4
Questo fenomeno coinvolge il problema della percezione, del tempo, dell’emozione scatenante,
dell’ordine mentale nel prima, nel durante e nel dopo, dunque, un’ipotesi sul déjà vu diviene un’ipotesi
sul come funziona la coscienza.
Ma cosa si prova durante il déjà vu? Rivivere, vivere situazioni già accadute, chissà dove, chissà quando.
Ripetere lo svolgimento della situazione attuale fino al più minuto dettaglio, sentirsi quasi in un sogno pur
sapendosi svegli, dileguarsi da se stessi senza poter scappare. Sentirsi muoversi. Stiamo vivendo
l’esperienza del déjà vu, il sentimento del già visto, che è essenzialmente déjà vécu, il già vissuto.
Fenomeno del tutto particolare e di quelli più curiosi e catturanti, il déjà vu è stato sperimentato in ogni
luogo del pianeta Terra abitato da esseri capaci di comunicare le proprie sensazioni. Ogni cultura riporta
l’esperienza di questo fenomeno, e quasi tutti l’hanno accusato con stupore o inquietudine.
“Il paradossale rivelarsi possibile dell’impossibile apre a ciascuno preziosi spazi d’interrogazione sul
senso da attribuire”
4
al tempo, alla percezione, alla conoscenza e ai contenuti della propria vita. Un’ora,
che si crede un’allora, e perciò vissuto come un di nuovo, più che un vecchio o un originale.
Henri Bergson scrisse, circa un secolo fa, uno studio su questo fenomeno, Le souvenir du présent et la
fausse reconnaissance
5
(1908). La portata teoretica di questo studio è ancora viva nell’odierna psichiatria
e neuroscienza. Questo elaborato manifesta questa continuità, proponendo in un ultimo punto, una nuova
lettura del fenomeno.
Nel primo capitolo si affronta direttamente il saggio del Bergson, utilizzando oltre a questo, le maggiori
opere del filosofo per un supporto e per una penetrazione profonda sia del fenomeno di déjà vu, sia del
metodo investigativo bergsoniano, del sistema di filosofia cosmetica
6
, o meglio, dell’organismo filosofico
dinamico-dialettico del Nostro, concludendo con l’ipotesi bergsoniana del disturbo della volontà e dunque
della dis-attenzione alla vita come causa prima dell’esperienza di déjà vu.
Nel secondo capitolo, verranno utilizzati testi critici sul Bergson (Mathieu, Ronchi, Hyppolite), e le
ultime pubblicazioni scientifiche e filosofiche riguardanti l’argomento del déjà vu (Dennett, Bodei,
Farina), mostrando, in ultimo, la distinzione contemporanea del fenomeno e constatando la sostanziale
aderenza dell’ipotesi bergsoniana della coscienza (dunque del déjà vu) alle nuove scoperte fatte
sull’argomento.
Nel terzo ed ultimo capitolo, tramite gli strumenti, gli ostacoli e gli stimoli (vale a dire, la resistenza)
acquisiti e sviluppati durante il tragitto di ricerca, viene proposta un’interpretazione del fenomeno, tramite
un più ampio utilizzo del sistema bergsoniano, e in particolare dell’opera precedente a questo studio, vale
a dire, L’évolution créatrice (1907), cercando così di rispondere alla domanda: come si percepisce durante
il fenomeno del déjà vu?
La nostra soluzione bergsoniana aderisce alla stessa spiegazione che il senso comune fornisce quando gli
si chiede in quale modalità si agisce durante un pericolo di vita: istinto.
4
Bodei Remo, Piramidi di tempo, Storia e teoria del déjà vu, Il Mulino, Bologna 2006, pag. 143.
5
Énergie spirituelle, ES, pp. 87-120.
6
Cosmologica, etica, ma anche estetica.
5
Il déjà vu è una momentanea espressione di un mancato adattamento alla realtà (continua) sociale. È la
più lieve e genuina forma di disadattamento, di disattenzione.
