2
Così, se pure i poteri nell’organismo statale possono essere mantenuti
separati, non altrettanto lo può essere il loro fondamento burocratico con
l’ineludibile conseguenza di un potere trasversale che li attraversa tutti e, per
ciò, appunto li supera
2
.
La critica di Marx a Hegel contestava “la concezione hegeliana secondo cui
lo Stato trascende le personalità particolari. Egli (Marx) affermò che lo Stato
era sostenuto da persone reali, nelle loro determinazioni sociali, e che le sue
funzioni dipendevano da tali determinazioni sociali."
3
Il legame fondamentale
che unisce l’amministratore con lo Stato, di cui è appunto l’emanazione, non
è, difatti, altro che un rapporto di tipo lavorativo e questo aspetto viene spesso
sacrificato ad una visione del funzionario che si vuole più o meno ligio al suo
dovere ma comunque idealisticamente identificato con la sua funzione.
Non è possibile, in questi brevi cenni alla storia del concetto di burocrazia,
non soffermarsi sull’autore che viene considerato diffusamente il fondatore del
moderno studio della burocrazia: Max Weber. Egli propose una teoria della
relazione tra elementi ideali ed elementi materiali nell’azione umana che
spiegava come “il potere, il controllo sociale e la mobilitazione delle masse si
concentrassero attorno a idee. La burocrazia divenne il modo materiale
precipuo in cui le idee venivano tradotte e attuate nella vita sociale. Più che
una forma della società divisa in classi, la burocrazia fu da lui considerata lo
stampo rigido nel quale veniva esplicata l’azione umana.”
4
2
“«Legislatore» ha un preciso significato giuridico-statale, cioè significa quelle persone che sono abilitate
dalle leggi a legiferare. Ma può avere anche altri significati. Ogni uomo, in quanto è attivo, cioè vivente
contribuisce a modificare l’ambiente sociale in cui si sviluppa /…/, cioè tende a stabilire «norme», regole di
vita e di condotta. /…/ In generale si può dire che tra la comune degli uomini e altri uomini più
specificamente legislatori la distinzione è data dal fatto che questo secondo gruppo non solo elabora direttive
che dovrebbero diventare norma di condotta per gli altri, ma nello stesso tempo elabora gli strumenti
attraverso i quali le direttive stesse saranno «imposte» e se ne verificherà l’esecuzione. Di questo secondo
gruppo il massimo di potere legislativo è nel personale statale (funzionari elettivi e di carriera),che hanno a
loro disposizione le forze coercitive legali dello Stato.” [ A. Gramsci, Quaderni del carcere, Ed. critica
dell’Istituto Gramsci, a cura di: V. Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, Vol. III, p.1668.]
3
M. Albrow, Burocrazia, cit., p.596.
4
Ivi, p.599.
3
L’organizzazione gerarchica e burocratica risulta, dal pensiero di Weber,
espressione di quella razionalizzazione che è l’inevitabile sviluppo della
società umana. Il principio della gerarchia permetterebbe quindi lo strutturarsi
di una catena di autorità, identificate per ciascun livello, in responsabilità
personali individuali, atte a sopravvivere comunque al titolare della carica.
Questo aspetto di modernità parallelo alla evoluzione della burocrazia è un
tema centrale della riflessione sullo Stato dei primi del ‘900 e porterà alla
elaborazione e formalizzazione dell’idea di Stato Totale o totalitario.
5
Osservando in modo quasi sociologico il funzionariato, questo si
arricchisce invece di attribuzioni eterogenee anche se non necessariamente
ideali. Le modalità della assunzione in servizio del singolo non sono affatto
secondarie per spiegare la condotta di quel funzionario all’interno di quella
struttura. Così particolare importanza acquisterà l’influenza delle gerarchie in
grado di permettere o meno gli avanzamenti di carriera con i conseguenti
benefici sul piano retributivo.
Addirittura banale sarà a questo punto ricordare come l’appoggio ad una
certa parte politica, o meglio ad un certo personaggio, possa influire sui
rapporti di lavoro visto che la politica è sempre stata un canale di
comunicazione privilegiato dei governi con le sfere dell’alto funzionariato,
una comunicazione che più spesso è mirata a dirigere l’attività di governo
piuttosto che il contrario. Questa è forse l’anomalia italiana, o più
probabilmente la sua tipicità, che obbliga l’amministrazione ad essere appunto
burocrazia.
