I. Chi è M. Night Shyamalan?
I.1. Dati biografici
M. Night Shyamalan (vero nome è Manoj Nelliyattu Shyamalan, cfr. foto 12) nasce il 6 agosto del
1970 a Madras, in India, nell'enclave del Kerala e nel territorio di Pondicherry. I genitori, entrambi
indiani, si trasferiscono in Pennsylvania subito dopo le nozze per esercitare la professione comune
di medico, ma la madre vuole concludere la gravidanza in patria per avere l'assistenza dei genitori e
della famiglia: tornano a Madras a poche settimana dal parto e lì nasce Shyamalan, che, quindi,
risulta a tutti gli effetti di nazionalità indiana. Conclusasi la gravidanza, la famiglia torna presto
negli Stati Uniti e si stabilisce in un sobborgo di Philadephia, che sarà la città di ambientazione di
quasi tutti i suoi film, chiamato Penn Valley. Qui il futuro regista decide di prendere il secondo
nome “Night”, quello con cui poi diventerà famoso in tutto il mondo, per usarlo come nome d'arte
per alcuni cortometraggi che inizia ben presto a realizzare: per l'ottavo compleanno riceve in regalo
una Super8 dal padre e da quel momento gira moltissimi video amatoriali, quasi 45 in otto anni.
Shyamalan deciderà poi di mantenere il nome d'arte invariato per mostrare quanto sia stata
importante per lui questa fase di lavoro amatoriale e la conferma di ciò arriva anche dal fatto che in
moltissimi DVD abbiamo questi filmati nei contenuti speciali.
Inizia da subito a prediligere uno stile narrativo basato sull'attesa, la dilatazione dei tempi e la
suspense e a interessarsi al genere del thriller, sebbene sia a volte molto difficile e limitante
inquadrare le sue pellicole in un singolo genere preciso.
Il futuro cineasta riceve una formazione scolastica in scuole private cattoliche e, terminata la
formazione di base, si trasferisce ancora, stavolta a Manhattan, dove studia e si laurea nel 1992 alla
Tisch School of Arts (TSOA). In questi anni conosce anche la psicologa indiana Bhavna Vaswani,
che nel 1993 diventerà sua moglie e da cui avrà due figli.
Insieme andranno a vivere in una grande casa isolata nella immediata periferia di Philadelphia.
Per capire Shyamalan conoscere la sua biografia è davvero fondamentale: la fede cattolica permea
ogni sua pellicola, ma a volte si affianca a uno spiritualismo e a simboli derivanti dalle filosofie
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buddhiste e Philadelphia è sempre set prediletto per i suoi film, ma la condizione di emigrato si
riflette su molti personaggi che, come fu per lui, spesso si sentono estranei al contesto in cui si
trovano.
I.2. Gli esordi
Nel 1992, anno della laurea, Shyamalan fa anche il suo esordio girando il primo lungometraggio,
Praying with Anger (id. 1992), finanziato con soldi di parenti e amici e scritto e recitato sempre dal
futuro regista stesso.
In questo film un giovane ragazzo di origine indiana emigrato negli Stati Uniti torna nella terra
natia e ritrova sé stesso dopo aver vissuto una serie di incontri e situazioni: è chiara, dunque,
l'influenza del proprio vissuto su questa pellicola, il senso di estraneità a ciò che circonda il
protagonista è lo stesso che percepiva il giovane Shyamalan negli Stati Uniti, al punto che si può
quasi parlare di un film autobiografico.
Il genere è senz'altro quello del film drammatico: mancano del tutto gli aspetti di suspense, mistero e
thriller per cui saranno famose le future pellicole del cineasta e anche la trama e i luoghi sono
completamente diversi da quelli della poetica che sarà propria del regista, tanto che questo film
difficilmente ci può sembrare suo se non fosse per il fatto che Shyamalan ne è anche attore
protagonista.
Praying with Anger partecipa al Toronto Film Festival ed è proiettato nelle sale per una settimana e
acquistato e trasmesso dalla televisione canadese.
La critica lamenta nel film alcune situazioni forzate, una storia d'amore molto banale e l'uso di
molti stereotipi, ma il giovane Shyamalan già affronta temi importanti come la religione, il
razzismo e i problemi sociali dell'India e delle caste in modo schietto e sincero e dimostra una
notevole sapienza a livello registico, al punto che molti lo spronano a continuare vedendo in lui un
importante futuro.
La fortuna del film è comunque molto scarsa: non ha mai ricevuto distribuzione se non dopo
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l'uscita dei grandi successi successivi del cineasta e non ha ricevuto alcun premio al festival,
risultando poco visto e molto presto dimenticato.
Va sottolineato che questo lavoro è l'unica opera di Shyamalan girata lontana da Philadelphia ed
anche per questa ragione rappresenta un unicuum nella carriera del regista.
Importante, però, è stata l'esperienza che questo film ha comportato: un esordio che ha permesso a
Shyamalan di maturare e di far tesoro di molte opinioni critiche e di consigli che inizierà a seguire
già dal film successivo.
Wide Awake (it. Ad occhi aperti, 1998) è un film ancora un po' ingenuo e stereotipico, ma lo stile di
Shyamalan inizia ad essere chiaro, così come il suo talento a livello stilistico.
Joshua è un bambino che soffre fortemente la perdita del nonno, morto di cancro, e decide di voler
a tutti i costi parlare con Dio per capire se dopo il trapasso sta davvero bene ed è felice come le
Scritture insegnano.
