II
Credo di aver compreso qual è il mio punto di forza: è la mia
sordità, di cui mi sono vergognata in passato e che ancora oggi non
riesco ad accettare in pieno, perché mi ha aiutata a capire che, pro-
prio chi vive sulla propria pelle un deficit, può essere in grado di com-
prendere un po’ di più rispetto ad altri il bisogno vitale della persona
disabile di essere autonoma sia fisicamente, sia psicologicamente e di
poter progettare la propria vita.
Si può affermare che, per raggiungere la completa autonomia,
gli audiolesi, oltre all’utilizzo di precisi protocolli riabilitativo - educativi e
al fondamentale apporto della famiglia, necessitino anche di un inter-
vento educativo - didattico specifico e programmato ad hoc.
La piena integrazione scolastica di un bambino audioleso ri-
chiede la coesistenza di differenti variabili, che sono maggiormente ri-
levabili da chi è presente assiduamente nel contesto classe e non solo:
le figure che affiancano il bambino stesso monitorano costantemente
le sue risposte agli svariati interventi educativi e didattici perpetrati.
Ho scelto di impostare il mio lavoro su questo filone, nel senso
che il mio scopo primario è stato quello di evidenziare l’importanza del
ruolo degli insegnanti di sostegno e degli assistenti educatori nel ga-
rantire un percorso di integrazione completo agli alunni audiolesi, in
quanto spesso tali figure vengono valutate “di serie B”, e non tenute in
considerazione come dovrebbero.
Un altro aspetto che ho tenuto in considerazione è che tra
l’insegnante di sostegno e l’educatore ci sono differenze sostanziali e,
purtroppo, anche il riconoscimento del loro intervento sull’alunno sor-
do non è equiparato, nel senso che per la prima figura educativo - di-
dattica c’è una maggiore tutela normativa, che assegna ruoli e man-
sioni specifiche, mentre per la seconda non ci sono disposizioni norma-
tivamente definite in toto. A volte il riconoscimento del valore
III
dell’assistente educatore è a discrezione di ogni contesto scolastico in
cui tale figura si trova a operare.
Nel primo capitolo viene presentato un excursus dettagliato sulla
sordità, partendo dalle caratteristiche che la contraddistinguono,
compresa la nuova maniera di considerare la persona e il suo funzio-
namento, per poi analizzare le varie metodologie riabilitative e le la
tecnologia protesica. È un’introduzione che non può mancare, in
quanto la conoscenza della sordità e di ciò che comporta è impre-
scindibile per strutturare un percorso educativo e didattico ad hoc.
Nel secondo capitolo si pone l’accento sul percorso evolutivo
dell’integrazione scolastica delle persone sorde, partendo
dall’educazione intrapresa nei tempi antichi fino all’odierna battaglia
atta a garantire la partecipazione nella scuola di tutti, tenendo in con-
to delle oggettive difficoltà causate dai vari livelli del deficit uditivo.
Il terzo capitolo si concentra sull’analisi delle figure
dell’insegnante di sostegno e dell’educatore, ponendo l’accento sui
riferimenti legislativi, sulle caratteristiche peculiari del loro agire e, da
ultimo ma non meno importante, sui comportamenti da tenere quan-
do ci si rapporta nei confronti dell’alunno audioleso. Sono state ag-
giunte anche le caratteristiche peculiari delle comunicazioni orale e
scritta, corredate da un insieme di ausili atti a superare le difficoltà og-
gettive derivanti dalla disabilità uditiva.
L’ultimo capitolo è dedicato interamente al confronto tra
l’insegnante di sostegno e l’educatore inerente il loro ruolo e il lavoro
educativo - didattico svolto in sinergia per garantire una buona inte-
grazione e una buona qualità di vita del bambino/ragazzo che se-
guono in concomitanza. Per poter svolgere tale parallelo, è stato utiliz-
zato un questionario semi – strutturato, previa autorizzazione dei geni-
tori.
