6
Questa biografia, molto lunga ed estremamente dettagliata è una relazione teologica
sulla vita e l’opera della Cesi, che visse sin dagli anni da scalza in sentore di santità.
La sua fama, comunque fu tale che dopo la morte non le mancò l’ammirazione di
Urbano VIII, il quale ne auspicò la glorificazione
2
.
È ancora aperto il processo canonico di beatificazione.
Donna Caterina nacque a Roma nel 1590 da Federico Cesi, duca d’Acquasparta, e da
Olimpia Orsini e morì nel 1637 nel Carmelo da lei fondato. Dei suoi genitori, le fonti
riferiscono poco: Biagio della Purificazione afferma che il duca d’Acquasparta fu uomo
di pietà e devozione adeguate alla sua posizione sociale.
Di donna Olimpia Orsini, è descritto dalla stessa figlia, Caterina, un elogio delle sue
qualità. Biagio della Purificazione sostiene che il legame tra Caterina e Olimpia Orsini
era talmente forte e saldo che sebbene donna Olimpia avesse altri figli sembrava che
Caterina fosse l’unica
3
.
Dell’educazione che le fu impartita, secondo quanto la stessa Caterina scrive nella
autobiografia, sua madre stava con gran vigilanza non ci attaccassimo alle vanità
4
: ciò
sta a significare che la forte personalità di Olimpia Orsini incise particolarmente
sull’indole malleabile della giovane Caterina la quale sin dall’infanzia, attinse alla
spiritualità e devozione della madre, mentre nell’adolescenza iniziano a formarsi
desideri di allontanamento sociale, come scrive, desiderava servire Dio, invidiando la
2
Cfr. BIAGIO della PURIFICAZIONE, Vita della venerabile Caterina di Cristo,
manoscritto, Roma 1683; in A.C.S.L. senza collocazione. libro II:XII. È questo un colloquio
privato che si svolse tra Urbano VIII e l’ambasciatore di Spagna presso la Sede Apostolica.
Come si vedrà oltre l’ambasciatore, il marchese di Castel Rodrigo (le fonti lo citano anche in
forma ispanica Castel Rodriguez) fu tra i primi benefattori della nuova realtà religiosa in Roma.
3
Tra i fratelli di Caterina vi è Federico Cesi (1585-1630), il noto principe che alla morte del
padre adoperò la fortuna della famiglia per realizzare il progetto dell’Accademia dei Lincei
inaugurata il 17 agosto 1603 dal Cesi. Le fonti biografiche di Caterina, la tradizione delle
Carmelitane scalze, che tutt’oggi è tramandata nella comunità fondata dalla nobildonna romana,
attestano che Caterina e Federico erano in rapporti conflittuali. Per mettere appunto la
fondazione dei Lincei Federico cercò di impossessarsi dei beni della sorella, ed osteggiò insieme
con altri membri della famiglia la fondazione del monastero tanto desiderato da Caterina.
4
Caterina di Cristo, Racconto della vita, manoscritto, Roma 1634; in A.C.S.L. senza
collocazione.
7
sorte degli antichi eremiti del deserto
5
.
È verosimile che la formazione di Caterina fosse avvenuta attraverso, sia gli
insegnamenti materni che tramite l’istruzione impartita dai precettori: tuttavia le fonti su
questo non offrono dati.
Durante gli anni giovanili ambedue le fonti
6
riferiscono che la Cesi iniziò a curare
maggiormente il proprio aspetto.
In questo periodo si sposa una delle sue sorelle. In quegli anni soggiornava presso i
duchi di Acquasparta una nobildonna amica di famiglia, donna estremamente pia, che
affascinò la giovane Caterina.
Dal Racconto cateriniano, sembra che questa ospite andasse spesso in estasi, e come
scrive Caterina Pareva volesse dar à intendere che dovevo farmi monaca, cosa che
sebene per prima havevo desiderato assai, all’hora ne stavo molto lontana
7
. In seguito
ai suggerimenti di questa pia donna, Caterina fece una confessione generale e si pose
sotto l’obbedienza di un confessore: fu così che iniziò a praticare la mortificazione ed a
intensificare la penitenza. Siamo intorno ai primi anni del Seicento.