5
“ Carl Schmitt fu il primo a dare una sistemazione scientifica e propriamente politica al radicalismo
filosofico e letterario di E. Jünger. “Ne Il custode della costituzione(1931) viene inaugurata la tematica dello
‘Stato Totale’, locuzione che esprime la crisi radicale dello Stato sovrano tradizionale, che rischia di
scomparire sotto il peso dell’invadenza della società, coi suoi partiti e i suoi interessi particolari. La sfera
politica non è più distinguibile e autonoma da quella sociale, e il potere sovrano si trasforma in pura
amministrazione tecnico-economico-burocratica. Lo Stato è totale, ma “per debolezza”: ormai in preda degli
interessi privati, esso è incapace di produrre unità politica e decisione efficace.”[S. Forti, Totalitarismo, in:
Enciclopedia delle Scienze Sociali, cit., vol. VIII, p.363.]
4
I “servitori dello Stato”, lungi dall’obbedire, hanno sempre posto le
condizioni dell’esistenza degli altri poteri, primo fra tutti il potere politico.
Osservare la burocrazia nell’espletamento del suo potere, ma delimitandola
in una accezione di classe burocratica dedita alla propria salvaguardia e
riproduzione prima che alla “salvezza della nazione”, impedisce di assumere
chiavi di lettura meccanicistiche e duali dei fenomeni interni alla vita dello
Stato che riducono spesso il rapporto tra il regime fascista e coloro che ne
trassero profitto a semplicistiche identificazioni. Antonio Gramsci nei primi
anni trenta descrive una crisi dei partiti e un potere della burocrazia che sono
tipicamente quei tessuti su cui il fascismo edificava il regime e su cui sarebbe
irrimediabilmente caduto.
A un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti
tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei
determinati uomini che li costituiscono, li rappresentano e li dirigono non sono più
riconosciuti come loro espressione della loro classe o frazione di classe. [...]
Il passaggio delle truppe di molti partiti sotto la bandiera di un partito unico che
meglio rappresenta e riassume i bisogni dell’intera classe è un fenomeno organico e
normale [...]. Quando la crisi non trova questa soluzione organica, ma quella del capo
carismatico, significa che esiste un equilibrio statico (i cui fattori possono essere
disparati, ma in cui prevale l’immaturità delle forze progressive) che nessun gruppo, né
quello progressivo né quello conservativo, ha la forza necessaria alla vittoria e che
anche il gruppo conservativo ha bisogno di un padrone. [...]
Nell’analizzare questi sviluppi dei partiti occorre distinguere: il gruppo sociale; la
massa di partito; la burocrazia e lo stato maggiore del partito. La burocrazia è la forza
cosuetudinaria e conservatrice più pericolosa; se essa finisce col costruire un corpo
solidale, che sta a sé e si sente indipendente dalla massa, il partito finisce col diventare
anacronistico, e nei momenti di crisi acuta viene svuotato del suo contenuto sociale e
rimane come campato in aria.[...] Nell’ esaminare questo ordine di avvenimenti di
solito si trascura di fare un giusto posto all’elemento burocratico, civile e militare, e
non si tiene presente, inoltre, che in tali analisi non devono rientrare solo gli elementi
militari e burocratici in atto, ma gli strati sociali da cui, nei complessi statali dati, la
burocrazia è tradizionalmente reclutata.
6
Per Gramsci il funzionario viene generato nella borghesia rurale media e
piccola abituato a “contendere «politicamente» al contadino coltivatore di
migliorare la propria esistenza”
7
.
6
Ivi, pp. 1602-1605.
7
Ivi, p. 1606
5
Forse per questa origine sociale, così affine al primo fascismo agrario,
Gramsci ne risalta quasi non intenzionalmente l’identità e difatti sottolinea
come il progetto sociale della borghesia rurale trovi il suo punto di massima
accelerazione quando la “«volontà» specifica di questo gruppo coincide con la
volontà e gli interessi immediati della classe alta.”
8
A questa prima tipologia del funzionario pubblico si affianca con maggiore
spessore durante il fascismo una “«seconda» burocrazia” alimentata da “un
personale di tipo anch’esso burocratico e genericamente catalogabile come
piccolo-borghese, ma dotato di competenze nuove”
9
, assimilabili al mondo
della produzione industriale e quindi di origine prevalentemente settentrionale.
