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dai cittadini, da un lato, e dalla politica, dall’altro. La pratica e la cultura
burocratica hanno cominciato ad essere smussate nei loro punti fondamentali
grazie alla riforma, che a partire dagli anni 90, ha spianato la strada per una nuova
cultura orientata al servizio e al risultato. L’intento è stato quello di porre il
cittadino al centro dell’azione politico-amministrativa, rafforzandone i diritti,
garantendo trasparenza, accesso, ascolto e partecipazione, nonché la soddisfazione
dei suoi bisogni, nell’ambito di una più generale ridefinizione della cultura e
dell’organizzazione amministrativa. Quest’obiettivo auspicato è stato
accompagnato in modo quasi inconsapevole, o comunque implicito, dallo
sviluppo della comunicazione pubblica e della sua affermazione come funzione
istituzionale della Pubblica amministrazione. Così è avvenuto che leggi destinate
ad affrontare questioni di natura amministrativa e di riorganizzazione di servizi e
uffici abbiano finito per normare e valorizzare il ruolo della comunicazione.
Questo è risultato inevitabile in quanto di fronte ad un insieme di norme tendenti a
prefigurare un diverso sistema pubblico e nuovi diritti per i cittadini, risultava
altrettanto evidente che, per garantire i relativi processi conoscitivi e i necessari
percorsi attuativi, la comunicazione era chiamata a svolgere una funzione
strategica. Lo sviluppo della comunicazione pubblica ha rappresentato e
rappresenta, quindi, il collante del processo d’innovazione che ha chiamato in
causa la Pubblica amministrazione, le istituzioni e i cittadini; nella Pubblica
amministrazione la comunicazione favorisce i processi di semplificazione e
modernizzazione, un modello organizzativo flessibile pensato in funzione degli
obiettivi; permette all’interno delle istituzioni di affermare un nuovo rapporto
interno ed esterno in grado di assicurare la trasparenza e la conoscenza delle
procedure e dei processi amministrativi; infine, per i cittadini la comunicazione
crea la conoscenza di atti, modalità e comportamenti che tende a porli alla pari
con l’apparato amministrativo, offrendo l’occasione di ridefinire il proprio diritto
di cittadinanza con un’effettiva partecipazione alla gestione della cosa pubblica.
Nella storia repubblicana del nostro paese, come indicato da Mancini (2002),
possono essere individuati tre distinti modelli di comunicazione pubblica
corrispondenti a tre diversi momenti. In realtà solo con riferimento alla terza fase
è possibile parlare propriamente di comunicazione pubblica, che si evolve a
6
partire dall’affermazione di un generico diritto di informazione fino a divenire
diritto di partecipazione tramite l’ascolto. Il primo modello è quello
propagandistico che ha dominato per molti anni dopo il ritorno della democrazia
fino agli anni 70. In questa fase l’attività di comunicazione è prevalentemente
un’operazione d’immagine realizzata da soggetti politici la cui identità si
sovrappone a quella amministrativa dell’istituzione di appartenenza. Si tratta si di
comunicazione ma non di comunicazione pubblica. La seconda fase storica
corrisponde a un modello di comunicazione unidirezionale in cui il flusso
informativo procede dall’istituzione verso la comunità; è certo lo svilupparsi di
una più forte coscienza del sistema dei diritti e dei doveri che segna il rapporto
delle istituzioni con i cittadini, ma questi ultimi rivestono ancora il ruolo di utenti
passivi tenuti ai margini dei processi di definizione dei bisogni e dei servizi che
l’istituzione deve o può offrire alla comunità. Si tratta di informazione basata
sull’accesso e la trasparenza. È a partire dagli anni 90 che la comunicazione
pubblica assume, sotto l’effetto della spinta normativa, i caratteri di un’attività
complessa che riguarda tutto il processo dell’azione pubblica, dalla fase di
individuazione dei problemi e di lettura dei bisogni (ascolto conoscitivo) alla fase
di gestione delle scelte (comunicazione di servizio e di trasparenza) a quella di
valutazione della qualità (ascolto e di valutazione) per implementare nuove
soluzioni e progetti di miglioramento. Questa è la fase che si caratterizza per una
filosofia fortemente orientata al cittadino che diviene soggetto partecipe al
processo di comunicazione. Le caratteristiche, almeno ideali, che assume la
comunicazione in questo suo ultimo stadio di sviluppo sono quelle che ci aiutano
a sostenere il nostro discorso sulla centralità della customer satisfaction
