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1. La ratio.
L’adozione internazionale – cioè il rapporto di adozione tra due
soggetti di diversa nazionalità – ha acquisito in Italia dimensioni
rilevantissime a partire dagli anni ’80, poiché varie cause hanno
ridotto al minimo il numero dei bambini italiani adottabili. La
normativa materiale italiana, infatti, si caratterizza rispetto alle
corrispondenti leggi straniere per le condizioni particolarmente
rigorose cui l’adozione è subordinata. Questi caratteri della disciplina
interna e la laboriosità procedurale che ne discende, unitamente
all’eccesso di domande di adozioni rispetto al numero di minori
italiani adottabili, tendono ad incentivare, come la pratica ha
dimostrato, il ricorso all’adozione internazionale nella quale è
possibile orientarsi verso Paesi “esportatori” di bambini, essendo
consentito – in taluni casi – anche scegliere il bimbo da adottare. Di
qui la preoccupazione del legislatore che le rigorose cautele interne
potessero essere eluse e, quindi, la decisione di regolamentare
dettagliatamente l'adozione internazionale.
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2.1. L’evoluzione storica: le norme del codice civile e il
sostanziale silenzio della legge 431/67.
Storicamente l’istituto dell’adozione ha subito, a partire
dal codice civile del ’42, un’evoluzione notevole; infatti l’unica
norma del nostro ordinamento che all’epoca disciplinava le
adozioni in presenza di elementi di estraneità era l’art. 20,
comma 2° disp. prel. cod. civ., in ossequio del quale i rapporti
tra adottante e adottato erano regolati dalla legge del primo al
momento dell’adozione. Qualora, invece, non si fosse trattato di
regolare un rapporto già stabilito, ma di costituirlo, in
applicazione della norma che disciplinava lo stato e la capacità
delle persone, ovvero l’art. 17 delle preleggi, si doveva far
riferimento alle leggi nazionali dei soggetti interessati, con il
rinvio cumulativo ad entrambe, se la loro nazionalità fosse stata
differente.
Successivamente la legge 431/67, pur inserendo nel nostro
ordinamento l’adozione dei soggetti di età minore come istituto
distinto rispetto all’adozione dei soggetti maggiorenni, non
9
conteneva alcuna disposizione relativa all’adozione
internazionale, ad eccezione dell’art. 5, il quale stabiliva che il
minore di nazionalità straniera, legittimato per adozione da
coniugi italiani, acquistasse di diritto tale cittadinanza.
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2.2. La Convenzione di Strasburgo del 1967.
Il 25 agosto 1976, a seguito della legge di ratifica 357/74,
è entrata in vigore, in Italia, la Convenzione europea
sull’adozione dei minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967.
La stessa, peraltro, pur se studiatissima in dottrina e fonte di
approfondite ricerche teoriche, non ha innovato in alcun modo
la legislazione vigente, né ha avuto conseguenze di una certa
rilevanza in tema di adozione internazionale.
Infatti l’art. 1 di tale Convenzione reca soltanto l’impegno
delle parti contraenti a rendere la propria legislazione conforme
alle disposizioni contenute nella seconda parte della
Convenzione stessa, con la conseguenza che fino a quando tale
modifica non sarà attuata dal nostro legislatore nazionale,
continuano ad essere applicabili esclusivamente le norme della
legge italiana. Il carattere not self-executing delle norme della
Convenzione è stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza
sia in tema di adozione da parte di persona singola,
espressamente ammessa dall’art. 6 della Convenzione ed
11
esclusa, invece, dalla legge italiana,1 sia in tema di differenza di
età tra l’adottante e l’adottando rispetto anche ad uno solo dei
coniugi. 2
1
Cass., 21.7.95, n. 7950, in Guida al diritto, Il sole 24 ore, n. 31/95, pag. 26.
2 Corte d’Appello Napoli, 27.12.96, in Diritto di famiglia, 1997, pag. 989.
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2.3. La legge 184/83.