Per la tesi esposta da Mariuccia Salvati con il suo saggio del 1992, sarebbero
questi ultimi funzionari il prodotto più genuino della fascistizzazione della
pubblica amministrazione durante il ventennio.
8
Ibidem.
9
M. Salvati, Il regime e gli impiegati, Bari, Laterza, 1992, p.50.
6
1.2 Il fascismo e l’amministrazione.
In tutta Europa la grande guerra aveva accelerato i processi di rinnovamento
amministrativo. In Italia questo aveva significato una estensione dei compiti
dello Stato con una estesa burocratizzazione e razionalizzazione dei vari
servizi pubblici. Guido Melis, nel suo studio sull’amministrazione tra
liberalismo e fascismo
10
osserva che questo processo aveva integrato
”definitivamente l’alta burocrazia statale nella classe dirigente del paese
affidandole[...] la direzione di apparati non più solamente burocratici ma
direttamente produttivi.”
11
Sin dal primo dopoguerra era quindi avvertita da certa parte della èlite
amministrativa italiana, la necessità di modernizzare le strutture statali in
modo che queste potessero essere dirette con maggiore efficacia in modo
gerarchico. Queste posizioni trovavano espressione in campagne d’opinione
promosse in nome di una razionalizzazione dell’amministrazione statale e di
un decentramento operativo sperimentato durante la guerra con i vari “uffici
speciali” e le “commissioni interministeriali “ espressione delle “nuove
esigenze che accentuano il ruolo dirigista dello Stato nell’organizzazione e
pianificazione della produzione nazionale.”
12
Il fascismo, specie nella sua prima componente modernista e moralizzatrice,
non poteva che essere il primo motore, da subito dopo il suo avvento, di tali
spinte antiburocratiche e funzionaliste, con la chiara intenzione di sottrarre
potere a quella classe dirigente amministrativa di formazione liberale che
poteva indubbiamente essere ostacolo alla piena realizzazione del potere
fascista.
10
G. Melis, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo, Archivio Centrale dello Stato, Roma,
1988.
11
Ivi, p. 16.
12
Ivi, p. 17.
7
L’occupazione delle strutture amministrative centrali è quindi una
preoccupazione immediata del partito fascista che opera in tal senso attraverso
la riforma De Stefani. Coautore della riforma, ma critico e indipendente
nell’attività propositiva, era il Gruppo Nazionale di Competenza per le
Pubbliche Amministrazioni, “una struttura fascista ma aperta anche ad
autorevoli personalità esterne al partito, attiva soprattutto nel corso del
1923”
13
, che porta concretamente tra il ’23 e il ’24 alla istituzione nei ministeri
del Segretariato Generale. Quest’ultimo organismo svolge “un elevatissimo
compito di carattere politico e costituzionale [...]- si legge nel documento
inviato dal Gruppo alla Presidenza del Consiglio nel maggio 1923- [...] perché
affidandosi il relativo ufficio a persone benemerite della causa nazionale e del
Partito fascista potrà finalmente assicurarsi la penetrazione negli ambienti
burocratici dello spirito rinnovatore del Partito e una buona volta distruggersi
l’influenza delle vecchie oligarchie amministrative tuttora in essi
imperversanti”.
14
Il periodico «Critica Fascista» nel ’23 già elogia i provvedimenti tesi a
snellire e rinnovare l’apparato della pubblica amministrazione. La corrente
bottaiana vedeva “nella fascistizzazione l’occasione per eliminare
drasticamente dagli uffici la «vecchia mentalità burocratica»”
15
epurando gli
antifascisti e controllando politicamente le strutture amministrative. Eppure
nel ’25 lo stesso «Critica Fascista» suggeriva una soluzione interna al mondo
della burocrazia in un corsivo di Alfredo Signoretti
16
che lucidamente poneva
l’accento, più che sull’adesione politica formale della burocrazia al regime,
sulla sostanziale modernizzazione dei suoi metodi di funzionamento.
Alle spinte verso la fascistizzazione (che agiscono, certamente, ma spesso
all’esterno del mondo degli uffici) si accompagnano in questa fase più ambigui segnali
provenienti dall’interno della corporazione burocratica, generalmente decifrabili alla
stregua di una rivendicazione di professionalità: il modello proposto è quello di un
13
Ivi, p. 92.
