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attribuiti ai servizi degli enti locali, con particolare attenzione al
nuovo e più complesso ruolo di preparazione, informazione e
formazione delle coppie (art.29bis L.n.476/98) che viene loro affidato
ed al limite di quattro mesi per l’invio della relazione degli stessi al
Tribunale per i Minorenni (ibidem).
In particolare abbiamo analizzato come si è modificata l’attività
degli operatori del Consultorio Famigliare del Distretto 3, ASL Città
di Milano, che da anni attuavano un modello operativo che pareva
rispondere in modo efficace ed efficiente, sia alla richiesta delle
coppie che al mandato del Tribunale per i Minorenni. La scelta si è
orientata verso questo consultorio in quanto chi scirve ha avuto la
possibilità di svolgervi il tirocinio, previsto al terzo anno del corso di
Diploma Universitario in Servizio Sociale, di approfondire le modalità
precedenti alla L.n.476/98 e di sperimentare le prime modificazioni
della stessa al fine di adeguarsi alla nuova normativa.
Il presente lavoro si articola in quattro capitoli che affrontano la
tematica adottiva sia dal punto di vista giuridico, trattato in linee
generali, sia dal punto di vista sociale degli operatori e dei servizi
sociali degli Enti locali che operano nell’istituto adottivo.
Nei primi due capitoli vengono prese in considerazione
rispettivamente la legge n.184 del 1983 e la successiva legge n.476 del
1998 che, ratificando la Convenzione dell’Aja del 1993, modifica il
titolo III della legge precedente inerente all’adozione internazionale.
Questi capitoli costituiscono una premessa indispensabile per
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comprendere l’attività dei servizi ed i suoi rapporti con il Tribunale
per i Minorenni.
La nostra attenzione è stata posta principalmente sull’adozione
internazionale in quanto è l’unica ad essere stata modificata. Tuttavia,
per una maggiore completezza espositiva e per una migliore
comprensione della legge stessa è stata trattata, in linee più generali,
anche l’adozione nazionale.
La terza parte del presente lavoro introduce la filosofia operativa
del Consultorio famigliare a cui abbiamo fatto riferimento e tratta in
modo dettagliato tutti gli aspetti relativi al percorso adottivo svolto
dalla coppia con i servizi territoriali. Si parte dalla conoscenza delle
coppie, con particolare riferimento alle motivazioni delle stesse,
passando per il momento della relazione psicosociale, molto
importante per le coppie e per la relazione col servizio, fino al
momento dell’affido preadottivo.
Il quarto presenta il Consultorio Famigliare del Distretto 3, ASL
Città di Milano, la sua filosofia e il modello operativo come era
attuato fino al Dicembre 1998, con particolare riferimento all’uso del
gruppo come strumento di formazione delle coppie adottive.
Strettamente collegato al precedente l’ultimo capitolo contiene
l’analisi dei dati, rilevati degli operatori del consultorio sopracitato,
relativi a due differenti gruppi di coppie adottive. Il primo gruppo,
chiamato di controllo, è costituito da coppie che sono state seguite dal
servizio senza l’uso del gruppo nel percorso di formazione; mentre il
secondo gruppo, chiamato di ricerca, è costituito da coppie che sono
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state seguite con la modalità operativa precedentemente analizzata,
che prevede l’uso del gruppo nella formazione.
In conclusione, la presente tesi si presenta come un’analisi
dell’istituto adottivo sia da un punto di vista teorico e bibliografico,
sia da un punto di vista empirico. Essa rappresenta quindi il tentativo
di dare delle indicazioni concrete circa l’applicazione, da parte dei
servizi e degli operatori sociali, delle norme relative all’adozione.
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1. EVOLUZIONE DELL’ ADOZIONE NELLA
LEGISLAZIONE
1.1 L’adozione e il suo sviluppo nella storia
L’adozione è definibile come l’assunzione dello status di figlio
legittimo da parte di un soggetto nato da genitori naturali diversi da
quelli adottivi (Garzanti, 1976).
Si può rilevare come tale definizione non fa nessun riferimento alle
condizioni particolari che possono far si che un figlio nato da altri
diventi figlio, a tutti gli effetti, di una nuova coppia, né tanto meno
alla difficoltà o complessità, di tutto il processo necessario affinché gli
aspiranti genitori adottivi arrivino preparati a questo momento.
Per comprendere meglio la situazione legislativa attuale relativa
all’adozione è utile rivedere il percorso storico dell’istituto,
cominciando da qualche breve cenno sul significato che essa
assumeva nell’antichità, per continuare, attraverso un’analisi più
approfondita dei cambiamenti che l’anno caratterizzata, con
l’evoluzione avvenuta dalla seconda metà del nostro secolo fino ad
oggi.
