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esattamente come un computer conserva documenti di
testo e altri file.
Sul dorso di questo apparecchio non era scritto
assolutamente nulla, né marchi, né loghi. E’ stato
soltanto qualche tempo dopo quando, navigando nella
rete in modo abbastanza indifferente verso i contenuti
che mi si presentavano, la mia attenzione si fermò sullo
stesso apparecchio di poche settimane prima.
Il sito a cui mi collegai era quello di Apple, l’americana
fuoriclasse in campo informatico, che da alcuni anni si è
specializzata anche nel settore della musica digitale.
Dopo aver conquistato la fetta di mercato professionale
con il lancio dell’iMac, Apple ha iniziato a catturare anche
l’utenza più comune grazie all’iPod, proponendosi come
fulcro indispensabile della vita multimediale.
Come ormai noto da tempo, la musica ha assunto nuove
forme di fruizione tanto varie quanti sono gli strumenti
che ne permettono il consumo. Inizialmente erano i vinili
a far girare i grammofoni, poi arrivarono le musicassette
che si ascoltavano nei “mangianastri”, per giungere fino
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ai cd e ai lettori mp3, grandi magazzini di musica in
formato digitale.
L’iPod rappresenta l’ultima generazione di lettori musicali,
ma esso a differenza degli altri è diventato una vera e
propria “tendenza”, una moda e un fenomeno di costume.
Negli Stati Uniti, gli acquisti tendono ad aumentare di
anno in anno, così come in Europa, dove il tessuto
sociale, però, si è aperto alla sperimentazione digitale
solo più di recente.
Le mode giovanili rappresentano un vero e proprio
argomento di dibattito nella comunità sociologica di oggi.
Cosa si nasconde dietro l’acquisto di un oggetto, che si
tratti di una t-shirt firmata oppure di un riproduttore di
musica in formato digitale? In tanti tentano di rispondere
a questa domanda. Tra di essi, la giornalista canadese
Naomi Klein, riveste senza dubbio un ruolo di rilievo, in
quanto ha dato vita ad un vero e proprio cult
sull’argomento, intitolato “No logo”. Nel suo capolavoro,
la Klein svela i retroscena che caratterizzano i processi
produttivi e le strategie di distribuzione di una molteplicità
di beni di consumo che fanno parte integrante della
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nostra vita quotidiana: dai jeans ai microchip, tutto viene
presentato secondo le logiche del branding e
dell’identificazione proprie dell’era della globalizzazione.
Il messaggio sottostante in “No logo” identifica, inoltre,
l’emergere del concetto di “community”: l’uomo post-
moderno è stato spesso dipinto come una specie di foglia
al vento, un essere desideroso di contrapporsi
all’alienazione che caratterizza la propria esistenza; un
soggetto che si oppone alla massificazione dell’economia
e della cultura, attraverso la formazione della sua identità
e la catalogazione di se stesso nell’immenso universo dei
modi di vivere. La sua massima aspirazione è quella di
trovare il calore dei propri simili e della gente che adotta il
suo stile di vita e di pensiero.
In un mondo dove ci si sposta di frequente ed i cosiddetti
“legami forti” si indeboliscono, emerge la forza del
“legame debole”, quello basato sulle conoscenze e sui
vincoli superficiali e frequenti, che ci consentono di
mobilitare risorse, idee e informazioni, oppure, come nel
caso di Apple, di lanciare un nuovo prodotto o una nuova
impresa.
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Apple rappresenta un raro esempio in cui la linea
direttrice dell’azienda diventa una vera e propria filosofia.
Il suo logo a forma di mela morsicata è ormai definito un
“emotional branding”, e le parole del suo fondatore Steve
Jobs suonano davvero come le dichiarazioni di un guru.
Lo slogan del “Think different!”, lanciato da Jobs alcuni
anni fa, è ormai divenuto un raro caso di fedeltà alla
marca, che trascende il semplice commercio e coinvolge
le persone a livello emotivo.
