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INTRODUZIONE.
Le prime tracce consistenti di didattica museale si intravedono con l’avvento
dell’Illuminismo e si concretizzano nella volontà di dare un ordine logico (cronologico,
tematico, topografico, etc.) alle esposizioni, in modo tale da facilitare la conoscenza
soprattutto ai non addetti ai lavori. Da questo momento in poi, il museo assume una
nuova responsabilità, diviene luogo di educazione.
Nei musei la forma didascalica più diffusa attualmente si traduce nella visita
guidata, ma considerando la varietà dei visitatori, che comprende un numero consistente
di adolescenti e bambini, si sono rese necessarie nuove forme di didattica attuate
attraverso il mezzo del laboratorio. Quest’ultimo può diventare un luogo permanente
all’interno di un museo, ma anche allestibile. La soglia del laboratorio, una volta varcata,
separa i visitatori dalla zona intangibile delle opere d’arte vere e proprie, per dare spazio
alla conoscenza che si assume attraverso la prova pratica di tecniche e materiali artistici.
Questa tipologia di laboratorio incentrata sulla dimensione del “fare per poter
capire”, viene sperimentata per la prima volta in Italia da Bruno Munari, artista che
dedicherà gli ultimi trenta anni della sua vita a queste attività. Egli diviene autore di un
vero e proprio metodo didattico, inizialmente detto “Giocare con l’arte”, un tipo di
laboratorio che, secondo il suo ideatore, si può costituire in qualunque museo.
Per alcune istituzioni i c.d. “laboratori munariani” diventano permanenti. Ne
sono esempi, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza in cui, sin dal 1979,
esiste un laboratorio che si basa sulle tecniche della ceramica ed è permanente anche il
laboratorio del Centro per l’Arte Contemporanea Pecci di Prato, in cui il “metodo
munariano” indaga i fondamenti della produzione artistica contemporanea.
Allo stesso tempo si sviluppano centri privati fondati dai discepoli di Munari che
seguono il metodo didattico dell’artista in maniera continuativa.
Anche all’estero sorgono centri creativi e didattici ispirati al modus munariano: a
Tokyo, nel 1986, è stato inaugurato il Kodomonoshiro, un edificio appositamente
pensato per lo sviluppo della comunicazione sensoriale nei bambini, in cui Munari
venne invitato a realizzare sul posto tutti i laboratori per bambini che aveva ideato nel
corso di dieci anni.
2
Nella consapevolezza che i musei sono luoghi di conservazione ma anche e
soprattutto di educazione, si intende trasmettere quanto sia importante proporre
iniziative didattiche volte a promuovere, attraverso spazi appositi, una cultura museale
che vada vissuta e non solamente osservata.
La tesi si sviluppa partendo da un capitolo introduttivo in cui vengono trattati
argomenti biografici riguardanti l’artista e la sua produzione artistica, soprattutto per ciò
che riguarda le opere dedicate all’infanzia.
Si prosegue esponendo il Metodo Munari®, iniziando dalle teorie pedagogiche e
didattiche a cui Munari si ispira per i suoi laboratori, tra le quali emerge, in modo
particolare, l’importanza della definizione data alla parola creatività; per arrivare,
all’Associazione Bruno Munari che ha brevettato il metodo.
Nel terzo e ultimo capitolo, invece, l’attenzione si focalizza su due realtà
museali specifiche: il primo laboratorio di “Giocare con l’arte”, che si tenne alla
Pinacoteca di Brera nel 1977 e il caso del Centro Arte Contemporanea di Cavalese (Tn)
che, nonostante non possieda più la collezione dedicata a Munari, ha mantenuto vivo il
laboratorio, svolgendo attività che si ispirano alle teorie didattiche dell’artista e
garantiscono al museo un importante numero di “piccoli visitatori”.
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CAPITOLO I
MUNARI: ARTISTA NELLA FORMA DELLE COSE,
BAMBINO NELL’ESSENZA DELLE COSE.