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1.1.1 L’adozione nell’antichità
Negli ordinamenti giuridici dell’antichità, in particolare in quello
greco e in quello romano, l’adozione non aveva quello scopo
assistenziale in favore di minori privi di famiglia che ha, almeno in
parte, nel diritto moderno, ma aveva solo la funzione di assicurare la
continuità a quei gruppi famigliari che rischiavano di estinguersi per
mancanza di discendenti legittimi.
Nel diritto greco infatti, l’adozione era consentita solo a coloro che
non avevano discendenti maschi, mentre la presenza di discendenti
femmine non impediva l’adozione, poiché le figlie non erano mai
considerate eredi.
Alle figlie era dato il diritto di ricevere una dote, solo in vista
peraltro della crescita dei loro eventuali figli (possibilmente maschi) a
cui avrebbero tramandato il patrimonio famigliare. Proprio per questa
particolare condizione della donna, anche la posizione dell’adottato in
presenza di sorelle adottive era alquanto singolare: egli non poteva
disporre per testamento dei beni del gruppo di cui era entrato a fare
parte, che alla sua morte andavano quindi ai parenti di sangue
dell’adottante, ma aveva la possibilità di sposare la sorella adottiva
acquistando così il potere di trasmissione del patrimonio famigliare ai
suoi figli (Garzanti, 1976).
Allo stesso modo nel diritto romano, la funzione principale
dell’adozione era quella di perpetuare il gruppo famigliare, anche se
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l’istituto si presentava qui in due diverse forme: l’adrogatio e
l’adoptio.
L’adrogatio avveniva quando l’adottato era un paterfamilias, ed
avveniva davanti ai comizi curiati che approvavano esplicitamente,
ma anche implicitamente con la loro sola presenza, la richiesta
d’assoggettamento di un paterfamilias ad un altro e la conseguente
estinzione di un gruppo famigliare. Essa si componeva di due
momenti, uno che coincideva con la prima forma di testamento del
diritto romano, e l’altro che attraverso una celebrazione solenne
sottolineava l’importanza politico-religiosa dell’atto, che consentiva la
prosecuzione del culto della famiglia (ibidem).
L’adoptio era un istituto che prevedeva l’adozione di un
filiusfamilias altrui e richiedeva un cerimoniale più complesso,
articolato in due fasi. Nella prima, attraverso l’emancipatio, il figlio
usciva dalla potestà del suo padre originario diventando a sua volta un
paterfamilias; nella seconda, attraverso una finta rivendicazione della
potestà da parte dell’adottante, a cui il padre naturale non si opponeva,
ed una pronunzia magistratuale, l’adottato entrava a far parte della
famiglia dell’adottante.
I requisiti per l’adozione, nell’epoca classica, erano quelli che
l’adottante fosse maschio e paterfamilias; solo nell’epoca post-classica
si stabilì la differenza minima, tra l’adottante e l’adottato, di 18 anni.
Importante è notare come nel diritto giustianeo vi fosse già una
differenziazione tra due tipi d’adozione che avevano delle
conseguenze molto diverse: l’adoptio plena e l’adoptio minus plena.
La prima parificava a tutti gli effetti l’adottato al figlio procreato, (un
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po’ come l’effetto legittimante che ha oggi l’istituto adottivo), mentre
la seconda consentiva all’adottato di succedere all’adottante senza
mutare la propria posizione nella famiglia d’origine (simile
all’adozione dei maggiorenni del nostro attuale ordinamento)
(Garzanti, 1976).
Una modifica radicale dell’istituto dell’adozione si ebbe con il
Codice di Napoleone, nel quale vengono fissate le linee cui s’ispira
ancora oggi il diritto moderno, sia italiano che europeo.
1.1.2 L’adozione nel diritto moderno
Trattando l’argomento dell’adozione nei tempi antichi, abbiamo
visto che essa era contemplata, anche se con forme differenti,
principalmente per fini ereditari e/o di sussistenza del proprio ceppo
famigliare, ma addentrandoci ora nell’analisi dell’istituto adottivo nel
diritto moderno, diviene indispensabile distinguere tra i due diversi
scopi per cui viene oggi posto in essere.
Il primo, più tradizionale, è quello di consentire il sorgere di un
rapporto di filiazione a chi non abbia discendenti, anche se è stata
cancellata la distinzione a seconda del sesso, esistente nel passato;
mentre il secondo, di più recente introduzione, è quello di offrire
assistenza a minori in situazione di bisogno, ed è proprio quest’ultimo
che sarà al centro della nostra attenzione, con particolare riferimento e
approfondimento, della recentissima modifica della L.n.184/83, per
quanto riguarda l’adozione internazionale.
