3
la sua analisi (surrogata, appunto, anche dal fatto di essere stato un
diretto protagonista di quelle giornate) offre spunti sicuramente
interessanti per cogliere, nello specifico, come e perché queste
ambiguità si siano palesate. Non solo, quindi, una cronaca (per quanto
importante) di come si sono svolti i fatti nelle principali città teatro di
scontri; né un mero ricordo di come è infuriata la polemica politica, in
parlamento e sui giornali; Caprara si preoccupa soprattutto di
interpretare i giorni dello sciopero generale partendo dalla difficile
posizione del PCI, sia nel quadro politico italiano che nello scacchiere
internazionale. Egli prende quindi gli elementi che nel corso di quelle
giornate più hanno contribuito a far venire a galla queste difficoltà: in
primo luogo, quindi, rileva l’impasse del partito nel prendere una
posizione chiara e univoca nel corso di quelli che egli stesso definisce
“i giorni della rabbia e della disobbedienza”, ovvero i primi due giorni
di sciopero, nel corso dei quali allo spontaneismo di una parte
consistente della base del Partito si contrappose un vertice rimasto “del
proprio indeciso parere”
1
, ovvero nell’immobilismo più totale; inoltre
analizza anche le difficoltà maggiori incontrate dal PCI in quei giorni,
date in primo luogo dal doversi districare tra gli interessi della politica
estera sovietica e l’indirizzo di politica nazionale che esso si era dato
all’indomani della liberazione dal nazifascismo. Una doppia difficoltà,
o contraddizione, dunque, per il Partito: nei confronti della base, in cui
sono ancora vive le parole d’ordine e gli ideali figli della resistenza, e
nei confronti del potente alleato sovietico, “la grande patria del
socialismo”, da cui non può prendere le distanze, almeno a parole, e
1
M. Caprara, L’attentato a Togliatti. Il PCI tra insurrezione e programma democratico, pag. 29
4
almeno in un momento difficile come questo, ma i cui interessi sono
talvolta palesemente in contrasto con la linea politica democratica e
nazionale cui si vuole faticosamente attenere. L’elemento che offre lo
spunto più interessante, per analizzare “a caldo” le difficoltà del PCI in
questa prospettiva, è dato dalla vicenda del telegramma che Stalin in
persona invia al Partito il giorno dopo l’attentato, telegramma che,
lungi dall’essere un semplice gesto di solidarietà, è invece una vera e
propria critica alla “via italiana”, ed anche una sorta di richiamo
all’ordine. Una volta giunto alla segreteria del PCI, esso provoca non
pochi turbamenti
2
, e il commento che ne uscirà, nei giorni successivi,
su “l’Unità”
3
(sul quale si tornerà in maniera più approfondita in
seguito), sarà la riprova dell’ impossibilità, o incapacità del Partito di
prendere una posizione chiara, e della conseguente necessità di
mantenere i piedi in due staffe, cercando di non sconfessare, almeno a
parole, la politica sovietica, ma mantenendo al tempo stesso una
posizione di cautela e immobilismo nello scenario politico italiano.
Un’ altra opera importante, sia per la comprensione del contesto
storico, sia al fine di chiarire meglio alcuni degli elementi oscuri che
ancora caratterizzano le giornate del luglio 1948, è la biografia di
Giorgio Bocca dedicata a Togliatti. In questo lavoro le principali fonti
di cui si serve l’autore sono date, innanzitutto, dalle testimonianze
2
ibidem, pag. 55-56. Caprara ricorda, in particolare, le parole con cui longo accolse il telegramma: “Il
comitato centrale del partito comunista bolscevico è contristato dal fatto che gli amici – gli amici,
sottolinea Longo – del compagno Togliatti non siano riusciti a difenderlo dal vile attentato a tradimento.
