ILa ricerca di un fine
I.1 La formazione utilitarista e l'incontro con il continente
Quando si considera John Stuart Mill solo un esponente e un teorico
dell'Utilitarismo, non si rende giustizia a quella parte dell'educazione che egli
ricevette in Francia, ospite di Samuel Bentham, cugino del ben più celebre
Jeremy, e a quell'influenza che sempre esercitarono su Mill le istanze
politiche, filosofiche ed economiche del continente. Se a cavallo tra il
ventesimo e il ventunesimo secolo Mill continua ad essere citato, e vive una
nuova fortuna facendo la sua comparsa in ogni dibattito sulla libertà e sulle
garanzie che la società moderna offre agli individui che la compongono,
questo non si deve tanto all'accurata e attenta educazione che James Mill volle
offrire al primogenito, di comune accordo con il grande amico Jeremy
Bentham, padrino di John Stuart Mill, quanto piuttosto alle considerazioni che
questi sviluppò in conseguenza dell'impatto, certamente sconcertante, che
ebbe con la Francia rivoluzionaria e con i suoi pensatori.
Un'infanzia trascorsa nell'ovatta della società vittoriana, senza altri stimoli
che le congetture matematiche ed economiche del padre, aveva persuaso John
Stuart Mill che la realtà fosse rappresentabile secondo schemi logici
relativamente stabili. Il soggiorno in Francia del 1820-211 e la conseguente
1 “Passando per Parigi, sia all'andata che al ritorno, trascorsi un po' di tempo nella casa di Say, l'eminente
studioso di economia politica, amico e corrispondente di mio padre, che l'aveva conosciuto in occasione
di una visita in Inghilterra uno o due anni dopo la pace. Era un uomo del periodo finale della Rivoluzione
francese, un fine esemplare del miglior tipo di repubblicano francese, uno di quelli che mai avevano
piegato il ginocchio davanti a Bonaparte anche se da lui sollecitato a farlo; un uomo veramente integro,
fiero e illuminato. Viveva una vita di studi, tranquilla, resa felice da caldi affetti, pubblici e privati.
Conosceva molti dei capi del partito liberale, e io ebbi occasione di incontrare diverse illustri persone
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presa di coscienza della Rivoluzione che poco più di trent'anni prima lì aveva
trovato luogo, fu per John Stuart Mill lo scardinamento di ogni solida
categoria precedentemente costruita, e provocò un ripensamento delle proprie
posizioni durato anni, e culminato nella crisi che lo segnò nel 1826.
Di qui la necessità di tenersi sempre informato sul dibattito a lui
contemporaneo, e l'immediata adesione al progetto di collaborazione con la
Westminster Review, iniziato nel 1822. A dimostrazione della sua vivacità
intellettuale e del desiderio, progressivamente divenuto urgenza, di sentirsi
costantemente immerso nelle dispute politiche e filosofiche, nello stesso anno
fonda la piccola società culturale Utilitarian society, e nel 1825 la Speculative
debating society, proprio con l'intento di padroneggiare senza lacune le
discussioni inglesi e internazionali del periodo. Questo interesse si
concretizza ben presto in forma di saggi ed articoli redatti sulle pagine di
giornali come la Westminster Review e, in seguito, l'Examiner, l'Edinburgh
Review, il Monthly repository, la London and Westminster Review.
Proprio una di queste testate, precisamente l'Edinburgh Review, pubblicò
nell'ottobre del 1845 il saggio milliano che prendiamo in esame per studiare e
ripensare il rapporto che John Stuart Mill intrecciò con il pensiero francese.
Sempre aggiornato sulle pubblicazioni inglesi ed estere, John Stuart Mill era
ormai uso recensire testi di storia, filosofia, politica, economia, ed anche
mentre mi trovavo a casa sua; fra queste, mi piace ricordare di aver visto una volta Saint-Simon, non
ancora il fondatore né di una filosofia né di una religione, e considerato soltanto come un acuto originai.