Il marchio di Cupertino (piccola cittadina americana, che
è stata la sede del primo stabilimento Apple) è tra i 5
preferiti dai teen-ager ed il suo ’accrescimento è stato
favorito dalla diversificazione e dal grande successo dell’
iPod, che ha trasformato il marchio in un vero e proprio
stile di vita.
Il titolo di questa tesi è: “L’era del podcasting: creatività e
vantaggio competitivo nel team Apple”, dove il podcasting
rappresenta la nuova tecnica di trasmissione della radio
in differita. La radio in tempo reale si smista in più
trasmissioni che vengono registrate in formato mp3
sull’iPod e per questo rese fruibili praticamente ovunque.
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E’ il caso in cui interessi commerciali, relativi allo sviluppo
di emittenti quasi sconosciute, ed interessi intesi come
veri e propri hobby vanno a mescolarsi. La radio del
nuovo millennio si fa on-demand, come la televisione fa
già da qualche tempo. Ed il podcast rappresenta il caso
straordinario di sopravvivenza di un mezzo ritenuto ormai
obsoleto. Il merito va soprattutto ai milioni di amanti della
radio nel mondo, di quel mezzo che prima ha educato ed
ora provvede ancora una volta a mettersi a disposizione
del consumatore, attraverso il podcasting.
La ricerca qui presentata nasce dalla voglia di rispondere
ad alcuni dei molti interrogativi che riguardano il nostro
mondo in rapida trasformazione; un mondo in cui il
presente si tramuta subito in passato e gli oggetti vanno
evolvendosi nell’ottica della vicinanza al loro fruitore e
della personalizzazione.
Quali sono i fattori che concorrono a fare di un prodotto
un vero e proprio status-symbol? Come si organizzano i
consumatori per rafforzare la propria identità in tal
senso?
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Molti autori si sono occupati di queste problematiche, che
dal punto di vista sociologico risultano certamente
interessanti.
Infine, tentare di individuare gli sviluppi futuri di una
tecnologia di così largo consumo come l’iPod, diventa
senz’altro una bella sfida.
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PARTE PRIMA:
LA TEORIA
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IL QUADRO TEORICO:
L’EPOCA POST-INDUSTRIALE E LA
NASCENTE CLASSE CREATIVA
“Non è dal lavoro che nasce la civiltà: essa nasce dal tempo libero e
dal gioco”.
A. Koyré
Circa un secolo fa, l’ingegner Frederick Taylor
introduceva l’ “Organizzazione scientifica del lavoro”.
A quasi cento anni di distanza, milioni di persone nel
mondo vanno a confluire nella nascente “classe creativa”,
dando vita alla rivoluzione post-industriale.
A partire dalla seconda guerra mondiale, si prospetta una
trasformazione epocale: alcuni fattori quali la scienza, la
tecnologia, la globalizzazione, il progresso organizzativo,
la scolarizzazione e i mass media forgiano una nuova
tipologia di occupato, il “creativo”. Si tratta di un individuo
impegnato nella soluzione di problemi complessi, che
richiedono una notevole dose di indipendenza e di
giudizio e un forte capitale culturale e umano.
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Dai salotti europei la premessa al salto industriale.
L’accumulazione di ricchezza ottenuta grazie alle
conquiste coloniali, la spinta socio-tecnica impressa da
Bacone e Cartesio, la scoperta dell’America, avevano
creato i presupposti necessari per la nuova rivoluzione
industriale, il cui elemento saliente fu il passaggio a
un’economia moderna altamente organizzata e a una
società le cui componenti principali erano le grandi
istituzioni, la specializzazione per funzioni e la
burocrazia.
Il massimo testimone di questa transizione è Frederick
Taylor. Egli enunciò il metodo di “Organizzazione
Scientifica del Lavoro”, su cui poggia tutta l’efficienza
produttiva dell’era dell’organizzazione. Il Management
scientifico suddivideva anche le più semplici mansioni in
elementi ancora più semplici, cronometrando e
ottimizzando scrupolosamente ogni passo e, grazie
all’One best way, diffondeva la convinzione che
esistesse uno ed un solo modo per produrre nel minor
tempo possibile e con il minor spreco di risorse.