5
Nonostante che l’ammirazione dei Padri del deserto sia un luogo comune in molte
biografie di religiose e di religiosi, e pii devoti, si deve tener presente che l’educazione
religiosa, sin dall’alto medioevo passava per la lettura delle vite dei martiri e dei santi, le
agiografie, l’Imitazione di Cristo che era il sussidio didattico di quella che il magistero della
chiesa chiama da sempre la “pedagogia per la ricezione dei sacramenti”. Se da un punto di vista
redazionale Caterina scrive la sua biografia con quello che potremmo dire il senno di poi, è
altrettanto vero che nel suo scritto sono percepibili le forme tipiche della letteratura religiosa, in
cui la memoria agisce come giudice del passato. Tra i grandi sperimentatori di questo modello
biografico religioso si deve tener conto soprattutto l’opera di santa Teresa di Gesù e di San
Giovanni della Croce. Santa Teresa nella Vita elenca le opere che aveva lette sin dalla vita laica
e fa un elenco di quelle lette durante la vita religiosa prima che avviasse la riforma del Carmelo.
L’Imitazione di Cristo e le Confessioni di Sant’Agostino sono annoverate tra questo elenco. San
Giovanni della Croce, per contro, non scrisse nulla di se stesso, ma avendo studiato teologia
all’università di Salamanca, un centro che non aveva nulla ad invidiare all’università di Parigi
per prestigio, passò per le stesse esperienze didattiche e pedagogiche in materia di fede. Caterina
Cesi essendo una donna pratica, sin dalla sua vita pubblica, come afferma Biagio della
Purificazione, volle sapere di più su Teresa e Giovanni che nonostante l’avversione delle
gerarchie ecclesiastiche operarono la riforma del Carmelo. Donna Caterina durante la sua vita
pubblica (anche negli anni in cui fu sposata) si procurava informazioni sui fermenti del tempo,
tramite le sue domestiche, i suoi direttori spirituali.
6
In molte occasioni l’opera di Biagio della Purificazione attinge direttamente al Racconto
cateriniano, di cui sono citate glosse a margine delle pagine.
7
Caterina di Cristo, Racconto della vita, op. cit.
8
Assecondando il volere della famiglia la Cesi sposò il marchese Giulio Della Rovere;
dalle fonti, che sono oscure circa le date, possiamo intuire che si fosse maritata prima
dei vent’anni. Nello stato coniugale Caterina coltivò la devozione, ma ciò fece sì che in
società fosse oggetto di maldicenza e finì per intiepidirsi.
Questo periodo, di nove anni fu caratterizzato da mondanità e da un certo
egocentrismo, come di suo pugno scrive la Cesi.
Tale cambiamento ebbe una sua ragione: la vita coniugale non fu certo serena, era
continuamente tradita dal marito, e Biagio della Purificazione afferma che il marchese
Della Rovere era un uomo violento e rissoso, tanto che si adoperarono i familiari a
risolvere alcune crisi tra i due
8
. Dall’unione con il Della Rovere, Caterina ebbe una
figlia, di cui s’ignora il nome, ma che fu la sua sola grande gioia. La piccola morì a
quattro anni. Dopo questo lutto la Cesi prende una decisione irrevocabile: lascia il tetto
coniugale e torna alla casa paterna.
Questo periodo, attorno al 1616-18, è quello che Caterina chiamerà della propria
conversione, della vittoria di Dio sulla sua anima.
9
Si affida alla direzione di un padre
spirituale, iniziando a detestare ogni convenzione sociale, cui era talvolta richiamata dal
suo ruolo sociale. Divenne una penitente assai fervorosa, praticava mortificazioni
corporali, leggeva libri di preghiera, e andava a messa giornalmente. È durante questo
periodo così intenso che inizia ad avvertire le prime manifestazioni soprannaturali,
come lei stessa scrive, affermando con fermezza di non aver mai visto niente con gli
occhi.
10
8
“Stando una sera nella cella del suo monastero di santa Teresa era seco una sorella
conversa, qual hoggi ancor vive, et udirono un grandissimo strepito come di strascinar di catene,
uscì la sorella conversa fuori della cella e più non l’udiva ma rientrata tornava ad udirlo, fece ciò
per tre volte, e la madre Caterina disse: È morto quel disgraziato! Intendendo il marchese suo
marito”. BIAGIO della PURIFICAZIONE, Vita della venerabile Caterina di Cristo, op. cit.,
Libro II capo XII.
9
Ibidem.
10
Il tipo di sentimenti e grazie mistiche sperimentate da Caterina è legato a quello che la
mistica teresiana chiama “i gusti dell’orazione”, che la santa d’Ávila traccia con estrema
precisione nel Castello interiore, quarta mansione ai capitoli I-IV.
