chiarezza le proprie tesi, il che rende certo più agevole e
fruttuoso il confronto con esse. Un pregio, questo, davvero
non comune.
Ora, non si vuole qui imbastire una discussione che
porterebbe fuori strada rispetto al tema, ma bisogna
ammettere che una delle ragioni del prestigio internazionale
di Searle e del successo dei suoi libri tradotti in diverse
lingue, consiste proprio nella sua limpidezza argomentativa
che, senza offendere il buon senso, riconosce il prestigio di
una tradizione occidentale fondata, oltre che sull'eccellenza
argomentativa, sul concetto scientifico di vero come
corrispondente ai fatti2. Ciò parrebbe tuttavia suonare come
“politicamente scorretto” per quella scuola di pensiero che
non ama parlare di capolavori né di opere, preferendo il
generico testi, e così implicandone il conseguente
livellamento3. Difatti, il tipo di attacco che tale scuola rivolge
a Searle è in linea con l’approssimazione allusiva che ne
informa i contenuti: come quando ritiene di poter irridere al
suo realismo ingenuo col sostenere (grazie a una conoscenza
approssimata delle teorie quantistiche) la relatività di
qualunque sedicente verità; non ultima quella della realtà
stessa che, ridotta dalla post modernità a descrizione, e
dunque a testo, non avrebbe maggior dignità di altre
“realtà”, prodotte da qualsivoglia individuo parlante, anzi,
scrivente. Le polemiche di Searle con R. Rorty e J. Derrida
sono un eloquente esempio4 di quali contrasti siano venuti a
2Cfr J.R. Searle, Campus wars. Multiculturalism and Politics of difference, Westview Press,
Boulder, 1995; trad. it Occidente e multiculturalismo, Ed. Il Sole 24 Ore, Milano, 2008.
3Cfr J.R. Searle, Occidente e multiculturalismo, cit.
4Cfr Maurizio Ferraris, Ontologia sociale e documentalità, in www.labont.it/ferraris,
II
crearsi fra modi di pensare certamente inconfrontabili.
Tuttavia, quello che - a parte ciò - sembra accomunare certi
attacchi è che, spesso, questi paiono riguardare meno il
merito di questioni filosofiche che ragioni di appartenenza.
Alle quali John Searle si è però sempre mostrato refrattario,
tanto che l’accusa che gli viene generalmente rivolta (si
pensi a Daniel Dennett5) è proprio quella della
incollocabilità. Ma questo, se da un lato ha portato alla
solitudine di certe sue posizioni, dall’altro ha costituito la
vera forza del suo pensiero, poiché non dovendo Searle
rendere omaggio a luoghi comuni consolidati, ha potuto
facilmente emendarsi ove necessario. Ciò gli ha però anche
consentito di schernire apertamente posizioni inconseguenti
o bizzarre, come quando afferma che “per Dennet noi siamo
veramente degli zombi”6, giacché “è il solo a pensare che
tutte le esperienze che riteniamo coscienti siano in realtà
semplici operazioni di una macchina computazionale”7.
Quanto sopra andava, se pur brevemente, accennato,
anche per dar conto di quali ragioni inducano a trascurare
altri contributi, che appaiono più spesso pretestuosi che
utili. Si può quindi, a questo punto, tornare alla questione
del libero arbitrio, che è sicuramente più interessante.
Il tema di fondo dunque è quello della scelta, come
implica una teoria che non mette mai in dubbio l’esistenza
di un Sé senza il quale “libero arbitrio” diverrebbe
Laboratory for ontology, Dipartimento di filosofia, Università di Torino, 2006;
5Cfr J.R. Searle, The mistery of consciousness, New York Review of Books, New York, 1997,
tr. it. Il mistero della coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 1998, p. 96.
6J.R. Searle, Il mistero della coscienza, cit, p. 85. Il testo cui si riferisce Searle è D.C. Dennet,
Coscienza. Che cos'è, Rizzoli, Milano, 1992.
7J.R. Searle, Il mistero della coscienza, cit, p. 102.
III
un’espressione priva di senso.
Ma Searle non si limita all’analisi formale minuziosa,
da perfetto esponente della scuola analitica quale
certamente è. Egli infatti estende l’indagine alle implicazioni
sociali e dunque politiche del libero arbitrio8, il che
contribuisce a rendere ancora più interessante la sua tesi.
La quale potrebbe trovare conferma anche in forza di
discipline oggi ritenute più “scientifiche” rispetto alla
filosofia, come la biologia. Il saggio del biologo Pasquino
Paoli sull'origine simbiontica della coscienza (come vedremo)
ne è un eccellente esempio9.