nell’attività di comunicazione pubblica, intesa come comunicazione di interesse
generale tramite l’ascolto. In questa definizione è importante il rapporto tra il
soggetto che comunica e l’obiettivo che si vuole raggiungere; ciò che interessa
non è quanto si trasferisce dell’informazione attraverso un mezzo, ma quale
influenza la fonte è capace di esercitare per il raggiungimento dell’obiettivo con
attenzione, dunque, alla risposta, comportamento dell’altro. Poiché il soggetto con
il quale s’interagisce nella comunicazione è un soggetto diverso, non si può
comunicare senza, prima, avere ascoltato. La comunicazione, dunque, si basa
7
sull’ascolto dell’altro e sull’analisi del suo comportamento. Inoltre, non si può
comunicare, dopo avere ascoltato, senza modificare i propri comportamenti per
ridurre la distanza tra fonte e destinatario. Qual è l’interesse che deve guidare la
comunicazione come ascolto e conseguente scelta di comportamento? L’interesse
pubblico, non inteso come interesse predeterminato e definito dalla legge ma
risultante dall’ascolto dei cittadini. La comunicazione di un’amministrazione
orientata al miglioramento e alla soddisfazione dei cittadini non può che basarsi
sull’ascolto dell’interesse pubblico come somma e compromesso tra diversi
interessi soggettivi di cui sono portatori le varie categorie di cittadini.
Per quanto detto la comunicazione pubblica trova il suo elemento distintivo nella
pratica di ascolto con interesse prioritario alla risposta di comportamento
dell’altro e conseguente variazione/adattamento del comportamento della fonte
(amministrazione) sulla base dell’interesse pubblico rilevato. Quest’ultimo
passaggio è fondamentale perché la pratica dell’ascolto abbia un senso e perché la
comunicazione pubblica permetta un ampliamento dei diritti del cittadino nella
direzione di una maggiore partecipazione. Infatti, il cittadino interlocutore
dell’amministrazione non può esercitare la sua sovranità se le esigenze rilevate
tramite le pratiche di ascolto non vengono considerate e quindi, se non vanno a
incidere per questa via, indirettamente, sul miglioramento dei servizi forniti.
Incidere vuol dire che il giudizio positivo o negativo del cittadino sullo
svolgimento della funzione deve intervenire nelle decisioni di coloro da cui
dipende la prestazione o il servizio. Quanto maggiore è la propensione della
Pubblica amministrazione all’ascolto e alla conseguente modifica del proprio
comportamento tanto più è possibile un’amministrazione di qualità, dove la
qualità è da intendersi come rispondenza delle caratteristiche dei servizi erogati
alle esigenze del cittadino. La definizione della qualità in questi termini è mutuata
dal settore dell’impresa privata, dove per primo si è affermato il modello della
Qualità Totale, un modello manageriale dove il profitto è sostituito dal cliente,
posto al centro dell’organizzazione, e dove si assume che solo la sua
soddisfazione misura il valore aggiunto dell’impresa. L’adozione della filosofia
dell’orientamento al cliente/utente, tipica della logica della qualità all’interno
dell’impresa privata, non deve però far pensare a una semplice svolta manageriale.
8
È sicuramente vero che uno dei fili conduttori del processo di riforma della
Pubblica amministrazione è costituito da una spinta verso una cultura d’impresa,
nel senso di una rifocalizzazione delle attività pubbliche dagli adempimenti
formali ai risultati sostanziali apprezzati dall’utenza. Tuttavia l’orientamento al
cliente e la logica della qualità nelle amministrazioni costituiscono soprattutto una
questione di valori. A proposito bisogna prima di tutto osservare che l’erogazione
di un bene o di un servizio pubblico non è fine a se stessa, ma è essenziale per il
rispetto di uno dei diritti fondamentali dell’uomo, quello alla propria realizzazione
come persona (Arena, 1997). L’articolo 3 della costituzione riconosce
l’insufficienza del principio di uguaglianza formale, ammettendo che, pur uguali
di fronte alla legge, i cittadini sono molto diversi quanto a condizioni economiche
e sociali. Lo stesso articolo dispone quindi, per i pubblici poteri il compito di
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando, di fatto, la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese. L’erogazione dei servizi pubblici diviene così uno
dei modi con cui i pubblici poteri rimuovono gli ostacoli di natura economica e
sociale. In questa prospettiva si comprende perché l’efficienza nell’erogazione di
tali servizi e, in generale, l’efficienza amministrativa, costituisca una questione di
valori.
