3
distorsioni fiscali che tali difformità determinano sul sistema economico globale.
Verranno esaminate anche le indicazioni della Commissione Europea e gli strumenti
di cooperazione internazionale utilizzabili al fine di evitare fenomeni di dannosa
concorrenza fiscale e i progressi registrati ad oggi relativamente all’imposizione
diretta.
Infine, verrà analizzata la situazione attuale con riferimento al caso emblematico dei
tre Stati Baltici, la cui crescita economica spettacolare degli ultimi dieci anni e le
direttive adottate in materia di imposizione societaria, li hanno portati spesso al
centro di un aspro dibattito con i vecchi quindici Paesi.
Le accuse di dumping fiscale mosse dagli stati conservatori dell’Europa Occidentale
non hanno ancora però trovato accoglimento all’Est e neanche presso le autorità di
Bruxelles.
Il presente lavoro costituisce quindi un primo tentativo di ricognizione e di
sistematizzazione dell’immenso materiale disponibile sulla fiscalità d’impresa degli
ultimi dieci Paesi aderenti all’Unione Europea.
4
CAPITOLO 1
L’ALLARGAMENTO A EST
L’Unione Europea è un palazzo in costruzione. Le sue fondamenta si basano su una
tradizione storica, politica ed economica molto antica, nonché nella necessità di
superare rivalità ataviche tra le nazioni europee.
Attraverso un processo che si è sviluppato in tappe diverse, l’Unione è giunta infatti
all’ottenimento di successi politici ed economici che, con ampliamenti successivi, ne
hanno fatto una vera e propria potenza internazionale: dal 1957 (firma dei trattati di
Roma) ad oggi altre cinque fasi del processo hanno creato la cosiddetta “Europa a
venticinque”.
L’allargamento verso est, portato a termine il 1°maggio 2004 con la ratifica del
trattato di adesione da parte della Polonia, Estonia, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Slovenia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Malta e Cipro, risulta particolarmente
significativo: in termini di popolazione, i 75 milioni di abitanti dei nuovi Paesi
rappresentano il più grande allargamento nella storia dell’Unione Europea (UE). E
sono anche ragguardevoli le dimensioni dell’allargamento in termini di superficie (al
secondo posto nelle cinque fasi di allargamento). Relativamente modesto è tuttavia il
peso economico dei Paesi. In termine di PIL pro capite, infatti, questi Paesi sono
notevolmente più poveri dei “vecchi”15 membri dell’UE. Ad eccezione di Cipro e di
Malta, peraltro, si tratta di Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico e quindi di
realtà complesse che stanno completando il processo di transizione da sistemi
economici pianificati a economie di mercato.
L’ingresso dei 10 Paesi è stato subordinato al rispetto delle disposizioni comunitarie
e al recepimento dei principi cardini su cui si poggia l’ordinamento comunitario.
5
1.1 PROSPETTIVA STORICA
Con i trattati di Roma del 1957 sei Paesi (Belgio, Francia, Germania Federale, Italia,
Lussemburgo e Paesi Bassi) istituiscono la Comunità Economica Europea (CEE). Da
allora il processo di unificazione e di integrazione ha vissuto, oltre a quella attuale,
quattro diverse fasi di allargamento.
Nel ’73 sono entrate Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, nell’81la Grecia, nell’86 il
Portogallo e la Spagna e nel ’95 Svezia, Austria e Finlandia. Ognuno di questi
allargamenti ha avuto modalità e caratteristiche diverse. Sono stati molto rapidi
l’allargamento alla Grecia e quello del ’95, con negoziati impostati in tempi stretti e
conclusi altrettanto velocemente per via soprattutto delle concomitanti e parallele
spinte politiche.
Meno veloci e molto più difficili sono il primo allargamento nel ‘73 (Irlanda, Gran
Bretagna e Danimarca) e quello dell’86 (Spagna e Portogallo).
L’ingresso di un nuovo Paese nell’Unione Europea è regolato da rigide procedure. Il
negoziato per la firma del Trattato di adesione è condotto dalla Commissione, che
rappresenta l’Unione nel confronto con ogni singolo candidato. La conclusione
dell’intero processo è condizionata dalla ratifica finale da parte dei Paesi membri e
del nuovo entrante del Trattato firmato dalle parti
1
.