Si potrebbe dire che il fenomeno del déjà vu ci dota di un’esperienza di presente perpetuo, intendendo con
questo termine la presenza in sé. Questo fenomeno particolare rende evidente al soggetto la propria
presenza in ogni suo aspetto, di ogni suo aspetto coinvolto tra la libertà e la materialità dell’esistenza.
Lo studio di questa esperienza alternativa pone le basi, dunque, per una delucidazione del funzionamento
percettivo e del ruolo della coscienza nell’essere umano.
“Un ricordo futuro: litigare col tempo è legarsi al tempo, è farsi tempo”.
6
Capitolo 1: Una percezione alternativa
1. Lo strano caso del déjà vu
Il sentimento di déjà vu, è dato da un abbassamento del tono dell’attenzione fondamentale nel piano
dell’azione della coscienza. Si manifesta come falso riconoscimento. Quest’ultimo costituisce la forma
più inoffensiva di disattenzione alla vita.
Dunque, è un disturbo della volontà che dà luogo a quel fenomeno irripetibile che la maggior parte delle
persone ha provato dandosi una qualche spiegazione.
Con “sentimento di déjà vu” si intende la sensazione soggettiva che una situazione sia stata già percepita
precedentemente, associata alla consapevolezza che non può essere accaduta.
Henri Louis Bergson, nel dicembre del 1908, pubblica sulla Revue Philosophique, uno studio
approfondito su questa esperienza: Le souvenir du présent et la fausse reconnaissance.
A suo dire, se “lo slancio della coscienza, in cui si esprime lo slancio della vita, si sottrae per la sua
semplicità all’analisi”
7
, nei casi dei fenomeni particolari come il déjà vu, le condizioni dell’equilibrio
dinamico si allentano, dandoci la possibilità di analizzare lo stesso slancio della coscienza.
Ecco come Bergson descrive l’esperienza del déjà vu:
“Mentre si assiste ad un evento o si prende parte ad una conversazione, d’un tratto sorge la convinzione
che si è già visto ciò che si sta vedendo[déjà vu], già udito ciò che si sta udendo[déjà entendu], già detto
ciò che si sta dicendo[déjà dit]; che ci si trovava in quello stesso posto[déjà visité], con lo stesso
atteggiamento, sentendo[déjà senti], percependo[déjà connu], pensando[déjà pensu] e volendo le stesse
cose[déjà vécu] – insomma che si sta rivivendo fino all’ultimo dettaglio un istante della propria vita
passata. L’illusione a volte è così perfetta che ogni momento, finché essa dura, ci si crede sul punto di
predire quello che sta per accadere […] vedere il mondo esterno sotto un aspetto singolare, come in un
sogno,[…] assistere da semplici spettatori a ciò che si dice e si fa”
8
.
Se come dice Henri Bergson, la nostra esperienza-azione si riflette nell’azione e nella sua dialettica con i
bisogni che la richiamano, poiché la percezione è di natura pratica, allora il fenomeno del déjà vu, ci pone
in una alternativa di percezione, mettendoci nella posizione di riconoscere la flessione dello slancio
creativo dell’esperienza mondana.
1.1. Il falso riconoscimento
Il falso riconoscimento è determinato da un tono tensionale, da un abbassamento momentaneo
dell’attenzione alla vita, che provoca una presa diversa sulla realtà, un’alterazione della normalità
mondana. La diversa disposizione coscienziale o i toni della nostra vita come coscienza sono determinati
dalle necessità del momento nell’ambiente (adattamento) e, il che in parte è la stessa cosa, dal grado
variabile di sforzo personale (attenzione).
“Un’alterazione della stessa vita psicologica è un allentamento o un pervertimento della solidarietà che
lega questa vita psicologica alla sua concomitante dimensione motoria, un’alterazione o una diminuzione
della nostra attenzione alla vita esterna”
9
.
7
Le souvenir du présent et la fausse reconnaissance (ES, p. 118).
8
Ibidem (ES, p. 87).
9
MM, pag. 10.