Nel Partito non ci sono ‘amici, non amici o meno amici’ di Togliatti, commenta in sostanza Longo, la cui
irritazione diviene palese.” E rileva inoltre il ruolo “dell’autorevole intervento sovietico, introdotto in un
momento di grande commozione e agitazione para-insurrezionale, per segnare un punto a favore di una
revisione radicale della conclamata ‘impotenza’ della ‘via italiana’, già bersaglio di violente critiche alla
riunione di Szklarska Poreba, in Polonia, dell’ufficio di informazione dei partiti comunisti del settembre
’47.
3
“l’Unità” del ?????
5
dirette, che egli stesso ha raccolto, presso alcuni dei protagonisti di
quelle giornate. Riallacciandosi all’opinione più diffusa, secondo cui la
rinuncia all’insurrezione da parte del partito fu pressoché immediata,
seppure con sfumature e motivazioni diverse, Bocca introduce però un
nuovo elemento di riflessione, facendo notare che, per quanto riguarda
il Partito, “le scelte in quelle ore del 14 luglio non sono così nette; c’è, è vero,
da parte comunista la rinuncia all’insurrezione generale, ma dietro essa
rimane aperta una serie di possibilità che vanno dalla caduta del governo a un
rientro dei comunisti nell’area del potere”
4
. In questa maniera Bocca
introduce, seppure da un’angolazione particolare, il problema della
coesistenza all’interno del partito di orizzonti e aspettative politiche
nettamente divergenti tra di loro, da cui deriva la definizione di
“doppiezza” comunista.
Uno degli studiosi che si sono maggiormente soffermati, in sede
storica, proprio sul problema della “doppiezza”, è Pietro Di Loreto.
Citando innanzitutto il pensiero dei più importanti leader comunisti
del tempo, egli si riallaccia per lo più alle parole di Caprara, avallando
quindi la teoria, che peraltro è la più accreditata in sede storiografica,
secondo cui, aldilà della irreperibilità di mandanti diretti (irreperibilità
dovuta, anche e soprattutto, alla lacunosa azione investigativa e
politica di forze dell’ordine e governo), è evidente l’esistenza di legami
tra la situazione internazionale, e più precisamente gli interessi
americani in Italia, e le pistolettate che hanno colpito Palmiro Togliatti.
Di Loreto rileva come ci fossero stati dei “segnali precisi”, nei mesi
4
A riprova di questa tesi, l’autore cita la testimonianza resagli dal socialista Lombardi: “ci incontrammo
con Longo e Secchia la sera del 14 e la mattina del 15 per decidere i comunicati comuni. Longo diceva:
‘Noi come direzione non ci siamo ancora mossi. Vediamo come vanno le cose, se l’ondata di protesta
monta la lasciamo montare, se invece cala la blocchiamo.’
6
precedenti l’attentato, come ad esempio la minacciosa “presenza di
navi da guerra americane nel mediterraneo”
5
, riallacciando quindi
espressamente le giornate del luglio 1948 agli interessi contrapposti
sviluppatisi nel quadro della nascente guerra fredda. Tramite la
testimonianza di un diretto protagonista di quegli anni, Aldo Natoli
(dirigente della federazione romana del PCI), Di Loreto porta anche
ulteriori elementi a conferma del carattere spontaneo del movimento
di protesta sviluppatosi in seguito all’attentato, e conseguentemente
dell’inesistenza di un qualsivoglia piano preordinato, o struttura
clandestina, volti all’insurrezione:
“Tutta l’agitazione fu assolutamente spontanea, a Roma come nelle altre città.