9
Secondo la testimonianza di una monaca che l’accompagnò in un ospedale, pare che
Caterina operasse alcuni prodigi
11
. La malattia e la morte del suo direttore spirituale la
fecero cadere ammalata, perciò Caterina andò a Monte Cavallo e qui soggiornò per un
periodo imprecisato. Dopo qualche tempo si pone sotto l’obbedienza di un nuovo
confessore, padre Domenico Ambrogio di Gesù Maria
12
. Dopo che il sacerdote appurò
la sincerità dei sentimenti sulla vocazione religiosa, dovettero essere risolti alcuni
ostacoli che impedivano l’entrata in convento. Primo fra tutti l’irrisolta situazione
coniugale.
Nel luglio del 1622 papa Gregorio XV, con un breve articolato in tre sezioni
concedeva il divorzio
13
del matrimonio, stabiliva che i Della Rovere restituissero la dote
11
Il fatto è narrato in dettaglio da Biagio della Purificazione, che riporta la testimonianza
messa per iscritto, per ordine del Generale dei Carmelitani scalzi, da suor Teresa di Gesù che fu
testimone dell’evento, e datata 8 luglio 1668. La riporto:
Al molto Reverendo Padre nostro Distintissimo il Padre Generale de Carmelitani Scalzi alla
Scala.
Molto Reverendo Padre Distintissimo.
Prego Vostra Reverenza a scusarmi con la sua carità se ho tardato sin hora ad esseguire
quanto Vostra reverenza m’impose di metter in scritto quello mi ricordassi della Marchese della
Rovere; perche sono stata molto travagliata dalle mie indispositioni. Se mi servisse la memoria
potrei notificare a Vostra Reverenza molt’atti eroici di virtù, che io stessa gl’ho veduti
essercitare, solo di uno mi ricordo, del quale sono anco testimonio di vista. Soleva detta signora
andare agl’hospedali molto spesso per visitare e servire l’inferme, alle quali lassava
molt’elemosine, ed una volta in particolare andando all’hospedale di San Giacomo
degl’Incurabili visitò una inferma e con gran fervore vi pose sopra il viso, e vi stette per buono
spatio di tempo, dopo il quale s’alzoò con la faccia piena di quell’immonditie, e per quello si
poteva conoscere haveva succhiata la piaga. Dopo il decorso d’un mese circa tornammo al
medesimo hospedale, e domandando dell’inferma ci risposero i ministri che era guarita e già
uscita dall’hospedale. Altre volte ha fatto simili cose di bagiare stomacose piaghe. Questo è
quanto mi sovviene, vorrei in questa, et in molt’altre cose servire Vostra Reverenza quale prego
molto delle sue sante orationi, acciò che Nostro Signore mi dia buona morte, mentre resto con
farli humilissima reverenza, e pregalo della sua santa beneditione.
Da questo Monasterio di santa Maria del Monte Carmelo li 8 luglio 1668.
Di Vostra Reverenza Riverito Riverenda.
Indegna figlia e serva
Suor Teresa di Giesù
Cfr Vita della venerabile Caterina di Cristo, op. cit. Libro I:X.
12
Padre Ambrogio era un Carmelitano scalzo del monastero di Santa Maria della Vittoria.
Era un patrizio genovese della famiglia Spinola; di lui si fa cenno nella lettera 3. Fu il
confessore di Caterina Cesi per diverso tempo e fu lui che provò con sagacia e con fare ardito la
sincerità della vocazione di Caterina: ciò mise in grande imbarazzo l’intera famiglia Cesi. Cfr.
BIAGIO della PURIFICAZIONE, op. cit. libro I:XIV.
13
È lo stesso Biagio della Purificazione ad usare l’espressione divorzio.
10
matrimoniale a Caterina Cesi, ed infine che lei stessa avrebbe potuto monacarsi presso
un monastero di sua scelta. Così sceglie l’ordine del Carmelo riformato di Teresa di
Gesù, di cui negli anni della vita pubblica aveva solo sentito che le religiose di questa
riforma vivevano in estremo rigore e lontane dal mondo.
L’entrata nel Carmelo di sant’Egidio
14
fu ostacolata dalla diffidenza dei superiori
dell’Ordine che nutrivano delle riserve poiché Caterina aveva ancora importanti
questioni legali irrisolte le quali avrebbero potuto recare danni morali al convento.