I. 1. L’artista.
Nel 2007 si è tenuto il Centenario della nascita e si è da poco concluso il primo
decennio dalla morte di Bruno Munari. Due avvenimenti che hanno commemorato
questo artista dalle infinite sfaccettature, attraverso numerosi eventi e mostre in suo
onore.1
La personalità di Munari può essere considerata insolita, in quanto non
rispecchia soltanto un grafico efficace e un designer dalla fama riconosciuta, ma la sua
personalità eclettica e dinamica si manifesta, soprattutto, nell’originalità delle idee che
esprime, di fronte alle numerose situazioni artistiche e non artistiche che incontra nel
corso della sua vita. Egli, infatti, è impegnato in più discipline contemporaneamente ed
è stimolato alla continua ricerca di nuove soluzioni in svariati ambiti. Questa
caratteristica ha messo in difficoltà critici e storici dell’arte impegnati nel tentativo di
collocare il lavoro di Munari all’interno degli stili dell’arte contemporanea. Coloro che
si sono occupati dell’attività di Munari dagli esordi fino ad oggi, hanno tentato di dare
un nome alla natura di questo artista giungendo ad un repertorio di definizioni che si è
concluso con l’affermazione “ognuno conosce un Munari diverso”2 .
1
B. PERILLI, 2008, p. 30: si fa riferimento, in particolare, a cinque mostre tenutesi nell’arco di un anno.
Le prime, in ordine cronologico, hanno avuto come sfondo Milano, la città natale dell’artista: l’una,
presso la Rotonda di Via Besana nel 2007-2008, l’altra, indirizzata ad un pubblico infantile, intitolata
Vietato non toccare. Bambini a contatto con Bruno Munari, tenutasi alla Triennale dal 29 gennaio al 30
marzo 2008. Segue, l’omaggio che la città di Urbino ha voluto fare all’artista, fino al 18 ottobre 2008,
attraverso l’esposizione dei disegni e bozzetti preparatori al libro gioco per bambini ABC. Hanno rivisto
la luce anche le ventisette figurazioni grafiche di Munari, realizzate per Campari, esposte a Forlì in
occasione della mostra dedicata ai manifesti storici del periodo fascista. Infine, termina il 22 febbraio
2009, la mostra antologica presso il museo dell’Ara Pacis che si conclude presso Cosecasa, il più piccolo
museo di design del mondo che, dal 1978, ha fatto conoscere a Roma le opere dell’artista.
2
C. CERRITELLI, P. FOSSATI, 2001, p. 15.
4
Nel corso del Novecento, Munari contribuisce in maniera essenziale nei settori
delle arti visive (pittura, scultura, cinematografia, design industriale, grafica) e non
visive (poesia, didattica) con una ricerca molto attiva sul tema del gioco, dell’infanzia e
della creatività. Argomenti, questi ultimi, che incideranno molto nel campo della
didattica all’interno di musei nazionali ed internazionali e che costituiscono il cuore di
questa tesi, la quale non può non toccare le tappe più rilevanti della carriera creativa di
Bruno Munari.
I. 1.1. Dalla corrente del Secondo Futurismo alla fondazione del
Movimento Arte Concreta.
Nato a Milano il 24 ottobre del 1907, Bruno Munari trascorre l’infanzia e
l’adolescenza a Badia Polesine, un paese della campagna veneta. Più avanti, frequenta
una scuola tecnica a Napoli, per poi tornare, a diciotto anni, nella città di nascita dove
collabora ai disegni tecnici dello zio ingegnere che lavorava per l’Enel, cominciando ad
interessarsi di progettazione ed a lavorare presso studi di grafica.