Come già detto, nei primi anni ’80, in Italia accanto alla
generale necessità di predisporre strumenti legislativi in tema
d’adozione che maggiormente rispecchiassero la trasformazione
giuridica e sociale, fu oggetto di particolare riguardo il
fenomeno delle adozioni di minori stranieri da parte di cittadini
italiani, sulla scia di un movimento mondiale di commercio di
minori (provenienti soprattutto da aree geografiche
sottosviluppate), apparentemente a scopo di adozione, ma, a
volte, a fini ben diversi. Tali adozioni che si costituivano
all’estero, sembravano, da un alto, non garantire minimamente il
minore, poiché spesso non sottoposte nel paese di origine a
controlli giurisdizionali o amministrativi, dall’altro lato, non ne
tutelavano il futuro, poiché gli adottanti non venivano sottoposti
ad alcun controllo preventivo di “affidabilità”, con la
conseguenza che, in alcuni casi, il minore strappato al paese di
origine, magari con il consenso dei genitori, non si trovava poi a
vivere una situazione di figlio, ma di sfruttamento fisico o
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morale. Spinto da tali contingenze, con una scelta legislativa
comprensibile ma tecnicamente discutibile, il 4/5/83 il
legislatore introduceva nel nostro ordinamento la legge n. 184
sull’adozione e l’affidamento dei minori, recante nel titolo III
(artt. 29-43) un complesso di norme sull’adozione internazionale
dei minori. Le aspettative, però, sono andate in parte deluse.
Indubbiamente apprezzabile per l’originalità di talune soluzioni
adottate, la legge presentava, infatti, problemi di coordinamento
con le disposizioni delle preleggi, a causa anche della scelta,
inusuale per il nostro legislatore, di emanare un apposito corpo
di norme materiali per le adozioni internazionali, in luogo di
introdurre nuove norme di conflitto. A ciò si aggiunga che, per
consolidato orientamento giurisprudenziale,3 avallato dalla
stessa Corte Costituzionale,4 era stato riconosciuto alle
disposizioni in materia il carattere di norme di applicazione
necessaria, sancendo così la preminenza della lex fori ed
assegnando un ruolo residuale ed oltremodo circoscritto al gioco
3
Cass., 3.2.92, n. 1128, in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, pag. 147 e segg..
4
Corte Cost., 11.12.89, n. 536, in Riv. dir. int., 1989, pag. 940 e segg..
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delle norme di diritto internazionale privato. Inoltre non trovava
una disciplina organica né il problema della giurisdizione dei
nostri giudici, né quello del riconoscimento delle sentenze
straniere. La dottrina internazionalprivatistica, tuttavia, elaborò
con un “faticoso lavoro di intarsio”5 un’organica materia
adottiva minorile, attingendo dagli articoli della legge n. 184, sia
in ordine alla giurisdizione italiana (per la quale si faceva rinvio
alle norme della competenza per territorio), sia per il
riconoscimento delle sentenze straniere.
5
ZICCARDI, Ordine pubblico e convenzioni internazionali sul riconoscimento di atti stranieri di
adozione di minori, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995, pag. 7.
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2.4. La legge 218/95.
La legge di riforma del diritto internazionale privato
dedica alla materia dell’adozione quattro articoli, tutti inseriti
nel Capo V. I primi due riguardano la legge applicabile,
rispettivamente ai presupposti, alla costituzione e alla revoca
dell’adozione (art. 38) ed ai rapporti tra adottante ed adottato
(art. 39); l’art. 40 regola la giurisdizione sia per la costituzione e
la revoca dell’adozione (comma 1°), sia per i rapporti personali
e patrimoniali tra adottato ed adottante (comma 2°); infine l’art.
41 disciplina il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di
adozione.