Si terranno presenti in questa disamina diversi scritti
di Searle, in quanto il problema del libero arbitrio – pur
affrontato esplicitamente ne La razionalità dell’azione10 che
verrà da noi esaurientemente esaminato - costituisce in
realtà il tema di fondo di quasi tutta la sua opera (tranne
forse gli Atti linguistici11). A tale tema si riferisce anche,
infatti, una delle ipotesi più interessanti nel panorama della
filosofia contemporanea, quale quella dello Sfondo
contenuta già ne La riscoperta della mente12, che esemplifica
i presupposti concreti imprescindibili sui quali basiamo la
nostra razionalità. Ma l'idea cruciale - sulla quale Searle
8Cfr John R. Searle, Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il
potere politico, cit.
9Pasquino Paoli, Come l’evoluzione ha realizzato il ‘fantasma nella macchina’. L’origine
simbiontica della coscienza. In Systema Naturae, 2001, vol. 3, pag. 43-202.
10J.R. Searle, Rationality in action, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2001. Trad. it.
La razionalità dell’azione, Raffaello Cortina, Milano, 2003.
11J.R. Searle, Speech acts: An essay in the philosophy of language, Cambridge University
Press, Cambridge, 1969. Trad. it. Atti linguistici: un saggio di filosofia del linguaggio,
Boringhieri, Torino, 1976.
12John R. Searle, The rediscovery of the mind, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts,
1992. Trad. it. La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, Torino, prima ed.1994; rist. 2003.
IV
scrive infatti La razionalità dell'azione – è quella dello Scarto,
o Lacuna, ossia il divario (gap) fra l'intenzione e l'azione, che
poi è ciò che caratterizza l'agire umano e che nella
tradizione filosofica viene chiamato libero arbitrio.
Cioè l'idea della libertà umana. Alla quale Searle non
vuole affatto rinunciare, come invece fanno invariabilmente
e con eccessiva disinvoltura i deterministi.
Ma, se possiamo discutere di filosofia morale - dice
Searle - è perché presupponiamo la libertà individuale. E,
pertanto, che vi siano ragioni per agire, e non cause di
eventi impersonali che muovano gli agenti.
Dunque si deve chiarire cosa sia una ragione e cosa
una azione; e per far questo Searle esamina e demolisce il
cosiddetto Modello Classico, cioè quello aristotelico e
successivi similari derivati. Che tale modello, indiscusso per
secoli, mostri oggi tutta la sua fallacia è una cosa detta con
chiarezza inequivocabile da Searle. Ciò per diversi motivi.
In primo luogo l’inaccettabile confusione fra il campo
logico e quello soggettivo. Solo quest'ultimo, infatti, è il
proprium del libero arbitrio. In secondo luogo, la necessità
del corredo emozionale al fine della scelta (Damasio13),
confermata dalla ricerca neurologica, ma negata dal
Modello. In terzo e ultimo luogo, l'infondatezza della dottrina
che vorrebbe il desiderio unica causa dell'agire razionale,
secondo lo stesso Modello.
Searle insomma ha ritenuto indispensabile, ove si
13Antonio Damasio, The feeling of what happens. Body and emotions in the making of
consciousness, Copyright Antonio R. Damasio 1999; trad. it. Emozione e coscienza, Adelphi
edizioni, Milano, 2000.
V
volesse addivenire a qualche risultato, liberarsi innanzitutto
dei falsi dilemmi indotti da false quanto celebrate dottrine
(valga per tutte quella famigerata del dualismo mente-
corpo), che inducono subliminalmente a incamminarsi per
vicoli ciechi, dacché si danno per scontati e indiscutibili
presupposti invece infondati e discutibilissimi. Ed è proprio
questo problema di generale mistificazione ad essere
ritenuto da Searle di fondamentale importanza. Senza
risolverlo, difficilmente si potranno fare progressi effettivi in
filosofia. Per fare un solo esempio sopra tutti, basti
menzionare quello del vero come nesso con una realtà
indipendente, avversato dal “vero come costruzione” della
scuola post modernista. Egli vi torna sopra più volte in
diverse opere, come ne La costruzione della realtà sociale14,
nel già citato Occidente e multiculturalismo e, ancor più, in
Mente, linguaggio, società15, ove viene condotta fino in fondo
una disamina delle problematiche connesse alla reiterata
quanto dissimulata confusione che, dal '900 in avanti e
dunque nella post modernità, viene fatta ad arte fra
fenomeni reali aventi un concreta realtà ontologica, e
fenomeni che invece non la posseggono affatto ma che
ciononostante pretenderebbero di essere trattati alla stessa
stregua, pur avendo solo una realtà linguistica, cioè
convenzionale.