Tra i banchi e i corridoi della scuola elementare privata di Philadelphia, gestita da religiose,
comincerà una ricerca che lo porterà a maturare e a prendere consapevolezza di cosa sia la vita
scoprendo l'amore, la malattia fisica (il nonno e un amico epilettico) e mentale (il matto della
scuola) e il dolore che permea il mondo: i telegiornali mostrano solo violenza, un cardinale che
visita la scuola è visto nei bagni da Joshua mentre prende pillole per cardiopatici o, ancora, il bullo
della scuola a fine anno si rivela essere un ragazzo la cui famiglia continua a trasferirsi per lavoro e,
dunque, impossibilitato ad avere amici e profondamente solo.
Tematiche alte, ma tutte rese con grande ironia e leggerezza, così da rendere il film molto godibile e
da cucire la vicenda su di un bambino, anche se, e qui forse la pecca maggiore, alla fine del
percorso la figura di Joshua risulta comunque poco credibile e il suo percorso difficilmente
attribuibile alla mentalità di chi frequenta la quarta elementare.
A livello stilistico notiamo subito alcune caratteristiche che saranno poi tipiche dello Shyamalan
successivo, sebbene questi cambierà completamente genere: movimenti di macchina da presa lenti e
sempre fluidi e puliti, inquadrature lunghe e grande importanza del fuoricampo (Dave e l'attacco
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epilettico o il momento in cui il bambino obeso vomita al museo incastrato nei tornelli), mancanza
totale di effetti visivi come distorsioni o fuori fuoco, ma immagini sempre di ricercata nitidezza.
Emblematiche della poetica del regista sono anche le tematiche che qui sono introdotte: il bisogno
di spiritualità e la conseguente ricerca di Dio (si pensi solo a Signs), il dolore e la morte per capire il
senso della vita (ancora Signs o The Village), il labile confine tra naturale e soprannaturale (lo è
quasi la neve e lo è il finale) e, soprattutto, seppur senza un significato di ribaltamento situazionale
che porta a dover rileggere l'intero film visto come accadrà più avanti, in Wide Awake abbiamo un
twist ending, il primo di una lunga serie che a ragione indicherà poi questa caratteristica come il più
evidente marchio di fabbrica Shyamalan: il bambino nuovo e taciturno, magrolino e minuto, che
Joshua vede con malinconia perchè privo di amici e sempre solo, si scoprirà essere una sua visione
personale e, sul finale, quando pronuncia le poche parole “Lui sta bene” e scompare come per
magia in un corridoio tagliato da forti lame di luce e protetto da una statua del Cristo, il
protagonista si rende conto con stupore e meraviglia che il nuovo arrivato era l'obiettivo della sua
ricerca e che ha ottenuto la semplice risposta che voleva.
Questa scena, per quanto breve e semplice, è senz'altro la perla del film: la cura dei dettagli e
dell'allestimento della scena, col corridoio che grazie alla luce a fasci dalle finestre e alla statua
sembra quasi la navata di una chiesa e con una musica prima mistica e delicata e poi che sfrutta una
struggente melodia di archi, offrono un momento di grande emozione, aumentata anche dalla
sorpresa nello spettatore di quello che sta accadendo: un forte apice emotivo che arriva come un
fulmine a ciel sereno in un momento in cui il film aveva perso di ritmo e, dunque, risulta ancora più
sentito.
Un altro elemento però ritornerà in maniera fondamentale nella filmografia futura di Shyamalan ed
è la presenza di un bambino nella parte del protagonista o nella parte di tramite tra due mondi. Tale
presenza manca solo in The Village, ma lo schema si ripete in modo solo un po' modificato: il
villaggio soffoca con le sue regole e la trasmissione dei concetti e del sapere con una imposizione
quasi dittatoriale, tanto che i bambini sono completamente plasmati dagli anziani e non hanno
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ancora la giusta consapevolezza per poter essere fautori di cambiamento. Al loro posto, allora,
abbiamo la generazione di giovani adulti, che però, come vedremo, ha caratteristiche molto simili a
quelle dei bambini.
Possiamo tranquillamente dire, quindi, che l'assenza è solo apparente, o meglio, che la presenza è
nascosta.
Per terminare, già in Wide Awake notiamo una certa bravura nell' indoamericano nel saper scegliere
in modo adeguato le musiche di accompagnamento dei suoi film e nel saper montare il sonoro in
modo da valorizzare al meglio le immagini e le scene che, spesso, senza di esso non avrebbero lo
spessore e l'impatto emotivo che le contraddistinguono. Rumori fuoricampo, sottofondi musicali e
anche silenzi pesanti marcano fortemente i lungometraggi di Shyamalan e sono l'elemento molto
spesso ritmico dei film, ancor più del montaggio. Qui la colonna sonora è bella anche se basata su
una musica piuttosto semplice, ma il vero salto di qualità avverrà già dal film successivo, quando si
verrà a creare un sodalizio tra il regista e il compositore James Newton Howard che col tempo
andrà a toccare altissime vette, riproponendosi in ogni film di Shyamalan e andando a formare una
coppia di lavoro a tratti strabiliante per risultati e in sintonia tanto quanto quelle di Spielberg e
Williams o di Leone e Morricone.
Ultima curiosità da non dimenticare è la presenza in tutti i film dell'indiano di un suo cameo,
proprio come faceva il suo maestro Hitchcock, ad indicare che la presenza del regista nel film deve
essere anche concreta e, forse, anche per questioni di puro narcisismo e divertimento.
I.3 La prima a Hollywood: Il sesto senso e l' incredibile ascesa di Shyamalan
È il 1999 quando la frase “Vedo la gente morta” diventa una delle citazioni cinematografiche del
momento: un nuovo film ha stupito il mondo e reinventato per sempre il genere della ghost story.
Ha un finale fantastico, dicono tutti, ma nessuno svela la sorpresa perché è troppo incredibile da
raccontare e anticiparla allo spettatore vuol dire più che mai rovinare il film, forse più ancora che
rivelare a chi stia guardando un giallo chi sia l'assassino.
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