Anche la famiglia cercò in tutti i modi di dissuaderla dall’abbracciare la vita religiosa:
già uno dei fratelli era diventato gesuita, e più volte si dovette scontrare con
l’intransigenza del fratello Federico, desideroso di appropriarsi dei suoi beni per
sostenere l’Accademia da lui fondata. Oltre che dei propri legali Caterina si avvalse
dell’influenza e dell’aiuto del preposito Generale dei Carmelitani, fra’ Mattia di san
Francesco, che nel giro di poco tempo risolse gli ostacoli.
Le religiose del Carmelo di sant’Egidio, dove Caterina aveva chiesto di essere am-
messa, l’accettarono con atto capitolare all’unanimità e quando vi entrò cambiò il
cognome da Cesi in Di Cristo
15
.
Grazie ad alcuni amici influenti ottenne un’udienza da Urbano VIII. Desiderava
ottenere il permesso di fondare con i suoi beni un monastero, ma il papa dapprima
deluse le aspettative della Cesi; Caterina dinanzi al diniego papale prese accordi con
l’imperatrice per fondare un Carmelo a Vienna, e Urbano VIII si mise in contatto con la
stessa imperatrice pregandola che si disimpegnasse dall’accordo sancito con suor
Caterina, ma l’imperatrice non considerò l’avviso apostolico.
14
Tra le fondatrici di questo convento vi fu suor Teresa di Gesù, al secolo Isabella Stampa,
cugina di un’altra monaca singolare, suor Virginia Maria de Leyva la celeberrima signora di
Monza; suor Teresa di Gesù portò in dote 135 ducati di Napoli all’anno. L’atto della sua profes-
sione religiosa, avvenuta il 2 aprile 1595, è custodito nel Carmelo di Savona nel Libro de la
fundación y professiones de este monasterio de Jesús María de Carmelitas descalças de la
ciudad de Genova, manoscritto, secolo XVII, A.C.S.G.; f 22. Ho trattato questo argomento in:
Dal colle del Quirinale al Colle di Montenero: il monastero Santa Teresa d’Antignano; in CN,
Comune Notizie, Dicembre 1997 n 23. pp. 23-25.
15
Questa tradizione risale alla riforma teresiana. Fu santa Teresa che per prima mutò il suo
cognome da De Ahumada in de Jesus quando entrò nel Carmelo di san Giuseppe, il 24 agosto
1562; fu il primo convento della sua riforma.
11
Concluso il suo noviziato, Caterina sapendo che con i voti avrebbe dovuto rinunciare
ai suoi beni, ottenne l’abito di terziaria, si accordò con l’imperatrice d’Austria
16
, per
fondare un Carmelo a Vienna. Progettata in segreto la fuga dal monastero, per dirigersi
in Austria, fallì miseramente.
La fuga fu denunciata al cardinale vicario di Roma. Caterina fu ritrovata presso una
domestica di sua fiducia e su disposizione dei superiori dell’Ordine fu ricondotta a
sant’Egidio e confinata nella segreta. Questa fuga sollevò uno scandalo con pochi
precedenti nella Roma di allora. In seguito la Cesi ottenne, grazie agli stessi amici
influenti un nuovo incontro col pontefice, che persuaso delle buone intenzioni, le
concesse di fondare il desiderato monastero in Roma.
Il 23 aprile 1627 in segreto e con grande celerità fu inaugurata la nuova realtà
monastica. Per ordine di papa Barberini il Carmelo fu intitolato a santa Teresa di Gesù,
fu così che in Roma si ebbe la prima chiesa intitolata alla mistica spagnola.
Il 25 aprile Caterina Cesi emise la sua professione religiosa; la nuova clausura fu
posta il 19 maggio 1627.
La fondazione fu confermata da un breve papale intitolato Ad militantis ecclesiae re-
gimini
17
.
Nel 1630 Caterina è eletta priora della comunità.
16
Moglie di Ferdinando II (Graz 1578 - Vienna 1637), imperatore del Sacro romano impero
(1619-1637), re di Boemia (1617-1619) e di Ungheria (1621-1625). Nipote dell’imperatore
Ferdinando I, studiò presso i gesuiti e divenne sostenitore dei dettami del Concilio di Trento.