1
PRIMO CAPITOLO
La sordità: una disabilità invisibile
1.1. Le caratteristiche della sordità
Quando si affronta l’argomento “sordità” non tutti si rendono
conto che la sua prerogativa principale è l’essere un deficit invisibile,
nel senso che non è percepibile immediatamente. Riporto a titolo e-
semplificativo una citazione tratta dal libro di Hannah Merker
1
, che ha
saputo evidenziare con distacco la realtà effettiva:
“Gli occhiali vi dicono che la mia vista non è perfetta. Il braccio inges-
sato vi fa intuire un recente infortunio. Ma nulla di me può rivelarvi che
il mio mondo è silenzioso. E neppure io posso dirvi com’è il mio mondo.
Come potrei chiudervi le orecchie? Io ho un handicap invisibile.
L’unico indizio da cui un osservatore accorto può desumere che in me
c’è qualcosa che non va è costituito dalle mie protesi acustiche”.
Questa citazione rispecchia in pieno la non visibilità immediata
di un deficit come la sordità; infatti la persona sorda è apparentemen-
te autonoma e non necessita di assistenza fisica come persone con al-
tre disabilità. Basarsi solo sullo scorgere le protesi acustiche non basta,
perché spesso sono nascoste dai capelli, ma si può intuisce qualcosa
nel momento in cui si parla con la persona ipoacusica; quest’ultima
può rispondere in due modi che possono rendere più o meno visibile il
1
H. Merker , In ascolto, Corbaccio, Milano, 2000, p. 34
2
deficit uditivo: parlare o utilizzare la Lingua dei Segni. Coloro che non
conoscono la sordità comprendono immediatamente di avere a che
fare con una persona non udente nel momento in cui la vedono e-
sprimersi con la Lingua dei Segni. Quando si trovano di fronte a perso-
ne “oraliste” possono verificarsi fraintendimenti: se la persona parla
abbastanza bene a volte pensano sia straniera; se invece non ha un
buon eloquio si crea facilmente un pregiudizio in merito alla qualità
dell’intelligenza dell’interlocutore.
Di fatto, a volte questa disabilità è così nascosta che, se non
viene alla luce, può generare malintesi, equivoci e situazioni di pro-
fondo disagio, se non di pericolo.
Prima di entrare nel merito delle caratteristiche peculiari della
sordità, è necessario stabilire una precisa terminologia. Secondo ciò
che sostiene la prof.ssa Adriana De Filippis, una dei maggiori pionieri
della riabilitazione oralista del bambino audioleso, “ il termine sordo-
muto è alquanto generico e con esso si definiscono tutti i deficit uditivi
qualunque sia la loro eziologia, il loro grado e la loro tipologia. In gene-
rale si intende con questo termine l’incapacità di utilizzare il suono per
la comunicazione e/o la comprensione. Si definisce anacusia la sordità
profonda monolaterale con udito non misurabile, e cofosi quella bila-
terale con le stesse caratteristiche. Tutte le sordità con residui uditivi
vengono definite ipoacusie”
2
.
Attualmente, anche dal punto di vista giuridico, il termine “sordomuto”
è ormai obsoleto, grazie all’entrata in vigore della legge 20 febbraio
2006, n. 95
3
, la quale lo sostituisce col termine “sordo”.
Le ipoacusie possono essere monolaterali, ossia sussistere solo in
un orecchio, oppure bilaterali, simmetriche o asimmetriche, conside-
2
A. De Filippis, L’impianto cocleare. Manuale operativo. Masson, Milano, 2002 pag. 2
3
“Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 63 del 16 marzo 2006.
3
rando sia la simmetria di intensità, sia quella di tipo. In base all’epoca
d’insorgenza, esse possono essere classificate in congenite, cioè pre-
senti alla nascita (prenatali) o nell’immediata vicinanza del parto (pe-
rinatali), e postnatali, cioè insorte successivamente. È opportuno sotto-
lineare che “congenito” significa presente dalla nascita, ma non im-
plica affatto che ci sia un’alterazione genetica.
