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INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni, il continuo processo scientifico-tecnologico ha affiancato
e favorito notevolmente lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze in
ambito sanitario.
Nonostante il continuo progresso, alcuni ambiti mostrano ancora alcune
problematiche, fra queste spicca il reperimento di un accesso vascolare in
situazioni di emergenza-urgenza, intra ed extra-ospedaliere.
Negli Stati Uniti ogni anno ci sono 5 milioni di pazienti ai quali non si riesce a
reperire un accesso vascolare ed altri 7 milioni di casi nei quali reperire un
accesso intraosseo risulta particolarmente difficile.
Il reperimento di un accesso vascolare e la sua successiva gestione sono il pane
quotidiano della professione infermieristica e parte integrante del processo
assistenziale, diventando una tecnica salvavita in situazioni di emergenza-
urgenza.
Lo sviluppo tecnologico ci ha fornito una serie di supporti atti a facilitare tale
tecnica come ad esempio la guida ecografica, i dispositivi a infrarossi per
evidenziare i vasi venosi, fino ai dispositivi con indicatore sonoro (VEID: vein
entry indicator device).
Nonostante questo enorme aiuto della tecnologia, il tasso di successo della
tecnica non riesce a coprire le innumerevoli varietà di casi che possono
verificarsi in situazioni di emergenza.
Esiste un ulteriore dispositivo che permette di reperire accessi vascolari e che
riesce in tutti quei casi in cui il classico accesso intravenoso fallisce: l’accesso
intraosseo (IO).
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La fisiologia vascolare intraossea è stata scoperta oltre un secolo fa, come la
sua tecnica di reperimento, ed i dispositivi che permettono tale tecnica sono
ormai riconosciuti in tutto il mondo, ma nonostante tutto non viene
sufficientemente presa in considerazione in alcuni stati, come ad esempio
l’Italia, che tutt’ora si identifica come uno dei paesi più sviluppati dal punto di
vista sanitario, ed i quali professionisti in ambito sanitario, dai medici agli
infermieri, vengono notevolmente stimati soprattutto oltre i confini nazionali.
Tutto questo accade fondamentalmente perché scarse sono le conoscenze a
riguardo, nonostante il ripetersi di situazioni di emergenza/urgenza in cui tale
tecnica potrebbe risultare di vitale necessità.
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CAPITOLO1: CONCETTI GENERALI SUL SOCCORSO IN
EMERGENZA/URGENZA
Le prime tre fasi del soccorso, per qualsiasi tipologia di paziente, si identificano
sempre con:
A:Airways
B:Breathing
C:Circulation
Questa suddivisione riguarda sia le emergenze extra-ospedaliere, quelle
intraospedaliere ed i casi di emergenza all’interno di un’unità operativa.
Tramite le suddette fasi si procede rispettivamente al controllo della pervietà
delle vie aeree, alla valutazione del respiro ed al controllo della corretta
circolazione.
Queste prime fasi sono cruciali nel processo di primo soccorso ed è necessario
che venga svolta nel minor tempo possibile, tanto da essersi meritata
l’appellativo di “Golden Hour”.
1.1 Concetto di Golden Hour
Il chirurgo R. Adams Cowley a tal proposito, nel 2007 afferma: “Vi è una
golden hour tra la vita e la morte. Se si è stati traumatizzati in modo critico si
hanno meno di 60 minuti per sopravvivere. Forse si potrà non morire in quel
momento, l’evento mortale potrebbe verificarsi da 2-3 giorni fino a 2 settimane
più tardi, ma qualcosa è successo nel delicato equilibrio dell’organismo che
ormai è irreparabile”.
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Il successo nel trattamento di un evento traumatico dipende innanzitutto alla
gestione del fattore tempo; gli interventi di emergenza da eseguire devono
essere eseguiti nella cosiddetta “ora d’oro”, che rappresenta una sorta di conto
alla rovescia, che parte dall’esatto momento in cui si è verificato l’evento
traumatico.
Un intervento mirato, effettuato nelle prime ore dopo il trauma, aumenta
notevolmente le probabilità di sopravvivenza.
La mortalità conseguente al trauma si presenta secondo un “andamento tri-
modale”, una distribuzione su tre picchi.
1° Picco - Morte immediata
Casi in cui la morte è istantanea o subentra entro pochi minuti dall’evento
traumatico; E’ dovuta ad un danno che si propaga ad organi vitali come cuore
ed encefalo. Nella maggior parte dei casi, tali lesioni risultano irrecuperabili.
2° Picco – Morte precoce
Consiste nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’evento traumatico fino ad
alcune ore successive. La mortalità in questo caso è dovuta ad un eventuale
danno secondario portato per esempio da emorragie intercorse, che generano
per esempio ipossia, ipoperfusione o ischemia.