Non avemmo nessun contatto con le altre organizzazioni di Milano, Genova,
ecc. Né ricordo di aver avuto contatti con esponenti di altre forze politiche”
6
Inoltre, nell’analizzare il comportamento tenuto dal partito nel corso
dello sciopero generale, nonché i suoi rapporti con la base militante, Di
Loreto affronta il problema con molta chiarezza, inquadrandolo subito
nell’ottica della “doppia prospettiva”, o “doppiezza” comunista. Egli
vede questa coesistenza, all’interno dello stesso partito, di ideali e
orizzonti politici contrapposti in chiave dicotomica base-vertice: più
che come un problema di progressiva accettazione della legalità
democratica da parte del PCI (o comunque di una sua componente
importante e trasversale), Di Loreto inquadra la “doppiezza” interna al
partito come una sfasatura tra le aspirazioni, sempre più irrealistiche,
della base militante, e il realismo politico, oltre che la cautela, dei
vertici del Partito, orientati, oramai irreversibilmente e con
5
P. Di Loreto, Togliatti e la “doppiezza”. Il PCI tra insurrezione e programma democratico, pag. 292.
6
Ibidem, pag. 293. Dichiarazioni rese da A. Natoli all’autore.
7
convinzione, verso la scelta della “democrazia progressiva”.
L’attentato a Togliatti è quindi, secondo questa analisi, il momento,
probabilmente l’ultimo, in cui la doppiezza può dispiegarsi in modo
aperto. “è la rivincita nei confronti delle cautele, delle arrendevolezze, della
moderazione che altro non hanno fruttato se non l’estromissione dal governo,
il disastro elettorale, l’attacco diretto, prima in termini economici ora in
termini militari.”
7
Da questa analisi consegue però anche che vengono
tralasciate, proprio nell’ambito della contrapposizione base-vertice
(che sarebbe a sua volta la manifestazione della
“doppiezza”comunista), le varie sfumature che, anche al livello dei
quadri intermedi, si sono manifestate in seno al Partito nel corso dello
sciopero generale. Analizzando in questa maniera il problema della
“doppia prospettiva”, Di Loreto ha sicuramente il merito di rilevare,
come si è già detto, il carattere spontaneo delle agitazioni del luglio
1948, nonché l’evidente scollamento tra le aspirazioni di una parte
consistente dell’elettorato comunista, e gli orizzonti politici dei suoi
vertici; Ma finisce per dare minor risalto ai tentennamenti e alle
ambiguità che si sono manifestate nel PCI, soprattutto nelle prime ore
di sciopero, e che invece sono state da più parti riconosciute in sede
storiografica. Diversi elementi, in primo luogo alcune dichiarazioni
rilasciate nel corso dei comizi tenutisi un po’ ovunque il giorno 14,
lasciano pensare che il problema della “doppiezza” non sia da
intendersi solo sulla base dello scollamento appena citato, ma piuttosto
come il sintomo di un processo storico graduale, che in seguito porterà
il PCI dall’essere un partito “rivoluzionario”, oltre che legato a doppio
7
Ibidem, pag. 294.
8
filo agli interessi dell’Unione Sovietica nel mondo occidentale, fino
all’accettazione dei principi democratici della Repubblica italiana.
Come scrive infatti Aldo Agosti nella sua Storia del PCI “La resistenza,
anche nei suoi aspetti di guerra civile e di guerra di classe, aveva suscitato
speranze e aspettative di trasformazioni radicali nella vita del paese, che
contrastavano con la strategia prudente di Togliatti. Lo stesso gruppo
dirigente, nella sua ossatura, era costituito essenzialmente dai ‘rivoluzionari
di professione ’ appartenenti alle generazioni politiche degli anni della
clandestinità. (…) certi settori del Partito si uniformavano alla linea ufficiale
soltanto o soprattutto perché convinti che si trattasse in realtà di un’astuzia
tattica destinata ad ingannare gli avversari.”
8
Logico quindi supporre che
questo graduale processo di accettazione della “svolta di Salerno”, per
una parte del PCI, fosse ancora da compiersi per intero, nel 1948.
Inoltre agosti lascia chiaramente intendere anche una valenza positiva
di questa “doppiezza”, o doppia prospettiva, quando dice che essa
veniva “accettata e capitalizzata come una valvola di sicurezza che
permetteva di incanalare gli umori e le aspettative di una parte consistente
della base del partito”.