14
Ivi, p. 93.
15
Ivi, p. 146.
16
A. Signoretti, Controllo della burocrazia e riforme legislative ed istituzionali, in “Critica Fascista”, III
(1925), p.220, cit. in: G. Melis., Due modelli di amministrazione , Cit., p. 147.
8
funzionario meglio pagato e soprattutto meglio preparato a svolgere i propri compiti;
quando questo obiettivo collima con le aspirazioni di chi vorrebbe una burocrazia in
camicia nera i due filoni si confondono, altrimenti procedono quasi in parallelo, senza
incontrarsi ma anche senza ostacolarsi reciprocamente.
17
Nonostante la determinazione dei suoi autori, la penetrazione del fascismo
nell’apparato statale non procedeva senza contraddizioni, ”i provvedimenti del
periodo ‘23-‘24, ispirati dal ministro De Stefani, hanno ulteriormente
rafforzato i caratteri tradizionalisti e conservatori della burocrazia ministeriale
italiana: la nuova legislazione sul trattamento di quiescenza ha praticamente
rinviato il collocamento a riposo del personale pensionabile (cioè quello che
raggiunge i prescritti 65 anni di età o i 40 anni di servizio) quando «si trovi in
condizione di prestare opera utile»; il blocco delle assunzioni, sopravvenuto
nell’agosto del 1926, contribuisce ad impedire quel ricambio generazionale
che, agli occhi dell’intransigentismo fascista, sarebbe l’unica seria soluzione
sulla via della fascistizzazione.”
18
Poco incisivi si rivelarono anche i provvedimenti presi in osservanza alla
legislazione del 1925 sulla dispensa dal servizio degli “impiegati infedeli”
cioè incompatibili “con le generali direttive politiche del governo”
19
, che si
limitarono a qualche trasferimento d’ufficio o punizione esemplare sull’onda
di campagne di stampa fasciste.
20
Come ha notato Alberto Aquarone – tra il 1926 ed il 1928 si ebbe il grande
arrembaggio da parte fascista alle carriere direttive dell’amministrazione dello Stato,
specialmente nell’amministrazione dell’Interno e in quella degli Esteri – ma –
l’esperimento, secondo la testimonianza degli stessi fascisti, non diede buona prova.
[...] Nel complesso, la fascistizzazione della burocrazia statale avvenne non tanto in
virtù dell’immissione nei suoi ranghi di elementi schiettamente fascisti provenienti
dalle sfere dirigenti del Partito e dello squadrismo, quanto mediante la graduale e
tutt’altro che entusiastica adesione al regime di quanti già vi appartenevano.
21
17
G. Melis., Due modelli di amministrazione , Cit., p. 154.
18
Ivi, p. 155-56.
Nel saggio di M. Salvati sugli impiegati e il regime, l’autrice propone l’esistenza di una lotta interna alla
burocrazia impiegatizia tra una «burocrazia del primo tipo» meridionale e conservatrice, identificabile con la
figura del burocrate delineata da Gramsci nella citazione di poco sopra, e una «burocrazia del secondo tipo»,
in prevalenza centro settentrionale, portatrice di nuove competenze, espressione di un produttivismo e di un
efficientismo che non disdegnava la politica quale strumento esplicito per avanzare nella carriera. [M. Salvati,
Il regime e gli impiegati, cit., p.50.]
19
G. Melis., Due modelli di amministrazione , Cit., p. 156..
20
Ibidem.
21
A. Aquarone, L’organizzazione dello stato totalitario, Einaudi,Torino, 1965, p.73.
9
L’orientamento politico della “classe” amministrativa era un tema di
importanza vitale per il regime mussoliniano come, potremmo aggiungere
senza alcuna forzatura, per qualsiasi apparato governativo. Nel momento più
grave della crisi del regime, uno sforzo di valutazione e di impegno per
trovare all’interno della struttura statale quei funzionari sinceramente fascisti,
(in quanto fascisti prima che altro, come non si stancava di ripetere il Duce) su
cui il Regime potesse ancora contare, si poneva come l’estrema possibilità di
recupero di quel distacco che si andava annunciando tra i vertici dello Stato e
lo stesso Mussolini.
Notevole a questo riguardo il rapporto di Carlo Scorza, segretario del PNF,
al Duce datato 7 giugno 1943.