La Milano degli Anni Venti è una città sopravvissuta alla prima Guerra
Mondiale e le correnti artistiche che popolano la città prima del conflitto si modificano:
in particolare, la prima Avanguardia italiana, durante la guerra, perde alcuni dei suoi
esponenti principali, sia per cause di forza maggiore3, sia perché alcuni protagonisti di
questa corrente si allontanano per cercare nuove vie espressive, come nel caso di Carlo
Carrà, che attorno al 1916 aderì alla nuova pittura metafisica.
Quindi la guerra segna la fine di una fase della corrente futurista, quella più
creativa e dinamica e dà il via al Secondo Futurismo4, privo della carica rivoluzionaria
del Manifesto firmato a Milano dai maggiori pittori della corrente nel 1910, ma
importante per la curiosa sperimentazione nel campo delle arti applicate.
Facendo riferimento a Munari, non sono esclusivamente le coordinate storiche a
trascinarlo tra i Futuristi della seconda ondata ma soprattutto, come scrive Valeria
3
D. BERNINI, R. ROTA, 2001, p. 128: si fa riferimento alla morte in guerra di Umberto Boccioni, il
maggiore rappresentante del Futurismo, avvenuta nel 1916 a Sorte (Vr).
4
IVI, p. 62: con Secondo Futurismo si intende la seconda fase del Futurismo che va dal primo Dopoguerra
alla morte di Marinetti, nel 1944.
5
Tassinari, “l’inseguimento da parte dell’artista, di un sogno dell’arte viva, in mezzo alla
quale poter abitare leggendo in essa i segni del progresso civile”5, premessa che lo
avvicina inevitabilmente al gruppo.
Dal 1927 Munari inizia a frequentare Filippo Tommaso Marinetti, il principale
animatore del pensiero, e ad esporre le sue pitture nelle mostre collettive dedicate al
movimento.
Questo periodo è importante soprattutto per il “Munari pittore”. Infatti, la prima
scultura dell’artista milanese intitolata Macchina aerea è un’opera d’arte che si può
inserire nel periodo futurista solo per la data di progettazione, il 1930, in quanto si
distacca da alcune convenzionalità del gruppo, che porteranno Munari ad allontanarsi
dal Secondo Futurismo con tatto ed ironia. Questa scultura è un’opera che ha l’obiettivo
di evocare il senso del dinamismo, però lo fa in maniera diversa dagli altri componenti
del gruppo, i quali in presenza di Munari, discutevano sempre dello splendore
meccanico delle macchine ma, secondo Munari, con l’utilizzo di pittura e scultura, ne
bloccavano il movimento. La Macchina aerea (fig. 1) si distacca dalla superficie dipinta
del “Cane al guinzaglio” di Balla e si libera dai pesanti piedistalli di Forme uniche nella
continuità dello spazio di Boccioni, per manifestare la sua essenziale disposizione nello
spazio che culminerà nel 1933 nella famosa serie di Macchine Inutili, composizioni
continuamente variabili secondo la casualità del movimento, che Munari descrive come
“forme liberate dalla staticità del dipinto e sospese in aria, collegate tra loro in modo che
vivessero con noi nel nostro ambiente, sensibili all’atmosfera vera della realtà”.6
Infine, Munari illustra alcuni libri per i Futuristi, in particolare per Martinetti,
con cui condivide la passione per l’espressione comunicativa e i suoi mezzi; questa
dedizione si può individuare nei Manifesti di Martinetti, nell’utilizzo dei moderni
volantini, giornali etc., mentre in Munari, nell’impronta grafica che emergerà poco più
avanti nelle insegne pubblicitarie. Tanto è vero che una delle maggiori preoccupazioni
di Munari era quella di cercare la tecnica giusta per comunicare i messaggi visivi che
circondano l’uomo, problema risolvibile attraverso la continua ricerca e la
sperimentazione, due caratteristiche futuriste che permangono nell’attività del nostro
artista, assieme alla volontà di abbattere le barriere tra arte e vita quotidiana.
5
V. TASSINARO , Con gli occhi di Munari, 24 nov. 2008.
6
B. MUNARI, 2007, p. 10.