La centralità del cliente nell’impresa privata, dell’utente in quella pubblica,
implica una definizione e misurazione della qualità incentrata sul grado di
soddisfazione del fruitore del bene o servizio. I metodi di misura della qualità che
si muovono in questa prospettiva sono rappresentati dalle indagini di customer
satisfaction. Possiamo qui definire sinteticamente la customer satisfaction come la
rilevazione del grado di soddisfazione dell’utenza assunta come misura della
qualità di un servizio. Le diverse tecniche di customer satisfaction prevedono la
raccolta delle valutazioni degli utenti o clienti circa le diverse caratteristiche del
servizio tramite questionari incentrati sulla tecnica delle scale. Tutti i modelli di
rilevazione proposti nella letteratura sul tema si caratterizzano come modelli multi
9
- attributo, dove il servizio
2
non è considerato come unità ma come somma di
attributi ciascuno dei quali contribuisce alla soddisfazione globale. Ne deriva il
carattere multidimensionale del costrutto di customer satisfaction.
L’attenzione è stata focalizzata su un simile approccio per due motivi
fondamentali: il primo è che la misurazione della qualità tramite indagini di
customer satisfaction basate sula centralità del cliente, è promossa dalla normativa
europea sulla certificazione e, al suo interno, dalle norme sui sistemi di gestione
della qualità, ISO 9001 e ISO 9004. In particolare la norma ISO 9001 poggia sul
cosiddetto ciclo “cliente-cliente”: partendo dall’ascolto delle esigenze del cliente,
l’azienda deve trasformare tali bisogni in prodotti/servizi che una volta erogati
devono soddisfare le richieste del cliente stesso. Il secondo motivo, per noi ancora
più importante, è dato dal fatto che l’approccio della customer satisfaction è
indicato dalla normativa italiana che ha riformato il settore pubblico, richiedendo,
tra le altre cose, la qualità dei servizi. Questa normativa, che come già si è detto,
nel suo intendimento di riformare la Pubblica amministrazione, ha portato
parallelamente allo sviluppo della comunicazione pubblica e delle pratiche di
ascolto, è stato lo spunto per il progetto di ricerca presentato nelle pagine
seguenti: un’indagine di customer satisfaction presso l’Ufficio Relazioni con il
Pubblico del comune di Torre del Greco. Nella realizzazione di questa esperienza
abbiamo attinto ai materiali in rete del laboratorio sull’ascolto dell’URPdegliURP,
un progetto che nasce nel 1998 con due principali obiettivi: costruire e sviluppare
una rete relazionale e professionale tra gli operatori della comunicazione pubblica;
aprire e presidiare strumenti e occasioni di circolazione di informazioni utili per il
lavoro dei partecipanti alla comunità. Da queste premesse sono nate diverse
iniziative, tra cui tre laboratori su temi diversi della comunicazione pubblica: un
laboratorio sul ruolo e l’identità dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, un
secondo sulla comunicazione interna e l’uso delle nuove tecnologie come
elemento per lo sviluppo delle attività degli URP, e infine il laboratorio
sull’ascolto dell’utenza e la valutazione dei bisogni con l’obiettivo specifico di
approfondire il tema della customer satisfaction. La scelta di effettuare l’indagine
2
Le tecniche di customer satisfaction sono riferite prevalentemente ai servizi per i quali, al
contrario di quanto avviene per i prodotti, non esistono aspetti tangibili che permettano di definire
standard rispetto ai quali rilevare la qualità in maniera oggettiva.