Il percorso di avvicinamento dei Paesi candidati all’Unione Europea è stato
caratterizzato da una gestione non sempre lineare dei rapporti dei singoli paesi
candidati fra loro. Dopo una prima fase in cui, grazie alla creazione degli accordi di
Visegrad nel 1991, si era creata una possibile sintonia tra Ungheria, Polonia,
Repubblica Ceca e Slovacchia, e in seguito all’istituzione del Consiglio Baltico, sul
modello di quello che unisce i Paesi Nordici, a partire dalla strategia di preadesione
fissata a Essen nel 1994, si è creato un rapporto bilaterale tra l’Unione e ognuno dei
Paesi Candidati ed è stato incentivato il percorso che spingeva proprio i Paesi
candidati a integrarsi reciprocamente in via preliminare.
La destrutturazione del dialogo tra l’Unione Europea e i Paesi candidati ha avuto
come conseguenza la possibilità che si arrivasse a ingressi differenziati e intervallati
nel tempo. Se ciò ha permesso di imprimere una certa pressione ai singoli Paesi, ha
però inficiato l’opportunità di far crescere parallelamente forme di integrazione
1
B.Olivi (2003), L’Europa difficile. Storia politica dell’integrazione europea 1948-2000. Capp.2-3
6
regionale che in un Europa allargata rappresentano una prospettiva obbligata. I
vertici di Lussemburgo (1997) e di Helsinki (1999) hanno tirato le fila dei singoli
percorsi di convergenza, creando due distinti gruppi di Paesi candidati ammessi ai
negoziati. Del primo gruppo facevano parte Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria,
Cipro, Estonia e Slovenia. Di quello di Helsinki, Bulgaria, Romania, Lettonia,
Lituania, Slovacchia e Malta. Il vertice di Helsinki ha anche deciso che i due gruppi
si ricongiungessero e che i dodici Paesi avessero le stesse possibilità di ingresso.
A partire dal 1997, la Commissione ha elaborato pareri annuali sui progressi compiuti dagli stati candidati rispetto ai criteri
stabiliti a Copenaghen per l’adesione. Tra il 1997 e il Consiglio di Copenaghen del dicembre 2002 i dieci Paesi candidati hanno
rapidamente soddisfatto i criteri politici. Durante il secondo semestre del 2001 si è verificata l’accelerazione che ha portato alla
scelta dell’ingresso simultaneo di quasi tutti i candidati.
2
Nell’aprile 2003 i dieci Paesi candidati e i quindici Stati membri hanno
infine firmato ad Atene il Trattato di adesione, poi ratificato da ogni contraente il 1° maggio 2004.
1.2 LA FASE DI PREADESIONE E I SUOI STRUMENTI GIURIDICI
L’allargamento ai Paesi dell’Europa centro-orientale vive tre periodi distinti
3
.
Il primo è quello legato agli Accordi di associazione firmati tra l’UE e i candidati
all’ingresso, con l’obiettivo si stabilire un quadro certo di relazioni istituzionali ed
economiche; il secondo si riferisce all’applicazione dei criteri decisi a Copenaghen
nel 1993 dal consiglio Europeo, e quindi dell’avvicinamento del Paese candidato alle
regole dell’Unione. Il terzo periodo riguarda infine l’apertura dei veri e propri
negoziati per l’adesione.
Gli accordi di associazione erano già stati individuati nel dicembre 1989 al Consiglio
Europeo di Strasburgo, come lo strumento più idoneo a formalizzare, nei tempi più
rapidi possibili, forme di collaborazione istituzionale con i Paesi dell’Europa
Centrale e Orientale (PECO).
Si diede allora vita agli “Accordi europei”, accordi di associazione rafforzati.
Gli accordi furono siglati con l’Ungheria, la Polonia e l’allora Cecoslovacchia il 16
dicembre 1991. Questi Paesi firmarono il 15 febbraio del 1991 a Visegrad una
Dichiarazione di cooperazione finalizzata a creare forme di integrazione che
facilitassero e accompagnassero il processo di convergenza con l’Unione Europea.
La successiva divisione della Cecoslovacchia indebolì fortemente il processo di
integrazione ma non lo impedì.
2
G. Mammarella e P. Cacace (2004), Storia e politica dell’Unione Europea. Pp. 297-304
3
T. Favaretto (2005), Allargamento a est e integrazione europea. Pp. 18-35
7
Agli accordi con i primi quattro Paesi, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia e la
Repubblica Ceca, si aggiunsero gli accordi europei firmati nel 1993 con Bulgaria e
Romania, nel 1995 con le tre Repubbliche Baltiche e, infine, nel 1996 con la
Slovenia.
