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Nella pratica clinica, com’è possibile rivelare da numerose ricerche effettuate in
anni recenti, l’ADHD è una delle patologie maggiormente riscontrate nei bambini. Il
bambino con ADHD è un bambino da definirsi come “diverso” già nel periodo dopo la
nascita sia per la modulazione del livello di eccitazione sia per il controllo inibitorio che
per la regolazione dell’attenzione. Sono i genitori, in primis, che iniziano a vedere degli
atteggiamenti strani nel proprio figlio, come ad esempio il tentativo di organizzare le
sue abitudini alimentari o le ore di riposo; tutti questi problemi si riscontrano anche in
ambito scolastico in cui però, il più delle volte, si attribuisce erroneamente al bambino
un disturbo dell’apprendimento tendendo così a “correggere gli errori” da un punto di
vista comportamentale senza comprendere la patologia.
Studiare il disturbo dell’ADHD può aiutare non solo ad effettuare una adeguata
diagnosi ma anche a comprendere il disturbo che sperimentano i bambini che soffrono
di questa patologia, i loro genitori e i loro insegnanti; inoltre il comprendere tale
disturbo può fornire indicazioni utili sulle modalità dei bambini di adattamento
all’ambiente e di interazione con gli altri. Il presente lavoro ha anzi tutto l’obiettivo di
approfondire e esplicitare da un punto di vista teorico il tema del disturbo dell’ADHD.
Il lavoro si articola in due capitoli. Nel primo capitolo esplicito che cos’è l’ADHD:
natura, caratteristiche (inattenzione, impulsività e iperattività), eziologia e vari disturbi
associati (comorbidità o diagnosi differenziale). Mi soffermo inoltre sulle varie
procedure diagnostiche per spiegare i passaggi relativi alla presa di coscienza del
disturbo da parte dei genitori, del bambino e degli insegnanti. Nel secondo capitolo
presento alcune delle terapie maggiormente utilizzate (terapie non farmacologiche:
cognitivo-comportamentale, partent-trainig e tecniche d’intervento a scuola; terapie
farmacologiche: metilfenidato e atomoxetina) al fine di comprendere le possibili
soluzioni di intervento.
PRIMO CAPITOLO
ADHD: LINEE GENERALI
6
Ad una prima osservazione un bambino affetto da ADHD ci potrà apparire
“svogliato” e “poco educato” dai genitori, dagli insegnanti o da altre agenzie educative.
Per entrare in relazione con un bambino ADHD è indispensabile avere conoscenza
delle sue dinamiche psichiche e comprendere empaticamente il mondo in cui vive.
All’ADHD, i cui sintomi cardine sono l’impulsività, l’iperattività e la disattenzione
(presenti in quantità e qualità variabili), si associa una serie di problematiche
secondarie (legate all’apprendimento, all’emotività, alle relazioni interpersonali) che
sono il risultato dell’interazione tra le caratteristiche primarie del disturbo e l’ambiente.
L’ADHD si configura, pertanto, quale disturbo bio-psico-sociale, in cui accanto alla
componente costituzionale, assumono un peso rilevante i patterns cognitivi e
relazionali che essa viene a creare.
Conoscere la natura, le caratteristiche e le procedure diagnostiche lo ritengo il
primo obiettivo fondamentale per entrare in relazione con un bambino ADHD e con la
sua famiglia.
1. Natura e caratteristiche dell’ADHD
In questo capitolo mi sono posta l’obiettivo di esplicitare il significato del
Disturbo d’Attenzione e Iperattività (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder – ADHD)
delucidando i principali cenni storici per poi dare una definizione scientifica e accettata
del disturbo. Inoltre mi focalizzo sulle caratteristiche principali e sui fattori
maggiormente studiati che influiscono sulla genesi del disturbo; accenno poi alle
comorbidità o diagnosi differenziale.
1.1 ADHD: alcuni cenni storici e attuale definizione
L’ADHD è la più recente “etichetta diagnostica per descrivere un disordine
dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente che presenta problemi di
attenzione, iperattività e impulsività”.1
Il primo studio dell’iperattività risale a Still (1902) che si interessò ad un gruppo
di bambini che avevano sofferto di episodi di encefalite; l’autore definì tale
sintomatologia “Deficit nel Controllo Morale”.2
1
BARKLEY Russel A., Bambini Provocati, Manuale Clinico per la valutazione e il parent-training [Giournal
of Clinical Child Psycholoy, The Guildorf Press, New York1997], traduzione di Giuseppe A. Chiarenza,
Ars Medica Editore, Varese 2007. (2)
7
Fu solo nel 1952 che tale disturbo venne inserito e descritto nella prima
edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM)3 il quale
presentava solo due disturbi psichiatrici infantili: la Schizofrenia e il Disturbo di
Adattamento (DA). Nella seconda edizione del DSM (1968) si definì l’ADHD come
“Reazione Ipercinetica del Bambino”,4 enfatizzando l’aspetto motorio piuttosto che
quello cognitivo.
