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INTRODUZIONE
“E’ fatta, una volta che sei un surfista è fatta. Sei
entrato nel giro. E’ come entrare a far parte di una banda,
o qualcosa del genere. Una volta dentro non puoi più
uscire..”.
1
A parlare è Kelly Slater, il nove volte campione del mondo,
nonché il surfista ad aver vinto il maggior numero di titoli e
contest individuali in assoluto. Ma, riflettendo, non è poi
tanto diverso da ciò che direbbe un qualsiasi appassionato di
surf, professionista o no, da ciò che proverebbe una
qualsiasi persona, uomo o donna, adulto o bambino che
fosse, prendendo per la prima volta tra le mani una tavola da
surf e scrutando il mare, pensando all‟adrenalina che sale
mentre si cavalca l‟onda.
Il surf è più di una semplice disciplina. E non significa, con
questo, essere di parte. E‟ uno sport che ha ispirato intere
culture, che ha fomentato movimenti sociali e culturali,
fonte di ispirazione per intere generazioni di registi e di
musicisti, che attraverso la storia di questo sport hanno
voluto raccontare storie di ribellioni giovanili, di
anticonformismi, di rapporto con la natura e di valori e
1
Kelly Slater, surfista professionista. (Cit.)
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sentimenti, di viaggi alla riscoperta del proprio essere e alla
scoperta del mondo. Tutto questo verrà raccontato attraverso
una breve panoramica di quella che è stata la storia del surf,
dalla sua nascita sulle coste hawaiane, dove l‟he’e nalu, lo
“scivolamento sulle onde”, era fondamentalmente
espressione di una forte religiosità di carattere pagano,
all‟epoca dell‟emancipazione femminile, quando il gentil
sesso decide che è giunta l‟ora di mettere da parte
abbronzanti e parei per tuffarsi in acqua e sfidare il mare (e
gli uomini), fino alla delineazione del profilo di questa
pratica, considerata a tutti gli effetti uno sport estremo,
centrando l‟attenzione sui rischi e i pericoli che questo
comporta, sulle poche ma fondamentali regole che lo
governano e sugli aspetti puramente tecnici che lo
caratterizzano: allenamento, abbigliamento e tavole.
Ma il presente lavoro di tesi vuole andare ben oltre l‟aspetto
sociologico e antropologico di questo sport, proponendosi di
affrontare anche tematiche più strettamente legate al mondo
dell‟economia, del marketing, della tecnologia e della
comunicazione. In particolare ho voluto porre l‟accento
sulla forte connessione tra quest‟ultimo elemento e il surf,
costatando e analizzando come ogni cosa, in questa pratica
sportiva, sia diventata un potente veicolo di comunicazione:
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basti pensare alla nascita della moda del surf e al duplice
impatto che essa ha avuto, dal punto di vista sociale, con
l‟inizio di un profondo processo di emulazione, meccanismo
messo in atto naturalmente da qualsiasi tendenza che la
riguardi, e ancora di più dal punto di vista economico, con il
proliferare di marchi, negozi, presenti in vasta scala anche
su internet, scuole di surf, libri e riviste, e il conseguente
impatto sul turismo, con la nascita, come vedremo, delle
cosiddette “vacanze a tema”. Moda a servizio del surf, surf a
servizio dell‟economia: un assunto che spiega, seppur in
maniera semplicistica, come la moda, di fatto, sia diventata
un potente mezzo di comunicazione grazie al quale questo
sport può diffondersi e farsi conoscere, anche tra coloro i
quali non hanno mai sentito parlare di longboard e
shortboard. Allo stesso modo, il surf diventa un tassello
importante nell‟enorme quadro dell‟economia, con i suoi
ingenti proventi, che come abbiamo visto provengono da
numerosi settori, nonché oggetto di studio da parte dei rami
del marketing e della pubblicità, per il quale sviluppano
strategie e appositi concept, fortemente attrattivi, per la sua
conoscenza a livello globale.
Fondamentali, come vedremo, sono stati in questo contesto
gli sviluppi della tecnologia, grazie alla quale il surf ha
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finalmente trovato il motore propulsore per la sua diffusione
e il suo radicamento nei gusti degli sportivi, o
semplicemente appassionati, di tutto il mondo. Internet,
quindi, come un nuovo mezzo di comunicazione, attraverso
cui conoscere il surf, guardare le gare, condividere nozioni e
informazioni, all‟insegna di una profonda trasformazione
nel modo di comunicare: dall‟antica e tradizionale
narrazione tribale alla moderna informazione globale, dalla
comunicazione orale a quella scritta e digitale.