I vari ministeri risultano oggi un groviglio di funzioni non sempre definite e più
spesso ancora interferentisi, le quali complicano il più semplice svolgimento della più
semplice pratica. Aggiungo che -frequentemente- tali interferenze vengono eliminate e
le pratiche vengono risolte sulla base di una comune e ormai corrente contrattazione
privata; vale a dire: scambio di favori personali e circolazione di denaro. Mentre la
burocrazia dei gradi inferiori è generalmente onesta e fascista, quella dei gradi
superiori non è, generalmente, né onesta né fascista: sicché avviene che mentre le
sanzioni del Partito giungono a colpire le modeste infrazioni, restano impunite le
grosse colpe dei grossi papaveri. E ciò non tanto per il fatto che costoro sanno, meglio
dei piccoli, organizzare le loro cose, ma perché trovano… difesa- anche se si vuole
ammettere la buonafede- negli esponenti politici… L'alta burocrazia non è temibile per
il solo fatto che non è fascista, ma lo è soprattutto perché domina - attraverso la propria
esperienza e attraverso la sottile e spesso capziosa interpretazione della legge - sugli
uomini e quindi sulle cose del regime…
Gli «enti» rappresentano una selva selvaggia dove nessuno riesce più ad orientarsi: i
Comitati e le Commissioni e le Organizzazioni - simboleggiati da sigle incomprensibili
- costituiscono un tale garbuglio dove si smarriscono anche i migliori esperti animati
della maggiore buona volontà.
Occorre qui urgentemente tagliare, ridurre, semplificare con feroce dittatura, con
pienezza di responsabilità personale…
22
Questo inventario dell’eredità lasciata dalla caduta del regime disegna una
lucida prospettiva su quello che verrà dopo. In fondo, se l’èlite burocratica
non concedeva il suo più sincero e pieno appoggio al regime, ciò accadeva
perché questa intuiva e preparava il suo superamento.
22
F. W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Einaudi, Torino, 1963, p. 441.
10
Questa labilità della fiducia nel principio unico del capo, documentata dai
numerosissimi casi di appoggio fornito agli antifascisti da autorità fasciste,
trova conferma anche nello studio di Trevor Roper sulla caduta del nazismo in
Germania
23
: “..l’assolutismo irresponsabile è incompatibile con
l’amministrazione totalitaria; infatti, nell’incertezza della politica, nel periodo
del cambiamento arbitrario e nel timore della vendetta personale, ciascuno che
abbia una posizione che lo renda forte o vulnerabile, deve proteggersi contro
le sorprese serbando dalla posta comune tutta la forza che egli è riuscito ad
acquistare. Perciò finisce per non esistere nessuna posta comune.”
24
Il fascismo, naturalmente, cercava un compimento totalitario della struttura
statale, nel senso di una identificazione tra Stato e società civile in cui il
partito facesse da collante e canale di scambio tra le due sfere, ma questo
esito, per mancanza di strumenti o per una deliberata volontà del regime
25
, non
fu mai raggiunto.
Di contro ad una concezione monolitica dell’amministrazione, che un esito
compiutamente totalitario avrebbe richiesto, si accentuò invece, per tramite
della élite dirigente, “una burocratizzazione clientelistica, conseguenza e causa
al tempo stesso della sua progressiva spoliticizzazione: fenomeno
quest’ultimo, riconducibile all’incapacità del fascismo di crearsi una sua
classe dirigente d’alto livello e tipico di ogni regime autoritario a carattere
prevalentemente personale.”
26
Ne risulta che, per la stessa natura
contraddittoria del fascismo, l’adesione al regime dei suoi funzionari periferici
non poteva che essere strumentale e comunque parziale tanto da rendere
inevitabile al momento di una epurazione del personale fascista, l’adozione di
provvedimenti epurativi di estensione massima e, al tempo stesso, la loro
23
H. R. Trevor Roper, Gli ultimi giorni di Hitler, Milano, 1947.
24
Ivi, p.233, cit. in: G.H. Sebine, Storia delle dottrine politiche, Etas, Milano, 1981, p. 705.
25
“Mussolini che tanto amava il termine «stato totalitario», non tentò di istaurare un regime totalitario in
piena regola, accontentandosi della dittaturadel partito unico.” [H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Ed. di
Comunità, Milano 1996, p. 427.]