3° Picco – Morte tardiva
Si sviluppa nei giorni seguenti all’evento traumatico e segue principalmente
complicanze settiche. Questi casi di morte possono essere facilmente evitati
migliorando gli interventi di soccorso sul territorio e l’assistenza
intraospedaliera.
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Nel grafico viene riportata la mortalità dei pazienti in relazione al tempo
trascorso dal momento del trauma. Per comprendere l’importanza del fattore
tempo, della suddetta “Golden Hour”, basta notare che nell’80% dei casi di
decesso si collocano nelle fasi precoci. Altra considerazione che può essere
tratta è che, escludendo le lesioni a carico del SNC e del cuore, le cause
principali di decesso sono l’asfissia ed il dissanguamento, due patologie che
con un adeguata preparazione possono essere facilmente affrontate.
Sulla base di questo concetto si decise di minimizzare le tempistiche di
trasporto dei pazienti verso la struttura ospedaliera (Scoop and run) per poi
invece ridurre al massimo il tempo privo di trattamenti (Therapy free interval),
considerando utile agire sul posto, iniziando il trattamento in loco e anche
durante il tragitto, all’interno dei mezzi di soccorso.
IMMEDIATA: Lesioni
SNC, cuore e grossi
vasi, asfissia
PRECOCE:
Dissanguamento
TARDIVA:
Sepsi
0
10
20
30
40
50
60
1 ora 4 ore 1 giorno 1-2 settimane
Andamento trimodale della mortalità per
trauma
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1.2 “C” Valutazione del circolo ed interventi mirati
Dopo la valutazione della pervietà delle vie aeree e del respiro, si passa al
controllo della funzionalità del circolo.
Durante questa fase si procede al reperimento del polso radiale, che talvolta
può risultare talmente debole da non essere percepito o addirittura assente,
come in caso di shock ipovolemico, e quindi potrebbe essere necessario
apprezzare il polso carotideo, sicuramente più affidabile e più facile da reperire.
Contemporaneamente si controllano eventuali emorragie esterne visibili,
tramite la semplice compressione della ferita stessa.
Uno degli interventi fondamentali da attuare in questa fase è il reperimento di
un accesso vascolare, per permettere di infondere liquidi, emazie o farmaci
salvavita.
Il dispositivo utilizzato abitualmente per reperire un accesso intravenoso è il
catetere venoso periferico (CVP) che risulta la tecnica con minor rischio di
complicanze e ben tollerata dai pazienti, ma che in caso di emergenza si rivela
spesso non adeguata, poco efficace e troppo dispendiosa in termini di tempo,
specialmente in molti pazienti definiti come “difficili”, come obesi,
ipovolemici, pediatrici, anziani, tossicodipendenti, in terapia con
chemioterapici...
La tempistica necessaria volta al reperimento di un accesso intravenoso è
stimata tra i 2,5 ed i 12 minuti, e può in particolari casi protrarsi fino ed oltre i
20/25 minuti. Il tasso di fallimento nel reperire l’accesso va dal 10% al 40% ad
ogni tentativo.
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L’inserimento di un catetere venoso periferico con l’ausilio di una guida
ecografica rende sicuramente la tecnica più rapida ma necessita innanzitutto
di specifiche competenze in possesso dell’operatore e spesso della presenza
di 2 operatori, e per questo la suddetta tecnica non viene da molti ritenuta
migliore rispetto a quella classica.
Il catetere venoso centrale (CVC), che viene inserito in una vena di grosso
calibro (giugulare interna, succlavia o femorale) permette a farmaci e fluidi
di raggiungere direttamente la giunzione atrio-cavale e quindi di immettersi
immediatamente nel circolo sistemico.
D’altro canto però, il CVC necessita di personale esperto per essere reperito,
della preparazione e di un controllo radiografico per garantirne la corretta
inserzione, per non parlare del costo (notevolmente più alto del CVP), delle
tempistiche necessarie all’inserimento e soprattutto delle possibili
complicanze, assolutamente non sottovalutabili, come: trombosi venosa,
lesione di arterie circostanti, infezione, PNX.
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Oltre a queste due tipologie di accesso vascolare, ne esiste una terza, con
raccomandazione di livello A:
Necessità di un notevole risparmio di tempo rispetto ad un normale
accesso venoso centrale o periferico e dovrebbe essere preso
istantaneamente in considerazione se ci troviamo di fronte ad un
possibile accesso venoso difficile.
Il dolore riferito dai volontari durante dei test e dai pazienti stessi è
stato valutato come medio-basso.
E’ l’accesso intraosseo.
Level A recommendation High
Reflects a high degree of clinical certainty.
Based on availability of high quality level I, II and/or III evidence
available using Meinyk & Fineout-Overholt grading system
(Melnik & Fineout-Overholt 2005)
Based on consistent and good quality evidence; has relevance and
applicability to emergency nursing practice
Is beneficial