Nel 1618, il tentativo di Ferdinando di restaurare il cattolicesimo in Boemia e la sua intolleranza
verso i luterani determinò una reazione di protesta nota come Defenestrazione di Praga, che fu
tra le cause dello scoppio della guerra dei Trent’anni. Nel 1629, con l’Editto di restituzione
obbligò i principi protestanti a riconsegnare alla Chiesa cattolica tutti i beni sottratti in guerra;
ben presto il suo tentativo di restaurare l’ortodossia nell’impero portò al divieto di professare
qualsiasi altra confessione religiosa e all’espulsione dei protestanti. Nel 1634 Ferdinando
predispose l’assassinio di Wallenstein, e questo, unito alla presenza sul trono svedese del re
protestante Gustavo II Adolfo, indebolì ulteriormente l’autorità imperiale. Quando Ferdinando
morì, molti dei suoi alleati lo avevano ormai abbandonato e la Francia si era schierata
apertamente in sostegno dei protestanti; la conclusione della guerra dei Trent’anni spettò al
figlio, Ferdinando III. Cfr. J. Wedgwood, La guerra dei Trent’anni, Dall’Oglio, Milano, 1964;
sugli effetti della guerra dei trent’anni in Germania : G. Franz, Der dreissigjährige Kriege und
das deutsche Volke, Stoccarda 1961
3
.
17
Da emendare in Ad militantis ecclesiae regimen.
12
Le lettere di Caterina di Cristo solo apparentemente possono sembrare un puzzle
informe, senza disegnare cioè qualcosa che abbia senso compiuto, se paragonate ai
grandi libri di lettere classici che l’epistolografia analizza.
L’epistolario cateriniano, presenta diverse questioni, e il genere letterario sotto cui
possiamo collocarle è l’epistolografia.
Le lettere obbediscono, e lo vedremo nell’analisi, ad un preciso mandato:
l’obbedienza, il voto religioso che insieme alla povertà e alla castità fu estremamente
esplicato a tutte le future Carmelitane scalze da santa Teresa.
L’obbedienza Carmelitana riformata nelle intenzioni della riformatrice dell’ordine è
lo strumento della disposizione interiore alla docilità verso i fratelli, alla grande
solidarietà sociale con tutti coloro che si affidassero alle scalze.
Il luogo di partenza di tutte le lettere è il monastero di santa Teresa alle Quattro
Fontane in Roma, e sono dirette, tranne rare eccezioni, al suo confessore che era lo
stesso di tutta la comunità. Non si hanno riferimenti cronologici tranne che in due
lettere, per cui possiamo porre solo una datazione ante quem e post quem rispetto le
date indicate: 14 marzo 1630 per la lettera 19, e 17 settembre 1634 per la lettera 26
18
.
Scritte per riferire al padre Giuseppe, i suoi progressi nella vita interiore, esse affron-
tano anche altri temi: la gestione della comunità monastica, essendone la priora, e una
serie di dettagliate relazioni sui fenomeni mistici cui era soggetta.
Il nodo determinante dell’epistolario è il rapporto tra Caterina e il suo confessore:
questi la implorerà di raccomandare nella preghiera alcuni personaggi, i cui nomi sono
ignoti.
Sin dalla sua vita pubblica Caterina riferisce di percepire la presenza del suo angelo
custode, come afferma nella sua autobiografia, e nel cammino che va dalla scelta voca-
zionale sino alla morte questi fenomeni si faranno sempre più numerosi e culmineranno
in uno sposalizio mistico, che consiste nella sopportazione da parte della religiosa di un
acuto dolore al braccio destro, una sorta di stigmate di Cristo.
18
Ho suddiviso le Lettere tramite le indicazioni bibliografiche fornite dagli studi
epistolografici curati da AMEDEO QUONDAM ne Le carte “messagiere”, retorica e modelli
di comunicazione epistolare, Bulzoni editore, 1991.Per i dettagli della trascrizione delle lettere
rimando all’introduzione dell’Appendice.
13
La tradizione Carmelitana post-teresiana è sempre stata molto rigorosa nello studio
della fenomenologia degli stati mistici, forti della dottrina teologica lasciata da santa
Teresa e san Giovanni della Croce. Questo rigore si è riscontrato anche più di recente,
cioè durante i processi ordinari per la canonizzazione di Teresa di Gesù Bambino e del
Volto Santo
19
.
Oltre alle esperienze mistiche, dall’epistolario della Cesi emerge il ritratto di una
monaca zelante, rigorosa con se stessa sino all’eccedenza. In queste lettere aleggia una
gran semplicità, una schiettezza d’animo che potrebbe sconcertare; talvolta l’autrice si
esprime con ardire al suo interlocutore, dimenticandosi che è un superiore, scusandosi
poi con garbo reverenziale. Questa cosa denota un carattere forte, ma che seppe ben
adattarsi al nuovo stato.