7
La nostra vita psicologica è dipendente dall’azione a seconda della nostra attenzione alla vita e di come
reagiamo verso essa. Sento dunque agisco, dunque sono.
Ci sono dei toni differenti della vita mentale dilazionati da due poli estratti analiticamente dal reale:
l’azione e il sogno. Tra questi, secondo Bergson esistono differenti piani della coscienza, i quali sono
mescolanza necessaria di questo duo dialogico-analitico. Il duo, che nel concreto è unità simpatica, viene
disarticolato dall’alterazione dello sforzo attenzionale, dall’abbassamento dell’attenzione alla vita.
Se noi siamo coscienti quando siamo, in un quando determinato da uno spazio percepibile
10
, se
l’attenzione verso l’azione, verso la vita è la simpatia che unifica l’azione e il sogno, l’interesse e il
disinteresse che ci direziona nel fare, allora una momentanea disintegrazione dei piani della coscienza,
una mancanza di osmosi tra i livelli mentali, che nella normalità sempre presente partecipano in contesa,
porterebbe ad una presa diversa sulla realtà, modificando la percezione del consueto in una nuova veste
originale, che, per la repentina perdita di attenzione, confonderebbe il soggetto nella sua stessa modalità
di percezione. Si tratta del sentimento di déjà vu, che dota di una percezione alternativa scalzante il
normale riconoscimento.
Il piano dell’azione e il piano del sogno, non essendo più consuetamente connessi, aderiranno alla propria
naturale direzione, l’una nell’automatismo del fare, del muoversi nello spazio, nell’io sociale; l’altro nel
distendersi della coscienza in sé stessa, nel ripiegamento dell’eterogeneità, nell’io profondo.
Il falso riconoscimento si caratterizza come fenomeno provocante una suggestione in cui un ricordo
illusorio, provato dal soggetto durante un’esperienza, è creduto esistente anche se non localizzabile in
nessun punto del tempo (-spazio) vissuto (o storia della persona). Accade un riconoscimento ben preciso
di qualcosa di cui si sa che è passato e che, nello stesso tempo, dà l’impressione che qualcosa si sta
vivendo per la prima volta
11
. Una percezione doppia, una del presente ed una del passato.
Dunque, un’interruzione del processo percettivo, tale da separarlo in un'esperienza passata e in una
presente. “Un fenomeno doppio che da un lato è percezione e dall’altro ricordo”
12
, da una parte presente-
imminente e dall’altra passato. Il falso riconoscimento implica nella coscienza l’esistenza contemporanea
di due immagini formalmente identiche, due slanci informativi e coordinativi il soggetto stesso.
“Ciò che in realtà percepiamo è un certo spessore di durata che si compone di due parti: il nostro passato
immediato ed il nostro futuro imminente […] Poggiamo su questo passato, ci facciamo su questo futuro.
Appoggiarsi e affacciarsi in questo modo è proprio di un essere cosciente”
13
.
Un essere cosciente è primariamente un essere temporale dotato della consapevolezza del differente
trascorrere del tempo (a volte sia interno che esterno), in altre parole esser memore del cambiamento:
“Per un essere cosciente, esistere significa cambiare”
14
.
10
In quanto, la materialità di un corpo non si esaurisce dove si tocca, ma al contrario, esso è presente ovunque si percepisce (la
sua presenza); e nel quando, abbiamo memoria e riconoscimento dello svolgersi del tempo interno.
11
La differenza tra il “si sa di” e il “si sa di star per” è proprio ciò che nella consapevolezza cosciente del soggetto contraente
questa esperienza è alterata.
12
Le souvenir du présent et la fausse reconnaissance (ES, p. 90).
13
La conscience et la vie (ES, p. 8).
14
EC, p.12.
8
1.2. Sull’identità e sul suo riconoscimento
Il fenomeno del falso riconoscimento non è riducibile ad un altro fenomeno della nostra esperienza. Ne
consegue che è un’entità psicologica distinta. L’attenzione è sempre portata ad essere intrisa da qualche
motivazione. Nel nostro caso, quel sentimento particolare, quell’emozione caratteristica ha il potere di
disordinare la struttura interiore del soggetto, il suo pensare e il suo muoversi nell’ambiente.