Ritornando alla terminologia, oggi si preferisce l’aggettivo pre-
verbali, se si parla di sordità insorte prima dello sviluppo del linguaggio
(entro il compimento del primo anno d’età), peri - verbali tra uno e tre
anni, e post - verbali oltre i tre anni. Le sordità post-linguali, che insor-
gono quando il bambino ha già interiorizzato la struttura e i fondamen-
ti rudimentali del linguaggio, possono essere a insorgenza improvvisa, o
più spesso, progressiva. Abitualmente si utilizza anche il termine audio-
leso, ma all’interno di associazioni oraliste si sta utilizzando in maniera
ufficiosa il termine diversamente udenti, che a mio avviso rispecchia la
filosofia integrativa che perpetrano.
Tutti questi termini faticano oggigiorno a vincere la sfida del sa-
per coniugare uguaglianza e diversità, del saper considerare la perso-
na in quanto tale con le sue caratteristiche tra limiti e potenzialità, sen-
za fissarsi esclusivamente sul deficit uditivo. Riconoscere e valorizzare
ogni aspetto dell’essere persona può aiutare ad arginare pregiudizi
ancestrali, a partire dall’identificare l’essere sordi con l’essere muti. Per
fortuna, come ho anticipato in precedenza, anche dal punto di vista
legislativo il termine “sordomuto” è stato sostituito con il più dignitoso
“sordo”.
Un altro pregiudizio vede l’audioleso come colui che non può
avere una vita relazionale, indipendente, psico – affettiva e sociale
nella norma. Spesso si sente dire da insegnanti ed educatori che i
bambini e gli adolescenti ipoacusici manifestino comportamenti più
4
aggressivi rispetto ai loro coetanei, ma questo dato deve essere do-
cumentato e provato, anche perché è necessario conoscere i conte-
sti ambientali e familiari prima di giudicare. Molto spesso chi ha una
sordità profonda viene considerato senza nessun riscontro come un
individuo con difficoltà ad intendere, quindi con uno sviluppo cogniti-
vo compromesso. E non solo: si ritiene che non sia possibile per una
persona sorda elaborare processi astratti complessi, non riconducibili a
esperienze concrete, considerate le uniche in grado di essere interioriz-
zate.
Esperienze come la mia e quella di molti altri dimostrano che, se
si seguono alla lettera precisi protocolli riabilitativi ed educativi, si può
accedere a livelli di istruzione elevati, spesso a costo di sacrifici e diffi-
coltà inimmaginabili per chi non è, come si suol dire, “addetto ai lavo-
ri”. Tutto questo può portare a rendere deficitaria l’autostima della
persona audiolesa, pertanto credo che sia fondamentale conoscere a
fondo la natura del deficit con tutte le sue conseguenze psicologiche,
pedagogiche e sociali. Ci sono, infatti, barriere di vario tipo da supera-
re promuovendo la cultura della tolleranza, dell’empatia, del ricono-
scere ogni persona sorda nella sua interezza. Ogni individuo ha la sua
storia, ha una personalità unica e irripetibile. Tenere in considerazione
la persona sorda coi suoi limiti e le sue potenzialità, valorizzandone bi-
sogni e capacità, è il punto di partenza necessario per mettere in atto
strategie comunicative, relazionali, emotive in grado di promuovere
una buona integrazione nella società di tutti. Solo seguendo questa
strada si può sviluppare l’autonomia.
5
1.2. Le cause della sordità:
La sordità rappresenta il difetto sensoriale più frequente e colpi-
sce all’incirca un bambino su mille alla nascita e il 10% della popola-
zione oltre i sessant’anni, e può avere cause sia di natura ambientale,
sia di natura genetica
4
.
Le cause ambientali della sordità sono molteplici, imputabili a in-
fezioni perinatali (contratte durante la gravidanza o nel periodo suc-
cessivo alla nascita: toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia, anossia ce-
rebrale per citarne qualcuna) e a traumi acustici, cerebrali o all’uso di
farmaci ototossici, ossia tossici per l’orecchio. Ma per buona parte del-
le sordità provocate dall’ambiente non si ha una diagnosi precisa a
causa della concomitanza di numerosi fattori che concorrono a pro-
vocare la menomazione (cause infettive, vascolari, degenerative, au-
toimmuni, tumorali, iatrogene, ecc.)