Gli altri tre Paesi candidati, Turchia, Malta e Cipro avevano legami con l’UE
precedenti agli Accordi Europei (1964-1971-1973). In ciascuno di questi casi gli
accordi hanno reso possibile un effettivo impiego di tutti gli strumenti finalizzati alla
convergenza economica, giuridica e istituzionale, hanno rappresentato cioè una lunga
anticamera ai negoziati veri e propri per l’adesione.
I temi sui quali gli accordi hanno operato sono stati quelli legati ai problemi di
maggior rilevanza nei processi di convergenza tra le due parti. Il principale obiettivo
era la liberalizzazione degli scambi attraverso forme di Unione doganale che
consentissero la libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi. In linea con
questa priorità si sono sviluppate poi forme di cooperazione economica e finanziaria
finalizzate all’impiego, da parte dei paesi candidati, di tutti gli strumenti funzionali
alla ristrutturazione dei singoli verso un’economia di mercato. Altro obiettivo, il
dialogo politico mirato a far convergere le rispettive posizioni nel campo della
politica estera e della sicurezza europea. Gli accordi europei hanno operato con il
fine principale di avvicinare le legislazioni dei Paesi candidati a quelle dell’UE, e il
lavoro svolto in questo campo ha consentito di preparare il terreno al complesso e
ampio lavoro di avvicinamento legislativo previsto dai negoziati veri e propri.
Fin dai primi accordi di associazione con i PECO, l’UE crea nel 1989 il Programma
Phare ( Poland and Hungary: action for the restructuring of the economy) con
l’obiettivo di individuare strumenti concreti per facilitare la convergenza economica
e amministrativa. Il programma Phare è stato in seguito esteso a tutti gli altri Paesi
associati all’unione attraverso gli accordi del 1991 e del 1996. Nel 1997, con
l’accelerazione del processo di allargamento , ci si è orientati verso veri e propri
obiettivi di pre-adesione. Con Agenda 2000, a Phare sono stati affiancati i
programmi Sapard (Special assistance programme for agricolture and rural
development), strumento finanziario dedicato al settore agricolo, e il programma Ispa
(Instrument for structural policies for precession), mirato a progetti ambientali, di
8
infrastrutture e di trasporto
4
. I tre strumenti di preadesione hanno trasferito ai paesi
allora candidati una rilevante quantità di risorse economiche, ma forse ancor più
rilevante è stato il processo di adeguamento strutturale che l’applicazione di questi
programmi ha innescato nei PECO.
1.3 IL VERTICE DI COPENAGHEN: I CRITERI POLITICI ED ECONOMICI
PER L’ADESIONE
Il consiglio Europeo di Copenaghen del giugno 1993 ha fissato i criteri con i quali ha
avuto inizio il lungo percorso di avvicinamento dei PECO all’Unione.
I criteri di Copenaghen fissano obiettivi che non era stato necessario applicare per i
precedenti allargamenti, avvenuti nei confronti di paesi in cui l’economia di mercato
e la stabilità democratica, erano acquisiti.
I criteri sono riconducibili a quattro obiettivi: per i primi tre, la responsabilità viene
assegnata agli stati candidati, mentre il quarto riguarda il contesto generale di
compatibilità tra l’allargamento e l’approfondimento della coesione interna
all’Unione Europea.
I tre criteri di condotta dei Paesi candidati richiamano nell’ordine condizioni
politiche, economiche e istituzionali. Quello politico ha condizionato l’ingresso ad
una stabilità istituzionale che garantisse la democrazia, il principio di legalità, i diritti
umani, il rispetto e la protezione delle minoranze. Questo criterio ha comportato
negli anni interventi difficili nella legislazione dei Paesi candidati, dalla pena di
morte in Turchia alla tutela delle tante minoranze che compongono il mosaico etnico
dell’Europa centro-orientale.
Il requisito economico richiede l’esistenza di un’economia di mercato funzionante e
la capacità di rispondere alle pressioni della concorrenza e del mercato all’interno
dell’Unione. Data la peculiare storia economica dei candidati, questo criterio ha
imposto all’Unione sforzi significativi per rendere più rapida la transizione
economica e per creare le condizioni di mercato.
4
F.Boccia, R.Leopardi, E.Letta e T.Treu (2004), I mezzogiorni d’Europa. Verso la riforma dei fondi
strutturali. Pp. 91-93