10
presso l’URP è stata dettata dal ruolo che a tale ufficio è stato attribuito dalla
Legge, configurandolo come struttura attraverso cui rendere operativi i principi
auspicati dalla riforma della Pubblica amministrazione, e insieme quelli sottesi
all’attività della comunicazione pubblica. Anche se l’URP non esaurisce per
intero le attività di comunicazione di un’amministrazione, rimane il principale
soggetto deputato a ciò, non solo perché l’attività comunicativa è insita
istituzionalmente nella sua funzione, ma anche nella sua struttura nella misura in
cui costituisce il punto di contatto, il luogo di intermediazione tra
l’amministrazione e suoi utenti.
Nel primo capitolo di questo lavoro si descrive, il percorso legislativo che ha
permesso, insieme alla ridefinizione dell’organizzazione e della cultura
amministrativa, lo sviluppo della comunicazione pubblica, individuando il filo
conduttore che lega il principio di trasparenza, lo sviluppo dei diritti del cittadino,
le attività di comunicazione e l’orientamento al risultato dell’azione
amministrativa. Il punto di partenza è un principio sancito per gli enti locali
dall’art. 7 della legge 142/90 che demandava a norme regolamentari l’emanazione
di disposizioni per assicurare il diritto dei cittadini ad accedere alle informazioni
in possesso dall’amministrazione locale. Lo stesso principio fu sancito per tutte le
pubbliche amministrazioni dall’art. 22 della legge 241/90 con la quale si è voluta
dare all’attività amministrativa una trasparenza molto più accentuata rispetto alla
normativa precedente. Il principale strumento organizzativo per favorire la
comunicazione tra cittadini e amministrazione viene individuato in un nuovo tipo
di ufficio, l’ufficio relazioni con il pubblico (URP), previsto dall’art. 12 del D. L.
3 febbraio 1993 n. 29. Tra le due normative non vi è solo un legame strumentale,
ma anche una coerenza d’indirizzo che troverà in successivi provvedimenti
ulteriori estensioni.
Prima della promulgazione della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri
dell’11-10-94 sui “Principi per l’istituzione e il funzionamento degli uffici per le
relazioni con il pubblico”, una circolare emanata dal Ministro della Funzione
Pubblica (17/1993 del 27 aprile 1993) e una direttiva del Presidente del Consiglio
dei Ministri del 27 gennaio 1994, intervennero su questa stessa materia. La
circolare propose un modello di URP al quale le amministrazioni avrebbero
11
potuto riferirsi, mentre la direttiva del 27 gennaio del 1994 individuò
nell’imparzialità, l’uguaglianza, la partecipazione, diritto di scelta, efficacia ed
efficienza, i principi quali avrebbero dovuto attenersi l’erogazione dei servizi
pubblici. È con la direttiva dell’11 ottobre del 1994 che l’attività di
comunicazione e relazione degli URP venne precisata in rapporto alle finalità,
all’attività e all’organizzazione. Le cosiddette leggi Bassanini intervengono, poi, a
inserire i principi definiti dalle precedenti leggi in un più generale contesto di
semplificazione e innovazione, ipotizzando un passaggio da un’amministrazione
centralistica e burocratica a una decentrata, efficiente ed efficace. Infine la legge
150 del 2000 legittima le attività d’informazione e comunicazione delle
amministrazioni considerandole una costante di governo. In ciascuno di questi
passaggi normativi viene chiesto non solo alla comunicazione ma anche alla
pratica di ascolto di svolgere un ruolo specifico. Al principio di garantire un
generico seppure importante diritto d’informazione, subentra la necessità di
comunicare con i cittadini per comprenderne, tramite l’ascolto e l’analisi, i reali
bisogni e migliorare i servizi. Si tratta di una comunicazione di cambiamento che
sarà descritta nella seconda parte del primo capitolo, evidenziandone la natura di
scambio e condivisione. Verrà in seguito presentata una classificazione delle
distinte aree della comunicazione pubblica. A tale proposito, va detto che è stata
fatta una scelta tra le alternative possibili tenuto conto dell’ambiguità e
disomogeneità terminologica esistenti sul tema. In questo lavoro saranno proposti
due livelli di classificazione: uno centrato sulle funzioni svolte dalla
comunicazione pubblica, distinguendo tra comunicazione funzionale e normativa,
l’altro fondato sui soggetti, gli oggetti e le finalità della comunicazione. A questo
secondo livello si distingue tra comunicazione dell’istituzione pubblica e
comunicazione di solidarietà sociale; la prima a sua volta si scompone
ulteriormente contemplando ulteriori cinque categorie non necessariamente
alternative l’una all’altra. Esse sono: la comunicazione normativa; la
comunicazione delle attività istituzionali; la comunicazione di pubblica utilità; la
promozione di promozione di immagine; la comunicazione sociale. Si distingue
dalla comunicazione pubblica nel suo insieme la comunicazione politica, la
comunicazione commerciale e l’informazione.