Una panoramica generale sull‟avvento dello show-business
in questo sport che non può assolutamente prescindere
dall‟importanza delle attività e delle iniziative di
beneficenza che sono alla base del surf, e che contribuiscono
a diffonderne i valori e a veicolare un‟immagine pulita,
ideale e profonda, grazie anche alla scelta appropriata di
atleti che di questi ideali diventano portatori.
L‟ultimo capitolo di questo lavoro affronterà, nel
particolare, l‟arrivo, lo sviluppo e la diffusione del surf in
Italia, con l‟inizio di un percorso che, attraverso alcune
tappe salienti, ha trasformato il surf da attività di nicchia,
praticata da poche centinaia di persone, ad uno sport
riconosciuto a livello nazionale, con i circa 50 mila
surfriders pronti ad invadere gli 8000 km di coste italiane
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quando il Mediterraneo regala giornate adatte a questa
pratica.
E, soprattutto, il confronto con una questione importante: i
motivi per i quali il surf tarda ad essere riconosciuto come
una disciplina olimpica, quali sono le problematiche e quali
le possibili soluzioni, ma soprattutto quali le proposte per le
quali questo possa accadere, proponendo un‟alternativa,
seppur teorica e lontana dalla sua realizzazione, che vede,
certamente, la possibilità che questa ipotesi si realizzi, ma
senza lo snaturamento dell‟essenza di questo sport: il
profondo e intimo contatto con il mare.
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CAPITOLO I
IN PRINCIPIO FU L’ACQUA: BIOGRAFIA DI UNO
SPORT
1.1 DALLA POLINESIA, CON AMORE
Il surf, o surf da onda, è uno sport acquatico che
“consiste nel “cavalcare”, o meglio, scivolare sulle onde
utilizzando una tavola da surf (o surfboard). La tecnica
consiste nel planare lungo la parete dell‟onda, restando in
piedi sulla tavola. È possibile eseguire una serie di manovre
a seconda della velocità e della forma della parete”.
2
Raccontare dalle origini la storia di uno sport, soprattutto di
uno come il surf, è un‟operazione molto complessa, che si
pone come obiettivo la ricostruzione di un percorso
caratterizzato da infiniti episodi che affondano le proprie
radici nella preistoria, e che nasconde molti più segreti di
quanti, in realtà, non ne riveli. La nascita del surf, quindi,
non può essere ricondotta ad una data ben precisa. Le prime
testimonianze risalgono a ben 3000 anni prima di Cristo:
reperti archeologici e antiche ceramiche raccontano di
2
www.wapedia.mobi.it
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primitive popolazioni che cavalcavano le onde sulle coste
peruviane a bordo di piccole e rudimentali imbarcazioni di
legno. Tuttavia bisogna aspettare il 1700 e i leggendari
racconti del Capitano James Cook, lo scopritore delle
Hawaii, che, giunto nell‟arcipelago polinesiano, descrisse,
nei suoi diari, con particolare stupore e meraviglia, le
imprese degli indigeni locali che, a cavallo di grezze tavole
di legno, scivolavano sull‟acqua come fossero dei semi-dei.
“E mentre osservavo quell’indigeno penetrare su una
piccola canoa le lunghe onde a largo di Matavai Point, non
potevo fare a meno di concludere che quell’uomo provasse
la più sublime delle emozioni nel sentirsi trascinare con tale
velocità dal mare”.
3
Ma è sicuramente nell‟arcipelago delle Hawaii che il surf
trova la sua massima espressione. Quando i Polinesiani
sbarcarono su queste coste, all‟incirca nel quarto secolo
d.C., attratti dal desiderio di capire cosa l‟orizzonte gli
nascondesse, portarono con sé la loro abilità di barcaioli, il
loro incondizionato amore e la profonda conoscenza per il
mare, fondamenti che ben presto diventarono capi saldi
anche della civiltà hawaiana. Tuttavia, anche se si racconta
3
MORRISS R., Captain Cook and His Exploration of the Pacific,
Barron‟s Educational Series, 1998
15
che i Tahitiani spesso utilizzassero le tavole, come varianti
alle loro imbarcazioni, è alle Hawaii che l‟arte della
navigazione verticale su di queste viene inventata e
perfezionata. In questo stesso contesto, però, la pratica del
surf si trasformò in uno strumento di affermazione sociale:
gli abitanti del luogo usavano le tavole per sfidarsi e
contendersi, in questo modo, il possesso delle loro terre. Un
misuratore di popolarità, quindi, ma soprattutto espressione
di una forte religiosità di carattere pagano: il culto
dell‟elemento acqua, il ricongiungimento con il kai,
l‟Oceano, la festa in onore delle Pleiadi, di cui il surf era
parte essenziale, evidenziano come questa pratica fosse
profondamente radicata in tanti secoli di leggenda e cultura
hawaiana. I kahuna, (i sacerdoti) intonavano, per esempio,
in occasione delle cerimonie religiose, particolari canti e
preghiere per battezzare le nuove tavole da surf, per
promuoverne la natura mistica e soprattutto per infondere
coraggio agli uomini e alle donne che sfidavano le grandi
onde.