Questa questione, illuminata con limpida essenzialità
da Searle, è di importanza capitale poiché permette a
chiunque sia scevro da condizionamenti, di osservare nella
14J.R. Searle, The construction of social reality, Free Press, New York, 1995. Trad. it. La
costruzione della realtà sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1996.
15J.R. Searle, Mind, language and society, Weidenfeld & Nicholson, 1999. Trad. it. Mente,
linguaggio e società, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
VI
giusta luce tutta una serie di teorie che per lungo tempo
hanno suggerito alla cultura occidentale che, in definitiva, i
limiti delle nostre capacità sensoriali fossero una prova -
non già solo della loro inaffidabilità, bensì – addirittura,
della inaffidabilità della realtà e della probabile inesistenza
del mondo16. Il prezzo da pagare è stato, nella comunità
intellettuale, la confusione da basso impero ove tutte le
teorie hanno pari dignità, non dovendo soffrire alcuna
verifica rispetto alla realtà: in fondo sono tutti testi.
E così, anche la teoria di Searle, che propone una
critica allo status quo, ha potuto tranquillamente essere
collocata insieme alle altre nell’esser definita realismo
ingenuo, al fine di neutralizzarla con un'etichetta e dunque
ammansire in tal modo contemporaneamente le due famiglie
di avversari che essa ha osato sfidare: i dualisti-idealisti, e i
materialisti-computazionalisti17. Ora, al di là delle diatribe
scatenatesi nell'ambito della filosofia della mente, le quali
interessano forse marginalmente la nostra questione (e di
cui comunque Searle dà conto ne Il mistero della
coscienza18), la sua riflessione suggerisce l'ipotesi che uno
dei prodotti di una realtà convenzionale così adulterata, sia
quella sorta di recinto nel quale tanti intellettuali amano
entrare per girarvi in tondo a discutere amabilmente di
“forme di postmodernismo o decostruzionismo e così via,
dato che queste sono state completamente slegate da
fastidiosi ormeggi e dal vincolo di doversi confrontare col
mondo reale”19. Così che, insomma, la realtà possa venir
16Cfr J.R. Searle, Mente, linguaggio e società, cit; in particolare pp. 30-37.
17Cfr J.R. Searle, Il mistero della coscienza, cit., in particolare capp. 5 e 6.
18Cfr J.R. Searle, Il mistero della coscienza, cit.
19J.R. Searle, Mente, linguaggio e società, cit, pag. 22.
VII
tranquillamente rifiutata, per lasciar invece spazio ai
costrutti linguistici. “Jacques Derrida – celia Searle - scrive
(...) che non esiste niente al di fuori dei testi. Richard Rorty
profferisce: Penso che la stessa idea di un 'fatto reale' sia
qualcosa di cui faremmo volentieri a meno.”20. Il che lascia
intuire le ragioni dell'ironia di Searle.
Rorty, come è noto, si volge verso una prospettiva da
lui definita pragmatista, secondo la quale la tradizione
platonica avrebbe esaurito la propria funzione, per cui la
più grande aspirazione della filosofia dovrebbe essere quella
di non praticare la filosofia. Pertanto, l'unico obiettivo della
filosofia diventerebbe quello di continuare una
conversazione, e non più quello di scoprire qualche verità.
Insomma, volendo illustrare “à la Rorty” il '900 appena
trascorso, si potrebbe “pensare che mantenere aperta la
discussione costituisca un compito sufficiente per la
filosofia”21. Difatti, a dire di come essa venga considerata
una sorta di letteratura, Rorty afferma che “la filosofia più
interessante non è quasi mai quella che esamina i pro e i
contro di una tesi, ma quella, di solito, che rappresenta,
implicitamente o esplicitamente, la competizione tra un
vocabolario accettato che è diventato una seccatura e un
vocabolario nuovo, non ancora completamente articolato,
che promette vagamente grandi cose”22. In definitiva, per
Rorty “la stessa idea di raggiungere 'la totalità della verità' è
20J.R. Searle, ibidem, p. 21; i brani riportati da Searle sono tratti da J. Derrida, Della
grammatologia, Jaca Book, Milano, 1989; e R. Rorty, “La priorità della democrazia sulla
filosofia”, tr. it. in G. Vattimo (a cura di), Filosofia '86, Laterza, Roma-Bari, 1988.