Il soggetto, durante il fenomeno, si sente agito ma nello stesso tempo agente. Trascinato all’inevitabile
spingersi nello spazio locale, in modo meccanico, è contemporaneamente partecipe di un ego sdoppiato
che è mobilità continua.
In sé il soggetto, nella propria coscienza, è in preda ad un’impressione di sogno, in cui si è in ogni punto
senza la concentrazione di se stessi in un singolo punto; proprio perché nel sogno non ci sono luoghi
primari (giacché non è riconosciuto il concetto di spazio vigente nell’azione, o meglio, nella veglia), e l’io,
dunque, si distende.
Secondo un alto esponente della psicologia genetica francese di quell’epoca, Pierre Janet
15
, il falso
riconoscimento si ha, o si accusa, quando il soggetto è mancante di una funzione di sintesi della coscienza,
la quale gli avrebbe permesso di non subire una distorsione percettiva.
In preda ad un abbassamento del tono attenzionale, il soggetto è impossibilitato a cogliere nel suo modo
abitudinario-ordinario la realtà, non sapendo così collocare l’attenzione e, di conseguenza, collocare
l’evento che si realizza nel tempo. L’attenzione, dunque, svolge un ruolo di sintesi, una funzione del reale
per la coscienza, che fa agire nel reale il soggetto attento.
Henri Bergson sviluppa ed esamina anche le linee di ricerca di Arnaud, Pick, Forel e Kraepelin
16
, e trova
nei loro studi e nei casi da loro analizzati che il fenomeno segnalato come falso riconoscimento fa parte
integrante di un complesso di patologie che nel soggetto alterano la possibilità di descriverlo come tale,
come fenomeno indipendente. Mentre preso separatamente, il falso riconoscimento, secondo Bergson è
riscontrabile e analizzabile in molti soggetti che non presentano altri sintomi patologici. Soggetti che
vivono normalmente e che, in rari casi, subiscono questo fenomeno senza cadere in forme patologiche, le
quali di solito potrebbero convertire la modalità percettiva e preesistente in modo cronico
17
.
Il falso riconoscimento, potrebbe dunque, essere considerato come un disturbo passeggero, probabilmente
causato dalla coscienza stessa per proteggersi: per auto-conservarsi dal rischio di una possibile
conseguenza pericolosa per la coscienza del vivente, poiché diventerebbe troppo estesa nella durata
15
Questi sono i testi a cui Henri Bergson si riferisce in questi passi: Pierre Janet, Le obsessions et la psychasthénie, 1903, vol. I e
A propos du déjà vu, Journal de psychologie, vol. II, 1905.
16
In Pierre Janet, il sintomo del falso riconoscimento fa parte di un’insieme di sintomi psicastenici, in Arnaud, Pick, Forel e
Kraepelin, i soggetti-pazienti sono in preda ad una vera e propria allucinazione della memoria. I soggetti analizzati sono tutti
degli alienati con idee deliranti di persecuzione nei primi, invece quello di Kraepelin soffre di mania con allucinazioni visive ed
uditive.
17
Le patologie croniche, come ad esempio i deliri, le alienazioni, le allucinazioni persistenti, le paranoie maniacali e le forme di
psicastenia, intervengono nel soggetto in modo graduale fino a una esplosione convertente la realtà e la coscienza del soggetto
stesso. Ciò avviene senza la consapevolezza del soggetto. Nel nostro caso fenomenico particolare, è la forma di psicastenia che
viene associata al falso riconoscimento (la psicastenia è una nevrosi ossessiva; secondo Pierre Janet è data da una carenza nella
sintesi mentale, secondo Sigmund Freud, è data dal conflitto che monopolizza l’energia psichica del soggetto; in entrambi i casi
si ha una sfaldatura dell’ordine mentale consueto). Secondo Henri Bergson, il falso riconoscimento fa parte di questo gruppo di
patologie, dato che ne possiede dei tratti simili. Il Nostro continua, riferendo la possibilità che uno sviluppo eccessivo del falso
riconoscimento, se non fosse momentaneo, potrebbe convertire il soggetto in modo cronico a queste patologie della struttura
percettivo-coscienziale.