12
Il secondo capitolo, più specificamente dedicato alla customer satisfaction,
sempre nell’ottica che inquadra intervento normativo come principale promotore
del cambiamento, parte dalla presentazione della direttiva del Ministro della
Funzione Pubblica sulla rilevazione della qualità percepita dai cittadini del 24
marzo 2004. Essa può essere considerata come punto ideale di arrivo di un
orientamento delle amministrazioni, alimentato già dalla precedente normativa,
verso i risultati sostanziali apprezzati dall’utenza. La direttiva si riferisce
esplicitamente alla customer satisfaction come uno degli strumenti fondamentali
della Pubblica amministrazione per la rilevazione sistematica della qualità
percepita dai suoi utenti, finalizzata a progettare sistemi d’erogazione dei servizi
modellati sui bisogni effettivi dei cittadini. Prima di definire cosa si voglia
intendere per customer satisfaction, poiché i servizi costituiscono l’ambito
specifico delle amministrazioni, se ne indicano le principali caratteristiche,
evidenziando quegli aspetti che ne rendono complicata la misurazione della
qualità. Quindi si definisce la customer satisfaction attraverso la messa in
evidenza del rapporto esistente tra soddisfazione del cliente e qualità del servizio,
nonché i vari modelli di rilevazione che ricadono tutti, nonostante le differenze, in
quello che può essere definito “approccio tradizionale” alla misura della qualità.
Questi approcci partono dalla comune constatazione che la soddisfazione è il
prodotto del confronto, anche implicito, che ciascun soggetto compie tra le attese
e le percezioni che è in grado d esprimere rispetto a quanto riceve. Se la qualità
attesa è inferiore alla qualità percepita avremo soddisfazione altrimenti il cliente
/utente sarà insoddisfatto. Entrambi i termini prendono in considerazione una serie
di componenti analitiche della qualità della prestazione, interrelate con
l’importanza relativa a esse attribuita dal rispondente. In altri termini, un soggetto
cui viene richiesto di esprimere la soddisfazione/insoddisfazione, rispetto a un
servizio utilizzato, formula il suo giudizio non solo in base ad un differenziale tra
aspettative e percezioni, bensì effettuando una sintesi tra una serie di giudizi sulle
singole componenti elementari, pesando i risultati in base alla maggiore o minore
rilevanza che per lui assume ogni variabile considerata. Poiché la soddisfazione
globale è data dalla soddisfazione espressa rispetto a ogni attributo del servizio, in
questi modelli la customer satisfaction assume il carattere di una grandezza
13
multidimensionale. Questi che definiscono i tratti generali delle indagini di
customer satisfaction valgono anche quando le si realizza all’interno del settore
pubblico invece che in quello privato per le quali nascono. Tuttavia vanno
evidenziate delle differenze tra pubblico e privato che hanno delle implicazioni, se
non sul modo di rilevazione, sicuramente a livello delle interpretazioni dei dati
raccolti. Le differenze individuate sono riconducibili essenzialmente al contesto
differente nel quale operano le amministrazioni e le imprese private, ai soggetti
cui si rivolgono e alla scelta di pubblicizzazione dei risultati. Viene poi descritto il
font – office come ambito privilegiato per la realizzazione delle indagini sulla
soddisfazione dell’utenza nelle amministrazioni.