21R. Rorty, Philosophy and The Mirror of Nature, Princeton,1979, tr.it. La filosofia e lo
specchio della natura, Bompiani, Milano 1986, p. 291.
22R. Rorty, Contingency, Irony and Solidarity, Cambridge, 1989, tr. it. La filosofia dopo la
filosofia. Contingenza , ironia e solidarietà, Laterza, roma-Bari, 1990, p. 16.
VIII
assurda, perché la nozione platonica della verità in quanto
tale è assurda”23. Un proclama fin troppo chiaro nelle sue
conseguenze. Ciò comporterebbe infatti l'abbandono
dell'idea di conoscenza come indagine della realtà, fino a
negare la filosofia stessa come disciplina fondante, come
epistéme, come scienza.
E non è questo infatti il risultato contemporaneo?
Non decreta forse Rorty che “solo abbandonando del tutto
l'idea di corrispondenza della realtà possiamo evitare
pseudo-problemi”24?
Per John Searle, al contrario, l'idea di verità come
corrispondenza con la realtà non può esser messa sul piano
di un qualunque enunciato, perché (così almeno funziona la
scienza) è essa a dare agli enunciati valore di verità, e non
il contrario come pretenderebbero i post moderni.
“Nelle università, e in modo particolare in molti
dipartimenti di discipline umanistiche, si è assunto che, se
non esiste un mondo reale, allora la scienza è sullo stesso
piano di quelle discipline. L'una e le altre hanno a che fare
solo con dei costrutti sociali, e non con delle realtà
indipendenti”25. Parrebbe insomma che anche l’evidenza
della realtà debba essere giustificata al pari di qualunque
asserto, il che ricorda gli arzigogoli impiegati nelle diatribe
medievali sugli universali. E il fatto stupefacente è che tale
canovaccio si è ripetuto non solo in campo letterario, ma
anche in ambiti presumibilmente più scientifici, compresi
23R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, cit, p. 290.
24R Rorty, Objectivity, Relativism and Truth, in Philosophical papers, vol. I, Cambridge, 1991;
tr. it. M. Marraffa, Scritti Filosofici I, Laterza, Roma-Bari, 1994, p. 176.
25J.R. Searle, Mente, linguaggio e società, cit. pag. 21.
IX
quello della filosofia, delle neuroscienze, del cognitivismo.
Un esempio noto è quello delle reazioni seguite alla
disarticolazione della teoria computazionalistica
dell’intelligenza, operata da Searle con il celeberrimo
esperimento mentale della stanza cinese. Secondo esso, chi
operasse in una stanza chiusa seguendo un dettagliato
manuale di istruzioni potrebbe benissimo rispondere agli
imputs in cinese producendo outputs corretti nella stessa
lingua, anche senza comprenderne una parola, e dunque
senza intelligerla. Bene: la qualità e la vastità delle reazioni
scatenatesi da parte di molti intellettuali pur noti, non sono
riuscite a scalfire la semplice obiezione di Searle, ma hanno
però evidenziato in esse un tratto comune di riduzionismo
irriducibile difficile da spiegare senza la condivisione di una
idea di realtà relativistica, conformabile, computabile.
Tutto ciò sembrerebbe convalidare indirettamente la
giustezza di un’altra intuizione di Searle, secondo la quale il
rifiuto della verità come riferimento ai fatti, nasconde in
sostanza la pretesa di poter manipolare l’esistente attraverso
la mente. “Cinquant'anni fa sembrava che l'idealismo fosse
morto”26, ma oggi si presenta in nuove versioni, ovviamente
ancor più oscure, “sotto etichette come decostruzione,
etnometodologia, pragmatismo, e costruzionismo sociale”27.
E c'è una ragione di fondo per la forte attrazione esercitata
da tutte le forme di antirealismo, divenuta palese (guarda
caso) proprio nel Novecento: “l'antirealismo soddisfa un
basilare bisogno di potere”28.
26J.R. Searle, ibidem, pag. 19.
27J.R. Searle, ibidem, pag. 20, corsivo nostro.
28J.R. Searle, ibidem, pag. 19.
