per nuove prospettive politiche, grazie alle quali il processo di
formazione degli stati nazionali si canalizza lentamente in un nuovo corso storico che
conduce alla fondazione dei sistemi democratici occidentali
26
.
La molla propulsiva della ragione, scattata in Europa nel Settecento, non si
limita ad operare in ristretti ambiti scientifici, ma estende il campo di azione a
diverse dimensioni dell’attività umana e sempre più ampi della società. Infatti, così
come nel Seicento il nucleo più vivo della ricerca scientifico-filosofica si era
trasferito dalle università di stampo medievale alle grandi accademie di nuova
creazione, nel Settecento continua a dilatare il proprio raggio. E, seppur continuando
a lavorare attivamente nell’ambito delle accademie, i nuovi lumi tendono ad
‘irraggiarsi’, a proiettarsi fuori di esse, mediante la pubblicazione di opere a carattere
divulgativo e propagandistico, che trovano rapidamente un grandissimo numero di
25
È chiaro che tra gli illuministi di maggior spicco nell’indagine e nella polemica più o meno
costruttiva intorno alle strutture della società, bisogna pensare Montesquieu, Voltaire e lo
stesso Diderot.
26
Cfr. L. Geymonat, op. cit., p. 21.
25
lettori nei circoli privati e nei caffè letterari, e mediante altre forme di
rappresentazione e veicolamento del nuovo pensiero
27
.
Dunque, nel secolo XVIII si riscontra l’applicazione di un siffatto rinnovato
‘abito mentale’ in tutte le scienze e le arti: nelle discipline teoriche e tecniche, come
in quelle più specificamente artistiche
28
. La prima, la più in vista, fra le arti è quella
della poetica teatrale, la quale maggiormente e in anticipo rispetto alle altre riflette e
comunica i caratteri della propria epoca.
La stagione del Settecento è inquadrata dagli storici dello spettacolo all’insegna
del rinnovamento
29
. Infatti, Paolo Bosisio scrive che
nella storia del teatro europeo e, segnatamente, di quello tedesco, francese e
italiano, il Settecento rappresenta, infatti, un momento significativo in quanto
vi trovano spazio fenomeni complessi e per molti aspetti contraddittori,
attraverso i quali nasce e muove i primi passi la moderna civiltà teatrale. In
opposizione al gusto barocco, nello spettacolo come nella drammaturgia, le
istanze di rinnovamento si susseguono lungo tutto il secolo, creando i
presupposti per una produzione teorica e drammaturgica innovativa e per una
prassi scenica che, soprattutto nell’ultimo ventennio, pone le basi per il
successivo sviluppo dell’imprenditoria moderna.
30
Quindi, dalla produzione, dalla critica e dalla teorica artistica scaturita nel
Settecento nasce la moderna civiltà teatrale, la quale giunge a piena maturazione solo
nell’Ottocento. Le suddette “istanze di rinnovamento” si individuano principalmente
in quei ‘lumi’ che le pratiche e la critica apportano anche in ambito artistico,
aderendo, come per le scienze, alla logica di modernizzazione delle arti in chiave
illuministica. Si assiste, così, ad una progressiva rivalutazione del significato dei
codici di regolamentazione del gusto, in generale, e della produzione artistica in
27
Cfr. Ivi, p. 22.
28
Si fa riferimento in particolare alla dimensione artistica dello spettacolo teatrale.
29
In P. Bosisio, op. cit., la sezione dedicata al Secolo XVIII, da cui è tratta la citazione della
nota seguente, è intitolata proprio “La stagione del rinnovamento”.
30
Ivi, p. 453.
26
particolare. Questo significato non è precisamente definito; anzi, esso non è più
dettato da qualcuno che si arroga il potere o il diritto di farlo e di imporlo
dogmaticamente; quindi, viene ricercato alla luce di una sua autentica ragion
d’essere. Da tale prospettiva ‘illuminista’, il senso delle regole di ogni poetica
artistica inizia ad essere chiaramente argomentato, razionalmente spiegato a partire
da modelli condivisi per la valutazione dell’espressione umana e della bellezza. I
principi dell’arte, che il rigido accademismo seicentesco aveva annientato,
ovviandone la calcificazione formale, vengono riformulati davanti allo specchio della
natura, assunta a modello ideale da imitare
31
.
Durante questo secolo, quindi, tende a scomparire l’acritica esecuzione dei
principi artistici, dapprima accettati in quanto norme imposte dagli antichi e poi da
Richelieu. Comunque, le regole fondamentali del gusto permangono identiche.
Infatti, continuano a valere (e continua ad essere pretesa l’adequatio ad essi) la legge
delle ‘tre unità’ per il teatro, oppure gli assunti latini di ragione poetica oraziana di
valenza più ampia, come i celebri “ut pictura poesis” e “omne tulit punctum qui
miscuit utile dulci”. Tuttavia, la coscienza che gli autori e il pubblico (colto, critico)
hanno di essi inizia a mutare; e la variazione riguarda il modo di interpretare il senso
dei codici, proprio a partire dalla riscoperta, dalla rilettura delle loro radici (che
affondano nell’antica cultura classica) e dalla discussione sulla maniera di fruire,
apprezzare o denigrare le modalità di applicazione degli stessi codici espressivi.
Appare evidente che il costante e rinnovato interesse critico per la produzione e
la rappresentazione teatrale in generale, “trova le sue radici proprio nello stretto
31
Il fondamentale assunto dell’arte quale imitazione della natura è affermato da C. Batteux,
nella sua celebre e riedita plurime volte nel corso del Settecento, “Les Beaux-Arts réduits au
même principe” (1746).
27
legame che il teatro instaura progressivamente con movimenti letterari, filosofici e
politici che indirettamente investono il mondo dello spettacolo o trovano in esso
segni anticipatori”
32
.
L’attitudine alla discussione teorica delle regole e dei concetti artistici si
riscontra già nel ‘gran secolo’ precedente, precisamente nell’agone della retorica che
incrocia naturalmente anche il dominio della poetica
33
. Ma è solo nel Settecento che
le dinamiche e i risultati della discussione retorico-poetica, di quei discorsi sullo stile
inficiati dallo spiritualismo religioso, si situano stabilmente e si svolgono
concretamente nella dimensione estetico-filosofica, riguardando – in teoria e in
pratica – gli oggetti propri di questa disciplina: la poesia, la pittura, il teatro, l’arte in
generale.
“Il decisivo processo di rinnovamento che investe il mondo teatrale europeo nel
corso del Settecento trova le sue più mature enunciazioni nella Francia razionalista,
dove il pensiero illuminista sviluppa l’esigenza di radicali riforme che incidano
profondamente anche sulla drammaturgia e sulle condizioni materiali dello
spettacolo”
34
.
32
P. Bosisio, op. cit., p. 453.
33
Si pensi, ad esempio, alla querelle sulla superiorità degli antichi o dei moderni o a quella
sul fiat lux, cioè sul sublime; entrambe innescate nella seconda metà del secolo XVII e per le
quali vedono confrontarsi maestri di retorica come Boileau, Perrault, Huet (per
approfondimenti sulla questione del sublime vedi P. Giordanetti-M. Mazzocut-Mis, I luoghi
del sublime moderno; percorso antologico-critico, Led, Milano, 2005).
34
Ivi, p. 473.