9
Chi invece pone maggiormente l’accento sulle contraddizioni che
questa doppia prospettiva ha generato, facendole risalire direttamente
alle ambiguità insite nella politica del Partito (fino ad arrivare allo
stesso Togliatti), è Giorgio Galli. Soffermandosi anch’egli sul problema
della “doppiezza”, inquadra la questione in maniera abbastanza
diversa da Di Loreto. Le contraddizioni manifestatesi all’interno del
Partito nel corso delle giornate del luglio 1948 non nascerebbero da
8
A. Agosti, Storia del PCI, pag. 56.
9
Ibidem, pag. 57
9
una semplice e lineare sfasatura tra la base, o una parte di essa, e i
vertici, ma sarebbero il frutto di una politica afflitta da ambiguità più
profonde e trasversali, dettate dagli interessi contrapposti cui il PCI è
chiamato in questo momento a fare fronte, oltre che dal lascito
culturale e politico dell’esperienza resistenziale. Secondo Galli, in
sostanza, la coesistenza all’interno del Partito di idee e parole d’ordine
decisamente in conflitto tra loro sarebbe da attribuire anche alle
dichiarazioni dei propri dirigenti, e di Togliatti stesso, negli anni
dell’immediato dopoguerra. Partendo dall’analisi della situazione
internazionale, egli rileva le difficoltà incontrate da Togliatti nel
districarsi tra le esigenze dell’Unione Sovietica, che attraverso il
Cominform impone una “collaborazione” dei partiti comunisti
occidentali in chiave antiamericana, e tutelare al tempo stesso
l’immagine democratica e nazionale che il Partito sta faticosamente
costruendosi presso l’opinione pubblica italiana. Da questa importante
contraddizione nascerebbero proprio alcune avventate dichiarazioni
dello stesso leader comunista, che avrebbe quindi delle precise
responsabilità nell’innalzamento del livello dello scontro, nel corso dei
mesi precedenti l’attentato. Alcuni discorsi pronunciati da Togliatti nel
corso della primavera del 1948
10
, insomma, risponderebbero proprio a
questa doppia esigenza: non scontentare il Cominform e gli interessi
della politica estera sovietica, mantenendo al tempo stesso la scelta
politica fatta dal PCI, e da Togliatti in primo luogo, all’indomani della
10
Galli si riferisce, in primo luogo, al discorso pronunciato da Togliatti alla camera il 10 di luglio di
quello stesso anno, nel quale il leader comunista affermava, tra l’altro: se il nostro Paese dovesse essere
trascinato davvero per la strada che lo portasse ad una guerra, noi conosciamo il nostro dovere. Alla
guerra imperialistica, si risponde oggi con la rivolta, con l’insurrezione per la difesa della pace, della
indipendenza, dell’avvenire del proprio paese!”. L’affermazione è riportata in: G. Galli, La sinistra
italiana nel dopoguerra, pag. 239
10
liberazione. Una strategia che si deve reggere inevitabilmente
sull’abilità oratoria dei suoi sostenitori, che devono essere capaci di
dire qualcosa di forte ma senza scontentare nessuno:
“ansioso di dar prova ai sovietici di assoluto allineamento verbale per evitare
di compiere atti di appoggio concreto alla loro politica, usciva in espressioni
perentorie; mantenendo nel vago le sue minacce, le faceva ritenere più attuali
di quanto non dovessero apparire.”
11
In questa maniera Galli non solo evidenzia le responsabilità che ci
furono, anche a sinistra, nell’innalzamento della tensione, ma rileva
come le contraddizioni, o “doppiezze”, interne al partito comunista,
non siano da intendere solo nell’ambito di una contrapposizione tra
una base con forti orientamenti rivoluzionari ed un vertice su posizioni
democratiche e legalitarie, ma si siano insinuate, o siano state
insinuate, da una dirigenza preoccupata, con le sue dichiarazioni, di
non ledere gli interessi esteri sovietici e di non perdere, al tempo
stesso, la fiducia delle masse italiane.