26
A. Aquarone, L’organizzazione dello stato totalitario, cit., p.301.
11
applicazione solo esemplare, momentanea e personale per gli spazi privati,
segreti ed ambigui che lo stesso totalitarismo apre ineluttabilmente.
Questa non deve essere una pallida morale a posteriori per spiegare quello
che non è stato fatto. Se l’ambiguità dell’adesione al regime è oggi a noi
chiara, certamente lo era molto di più ai protagonisti dell’antifascismo di
allora che più volte si trovarono alleati di fascisti corrotti o più semplicemente
disponibili a lasciarsi aperta una strada
27
.
27
Resta esemplare il caso di Guido Leto, classe 1895, Capo della Divisione politica della P.S. fino al 1943,
Vice Capo della P.S. nella RSI Viene collocato a riposo l’1-5-45 (assieme a 35 suoi colleghi) e incarcerato su
mandato dell’Alto Commissariato. Vive nascosto per paura di vendette fino al processo tenutosi in Corte
d’Assise, presso la sezione speciale per l’epurazione, il 7-6-1946 dove viene assolto per non aver commesso il
fatto. Al processo dichiara di non essere mai stato iscritto al Partito Fascista Repubblicano, di non aver
ordinato nessun arresto durante la sua attività per la RSI e di aver invece ostacolato le attività investigative e
repressive dei tedeschi nei confronti degli antifascisti.
Lo stesso Ferruccio Parri depose al processo in favore di Leto testimoniando che l’alto funzionario era a
conoscenza dell’attività di funzionari che svolgevano attività per il CLN, e li tutelò esplicitamente coprendone
l’attività. Reintegrato in servizio nel 1946 e promosso al grado V nel 1949, svolgerà ancora delicate missioni
anche all’estero per andare in pensione nel 1952. [ACS, Fascicoli personali del personale di PS, vers.1959,
busta 150.]
12
1.3 L’epurazione come problema di ricerca.
Gli anni presi in considerazione per il presente lavoro sono stati oggetto di
studi ed approfondimenti vasti ed accurati anche se il tema specifico che qui si
vuole analizzare è stato fonte di sbrigative e “malinconiche” considerazioni
come avremo modo di specificare.
Tuttavia si è sentita la necessità di offrire una panoramica a volo di uccello
sulla situazione italiana a partire dal 25 luglio 1943 per il bisogno di
contestualizzare il nodo problematico dell’epurazione e per verificare, alla
luce di eventi specifici, se i giudizi espressi su tale questione siano del tutto
convincenti e fondati.
Una tale preoccupazione emerge da almeno due diverse considerazioni:
innanzitutto la mancanza di una vasta bibliografia specifica; che si
accompagna, in secondo luogo, all’uniformità dei giudizi storici
sull’argomento
28
, dando l’impressione che il tema epurazione sia stato
facilmente risolto e metabolizzato
29
.
Non è però chiaro ancora come ciò sia avvenuto, considerata l’unanimità
delle considerazioni su una vicenda che spesso si associa alla parola “errore”,
visto che una statistica quantitativa delle reali conseguenze dell’epurazione
non è disponibile. Ovvero non è disponibile per gli studiosi, quindi per il
pubblico.
28
“Il tema dell’epurazione dal punto di vista storiografico sembra quasi costituire un tabù. Ci sono alcune
ricerche particolari, ma in generale è come se si volesse liberarsi da questo tema con poche osservazioni o col
silenzio. Del resto il giudizio negativo sulle norme, le procedure, i risultati dell’epurazione, così come è stata
eseguita o, più esattamente, non eseguita, è condiviso ormai da tutti, sia che si parta dall’opinione che avrebbe
dovuto essere portata a fondo, sia che si parta invece dall’opinione che non andava fatta.” [E.E. Agnoletti,
Prefazione in: Epurazione e stampa di partito. (1943-1946), pref. di: E. E. Agnoletti, Napoli, ESI, 1982.
29
A. Lepre, Unità antifascista, repubblica, Costituzione, in: Storia della società italiana, vol.XXIII, La società
italiana dalla resistenza alla guerra fredda, TETI, Milano, 1989, p.56.
13
I documenti ufficiali che attestano il numero delle misure epurative prese
nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato, delle
amministrazioni locali, degli enti a controllo statale e financo delle imprese
private concessionarie di appalti statali, nonché degli ordini professionali sono
tuttora riservati, pertanto non consultabili.