Le sole figure ricordate in modo evidente sono: il marchese di Castel Rodriguez,
ambasciatore accreditato presso la Santa Sede, una religiosa il cui nome è suor Anna
Maria di sant’Evatro – una monaca la cui devozione è elogiata da Caterina – la cognata
della religiosa Isabella Salviati Cesi, e la duchessa d’Acquasparta; sono poi citati
indirettamente una donna che pratica la magia, un libertino e la sua amante.
Rapporto confessore-penitente
Il modello comunicativo dell’epistolario della Cesi appartiene al genere delle
relazioni che le monache redigevano dietro richiesta del confessore o dell’inquisitore:
sono pertanto soggette al mandato dell’obbedienza.
Caterina, in alcune occasioni, fa riferimento alla disciplina, lo strumento di autopuni-
zione, che è raccomandato dalla riformatrice del Carmelo
20
.
19
Santa Tersa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Thérèse Martin (1873-1897) scrisse per
ordine della madre Agnese di Gesù (sua sorella Paolina) i suoi ricordi di infanzia, che daranno
l’avvio a l’Histoire d’une ame in cui è esposta la dottrina dell’infanzia spirituale, per la quale
Giovanni Paolo II l’ha proclamata dottore della chiesa.
20
Secondo Teresa d’Ávila la mortificazione corporale, compresa la disciplina e il cilicio,
debbono tendere al maggior profitto della vita interiore, e ogni abuso è pericoloso poiché
favorisce l’orgoglio a scapito dell’umiltà. Cfr Lettera 151,13.
14
Sin dalla prima età moderna si affievolisce nell’ordo monasticus l’uso della
disciplina.
Nella regola di san Benedetto il termine disciplina compare 23 volte, con varie
accezioni. È riferita alla pratica della mortificazione corporale al capitolo XXIV:
secundum modum culpae excomunicationis vel disciplinae mensura debet extendi
21
– la
misura della scomunica e della disciplina (punizione corporale) deve essere
proporzionata alla gravità della colpa – ed è associata alla punizione della colpa
leggera, mentre nelle Costituzioni teresiane essa è riservata per le colpe gravissime, ed è
inflitta dalla priora del monastero.
In vari ordini religiosi, sin dalla seconda metà del Cinquecento pare che il tempo
dell’autopunizione e della mortificazione corporale declinasse. Sono di questo avviso
sia Antonio Pagani, istitutore della Compagnia delle Dimesse di Vicenza, che il
francescano Bonaventura Gonzaga da Reggio. Gabriella Zarri sottolinea che le forme
legate alla mortificazione quanto quelle inerenti lo svolgimento dei capitoli delle colpe,
avessero come primo scopo quello di disciplinare la vita comunitaria, poi quello di
perfezionare la vita interiore
22
.
Sin dal medioevo, come afferma Dionigi il Certosino, ogni stato della vita sociale
deve rifarsi ad un preciso ideale etico-religioso, la cui meta è il servizio di Dio
23
. Questi
elementi sono riscontrabili ampiamente dalle lettere della Cesi; tuttavia solo in secondo
piano l’epistolario tratta della comunità monastica.
La protagonista è il mittente, che scrive al destinatario ciò che la riguarda, sia dal
lato pratico che da quello spirituale: i fenomeni mistici. Se lette sotto questo profilo, le
lettere di Caterina, oltre ad essere delle genuine relazioni sul soprannaturale, sono delle
confessioni aperte, scritte di getto.
21
SAN BENEDETTO, La Regola, a cura di A. LENTINI, Montecassino, 1980; p. 96.
22
Ambedue i religiosi francescani sono dell’idea che il progresso della vita interiore passi
non attraverso l’autoflagellazione e le punizioni corporali, quanto alla moderazione. Cfr
Disciplina regolare e pratica di coscienza: le virtù e i comportamenti sociali in comunità
femminili (secc. XVI-XVIII) di Gabriella Zarri, sta in Disciplina dell’anima e del corpo e
disciplina della società tra medioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi, Mulino, Bologna,
1993; pp. 258-261.
23
Dionysius Cartusianus, Revelatio II, in Opera omnia, cura et labore monachorum sacr.
Ord. Cart., Monstrolii-Tornaci, 1896-1913, 41 voll.; I, p. XLV.