Nel DSM-III (1980) l’ADHD venne definito come “Disturbo da Deficit
dell’Attenzione”;5 il cambio di definizione derivò dal mutamento della lettura diagnostica
in cui si dava più interesse agli aspetti cognitivi piuttosto che a quelli comportamentali.
In questa edizione vennero descritti i due sottotipi di ADHD: con o senza iperattività.
Nel 1987 fu pubblicato il DSM-III-R nel quale vennero eliminati i due sottotipi e si
introdusse l’attuale etichetta di Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività ponendo
l’accento sui sintomi di disattenzione, impulsività e iperattività.6
Dalla pubblicazione della terza edizione riveduta del DSM (DSM-III-R), il
Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è diventata la sindrome infantile più
studiata in tutto il mondo.
La più recente descrizione del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è
contenuta nel DSM-IV (APA, 1994), secondo il quale, per poter porre diagnosi di
ADHD, un bambino deve presentare almeno 6 sintomi per un minimo di sei mesi e in
almeno due contesti (per es. casa e scuola); inoltre, è necessario che tali
manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che compromettano
il rendimento scolastico e/o sociale. Di seguito riporto i 18 sintomi presentati del DSM-
IV che sono gli stessi contenuti nell’ICD-10 (decima revisione della classifica
internazionale delle malattie pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
OMS, 1992); l’unica differenza si trova nell’item (f) della categoria
iperattività/impulsività (parla eccessivamente) che, secondo l’OMS, è una
manifestazione di impulsività e non di iperattività. 7
2
VIO Claudio – MARZOCCHI Marco – OFFREDI Francesca, Il bambino con deficit di
attenzione/iperattività. Diagnosi psicologica e formazione dei genitori, Erikson, Trento 2006. (19)
3
Cf SINPIA Società Italiana di neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Linee Guida per il DDAI e
i DSA. Diagnosi e interventi per il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattivtà e i Disturbi Specifici di
Apprendimento, Edizioni Erickson, Trento. (13-16)
4
Cf VIO Claudio – MARZOCCHI Marco – OFFREDI Francesca, Il bambino con deficit di
attenzione/iperattività. Diagnosi psicologica e formazione dei genitori, Erikson, Trento 2006. (7)
5
l cit (7)
6
Cf ivi (11-17); Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, in wikipedia.org,
http://it.wikipedia.org/wiki/DSM, 1.
7
Cf SINPIA Società Italiana di neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Linee Guida per il DDAI e
i DSA. Diagnosi e interventi per il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattivtà e i Disturbi Specifici di
Apprendimento, Edizioni Erickson, Trento. (17-19)
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Disattenzione:
a) Spesso non riesce a prestare attenzione ai dettegli o commette errori di
distrazione nei compiti scolastici.
b) Spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività
di gioco.
c) Spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente.
d) Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici,
le incombenze o i doveri.
e) Spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle altre attività.
f) Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che
richiedono sforzo mentale protratto (compiti a scuola o a casa).
g) Spesso perde oggetti necessari per i compiti o le attività (giocattoli,
quaderni, libri, strumenti, materiale per i compiti).
h) È distratto facilmente da stimoli estranei.
i) Spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
Iperattività:
a) Irrequieto, muove mani, piedi, si dimena sulla sedia.
b) Spesso lascia il proprio posto in classe o in altre situazioni in cui ci si
aspetta che stia seduto.
c) Spesso scorazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui
questo comportamento è fuori luogo (in adolescenti e adulti questo
spesso si tramuta in irrequietezza).
d) Difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo.
e) Spesso è sotto pressione o agisce come se avesse un “motore interno”.
f) Spesso parla eccessivamente.
Impulsività:
a) Risponde con impeto alle domande anche quando non sono rivolte a lui
o prima ancora che vengano formulate.
b) Ha spesso difficoltà ad aspettare il proprio turno o a stare in fila.
c) Spesso interrompe gli altri o è invadente.
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