Inoltre, Il fatto che, come dice Galli, mantenendo volutamente nel vago
le sue “minacce” Togliatti le facesse apparire ancor più attuali, è da
considerarsi anche una prova delle responsabilità comuniste nell’aver
mantenuto viva, nell’immaginario di molti suoi militanti, la
prospettiva rivoluzionaria : non solo una responsabilità nei confronti
della controparte, quindi (non a caso proprio il discorso, appena citato,
di Togliatti alla Camera, ha generato l’articolo-risposta di Andreoni in
cui si invoca la messa “al muro” del leader PCI), ma anche una precisa
responsabilità nel non aver fatto (o non aver potuto fare) abbastanza
11
Ibidem, pag. 240.
11
per far passare, presso l’elettorato comunista, la scelta legalitaria e
democratica operata dal PCI nell’immediato dopoguerra.
Pietro Scoppola cerca invece di superare la tradizionale impostazione
con la quale si è soliti analizzare il problema della “doppiezza”interna
al PCI, con l’intento dichiarato “di abbandonare l’idea del processo sulla
democraticità del Partito comunista, per capire invece il problema in tutta la
sua complessità”
12
. Egli si chiede quindi quali ripercussioni abbia avuto
sul Paese intero questo processo di transizione del PCI dal marxismo-
leninismo al “partito nuovo”, e quali siano stati il ruolo e l’importanza
di Togliatti in questa trasformazione. Scoppola, pur ribadendo le
responsabilità di Togliatti nelle scelte del Comintern, da cui è dipesa
anche la politica del PCI nel dopoguerra, rileva anche l’importanza
dell’impegno del leader comunista per far passare, all’indomani della
liberazione, la nuova linea democratico-parlamentare, essenziale per la
ripresa della vita civile e politica del Paese: “la politica del ‘Partito
nuovo’, pur con i suoi elementi di ambiguità e con la programmata
‘doppiezza’ ha progressivamente depotenziato le radici leniniste e staliniste del
PCI”
13
. La doppiezza “programmata” di cui parla qui Scoppola, non
sarebbe altro che il riflesso dei vari elementi coesistenti nella politica di
Togliatti e del Partito: la fedeltà all’Unione Sovietica, costi quel che
costi, da una parte; la fiducia nella neonata Repubblica italiana,
dall’altra: “vi è in Togliatti un’adesione profonda, ragionata, al marxismo-
leninismo, da lui concepito come una filosofia della storia che offre la chiave
dello sviluppo della storia stessa e consente di interpretarla e dirigerla; (…)
ecco allora il nodo centrale, diciamo pure il dramma di cui Togliatti è
12
P. Scoppola, La Repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia, pag. 123
13
Ibidem, pag. 124
12
protagonista e che domina la sua vita: la contraddizione tra una fedeltà
radicale, che non manifesta dubbi, non solo alla dottrina marxista ma
all’Unione Sovietica, e il giudizio critico sul sistema sovietico quale si è
realizzato.”
14
Scoppola conclude il suo discorso con una domanda,
chiedendosi insomma se abbia prevalso poi il legame con l’Urss o la
via democratica, e la conclusione che egli ne trae sembra prefigurare
quasi un rovesciamento delle parti, o comunque un processo per nulla
scontato: proprio la svolta voluta da Togliatti all’indomani della
liberazione, sebbene in sintonia con le esigenze sovietiche (anch’esse,
come si è visto, non prive di “doppiezze” o contraddizioni), ha favorito
“l’inserimento irreversibile delle masse popolari italiane nella vita
democratica”
15
del paese; ed è proprio su questa scia che il PCI
diventerà negli anni a seguire uno strenuo difensore delle libertà
democratiche e della costituzione, soprattutto delle sue norme più
egualitarie; ma rimane il fatto, sottolinea Scoppola, che “l’appartenenza
ideale alla patria del socialismo ha ostacolato la formazione del senso di
un’appartenenza comune alla democrazia, di una cittadinanza democratica”
16
,
favorendo così la crescita di quel clima di forte ostilità e
contrapposizione che caratterizzerà i giorni successivi all’attentato
contro Togliatti.