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L’adozione a fini ereditari, coerente con il proprio fondamento,
non può essere consentita in modo indiscriminato. La legge pertanto
esclude da tale istituto tutti coloro che abbiano già discenti legittimi o
legittimati, prescrive che vi siano almeno diciotto anni di differenza
tra l’età dell’adottante e quella dell’adottando e non ammette
l’adozione dei propri figli naturali.
Perché l’adozione avvenga è necessario il consenso dell’adottando,
se ha più di diciotto anni; del suo rappresentante legale se ne ha meno
di sedici; di entrambi se è in età tra i sedici ed i diciotto; se ne ha più
di dodici, il suo parere deve essere comunque ascoltato dal tribunale
(Garzanti, 1976). Dato che l’adottando non si deve trovare in
situazione d’abbandono o di difficoltà, è necessario l’assenso dei
genitori naturali dell’adottando e dell’eventuale coniuge, non separato,
dell’adottando e dell’adottante; solo in determinate condizioni
giuridiche e per motivi di particolare gravità il giudice può
pronunciare l’adozione anche in mancanza di tale assenso (ibidem).
Il rapporto adottivo si costituisce con decreto motivato del tribunale
competente, che deve accertare che l’adozione convenga all’adottato e
determina la data dalla quale essa produce i propri effetti, sia di
carattere personale che patrimoniale.
Tra le conseguenze dell’adozione vi sono, per l’adottante:
™ L’acquisto della potestà genitoriale sull’adottato con gli effetti
conseguenti, tranne l’usufrutto legale, con l’obbligo di istruirlo,
educarlo e mantenerlo.
™ Non vengono istituiti né per l’uno né per l’altro, legami di
parentela, con le rispettive famiglie.
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Conseguenze rilevanti per l’adottato sono invece:
L’assunzione del cognome dell’adottante, che viene aggiunto al
proprio.
™ Viene acquisito il diritto di successione nei confronti
dell’adottante, ma non viceversa.
™ Vengono conservati intatti tutti i diritti e doveri verso la propria
famiglia d’origine.
E’ prevista la revoca dell’adozione, per indegnità, dell’adottante o
dell’adottato, e per ragioni di buon costume (Moro, 1996).
Dopo essere rimasto pressoché inalterato fino agli anni Sessanta,
l’evoluzione del costume della società ha provocato l’affermarsi del
bisogno di fare dell’adozione uno strumento per raggiungere lo scopo
di dare una famiglia al minore che ne è sprovvisto, perché figlio
d’ignoti o comunque privo d’assistenza da parte dei genitori e dei
parenti tenuti a provvedervi (Garzanti, 1976). Si arriva così
all’introduzione dell’istituto adottivo con scopo esclusivamente
assistenziale, su esempio della legislazione francese, solo nel 1967
con la L.n.431, con la dicitura adozione speciale, per distinguerlo dal
precedente istituto.
Tra le diverse leggi riformatrici che sono state introdotte nel nostro
ordinamento negli anni Sessanta, in materia di diritti del minore, la
legge n.431 del 1967 sull’adozione speciale è stata una di quelle
maggiormente rilevanti, non solo per aver riconosciuto il
fondamentale diritto del ragazzo ad avere una famiglia valida per la
formazione della sua personalità, ma per aver introdotto, per la prima
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volta nel nostro ordinamento, alcuni principi di tutela della
personalità del minore che hanno avuto rilevanza anche in altri settori
del diritto e che soprattutto hanno posto le basi per una “rivoluzione”
nel modo che il diritto aveva di guardare alle esigenze del soggetto in
formazione (Moro, 1996).
Se fino a questo periodo infatti “il minore era considerato solo
un’ombra”(ibidem), con questa nuova normativa, che tendeva ad
applicare la dichiarazione dell’ONU sui Diritti del Fanciullo del 1959,
si ha il riconoscimento:
™ che il minore ha propri diritti e in particolare ha diritto ad un
regolare processo di personalizzazione e di socializzazione;
™ che i figli non sono proprietà dei genitori e che i diritti di questi
ultimi esistono solo quando adempiano ai relativi doveri, (viene
quindi ribadita la corrispondenza tra diritti e doveri);
™ che essere “nato da” non equivale ad essere “figlio di” perché
esiste una generazione nello spirito più significativa e
fondamentale della generazione nella carne, (si fa quindi
esplicito riferimento all’istituto dell’adozione);
™ che una famiglia con propri figli legittimi può aprirsi alla
solidarietà nei confronti di esseri sfortunati, (riferendosi in
questo caso all’affido);
™ che la famiglia d’origine, insufficiente sul piano educativo o
impossibilitata a dare al ragazzo quell’adeguata assistenza di cui ha
bisogno, deve essere prima di tutto aiutata dalla comunità per essere
messa in grado di svolgere il suo compito. Solo qualora questo
tentativo risultasse inutile o inefficace si dovrà procedere alla rottura
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dei legami originari, che si dimostrino non più costruttivi e che
costituiscano pregiudizio per il minore, in favore di altri legami
famigliari che consentano la migliore crescita del ragazzo.