Non essendo i procedimenti epurativi di natura giudiziaria, tutte le sanzioni
comminate dagli organi preposti rientrano nella categoria degli atti
amministrativi i quali non sono soggetti a pubblicazione come differentemente
lo sono le sentenze degli organi preposti ai giudizi.
Dopo oltre cinquant’anni, i fondi della Presidenza del Consiglio dei Ministri
che riguardano l’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, non
sono ancora potuti essere oggetto di uno studio conclusivo. I funzionari
dell’Archivio Centrale dello Stato, se insistentemente pressati, ammettono che
lo schedario del Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è stato
trasmesso completamente ma i fascicoli riservati, contrassegnati dalla lettera
“R”, oltre a essere riservati non sono mai stati versati. Si trovano insomma
ancora presso la Presidenza. La consistenza di queste mancanze è stata inoltre
occultata reimbustando i fascicoli senza tener conto della loro classificazione
per sottofascicoli, quella riportata nello schedario
30
. Tanta segretezza per
custodire un “segreto di Pulcinella” appare piuttosto improbabile.
Sorge il dubbio che i fatti non corrispondano per nulla alla superficiale
quanto unanime versione della “epurazione mancata” che può contare ben
pochi sostegni sul piano delle prove documentali, in quanto queste ultime non
sono disponibili per alcuno.
Una mia idea è stata quella di evincere dalla Guida Monaci del 1943
l’organico dei più alti funzionari di quattro ministeri: Finanze, Interni,
Giustizia e Pubblica Istruzione; ripetendo poi la ricerca per gli anni 1945,
30
“Il fascicolo 1.7 – 10124 è contenuto nelle buste da 3357 fino a 3383. Le ho preso le prime 4 buste. Per quel
che riguarda le altre può richiederle in sala, man mano che le riconsegna. Buon lavoro. Cristina
Mosillo.”[Appunto per l’autore di questa ricerca.]
14
1947 e 1952. Da questa prima valutazione sulla permanenza dei funzionari
all’interno delle Amministrazioni ho cominciato a valutare la reale entità del
fenomeno, giungendo a considerare una realtà tutt’affatto differente da quella
prospettata dalla storiografia contemporanea
31
.
Quasi alla fine della mia ricerca ho scoperto
32
l’esistenza dei Ruoli di
anzianità
33
del personale dei ministeri. Su questi volumi, di pubblica
consultazione anche se difficilmente reperibili, vengono riportate, per gli anni
del regime fascista, anche le cariche fasciste ricoperte dal funzionario, quelle
menzionate a scopo discriminatorio nella prima legislazione epurativa.
Sono riuscito comunque a procurarmene una copia presso
l’Amministrazione Centrale dell’Interno, della Pubblica Istruzione, delle
Finanze e al Ministero di Grazia e Giustizia, limitando a questi quattro
dicasteri la mia indagine statistica. I Ruoli dell’anno 1943 del Ministero
dell’Interno riportano inoltre le correzioni a mano per gli anni 1944 e 1945,
anni in cui invece non vennero stampati. Anche per il Ministero delle Finanze
fino al 1946 vennero corretti a mano addirittura i Ruoli del 1941
34
.
31
L’analisi della Guida Monaci portava a valutare la permanenza tra il 1943 e il 1947, dei funzionari di
grado più elevato, intorno al 14% per il Ministero delle Finanze (percentuale diminuita anche
dall’accorpamento con il Ministero del Tesoro), al 40% per il Ministero della Pubblica Istruzione, al 25% per
l’Interno e al 25% nel Ministero di Grazia e Giustizia. Questi dati sostanzialmente imprecisi per il carattere
parziale e non ufficiale della pubblicazione dalla quale erano estratti, risulteranno però confermati nella
tendenza dalle cifre reali dei funzionari permanenti in servizio in base ai Ruoli di anzianità.
32
Scoperto perché nonostante l’interessamento specifico, i funzionari dell’ Archivio Centrale dello Stato me
ne avevano “Taciuta” l’esistenza, indirizzandomi verso una pubblicazione non ufficiale, la Guida Monaci,
appunto. Riguardo I “Ruoli” del ministero degli interni c’è anche una stranezza. Il volume dei Ruoli del 1943
del Ministero dell’Interno conservato presso l’Archivio Centrale è dello stesso formato a stampa di quelli
stampati negli anni successivi al 1945, ovvero 13 X 18 cm. Inoltre è mancante del frontespizio (unico luogo
dove è stampata da data di edizione) e delle pagine iniziali riguardanti i prefetti, ovvero le cariche più alte.