Il principale vantaggio riportato da quella esperienza francese fu un forte e duraturo interesse per il
liberalismo continentale, del quale successivamente mi sono sempre tenuto al corrente nella stessa misura
della politica inglese. Un tale interesse, per niente comune in quei tempi fra gli inglesi, esercitò
un'influenza molto salutare sul mio sviluppo. Mi conservò infatti libero dall'errore prevalente fra gli
inglesi e dal quale neppure mio padre era esente nonostante la sua superiorità rispetto ai pregiudizi, di
giudicare questioni universali secondo un metro di valutazione esclusivamente inglese. Dopo aver
trascorso alcune settimane a Caen con un vecchio amico di mio padre, ritornai in Inghilterra nel giugno
del 1821 e la mia educazione riprese il suo corso ordinario”. (John Stuart Mill, Autobiography, 1873,
trad. it. a cura di F. Restaino, Autobiografia, Laterza, Bari 1976). Cap. II.
Jean-Baptiste Say (1767-1832), direttore alla fine del Settecento della Dècade philosophique, littéraire et
politique, deve la sua fama di economista al Traité d'economie politique, 2 vol., 1803, e al Cours complet
d'economie politique, 6 vol., 1828-29.
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poesia sulle pagine dei più prestigiosi quotidiani dell'epoca.
Nel saggio intitolato Guizot's Essays and Lectures on History2 John Stuart
Mill commenta i Saggi e le Letture che Guizot scrisse a più riprese dall'inizio
degli anni Venti fino al 1830, per esporre il processo di civilisation in Francia
ed Europa. L'opera guizotiana, che si estende cronologicamente dalla fine
dell'Impero Romano sino al preludio della Rivoluzione, presta grande
attenzione a quanto si può ravvisare di unitario e costante nella storia.
L'intento dell'autore è quello di rintracciare, nello svolgersi delle vicende
umane, delle leggi che ne spieghino il senso, la direzione, per indovinarne il
fine. Questo genere di analisi storica non era certo sconosciuto a John Stuart
Mill, che già precedentemente aveva avuto occasione di osservare come, sul
continente, la concezione di periodi storici, singoli eventi, grandi lotte e
principi ideali fosse radicalmente diverso dalla visione prettamente pratica e
inglese degli stessi fenomeni. E tuttavia rileggere da capo la storia già
conosciuta dalla nuova prospettiva che Guizot gli offriva deve avere
impressionato notevolmente la mente di John Stuart Mill.
Proprio in quegli anni infatti l'autore inglese elabora l'opinione che le
azioni umane non possano essere regolate soltanto dall'immediato riscontro
che si presume esse abbiano, dall'utilità, dalla felicità, ma che debbano essere
orientate verso un altro fine, eventualmente ancora sconosciuto. Questo vale
tanto per il singolo, quanto per la società, e l'umanità intera. È indicativa in
merito l'evoluzione dell'approccio milliano alla vita stessa, profondamente
mutato in seguito alla crisi attraversata negli anni Venti. Mill dichiara
esplicitamente che senza un fine esterno diverso dalla felicità, la vita non è
2 Guizot's Essays and Lectures on History - Saggio apparso per la prima volta sull'Edinburgh Review
nell'ottobre del 1845, successivamente introdotto nella raccolta Dissertations and discussions – political,
philosophical, and historical, Londra 1859.
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possibile3. “Domandatevi se siete felici, e cesserete di esserlo. L'unica
soluzione è di considerare obiettivo della vita non la felicità ma qualche fine
esterno ad essa. [...] Una siffatta teoria divenne ora la base della mia filosofia
della vita”4. Muta anche radicalmente il suo concetto di civiltà, che si
consolida in una definizione destinata a perdurare nelle teorie successive:
“Per la prima volta, conferii il suo proprio spazio, tra i requisiti primari del
benessere dell'uomo, alla cultura interna dell'individuo. Smisi di attribuire
un'importanza praticamente esclusiva alla disposizione delle circostanze
esterne, e l'allenamento dell'essere umano alla speculazione e all'azione”5.
Le situazioni descritte nelle pagine di Guizot, John Stuart Mill le ritrova
viventi al suo tempo, e questo riproporsi di coincidenze è l'occasione per Mill
di riflettere sulla convinzione guizotiana che nella storia possano esistere
delle leggi, dei principi costanti. Il fine ultimo dell'umanità sarebbe quindi il
motore che attrae a sé tutti i corsi e i ricorsi storici, attraverso istanze che si
3 “Le esperienze di questo periodo ebbero due effetti molto marcati sulle mie opinioni e sul mio carattere.