C‟erano, attorno al surf, storie leggendarie e di amore, che
raccontavano di gesta eroiche di capi e gente comune, di
sfide, di vita e di morte, tramandate oralmente di
generazione in generazione, dal momento che, fino
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all‟arrivo degli haole (gli uomini dalla pelle bianca), non
esisteva un sistema di scrittura, introdotto soltanto dopo
l‟invasione occidentale. Ma, di certo, non era soltanto
l‟esclusiva della trasmissione verbale a caratterizzare come
arcaica e primitiva questa società, alla cui base vigeva un
Kapu (un sistema di norme e leggi) che disciplinava ogni
cosa: dove mangiare, come coltivare gli alimenti, come
costruire una canoa o una tavola, come leggere il mare in
funzione della pratica del surf o pregare gli Dei per
svolgerla al meglio. Questo codice normativo prevedeva,
inoltre, la stratificazione in classi, reale e “plebea”, della
società, principio esteso anche all‟ambito dell‟esercizio di
questa attività: c‟erano, infatti, spiagge riservate
esclusivamente agli ali’i ( i capi), a cui la gente comune non
aveva accesso, pena la morte, e spot ( luogo dove si fa surf)
destinati al popolo, così come diversificata era anche la
struttura delle tavole, 24 piedi per gli aristocratici e 12 per
gli altri, per sottolineare ancora di più la superiorità dei
primi sui secondi.
Nel 1778 James Cook approda in questi mari, e da allora
niente è più lo stesso. La cultura hawaiana, e con essa quella
del surf, intraprendono la strada del tramonto, sottoposte ad
un lenta e inesorabile, nonché violenta, influenza
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occidentale, forte abbastanza da portarla al totale
annullamento. L‟abitudine di praticare questo sport semi-
nudi, con pochi indumenti, ebbe come ripercussione la sua
proibizione da parte del puritanesimo dei missionari, lo
stesso che etichettò come immorali e depravati i suoi aspetti
sacrali, in mancanza dei quali il surf non aveva più ragione
di esistere, almeno non nella civiltà hawaiana.
Alla fine del XX secolo il surf era praticamente scomparso
nelle isole Hawaii, finanche da Kalehuawehe, località sulla
riva sud dell‟isola di Oahu. Honolulu, intanto, era diventata
la città più grande dell‟intero arcipelago, con un hawaiano
su quattro che vi risiedeva, ma le possibilità di vedere un
surfista cavalcare un „onda erano sempre più rare. Ma,
ironia della sorte, furono proprio tre haole, lo scrittore Jack
London, George Freeth, che verrà poi considerato padre del
surf moderno e Alexander Hume Ford, giornalista
eccentrico e vagabondo, a dare un fondamentale contributo
alla rinascita di questa pratica. In quegli stessi anni London,
a proposito di Ford, scriveva: “Dove un momento prima
c’era solo la desolazione di una distesa immensa di acqua e
il ruggito invincibile delle onde, ora c’è un uomo, dritto su
una tavola, che non sta lottando freneticamente, non è
sepolto, schiacciato e schiaffeggiato da quei mostri potenti,
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ma è in piedi, tranquillo e superbo, in bilico sulla cima
vertiginosa, i suoi piedi sono sepolti nella schiuma, il sale,
come un fumo, che sale verso le ginocchia, e tutto il resto
del corpo libero nell’aria, riflesso dalla luce del sole
lampeggiante, e lui sta volando in aria, volando in avanti.
E’ un Mercurio, un Mercurio marrone. I suoi talloni sono
alati, e in loro è la rapidità del mare “.
4
L‟amore per il surf e l‟unione dei loro grandi talenti li portò,
nel 1908, alla fondazione del primo surf-club del mondo,
l‟Outrigger Canoe and Surfboard Club
5
, a Waikiki.