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Questo modello organizzativo ha finito per prevalere
anche in luoghi diversi dalla fabbrica e la sua diffusione
ha avuto conseguenze sociali fortissime. L’idea di una
meticolosa divisione delle mansioni, delle norme
burocratiche e delle gerarchie si è imposta di fatto in tutti i
campi.
La transizione industriale è stata caratterizzata dalla
nascita di gigantesche organizzazioni burocratiche,
gerarchizzate e verticistiche, vere e proprie barriere che
servivano alle grandi imprese per proteggersi dalla
concorrenza.
Oggi stiamo attraversando un’altra grande
trasformazione economica, la trasformazione creativa, le
cui origini possono farsi risalire agli anni Quaranta e
Cinquanta, la cui completa fioritura si è avuta negli anni
Ottanta e Novanta. Durante questo periodo abbiamo
assistito alla nascita di nuovi sistemi economici
esplicitamente disegnati per stimolare e utilizzare la
creatività delle persone, e contribuire alla formazione di
una nuova classe dominante che la sostenesse.
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Il post-industriale contro la standardizzazione.
Finalmente, a partire dai primi del Novecento, e con una
forte accelerazione dalla seconda guerra mondiale in poi,
le scoperte della fisica atomica e sub-atomica, l’apertura
del campo molecolare in biologia, lo sviluppo dei mezzi di
trasporto e di comunicazione di massa, la produzione di
nuovi materiali, la rapidissima ascesa dell’elettronica,
dell’informatica e della telematica, hanno contribuito al
salto dalla società industriale a quella post-industriale.
Ai dettami industriali subentrano valori antitetici, quali:
ξ Intellettualizzazione: agli esseri umani, per la
prima volta, resta da svolgere solo il lavoro ad alto tasso
di flessibilità e creatività.
ξ Soggettività ed emotività: i nuovi manager
dell’epoca post-industriale inneggiano ai prodotti del
lavoro immateriale, risultato della soggettività.
ξ Femminilizzazione: le donne vedono attribuirsi
crescenti responsabilità in ruoli produttivi sempre nuovi.
ξ Qualità della vita: l’attenzione si sposta verso la
qualità della vita della classe media, producendo
trasparenza e limpidezza anche nell’ambiente di lavoro.
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ξ Flessibilità: le aziende devono dotarsi di una
repentina capacità di adattamento ai cambiamenti nel
mercato nel lavoro.
ξ Destrutturazione del tempo e dello spazio: la
costruzione di aerei sempre più veloci e la
miniaturizzazione dei pezzi, resi sempre più trasportabili,
costruiscono uno spazio di lavoro decentrato e
disarticolato. Un numero crescente di lavoratori ottiene
orari flessibili, part-time, lavoro interinale, e così via;
Lo studioso Bell
1
è stato il primo a coniare il termine
“post-industriale”, per indicare un tipo di società in cui gli
sforzi dell’industria si concentrano per la prima volta nella
produzione di beni immateriali L’intuizione di Bell nasce
dalla constatazione che nel 1956, il numero dei “colletti
bianchi” supera inaspettatamente il numero dei “colletti
blu”.
1
D. Bell, The coming of Post-industrial society. (1973)
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L’ethos creativo
“ Le idee, benché non siamo abituati a considerarle così, sono
certamente le merci più importanti che produciamo”.
Paul Romer
Il motore della grande trasformazione in corso nella
nostra era è l’ascesa della creatività umana quale tratto
distintivo della vita economica. Siamo giunti ad
apprezzare la creatività, perché da essa nascono nuove
tecnologie, nuove industrie e nuove ricchezze.
Ma che cos’è la creatività, da dove nasce e come si
manifesta?