La legge di riforma nasce con l’ambizione di mettere
ordine negli aspetti internazionali della materia. Così nella
Relazione al progetto di riforma presentato nel 1989 dalla
Commissione ministeriale, si può leggere con riferimento a
quello che era l’art. 36 (corrispondente all’attuale art. 38) che
“la Commissione, pur apprezzando i principi ispiratori della
disciplina attuale, ha ritenuto opportuno regolare la materia con
norme che, in caso di contrasto, abroghino le norme della legge
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speciale”. Senonché, nel testo del disegno di legge, presentato al
Senato il 29 aprile 1993, gli articoli 36-39 del progetto
originario, relativi all’adozione, erano stati volontariamente
eliminati. 6 Essi sono stati reintrodotti durante l’iter parlamentare
della legge con alcune modifiche di non poco conto. La
soppressione degli articoli sull’adozione si spiegava con il
desiderio di non interferire con i lavori di riforma della legge
184/83 concretatisi in un progetto elaborato da un’apposita
commissione ministeriale. Già in sede di commento del progetto
di riforma era stato rilevato come la mancanza nel disegno di
legge n. 1192 di una disciplina compiuta degli aspetti
conflittuali dell’adozione rischiava di “lasciare aperte delle
lacune nel sistema di diritto internazionale privato in ordine
all'istituto in questione”.7
Da qui la decisione di procedere comunque alla riforma
6
FUMAGALLI, La riforma del diritto internazionale privato nel disegno di legge governativo, in
Riv. dir. int. priv. proc., 1993, pag. 496, per il quale la loro soppressione significava preferenza per
la soluzione ricavabile dalla legge 184/83.
7
DAVI’, Le questioni generali del diritto internazionale privato nel progetto di riforma , in La
riforma del diritto internazionale privato e processuale. Raccolta in ricordo di E. Vitta a cura di
G. Gaja, Milano, 1994, pag. 128.
17
delle norme sia sulla giurisdizione sia sulla legge applicabile
alle adozioni che presentano elementi di estraneità, lasciando
alla legge di riforma delle norme sostanziali il compito invece di
risolvere questioni ancora aperte.
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2.5. La Convenzione dell’Aja del ’93
e la legge 476/98.
La tanto attesa legge di riforma delle norme sostanziali è
intervenuta pochi mesi fa ed ha novellato radicalmente – in
riferimento però ad un aspetto meramente procedurale –
l’istituto dell’adozione internazionale ed in particolare quella
forma di adozione che riguarda soggetti minori di età.
Come risulta dalla sua stessa intitolazione,8 la legge
476/98 si articola in due parti distinte. Nella prima si autorizza il
presidente della Repubblica – a norma dell’art. 87, comma 8°,
della Costituzione – a ratificare la Convenzione dell’Aja del 29
maggio 1993, sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia
di adozione internazionale, nonché si dispone che la
Convenzione stessa abbia esecuzione in Italia con decorrenza
trascorsi tre mesi dalla data in cui avverrà il deposito – presso il
8
“Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di
adozione internazionale, stipulata a L’Aja il 29/05/93. Modifiche alla legge 184/83 in tema di
adozione di minori stranieri”, in Gazzetta Ufficiale, 12.1.99, n. 8.
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Ministero degli Esteri del Regno dei Paesi Bassi – dello
strumento di ratifica.
L’art. 1 della citata legge – nel fissare l’oggetto della
Convenzione medesima – precisa che i suoi scopi precipui sono
essenzialmente la tutela, nelle adozioni internazionali,
dell’interesse superiore del minore, nel rispetto dei suoi diritti
come riconosciuti nell’ambito del diritto internazionale; la
realizzazione, tra gli Stati contraenti, di un sistema di
cooperazione ossequioso dell’esigenza sopra indicata al fine di
prevenire la sottrazione, la vendita o la tratta dei minori; nonché
la garanzia del riconoscimento, negli Stati contraenti, delle
adozioni realizzate in conformità ad essa.
Nella seconda parte della legge 476/98, per ciò che
maggiormente interessa, si introducono le modifiche del caso
alla legge 184/83 sull’adozione dei minori, al fine di rendere la
normativa italiana conforme ai precetti fissati dalla
Convenzione, vuoi con riguardo all’adozione internazionale di
minori stranieri da parte di cittadini italiani (articoli 3, 4 e 6),
vuoi con riferimento all’eventualità che minori di età, cittadini
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italiani, siano adottati da residenti all’estero, stranieri o cittadini
(articolo 5).
Pertanto l’intenzione della presente disamina sarà quella di
analizzare i singoli articoli della legge 218/95 riguardanti
l’adozione internazionale, evidenziando, da un lato, la
funzionalità del nuovo sistema di conflitto previsto, anche in
relazione alla precedente (già novellata) legge 184/83, dall’altro
le eventuali modificazioni apportate a tale sistema dalla recente
legge 476/98.