9
vivente e ordinatrice della coscienza, separando (gradualmente) con uno strappo senza ritorno, le
connessioni osmotiche dei piani della coscienza.
La coscienza, per conservarsi, riduce in alcuni momenti questo possibile pericolo, ripiegandosi su se
stessa, sfasando un ordine per crearne un altro, per reintegrare qualcosa e per rivitalizzarsi. Interviene,
dunque, una rottura del consueto percepire. Una rottura che fa percepire in modo diverso, quasi nuovo. Il
tono attenzionale
18
, o energia psichica, viene meno, e questa differente modalità dello sforzo di sintesi
modifica il senso che circonda, a cui noi ci appoggiamo per muoverci (nel mondano).
Durante il fenomeno, ciò che rimane di noi risponde all’ambiente (come l’ambiente con noi, in dialettica
costante) in modo puramente abitudinario, meccanico.
1.2.1. Manifestazioni dell’alterità psicologica
Se dunque, il fenomeno del déjà vu deve essere trattato come un’unità psichica indipendente (e
individuale), dovremmo prima di tutto fare una breve introduzione su come possono manifestarsi e cosa
possono provocare alcuni tipi di stati psicologici.
Secondo Bergson, i fatti psicologici che possono intervenire nell’andamento ordinario della persona
(l’adattamento) possono essere, ad un primo approccio, morbosi, in quanto modificano l’aspetto emotivo
del soggetto, e anormali, in quanto distolgono la direzione dell’attenzione alla vita. La struttura emotiva
cede e il bisogno cui viene richiamata l’attenzione, apparentemente, perde di senso che il soggetto dota
alla relazione stessa (costantemente in dialogo con le immagini circostanti).
Ora, la malattia o disfunzione di cui trattiamo, a causa della quale si possono riscontrare delle
concomitanti scissioni tra la sensibilità e la capacità motoria, può risultare da due tipologie disintegrative
della percezione generali e differenti. La prima è di tipo negativo unidirezionale, cioè, data un’assenza
disfunzionale nella vita normale di qualche funzione sociale e percettiva, o meglio, un cambiamento
modale della tensione della coscienza come ad esempio le amnesie o le afasie o le paralisi, si ha un
impoverimento della funzionalità abitualmente operante, un deficit patologico e pragmatico. In questo
caso, la malattia elimina solo uno o alcuni mirati livelli della funzionalità percettiva e dunque agente
nell’ambiente.
La seconda tipologia, al contrario, è negativa multidirezionale. Questa, apparentemente, potrebbe essere
considerata una tipologia positiva, in quanto, subendola, abbiamo la sensazione che qualcosa si aggiunga
al nostro percepire, arricchendo così di una presenza in più o semplicemente diversa, i modi del sentire
l’io, l’altro e l’ambiente. Ad una analisi più approfondita invece, questa tipologia di fatti psicologici
risulta essere deformante in proporzione al tempo in cui il paziente ne è soggetto. Infatti, avviene un
attacco disintegrativo a tutti od a molti dei livelli coscienziali ordinativi/ordinanti. Ciò provoca l’illusione
di avere modi nuovi di percepire.
Questa disfunzione pseudo-positiva attacca molte funzionalità dell’agire del soggetto, sia la sua capacità
di inserirsi e di penetrare ciò da cui è circondato (la percezione e l’ambiente), sia la sua capacità di
inserirsi e di penetrare ciò che esso stesso circonda e che riflette nell’ambiente e nell’altro (le affezioni).
18
Il tono attenzionale nel proprio ambiente, cioè l’intenzione del me nello spazio locale che vedo che tocco che penso e che ne
rifletto.