In primo luogo mi spinsero ad adottare una teoria della vita molto dissimile da quella in base alla quale
ero vissuto prima e molto vicina a quella di cui a quel tempo non avevo certamente mai sentito parlare,
vale a dire la teoria della coscienza sovrapersonale di Carlyle. In verità non avevo mai smesso di credere
che la felicità costituisce la prova di qualsiasi regola di condotta e il fine della vita. Ma ora pensavo che
poteva essere raggiunta soltanto se non la si rendeva un fine immediato. Sono felici solamente (così
pensavo) quelli che si pongono obiettivi diversi dalla loro felicità personale: cioè la felicità degli altri, il
progresso dell'umanità, perfino qualche arte, o occupazione perseguiti non come mezzi ma come fini ideali
in se stessi. Aspirando in tal modo a qualche altra cosa trovano la felicità lungo la strada. I godimenti
della vita (tale era ora la mia teoria) sono sufficienti a fare di questa una cosa piacevole quando vengono
colti en passant, senza considerarli gli obiettivi principali. Rendeteli tali, e allora li sentirete
immediatamente insufficienti; non resisteranno ad un esame minuzioso. Domandatevi se siete felici, e
cesserete di esserlo. L'unica soluzione è di considerare obiettivo della vita non la felicità ma qualche fine
esterno ad essa. Lasciate che la vostra autocoscienza, la vostra capacità di analisi, le vostre
autointerrogazioni, si esauriscano in quello, e allora, se vi troverete in circostanze per altri aspetti
favorevoli, respirerete la felicità con l'aria che respirate, senza soffermarvici o pensarci sopra, senza
anticiparla nell'immaginazione o metterla in fuga con domande fatali. Una siffatta teoria divenne ora la
base della mia filosofia della vita. Io la sostengo tuttora come la migliore teoria per tutti quelli che
possiedono in misura soltanto modesta la sensibilità e la capacità di godimento, e quindi per la grande
maggioranza degli uomini.
L'altro importante mutamento subito dalle mie opinioni in questo periodo si riferisce al fatto che per la
prima volta diedi il posto che meritava, fra le necessità primarie del bene degli uomini, alla cultura
interiore dell'individuo. Cessai così di attribuire un'importanza pressoché esclusiva alla disposizione delle
circostanze esterne e all'addestramento dell'essere umano in vista della speculazione e dell'azione”. (John
Stuart Mill, Autobiography, cap. V).
4 id.
5 id.
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replicano, identiche in differenti contesti, ma in continuo progredire. John
Stuart Mill non sembra più soddisfatto dell'utilità benthamiana, e ricerca un
fine più profondo e radicato nell'uomo, secondo una prospettiva che i calcoli
felicitativi del padre e del padrino, concentrati sull'aspetto immediato, non
contemplano: la prospettiva storica. Dalla metà degli anni Venti in poi, Mill
ricerca nella storia un έσχατον, diviene un filosofo della storia, tende a un fine
verso cui sia volta l'umanità. E quest'idea gli proviene, per sua stessa
ammissione, dalla lettura degli autori liberali e socialisti del Continente,
perché, in Inghilterra, questa osservazione della storia come diretta ad un fine
non era ancora contemplata.
«La differenza tra la forma mentis inglese e quella continentale costringe le
stesse, prima ancora che noi, nelle province delle proprie rispettive letterature.
Alcune concezioni della storia considerata nel suo insieme, alcune
osservazioni di un progressivo dispiegarsi delle possibilità umane – di una
tendenza dell'uomo e della società verso alcuni risultati indipendenti -, di un
destino, come se vi fosse, dell'umanità – permeano, in tutta la loro estensione,
la più popolare letteratura di Francia»6.
Il riferimento è, evidentemente, oltre che a Guizot, ad Auguste Comte, con
il quale l'autore intrattenne per anni una vivace corrispondenza, e da cui
provengono a Mill tutte le suggestioni di stampo positivista. Tra gli autori
citati come legittimi creditori dei suoi debiti intellettuali, c'è Lessing, con
L'educazione del genere umano. Ci sono Herder e Kant.