X
Per quanto sopra, se anche dovesse apparire non
particolarmente fertile la via proposta da Searle nella
soluzione del problema del libero arbitrio, sarebbe
comunque una buona idea approfondire le sue
argomentazioni, almeno per non trovarsi a percorrere
labirinti tortuosi ma senza vie d'uscita, forti di un distacco
ironico sufficiente a mantenere viva la propria capacità di
giudizio. “Se il mondo reale è soltanto un'invenzione – un
costrutto sociale progettato per opprimere le componenti
emarginate della società – allora sbarazziamoci del mondo
reale e costruiamo il mondo che vogliamo”29. Il che, se fosse
un programma di riforma della pòlis, sarebbe nobile e
ammirevole, perché implicherebbe il ritorno della filosofia
alle sue vere origini. Per i postmodernisti però, si tratterebbe
invece solo di un gioco di parole su un testo. Un
divertissement di intellettuali che da tempo hanno
rinunciato a qualunque vero tentativo di influenza sulla
realtà, e si illudono che negarla possa abbassarla al livello
di un qualunque costrutto linguistico, sì da renderla
altrettanto accomodabile (come un testo, appunto) dal
proprio salotto.
Dunque, cercheremo di seguire Searle laddove le sue
proposte sembrano più stimolanti. A tal fine – considerando
che la sua teoria si basa su principi che negano
radicalmente i paradigmi tradizionali della razionalità - il
primo capitolo sarà dedicato ad illustrare sommariamente le
29J.R. Searle, Mente, linguaggio e società, cit. pag. 22.
XI
radici storiche di tale tradizione, la quale ha dato luogo a
quello che Searle definisce appunto il Modello Classico. Il
secondo capitolo sarà dedicato all’esame delle ragioni che
sconfessano tale modello, e ai vantaggi che se ne
otterrebbero liberandosene, sostituendolo con altri principi.
Conclusa così la pars destruens, il terzo capitolo
approfondirà i fondamenti più importanti della teoria
elaborata da Searle, in particolare quello del Sé e quello
dello Scarto (o Lacuna). Nel quarto si esaminerà la teoria
dell'origine simbiontica della coscienza proposta da
Pasquino Paoli, biologo del CNR, in quanto essa sembra
rispondere in maniera non approssimativa all'istanza
lasciata aperta da Searle nell'affermare che - ove si
riconosca l'idea del sé - non vi sarebbero problemi metafisici
relativi al libero arbitrio30. Resterebbe cioè da sciogliere solo
una questione squisitamente biologico-evolutiva riguardo
alla sua origine. Infatti, “se è possibile dimostrare in che
modo il cervello (…) giunge a creare un campo unificato per
una coscienza capace di agire razionalmente e liberamente
(…) si avrà allora la soluzione del problema neurobiologico
del sé”31. Il che è proprio il tipo di approccio proposto da
Paoli. Il quinto capitolo, infine, sarà dedicato a una
valutazione dei risultati conseguiti.
In conclusione, e per riassumere il senso di questo
scritto: un'indagine al seguito di Searle potrebbe aiutarci a
meglio discernere dentro al recesso del libero arbitrio, nel
luogo pressoché sconosciuto della scelta. Ad analizzare con
30Cfr John R. Searle, Libertà e neurobiologia, cit, p. 52.
31John R. Searle, ibidem, cit, p. 52.
XII
strumenti non obsoleti le implicazioni di una scelta libera.
Ossia: quanta influenza abbia nelle scelte dell'agente la
realtà nella quale egli è immerso; in quale misura essa sia
percepita come epistemica e in quale invece come ontologica;
quale influenza abbiano su di essa gli atti linguistici, e le
capacità di sfondo sulle quali questi atti si reggono, e dalle
quali vengono legittimati. Ci troveremmo insomma ad
aggirarci nell'ambito di quella teoria generale della realtà
capace di includere la coscienza, che Searle insegue da
anni. Tale oggetto di indagine è così affascinante – se non
dimentichiamo i presupposti realistici da cui parte – che da
solo meriterebbe qualunque sforzo intellettuale, fosse anche
soltanto per valutarne la plausibilità teorica. Per questi
motivi, anche il semplice esaminarlo potrebbe far scaturire
idee non banali, e dunque contribuire in misura sia pure
modesta a chiarire qualche questione. Ma anche se tale
sforzo non approdasse a nulla, pure potrebbe forse almeno
produrre una disamina utile ad illustrare meglio il pensiero
di John Roger Searle riguardo alla antica e irrisolta
questione del libero arbitrio. A sostenere un tale tentativo ci
sarebbe, in ogni caso, la tesi (condivisa da chi scrive)
secondo la quale “per impegnarci in una decisione razionale
dobbiamo presupporre l'esistenza del libero arbitrio poiché
esso è presente in qualsiasi attività razionale. Non possiamo
evitare tale presupposizione, poiché persino il rifiuto a
impegnarsi in una decisione razionale ci risulta intellegibile
come rifiuto soltanto se lo consideriamo come un esercizio
della libertà”32.
32John R. Searle, La razionalità dell'azione, cit, p. 12.
XIII