Il terzo capitolo, infine, presenta il lavoro empirico di ricerca, cioè l’indagine di
customer satisfaction realizzata presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico del
Comune di Torre del greco. Alla presentazione degli obiettivi, del campione e
degli strumenti di rilevazione segue l’analisi dei dati effettuata a due differenti
livelli. Il primo assume le caratteristiche di un rapporto narrativo nel quale
confluiscono essenzialmente le informazioni ricavate da un’indagine preliminare
che si è incentrata sia sulla consultazione di documenti, sia su un’intervista aperta
alla quale si è sottoposta la responsabile dell’Ufficio considerato. Il secondo
livello di analisi è quello relativo all’indagine di customer satisfaction realizzata
servendosi di un questionario costruito ad hoc. I risultati dell’indagine, per quanto
positivi, relativamente al grado di soddisfazione rilevato, hanno permesso di
individuare alcuni punti di debolezza dell’ufficio, così come ampiamente
documentato nelle pagine ad essi dedicate.
14
1° CAPITOLO
CAMBIAMENTO DELLA P.A. E COMUNICAZIONE
PUBBLICA
1. Verso la comunicazione pubblica: fattori normativi.
L’Italia sta vivendo un certo ritardo sul versante della comunicazione pubblica, in
gran parte imputabile alla prolungata sopravvivenza di contenuti e atteggiamenti
ereditati dalla propaganda politica attuata dal regime fascista. Infatti, il
trasferimento delle informazioni pubbliche alla cittadinanza voluto dal regime
mussoliniano, coercitivo e asfissiante nei controlli dell’opinione, si esaurì
soprattutto in un’attività di propaganda volta alla strumentalizzazione dei soggetti
cui era rivolta. Nei fatti, durante il ventennio fascista, le istituzioni statali
realizzarono una massiccia attività di divulgazione e trasferimento
d’informazione, ma ciò ai fini di una manipolazione ideologica del consenso,
trincerandosi dietro il linguaggio burocratico per eludere ogni dialogo con il
cittadino circa il contenuto dell’azione politica di Governo.
La competenza su tutte le materie riguardanti l’informazione giudicata d’interesse
pubblico fu attribuita nel 1937 al Ministero della Cultura Popolare, evoluzione del
sottosegretariato, e ministero poi, della stampa e della propaganda. Il Ministero
della cultura popolare era una struttura onnivora sul piano delle competenze che
aveva incondizionati margini di manovra su tutta l’informazione e circolazione di
notizie in ogni ambiente e che esercitava potere di sequestro e soppressione dei
giornali.
Con la caduta della dittatura si è assistito, per reazione, all’opposta tendenza dei
pubblici poteri a ritirarsi dall’informazione, favorendo l’ignoranza e
l’incomprensione delle leggi, l’oscuramento dei diritti dei cittadini nei confronti
dell’apparato statale. In tale quadro culturale è comprensibile anche l’equivoco sul
ruolo della comunicazione pubblica in Italia. Almeno fino agli anni novanta la
15
comunicazione pubblica è stata solo comunicazione politica, non amministrativa,
al punto che le due cose sono state considerate indistinte come se la
comunicazione con i cittadini potesse esaurirsi nella promozione dell’immagine e
della visibilità politica del vertice di un ente pubblico chiamato prima o poi, in
occasione delle elezioni, a ricercare consenso popolare per la riconferma della
propria posizione. A questo equivoco ha contribuito anche il ruolo dei partiti in
Italia come principali canali d’intermediazione tra istituzioni e cittadini; sono sati
i partiti politici a gestire la comunicazione pubblica mentre per decenni la
Pubblica amministrazione è stata associata nell’immaginario collettivo a una
dimensione esclusivamente burocratica (Razzante, 2003.)
L’ambiguità e l’equivoco che investe la comunicazione pubblica si riflette anche
nella nostra carta costituzionale in cui non è rinvenibile un esplicito riferimento
alla doverosità della circolazione dell’informazione tra i soggetti pubblici e tra
questi e i cittadini, né circa la pubblicità dell’agire pubblico. Per questo la
disciplina della pretesa ad acquisire tutte le notizie in mano pubblica non coperte
da segreto, deriva dal complesso delle norme costituzionali (in particolare gli
articoli 64
3
, 97
4
, 21
5
) relative al rapporto tra cittadini e stato. Ma, mentre secondo
alcuni tale disciplina costituisce la concretizzazione di un vero e proprio diritto
costituzionale, altra dottrina ritiene che si possa prefigurare solo una Pubblica
amministrazione tendenzialmente aperta nelle varie fasi deliberative, alla
conoscenza da parte dei cittadini (Faccioli, 2005). Se la copertura offerta dagli art.