5
.
Per ciò che concerne le cause genetiche, è opportuno distin-
guerle tra forme non sindromiche (oltre la sordità ci sono altri segni e
sintomi) e forme sindromiche (la sordità può essere l’unico sintomo pre-
sente).
La maggior parte delle forme non sindromiche è dovuta a cause ge-
netiche, le quali sono tuttora in fase di studio e ricerca, ma per ora so-
no stati identificati 19 geni responsabili di diverse forme di sordità eredi-
taria. Molti altri non sono stati ancora identificati, e per questo motivo
al momento non è sempre possibile individuare nelle persone affette la
forma specifica di sordità e scoprire l’alterazione del DNA responsabile
della patologia. C’è da dire che alcune forme di sordità sono partico-
4
A. De Filippis, L’impianto cocleare. Manuale operativo. Milano, Masson, 2002, p.15
5
Ibi, pp.16 - 17
6
larmente rare tanto da essere circoscritte solo all’interno di singole fa-
miglie.
Uno dei geni responsabili dell’80% dei casi di sordità autosomica reces-
siva è la connessina 26 (Cx26, indicato anche con la sigla GJB2, gap-
junction protein beta 2), identificato nel 1997, che in Italia e in Spagna
è responsabile addirittura del 90% dei casi di ipoacusia di tipo congeni-
to
6
. Non tutti i 19 geni provocano esclusivamente sordità congenita,
ma alcuni possono determinare la sua insorgenza in età puberale ed
adulta.
Per poter diagnosticare l’alterazione genetica ci si avvale
dell’analisi molecolare, la quale permette di analizzare il DNA alla ri-
cerca di mutazioni nei geni noti tramite l’analisi di campioni biologici
come il prelievo ematico, l’analisi del liquido amniotico e l’esame dei
villi coriali. Questa analisi si può eseguire anche sui familiari delle per-
sone affette, al fine di identificare i portatori sani della mutazione ge-
netica. Dato che non tutti i geni responsabili delle numerose forme di
sordità ereditaria sono stati identificati, non sempre l’analisi molecolare
permette di identificare l’alterazione che causa la malattia
7
.
Nella sordità sindromica sono presenti altri segni e/o sintomi che
definiscono alcuni quadri abbastanza frequenti e maggiormente co-
nosciuti quali la sindrome di Alport, di Waardenburg, di Usher e quella
di Pendred, oltre ad altre meno frequenti come quella di Treacher –
Collins, di Charcot Marie – Tooth per elencarne alcune. Di seguito pre-
sento una sintetica descrizione.
a. Sindrome di Alport: è causata dalla mutazione dei geni
COL4A3, COL4A4, COL4A5, che impediscono la corretta forma-
zione strutturale delle membrane basali di rene, orecchio interno
e occhio, provocando così sordità progressiva neurosensoriale,
6
A. De Filippis, L’impianto cocleare. Manuale operativo., p. 18
7
A. De Filippis, L’impianto cocleare. Manuale operativo., p. 20
7
insufficienza renale e anomalie oculari. La prognosi è più severa
per i maschi, che possono andare incontro a esito letale prima
dei trent’anni.
b. Sindrome di Waardenburg: è caratterizzata da anomalie pig-
mentarie dei capelli (caratteristico è il “ciuffo bianco”), sordità
bilaterale, anomalie dello sviluppo dei tessuti derivati dalla cre-
sta neurale, lateralizzazione del canto mediale e anomalie
dell’iride, che può presentare colori differenti nei due occhi (ete-
rocromia). Questa sindrome ha una trasmissione autosomica
dominante e ne esistono quattro tipi, determinati dalle diverse
caratteristiche fisiche: il tipo 1 è caratterizzato dalla lateralizza-
zione dei canti interni dell’occhio: il tipo 2 non presenta lateraliz-
zazione; il tipo 3 presenta lateralizzazione dei canti e anomalie
degli arti superiori; il tipo 4 non ha la lateralizzazione dei canti,
ma presenta il morbo di Hirschsprung (megacolon congenito). I
geni interessati sono PAX3, MITF, SOX10. È da ritenersi la causa di
oltre il 2% dei casi di sordità congenita, che può essere di tipo
neurosensoriale, unilaterale o bilaterale, e può essere coinvolta
la funzione vestibolare.