Il Volume dei “Ruoli”, completo, del 1943, con sopra riportate a mano le correzioni per gli anni successivi,
era di formato più grande, uguale a quello delle altre annateedite nel periodo fascista: 18 X 24 cm.
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Ruoli di anzianità del personale delle amministrazioni dipendenti. Situazione al 1° gennaio 1943-XXI,
Ministero dell’Interno, 1943.
Graduatoria del personale delle amministrazioni dipendenti. Situazione al 1° gennaio 1943-XXI, Ministero di
Grazia e Giustizia, 1943.
Ruoli di anzianità del personale delle amministrazioni dipendenti. Situazione al 1° gennaio 1947, Ministero
dell’Interno, 1947.
Ruoli di anzianità del personale delle amministrazioni dipendenti. Situazione al 1° gennaio 1947, Ministero
della Pubblica Istruzione, 1947.
Graduatoria del personale delle amministrazioni dipendenti. Situazione al 1° gennaio 1950, Ministero di
Grazia e Giustizia, 1950.
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Graduatoria del personale delle amministrazioni dipendenti. Situazione al 1° gennaio 1941-XIX (1946),
Ministero delle Finanze, 1941.
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Per la maggioranza di quei funzionari che occupavano nel 1943 i vertici
delle suddette Amministrazioni, è possibile parlare di una continuità nella
Repubblica in un’accezione puramente sociale, nel senso che, quattro o sette
anni dopo, erano in molti casi ancora vivi, ma non certo presenti nell’organico
di quelle Amministrazioni.
Si è insistito ripetutamente
35
in sede storica sul fatto che i funzionari di
carriera promossi, dopo la caduta del fascismo, in luogo di quelli rimossi,
avevano compiuto la loro carriera durante il ventennio e non potevano quindi
essere completamente esenti da una adesione al regime. E’ pur vero che se
all’epoca costoro non erano ai vertici dell’amministrazione non potevano
avere della connivenza col regime fascista le responsabilità che gravavano sui
loro superiori. Nel dopoguerra la politica era cambiata, i partiti al governo
erano antifascisti e non erano certo più i meriti fascisti i canali per fare
carriera
36
. Questo vale soprattutto per le promozioni avvenute tra il 1944 e il
1947, anni in cui operavano norme che impedivano espressamente
l’avanzamento di carriera a quei funzionari che avessero subito un giudizio di
epurazione, sia pure con una sanzione di censura. Non è casuale che i
funzionari rimasti “congelati” fino a febbraio del 1948, data in cui entra in
vigore il decreto Grassi-Andreotti (il definitivo colpo di spugna
sull’epurazione), vengano promossi proprio a marzo di quell’anno e,
ricordiamo, che ad aprile ci furono le elezioni.
Malgrado le fonti siano poche e avare di concessioni sarà possibile
intravedere tra i pochi dati, nelle pagine dei giornali dell’epoca, dalle
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P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino, 1989, p. 120.
Guido Melis, in un colloquio privato con l’autore di questa ricerca, affermava proprio questo, sottolineando
inoltre il passaggio di alcuni tra i funzionari di grado massimo agli organi superiori di controllo come CSM o
Consiglio di Stato. Ciò è provato ma in quanti fra questi casi era stata accertata l’epurabilità?
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In una lettera aperta del 5 giugno1962, indirizzata al Presidente della Repubblica Segni e a vari onorevoli di
partiti di governo tra cui l’ On. Andreotti, allora Ministro della Difesa, un tale che si firmava ‘Cincinnato’, a
nome degli ufficiali che avevano combattuto sotto la RSI chiede “che siano riprese in esame tutte le pratiche
d’avanzamento bocciate con scuse diverse, ma tutte facenti capo alla medesima origine; che siano adottati
provvedimenti a favore del personale della Milizia, che riteniamo costituisca un forte nucleo in seno al
totalitarismo di destra.” Tutto ciò affinchè ‘il totalitarismo di destra’ possa uscire dal ‘campo di
concentramento’ in cui ‘i vari governi succedutisi a De Gasperi’ lo hanno rinchiuso. “ [Archivio personale di
G. Andreotti.]