64, 97 e 21 non può considerarsi esauriente, allora la strada proposta è quella di
ritenere che il principio di pubblicità dell’agire pubblico esista in quanto
strettamente legato ai principi fondamentali che connotano la nostra forma di
Stato, quali il principio democratico, il principio di uguaglianza e il principio di
legalità. Per quando riguarda il principio democratico, basta osservare che la sua
implementazione avviene fondamentalmente attraverso la partecipazione e che la
partecipazione ha come presupposto la conoscenza o, meglio, la circolazione delle
3
Il comma 2 dell’art.64 sancisce il carattere pubblico delle sedute delle Camere, anche se possono
adunarsi e deliberare in segreto.
4
Sancisce i principi d’imparzialità e buon andamento alla guida della funzione amministrativa.
5
Sancisce il diritto di libertà di espressione e manifestazione del pensiero e, quindi, il diritto
all’informazione da considerarsi o meno nella triplice accezione di informare, essere informati e
informarsi.
16
conoscenze. Nello specifico la Costituzione contiene norme di tutela della
partecipazione dei cittadini alla vita democratica delle istituzioni (art. 1, 3, 49) in
forma diretta o attraverso forma di rappresentanza; non troverebbe applicazione il
principio della democrazia rappresentativa se non avesse vigenza il principio di
pubblicità dell’attività degli organi elettivi, indispensabile per creare una base di
conoscenza utile per il maturare di decisioni e scelte consapevoli. In merito al
principio di uguaglianza, esso condiziona tutto l’ordinamento democratico, così
come osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 25 del 1996. Occorre,
dunque, che esso venga recepito sia nella disciplina dei rapporti intersoggettivi
privati, sia nei rapporti intersoggettivi pubblici, considerate omogeneità o
diversità delle situazioni (Faccioli, 2005). Infine altro collegamento è quello tra il
principio di pubblicità e quello di legalità, inteso come legalità delle istituzioni nei
loro reciproci rapporti e nei riguardi dei cittadini. Infatti, la comunicazione
pubblica, nella sua forma composita, ha l’obiettivo di concorrere ad ordinare il
rapporto tra cittadini e Stato, tra autorità e libertà.
Sulla scia di simili riflessioni si è arrivati dunque a sostenere, con riferimento
all’azione pubblica, che il segreto è l’eccezione e la pubblicità è la regola da
attuare.
Gli anni fondamentali perché si affermasse, anche da un punto di vista
strettamente giuridico, il dovere delle istituzioni di conformare il loro
comportamento ad un principio generale di pubblicità, prevalente su quello di
segretezza, e in cui si è realizzata la fuoriuscita dal pregiudizio della
comunicazione come manipolazione dell’opinione pubblica così come avvenuto
durante il regime fascista, sono quelli che vanno dalla seconda metà degli anni
ottanta del secolo scorso ad oggi. Solo nel 1988, con la riforma della Presidenza
del Consiglio dei Ministri e la conseguente trasformazione in Dipartimento della
Direzione generale delle informazioni, dell’editoria e della proprietà letteraria ed
artistica, si è avviato in Italia il dibattito istituzionale e politico sul tema della
comunicazione pubblica. L’interesse per la comunicazione pubblica degli anni
ottanta era, tuttavia, subordinato a quello per il sistema informativo e alla sua
riorganizzazione. È negli anni novanta che il rinnovamento dell’amministrazione
pubblica diviene una priorità, e al proprio interno la comunicazione viene
17
considerata come la risorsa strategica per superare la chiusura autoreferenziale che
costituiva il freno maggiore a qualsiasi intervento innovatore. Da questa nuova
consapevolezza derivarono sia i provvedimenti legislativi che legittimarono la
centralità della comunicazione, sia interventi e strutture organizzative che
concretizzarono quanto previsto a livello normativo. In particolare le leggi
fondamentali che hanno definito la stretta connessione tra la riorganizzazione
degli apparati burocratici, i nuovi diritti dei cittadini e la comunicazione delle
istituzioni sono la legge 142 del 1990, la legge 241 del 1990, il D. Lgs. 29 del
1993. Poi con le leggi Bassanini questi principi sono stati inseriti nel contesto di
processi di semplificazione e di innovazione; infine la legge 150 del 2000
interviene a legittimare la comunicazione e l’informazione come costante
dell’azione di governo nella Pubblica amministrazione.