c. Sindrome di Usher: si manifesta con ipoacusia congenita asso-
ciata a retinite pigmentosa, ossia una degenerazione progressi-
va della retina. I geni principali responsabili della sindrome sono il
MYO7A e l’USH2A, ma di fatto c’è una notevole eterogeneità
clinica e molecolare. Si possono distinguere tre tipi di Sindrome
di Usher: col tipo 1 si nasce con sordità profonda, con un residuo
uditivo basso che però non permette di udire le frequenze ne-
cessarie per comprendere il parlato. Comporta problemi di equi-
librio perché non si ricevono segnali dall’orecchio interno. Verso
la fine della prima decade di età si manifestano i primi sintomi
8
della retinite pigmentosa. Col tipo 2 si nasce con una perdita u-
ditiva bilaterale da moderata a grave. La perdita di udito è sta-
zionaria nella maggior parte dei casi e molto raramente le per-
sone perdono completamente la capacità uditiva. Il progredire
della degenerazione retinica inizia dopo l’adolescenza. Il tipo 3
è il tipo più raro, maggiormente conosciuto nei Paesi scandinavi:
le persone che ne sono affette nascono senza manifestare un
deficit uditivo, ma l’ipoacusia che inizia nei primi anni di vita, è
progressiva e intorno ai trenta - cinquant’anni può diventare
profonda. La degenerazione della retina inizia a manifestarsi
dopo l’adolescenza. In alcuni casi sono presenti anche problemi
di equilibrio.
d. Sindrome di Pendred: è una sindrome a trasmissione autosomica
recessiva causata dalla mutazione del gene PDS, localizzato su
7q31 (braccio lungo del cromosoma 7). Si manifesta general-
mente prima dell’adolescenza con sordità bilaterale neurosen-
soriale, gozzo tiroideo, malformazione cocleo - vestibolare e pos-
sibile disfunzione vestibolare. La sordità compare precocemen-
te: alla nascita o durante i primi anni di vita. Le disfunzioni tiroi-
dee, come la presenza di gozzo o di ipotiroidismo si manifestano
per lo più durante l’adolescenza, ma possono essere congenite
o esordire tardivamente. La sindrome di Pendred rappresenta
almeno il 5% delle sordità congenite.
e. Sindrome di Treacher - Collins: provoca sordità con anomalie
dell’orecchio esterno grazie al gene TCOF1, situato sul cromo-
soma 5. I bambini con questa sindrome possono andare incon-
tro precocemente a problemi di natura respiratoria per la ristret-
tezza delle vie aree e ciò può richiedere una tracheotomia
temporanea. L’intelligenza di chi ha la Treacher - Collins è nor-
9
male, per cui il precoce riconoscimento della sindrome, permet-
tendo di correggere tempestivamente il deficit uditivo e di pre-
venire le complicanze respiratorie, è un elemento che può influi-
re molto favorevolmente sulla prognosi.
f. Sindrome di Charcot Marie - Tooth: provoca sordità neurosenso-
riale e anomalie del sistema nervoso, le quali a loro volta causa-
no ipotrofia e debolezza muscolare prevalentemente localizzata
agli arti inferiori. L’intelligenza di queste persone è normale come
anche l’aspettativa di vita. L’andamento della sindrome è len-
tamente progressiva.