14
Ibidem, pag. 125
15
Ibidem, pag. 126
16
Ibidem, pag. 127
13
1 – Il contesto politico e sociale fino all’attentato a Togliatti
1.1 – Le elezioni del 1948
Nel maggio 1947, con la formazione di un Governo monocolore
democristiano integrato da “tecnici” liberali, finiva la fase di unità
nazionale tra i principali partiti democratici e antifascisti, usciti
vittoriosi dalla clandestinità e dalla guerra di liberazione. La rottura tra
il fronte moderato, impersonato principalmente dalla Democrazia
Cristiana, e le forze rappresentative del Movimento Operaio, ovvero i
partiti Comunista e Socialista, era andata maturando sempre di più nel
biennio postbellico, come conseguenza diretta di fattori sia interni che
esterni.
La svolta moderata di De Gasperi era stata ampiamente preparata già
prima della formazione del primo monocolore democristiano e
implicava, in un clima di crescente ostilità tra le due grandi potenze, la
consapevolezza dell’inizio di una fase di forte contrapposizione,
anzitutto sul piano elettorale, con le forze della sinistra.
Uno studio di Severino Galante, anche attraverso l’analisi degli archivi
del dipartimento americano delle foreign relations (FRUS), documenta
con chiarezza e dovizia di particolari “la natura privilegiata del rapporto
instauratosi tra Stati Uniti e Democrazia Cristiana”.
17
Partendo dal 1942,
data della prima visita in Vaticano di Myron Taylor -rappresentante
17
Ciò che è importante notare, come suggerisce Galante, aldilà della presenza in quel periodo
dello stesso De Gasperi in Vaticano (dove era rifugiato, e dove redasse personalmente lo
schema riassuntivo della situazione politica italiana che poi il conte Sforza, direttore de
“L’Osservatore Romano”, consegnò a Taylor), è che già da quel momento si posero le basi “per
un futuro accordo di fondo tra Stati Uniti e Santa Sede, fondato sulla conservazione
dell’”ordine” e sull’anticomunismo. Cfr. S. Galante, La scelta americana della DC, in: M. Isnenghi,
S. Lanaro (a cura di), La democrazia cristiana dal fascismo al 18 aprile, pag. 112-114
14
personale dell’allora Presidente Roosevelt e in seguito anche di
Truman-, egli ripercorre la storia della formazione di questo “rapporto
privilegiato” inquadrandolo nell’ottica della realizzazione di quei due
obiettivi che erano stati, appunto, l’asse portante di tale sodalizio: la
“cacciata delle sinistre dal Governo” prima, e la “sanzione elettorale
del risultato così conseguito” poi.
La presenza al Governo dei comunisti era quindi, nei piani di De
Gasperi, una “coabitazione forzata”, ma indispensabile per il
conseguimento di alcuni obiettivi irrinunciabili, sia per l’interesse del
paese che, ovviamente, della stessa DC: mantenere un clima disteso
avrebbe infatti facilitato i lavori della Costituente, in primis
l’approvazione di alcuni articoli delicati, come infatti avverrà per
l’inserimento dei Patti Lateranensi nell’articolo 5, poi articolo 7.
Dalla seconda metà del 1947, il quadro politico che De Gasperi
auspicava e che perseguiva, come si è visto, già prima della fine della
guerra, aveva subito un’accelerazione ed era giunto ad una sostanziale
maturità. Al punto che poté essere formato il primo Governo
“monocolore” della storia della Repubblica -sebbene ne facessero parte
anche alcuni “tecnici” di provenienza liberale- senza quei contraccolpi
sulla stabilità del paese che invece si sarebbero verificati se solo la
cacciata delle sinistre fosse avvenuta qualche tempo prima.
Quindi, una volta maturate tali condizioni, poté dispiegarsi quella
“pregiudiziale anticomunista” che sarebbe stata, da quel momento in
poi, una delle colonne della politica degasperiana.