1.1. I principi di partecipazione e di accesso: la legge 142/1990.
L’avvio del cambiamento istituzionale in cui s’inserisce lo sviluppo della
comunicazione pubblica coincide con l’approvazione della legge 142 del 1990,
legge di riforma e di riorganizzazione dei comuni e delle province italiane,
intitolata, appunto, Ordinamento delle autonomie locali. Essa può essere
considerata come il momento conclusivo di un lungo percorso di riforma
dell’assetto istituzionale del paese in ottica di decentramento, apertosi con
l’istituzione delle Regioni nella metà degli anni Settanta.
La 142 ha conferito per la prima volta ai comuni e alle province un’autonoma
potestà statutaria; questa costituisce la massima espressione della possibilità di
dotarsi di un proprio ordinamento modellato sulle esigenze ed i caratteri della
propria comunità. Infatti, con lo Statuto vengono stabilite le attribuzioni degli
organi (compiti del consiglio, della giunta e del sindaco), l’ordinamento degli
uffici e dei servizi pubblici, la modalità di collaborazione di comuni e province e,
novità importante della 142, della partecipazione popolare, dell’accesso dei
cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi. Mentre lo statuto
determina a livello generale l’ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, il
18
loro funzionamento viene precisato nei regolamenti. Con riferimento
all’autonomia dei comuni e delle province, si può dire, dunque, che la nuova
normativa ha sostanzialmente modificato il ruolo degli enti locali. Sul versante
funzionale, si è passati da un insieme di funzioni rigidamente stabilite dalla legge
al riconoscimento di un’autonomia istituzionale e finanziaria. “ Sul piano politico-
istituzionale, le deboli giunte di coalizione sono state sostituite da una salda
leadership monocratica, a cui è stata attribuita un’ampia discrezionalità anche
nella scelta delle massime figure dirigenziali (segretario comunale e direttore
generale). Con riferimento all’erogazione dei servizi, la gestione in proprio ha
ceduto il posto alle reti, alla compartecipazione fra pubblico e privato (società
capitali, aziende speciali e istituzioni) o alla completa privatizzazione. Il regime
pubblico di reclutamento e di assunzione del personale è stato modificato a favore
di una maggiore liberalizzazione dei contratti e degli incarichi e di una maggiore
mobilità intra e interorganzzativa” (www.regione.emilia-romagna.it).
Un articolo molto importante della legge in questione è l’art. 6 in cui vi è
l’esplicita previsione di istituti di partecipazione dei cittadini. È nel comma uno
del suddetto articolo che si può cogliere il cambiamento nella definizione del
rapporto tra l’istituzione politica e la società civile, non più autoritativo, limitato
solo al contributo della comunità alla costituzione della propria classe dirigente.
Ciò grazie al riconoscimento di libere forme in cui i cittadini si associano come
forme sociali intermedie, legittimate, in quanto veri e propri soggetti attivi della
vita pubblica, ad intervenire nel processo di presa di decisione. Quest’azione
incentivante per le formazioni spontanee è diretta a valorizzarne il ruolo
nell’ambito del confronto democratico dell’ente locale. I cittadini devono poter
partecipare al procedimento relativo ad atti amministrativi che modificano la loro
situazione giuridica soggettiva. A tal fine devono essere previste forme di
consultazione della popolazione e predisposti i modi in cui cittadini singoli o
associati possano presentare al comune istanze, petizioni e proposte, garantendo
che gli organi comunali esaminino le proposte e rispondano tempestivamente, al
fine di realizzare effettiva partecipazione.