Ma fu un quarto uomo, nativo delle Hawaii, a dare
l‟essenziale contributo alla diffusione del surf dalla sua terra
di origine al resto del mondo: Duke Kahanamoku.
4
LONDON J., Royal sport: surf a Waikiki, Honolulu, 1907
5
GIACCI M., L’elogio del Surf, Castelvecchi Editore, Isola del Liri
(FR), 2006
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1.2 I PADRI DEL SURF MODERNO: DUKE
KAHANAMOKU E TOM BLAKE
“Fuori l’acqua io non sono niente.”
6
.
Duke Kahanamoku nasce ad Honolulu, il 24 agosto 1890,
discendente di un‟antica famiglia hawaiana. Fin da piccolo
dimostra uno spiccato amore per l‟Oceano da cui, secondo i
tradizionali riti tribali, riceve il battesimo. La simbiosi con
l‟acqua caratterizza tutta la sua vita, in un percorso, durato
77 anni (muore, infatti, ad Honolulu il 22 gennaio 1968),
che lo porterà a vincere nella disciplina del nuoto 3 ori
olimpici (Stoccolma 1912, Anversa 1920) e 2 argenti
(Stoccolma 1912, Parigi 1924). La possibilità di viaggiare in
giro per il mondo grazie alla sua professione di nuotatore e
la fama ottenuta grazie ai suoi successi e alla partecipazione
a qualche film a Hollywood, gli permisero di esportare
letteralmente il surf in tutto il mondo. Accompagnato,
infatti, dalla sua immancabile tavola e dal suo gruppo di
amici hawaiani, Duke non perdeva l‟occasione per dare
prova della sua abilità nel domare le onde in qualsiasi
località si fermasse. Fu così che il surf iniziò a diffondersi
sulle cose atlantiche di Stati Uniti, Nuova Zelanda e
6
Duke Kahanamoku, campione olimpico (Cit.)
20
Australia. Nel 1915 il “duca” venne invitato dalla New
South Wales Swimming Association, l‟associazione
australiana di nuoto, per dare una dimostrazione: Duke stupì
la folla con le sue acrobazie su quelle onde giganti e da quel
giorno qualcosa cambiò e, senza esserne pienamente
consapevole, l‟Australia intraprese quel percorso che l‟ha
portata a diventare oggi una delle mete predilette dai surfisti
di tutto il mondo.
Un episodio particolare lo regalò alla storia anche come un
uomo eccezionale dal punto di vista umano: nel 1925 al
largo di Newport Bay salvò ben 12 persone che stavano
annegando dopo che la barca da pesca sulla quale
viaggiavano si era rovesciata a causa delle potenti onde che
si stavano abbattendo sulla costa. Fu così che Duke, con la
sua tavola da surf, riuscì a velocizzare le operazioni di
recupero, dando così il via anche ad un nuovo sistema di
salvataggio.
Il successo planetario e la fama internazionale non
compromisero, quindi, in alcun modo il suo sistema di
valori e le sue credenze, grazie alle quali recuperò la
dimensione religiosa e metafisica dell‟antico he’e nalu, e
che ancora oggi lo fanno ricordare come uno straordinario
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esempio per il genere umano e come il più grande waterman
mai vissuto.
Dopo Duke Kahanamoku, nessun altro uomo, nella prima
metà del 1900, era riuscito ad avere un impatto e
un‟influenza così grande sul mondo del surf così come ha
fatto Thomas Edward Blake, trasformandolo da una
semplice ma curiosa pratica polinesiana ad un vero e proprio
stile di vita del XX secolo.
Pochi anni dopo la sua nascita, nel 1902, la madre morì di
tubercolosi. La disperazione e la tristezza per questa perdita
lo portarono a trovare rifugio nelle acque del mare e,
soprattutto, delle piscine, dove ben presto sviluppò grosse
capacità di nuotatore. Ma la sua vita cambiò dopo
l‟incontro, fortuito, con Duke in un cinema di Detroit. Mai
avrebbe potuto immaginare che da lì a pochi anni si sarebbe
trovato a surfare fianco a fianco, come fratelli, con quella
stessa leggenda che tanto aveva animato le sue fantasie di
adolescente.
Il contributo fondamentale di Blake, tuttavia, riguarda alcuni
aspetti puramente tecnici di questa pratica sportiva. Durante
quegli anni una tavola da surf costava all‟incirca tra le 90 e
le 150 sterline e alcune longboard da 16 piedi arrivavano a
pesare addirittura 200 libre (90 kg ca.). Riflettendo su questi