D’altra parte, la necessità di mantenere il più possibile intatta l’unità
dei principali partiti di massa, nel nome del superiore interesse
15
nazionale, era stata più forte nei dirigenti del Pci, seppure con
motivazioni talvolta diverse.
Già nel febbraio del ’47, nella sua relazione al Comitato Centrale del
PCI, il Segretario Palmiro Togliatti, pur rendendosi conto di come la
rottura con le forze moderate fosse ormai vicina e difficilmente
evitabile -tanto che prolungarla poteva apparire agli occhi di molti
militanti come una prova di corresponsabilità nell’azione di Governo
democristiana- manteneva comunque questa priorità: “avere una
costituzione approvata dalla grande maggioranza dell’Assemblea”
18
.
Evitare cioè la spaccatura del paese, che un eventuale referendum sulla
Costituzione sembrava allora poter provocare. Tale politica volgerà in
breve al termine, sia per il venir meno delle condizioni da cui era
scaturita, anche da parte comunista, sia per il progressivo
irrigidimento della politica estera sovietica. Proprio nel settembre del
1947 si ha infatti la riunione dei principali partiti comunisti europei per
la costituzione del Cominform, organismo politico di informazione dei
partiti comunisti e operai.
In questa occasione i dirigenti sovietici criticarono la delegazione
italiana per l’eccessivo “parlamentarismo” che ne aveva, a loro
giudizio, caratterizzato la politica postbellica. Per dirla con le parole di
Pietro Scoppola “veniva rifiutata dal Cominform la linea togliattiana
dell’unità tra le forze popolari che ancora dopo la crisi di maggio egli aveva,
come si è visto, riaffermato.”
19
Queste critiche portarono, in un certo
senso, i comunisti italiani ad uscire allo scoperto, a fare propria “la
18
Archivio centrale del Pci, Fondazione istituto Gramsci.
19
P. Scoppola, La repubblica dei partiti: profilo storico della democrazia in Italia.
16
teoria dei due campi sostenuta dai dirigenti sovietici: l’uno imperialista e
antidemocratico, l’altro antimperialista e democratico”
20
.
Sul piano interno, dunque, la svolta moderata di De Gasperi, che porta
all’estromissione dei comunisti dal Governo e all’avvio di un Governo
“centrista”, gradito agli Stati Uniti -da cui derivano, come si è visto, le
principali critiche del Cominform al PCI-, garantisce all’Italia gli aiuti
per la ricostruzione postbellica (l’approvazione del “piano Marshall”, o
European Recovery Program, da parte del congresso statunitense è
infatti del 2 aprile 1948) e il suo stabile e definitivo inserimento nella
sfera d’influenza americana. Gli aiuti americani e soprattutto la loro
rappresentazione mediatica saranno una delle carte vincenti della
campagna elettorale democristiana in vista del 18 aprile, e
contribuiranno a rafforzare l’elemento religioso, già di per se di forte
presa, con uno, appunto, più prettamente materiale e quindi più
immediatamente percepibile. Il fortunato tentativo di far leva sulle
speranze di un reale e immediato miglioramento delle condizioni di
vita di milioni di italiani usciti stremati dalla guerra si evince
agevolmente dalla spettacolarizzazione connessa all’arrivo delle navi
AUSA e dall’ ”invenzione coreografica del treno dell’ amicizia”
21
.
quest’ ultima, idea personale del giornalista americano Drew Pearson,
sarà il cavallo di battaglia “della campagna di promozione degli Stati
Uniti in Italia”
22
.
Si è osservato giustamente che sarebbe “riduttivo considerare solo le
relazioni tra DC e Stati Uniti da un lato e PCI e Unione Sovietica
20
A. Lepre, storia della prima repubblica.
21
M. Isnenghi , alle origini del 18 aprile. Miti, riti, mass media, in La democrazia cristiana dal
fascismo al 18 aprile. pagg.300- 306
22
ibidem, pag. 304