1.1.3 L’adozione ai giorni nostri
Nonostante il carattere fortemente innovativo, bisogna riconoscere
che la L n.431 del 1967 mostrava una serie di lacune al momento
stesso della sua approvazione, che sono andate via via accentuandosi,
con il modificarsi delle tendenze della società rispetto all’adozione,
come il diffondersi dell’adozione di minori stranieri da parte di
cittadini italiani (Moro, 1996). Ma è solo attraverso la ratifica della
Convenzione di Strasburgo in materia d’adozione che si è fatto sentire
il forte bisogno di una nuova normativa al riguardo, cui l’ordinamento
ha dato una risposta con la legge 4 maggio 1983, n.184, che ha
completamente rielaborato la legislazione precedente.
L’adozione a carattere assistenziale intende favorire l’inserimento
in una famiglia di minori in stato di abbandono. Per tale motivo, a
differenza di quella dei maggiorenni, non può essere richiesta da un
singolo adottante ma solo da coniugi uniti in matrimonio da almeno
tre anni, tra i quali non sussista separazione personale, neppure di
fatto; che siano idonei a educare, istruire e mantenere i minori che
intendono adottare; che abbiano un’età che superi di almeno diciotto e
non più di quaranta anni l’età dell’adottando.
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Quest’ultimo deve però essere stato dichiarato precedentemente in
stato d’adottabilità da parte del Tribunale per i Minorenni, in quanto
privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei
parenti entro il 4° grado, purché lo stato d’abbandono non sia dovuto a
“causa di forza maggiore” (cfr. art.8 L.n.184/83).
L’adozione viene pronunciata dal Tribunale per i Minorenni solo
dopo un periodo di affidamento preadottivo di durata non inferiore ad
un anno, con decreto motivato, attraverso il quale il minore acquista lo
status di figlio legittimo degli adottanti, con tutti i relativi effetti
rispetto alla potestà genitoriale, al nome, ai diritti successori.
Contemporaneamente cessano tutti i vincoli verso la famiglia
d’origine, mentre vengono instaurati rapporti di parentela con gli
ascendenti e discendenti degli adottanti.
L’adozione internazionale:
La legge 4 maggio 1983 n.184, dà per la prima volta una
regolamentazione organica anche ad un fenomeno che in questi ultimi
anni è divenuto assai diffuso, cioè quello dell’adozione di bambini
stranieri da parte di cittadini italiani (Garzanti, 1976).
La relativa mancanza di controlli su questo fenomeno da parte delle
autorità italiane aveva finito per dare origine ad alcuni abusi ai quali si
è tentato, attraverso la disciplina legislativa, di porre rimedio. Tuttavia
il nostro ordinamento tende, contrariamente alla logica comune, a
ridurre le garanzie previste nell’adozione nazionale, a favore del
minore e a tutela della sua personalità e dei suoi diritti, piuttosto che
aumentarle (Moro, 1996).
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La L.n.184/83, se ha avuto il merito di avere equiparato i requisiti
degli adottanti per l’adozione nazionale e internazionale e di avere
previsto la dichiarazione d’idoneità degli aspiranti genitori adottivi per
evitare abusi, di fatto ha però lasciato che la coppia potesse gestire
autonomamente l’intera fase della “ricerca” del bambino, dando luogo
allo sfruttamento di quei paesi dove miseria e ignoranza rendono
fiorente il mercato dei bambini e talvolta, ad adozioni ambigue e
spesso complicate dalla scarsa informazione della coppia sulla
situazione del minore (Garzanti, 1976). La procedura per l’adozione
internazionale è composta da più fasi.
La prima fase è la dichiarazione d’idoneità dei coniugi aspiranti
all’adozione che presuppone un’attenta valutazione della capacità
della coppia non solo ad educare, istruire e mantenere un figlio, ma
anche ad affrontare le particolari problematiche connesse ad
un’adozione internazionale (Finocchiaro, 1997). La dichiarazione
d’idoneità o inidoneità è impugnabile e può essere soggetta a revoche
o modifiche in seguito all’insorgere di una nuova situazione.
Una volta ottenuta l’idoneità la coppia può rivolgersi agli enti
autorizzati o mettersi direttamente in contatto con le autorità straniere
che emettono il provvedimento d’adozione o di affidamento
preadottivo.
L’adozione si conclude con un decreto del Tribunale per i
Minorenni che dà efficacia al provvedimento straniero, dando inizio al
periodo d’affidamento preadottivo. Prima di emettere il decreto il
T.M. verifica che siano stati rispettati i presupposti per la
dichiarazione d’efficacia.