Il contatto con ognuno di questi autori è il preludio e la causa della rilettura
operata da Mill delle teorie politiche ed economiche con cui si è formato. Ad
esse viene progressivamente affiancandosi una prospettiva escatologica, che
ripensa il valore e l'utilità stessa di queste concezioni. Per quanto
l'Utilitarismo sia un'etica teleologica, non è un'etica che ha di mira un fine
6 John Stuart Mill, Guizot's Essays and Lectures on History.
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ultimo, ma soltanto un fine contingente alla situazione. Mill, invece, dal
pensiero del continente, e quindi da Guizot, Comte, dalla scuola storica, dai
diversi socialismi, ma anche da Kant, trae un concetto di fine ultimo,
coincidente in lui non tanto in un risultato finale statico ed assoluto, quanto in
un assetto societario dinamico e in continua evoluzione, caratterizzato però da
una peculiarità inalienabile una volta acquisita: la convergenza delle
preferenze dei singoli con il bene dell'umanità.
A questo risultato John Stuart Mill non approderà subito: occorreranno
anni di rielaborazione dell'embrionale intuizione per formulare
compiutamente la tesi.
I.2 L'armonia dei fini, e la struttura statale che la concilia
Accordare i fini particolari ai fini universali è l'intento tanto di Kant quanto
di Mill, nel momento in cui entrambi ritengono che il fine dell'umanità sia la
felicità. Una felicità che non necessariamente si contrappone alla
massimizzazione dell'utilità collettiva, ma anzi, presuppone che il singolo
goda nel massimo grado possibile dei frutti della società. Mill chiarisce però
fin da subito che “non esiste il mondo del dover essere”, e così facendo
esclude la moralità dal campo della valutazione delle azioni umane. La
moralità è una categoria superflua, poiché il dovere coincide, o è destinato,
auspicabilmente, a coincidere, con la propria felicità. Osservare che ognuno
di noi deve ricercare la propria felicità non ha senso, nel momento in cui
ognuno, anche nei casi paradossali del masochista o del penitente, ricerca già,
sempre e comunque, la propria felicità, foss'anche sotto forma di dolore, o di
ricerca della redenzione, e quindi della pace interiore. La discrasia che
sussiste tra le teorie descrittive e le teorie normative si annulla, quando
finalmente i fini individuali arrivano a coincidere con quelli universali.
Kant approda a questo risultato soltanto come soltanto come ad
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un'antinomia, come all'unica soluzione possibile, postulata senza alcuna
certezza di realizzazione, al problema della scissione quotidianamente
constatabile tra moralità e ricerca della propria felicità. Mill invece vede
questo stesso concetto già presente nella storia, almeno in potenza,
affermando che ognuno contribuisce alla felicità generale soltanto se
consegue la propria felicità particolare. La realizzazione di questa coincidenza
è il fine dell'umanità stessa, e John Stuart Mill lo traspone nella prospettiva
escatologica che gli proviene dal continente. Nemmeno lui ha certezza del
momento della realizzazione. Possiede però la certezza del fatto che questo
accordo sia possibile, o almeno ipoteticamente conseguibile, e che gli uomini,
nel tentativo di avvicinarvisi, possano attivamente adoperarsi per ottenerlo. Di
qui, lo studio dei mezzi per arrivarci. La società ideale per John Stuart Mill
non è uno stato di fatto, un assetto statico, bensì - lo si ripete ancora -
l'accordarsi spontaneo degli intenti del singolo con gli intenti della comunità:
condizione che sola permette la massimizzazione della libertà, requisito
necessario di cui si alimenta il progresso. Politicamente questa società ideale
consiste in uno stato minimo, democratico ma non necessariamente
rappresentativo, in cui sia garantita ad ognuno la possibilità di esprimersi,
svilupparsi senza vincoli, e progredire, arrecando così vantaggio alla società
stessa, con il proprio benefico contributo personale.
Nel tempo John Stuart Mill cambia idea più volte sull'effettiva costituzione
dell'istituto statale ultimo. Da una fase giovanile, in cui resta fedele al
paradigma del free trade dei filosofi radicali, e mostra poca o nessuna
simpatia per i socialisti, privilegiando anzi le posizioni di conservatori come
Carlyle7 e Coleridge, John Stuart Mill attraversa periodi di forte influenza dei
liberali del continente e del socialismo di Fourier e Saint-Simon.
7 Thomas Carlyle (1795-1881) fu uno dei massimi esponenti della reazione anti-illurni-nistica in
Inghilterra; importanti i suoi articoli del 1829 Segni dei tempi e Caratteristica; il romanzo autobiografico
Sartor Resartus (1833-34); French Revolution, 1837; On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in
History, 1841 e Past and Present, 1843.
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