8
1.3. Le varie tipologie di sordità:
Le sordità si possono classificare in cinque gruppi:
a. Ipoacusie trasmissive: si parla di ipoacusia trasmissiva quando lo
stimolo sonoro, per motivi puramente meccanici, non può rag-
giungere le cellule uditive. Ciò può essere dovuto a una sempli-
ce ostruzione del condotto uditivo esterno per la presenza di un
tappo di cerume o a un’alterazione del meccanismo di trasmis-
sione del suono operante nell’orecchio medio, per esempio la
presenza di secrezioni sieromucose nella cassa timpanica come
nel caso dell’otite media secretiva, che è molto frequente nel
bambino. L’entità della perdita uditiva per un problema di tipo
trasmissivo non può superare i 60 db.
b. Ipoacusie neurosensoriali: si considerano tali quelle sordità nelle
quali la perdita uditiva è dovuta a un danno alle cellule uditive o
alle fibre del nervo acustico, per cui viene a mancare il primo
8
A. De Filippis, L’impianto cocleare. Manuale operativo., pp. 27-31.
10
recettore dello stimolo uditivo, capace di processarlo e inviarlo
ai centri superiori. La più frequente tra le ipoacusie neurosenso-
riali è la presbiacusia, nella quale il deficit uditivo è dovuto
all’invecchiamento e alla progressiva diminuzione delle cellule
uditive. Il trauma acustico cronico e l’uso di farmaci tossici per le
cellule uditive sono altre due cause frequenti delle ipoacusie
neurosensoriali.
c. Ipoacusie centrali: il danno è localizzato a livello del tronco
dell’encefalo o di strutture ad esso superiori. In questi casi la dif-
ficoltà della persona affetta da sordità è legata alla compren-
sione del segnale verbale, riguardante una complessità sia lega-
ta agli aspetti sonori, sia agli aspetti semantici, inficiati dal danno
cerebrale evidenziato in precedenza. Si usa l’espressione “sordi-
tà centrale completa” quando non si rileva alcuna soglia uditiva
per i toni puri, mentre si parla di “agnosia uditiva” come
dell’incapacità di identificare i suoni pur in presenza di una so-
glia di audizione normale. In seguito fornirò una spiegazione det-
tagliata in merito ai vari livelli di audizione. Si parla di “agnosia
uditivo - verbale”, o sordità per le parole, quando è presente so-
lo l’incapacità a decodificare il codice fonologico. In questa
forma la capacità di leggere, scrivere e parlare rimane normale.
Un altro tipo di sordità per le parole coinvolge i bambini che svi-
luppano un’epilessia delle aree uditive, la cosiddetta “afasia
epilettica”. Bisogna considerare che spesso queste diverse entità
cliniche possono sovrapporsi o modificarsi nel tempo.
d. Ipoacusie miste: si considerano miste quelle ipoacusie nelle quali
si associa una componente neurosensoriale e una trasmissiva.
L’esempio più frequente è quello di un anziano con ipoacusia
neurosensoriale di tipo presbiacusico in cui si forma un tappo di
11
cerume. Naturalmente questa definizione vale anche per
l’associazione tra un’ipoacusia trasmissiva e una centrale con
tutte le possibili combinazioni.
e. Ipoacusie funzionali: non è presente alcuna alterazione nel
meccanismo di trasmissione e ricezione del suono, ma sono con-
siderate sordità a tutti gli effetti perché la persona interessata ha
problemi psichiatrici che la inducono a ignorare inconsciamente
lo stimolo uditivo
9
.
1.3.1. Diversi livelli di sordità: le difficoltà oggettive nell’educazione
Credo che sia importante evidenziare che la deprivazione uditi-
va può provocare ritardi dello sviluppo e nell’educazione del bambino
a seconda dell’età d’insorgenza e del grado di perdita uditiva: è chia-
ro che solo con una diagnosi precoce e un’immediata protesizzazione
si possono limitare svariati problemi.
Il bambino sordo ha notevoli difficoltà di elaborazione delle in-
formazioni perché il feedback ascolto - comprensione non è comple-
to, bensì è altamente distorto (si parla di comprensione delle parole
dal punto di vista morfologico, non da quello semantico - pragmati-
co).
La distorsione delle frasi e di conseguenza il non capire fino in fondo
può portare a una condizione di spaesamento, può minare
l’autonomia e soprattutto la sicurezza personale. Tutto questo si riper-
cuote sull’educazione, perché possono insorgere scarsa stima di sé,
autosvalutazione, tendenza all’isolamento sociale e aggressività ac-
centuata.
9
A. De Filippis, L’impianto cocleare. Manuale operativo., pp. 4 – 5.