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Introduzione
L’Islam tra dimensione religiosa e potere politico
In questa tesi abbiamo voluto evidenziare quanto l’Islam influisca sulla vita politica e sociale
del Pakistan, un paese che si trova da tempo al centro delle tensioni della politica internazionale
ma anche degli squilibri geopolitici dell’area asiatica. È chiaro che in un’era come la presente,
nella quale il sentimento religioso sembra in molte parti del mondo affievolirsi notevolmente,
l’Islam è fra le religioni una delle più attive e vitali. Ma va fatta una precisazione importante,
che del resto è stata già e meglio esemplificata da Alessandro Bausani
1
, uno dei più grandi
studiosi dell’Islam dell’epoca contemporanea. Quando diciamo religione, nel caso dell’Islam,
non si può fare riferimento al concetto di religione cui siamo abituati – atei o credenti – nel
nostro mondo tradizionalmente “cristiano”. A questo riguardo, va citato uno scrittore pakistano,
Ghulam Ahmad Parwez, che anni fa ha scritto un saggio dal titolo Islam: a challenge to
Religion, cioè “L’Islam: una sfida alla Religione”. Per l’Islam infatti la religione (din, che
usualmente si traduce poco esattamente con “religione” nelle lingue occidentali) è qualcosa che
abbraccia sia la nostra religione che la nostra politica, è regola di vita, legge, mentre le mancano
le connotazioni sacerdotali – ritualistiche essenziali della nostra nozione di “religione”. Si
spiegano così alcuni casi apparentemente paradossali, come quello di coloro che, pur essendo
scarsamente religiosi nel nostro senso, e quasi atei, quando l’India nel 1947 fu divisa nei due
stati di Unione Indiana a maggioranza indù e Pakistan musulmano, hanno scelto il secondo:
l’Islam era per loro un modo di vivere, un insieme di comportamenti, un ideale politico, o
meglio una (forse non ben precisa) miscela di tutto questo. Va altresì sottolineata l’importanza
politica dell’Islam nella tormentata epoca attuale: uno “stato islamico” (molti sono gli stati che
si fregiano di questo aggettivo, dall’Iran al Pakistan e altri ancora) non è per nulla simile allo
1
Alessandro Bausani, L’Islam, Garzanti, Milano, 1995, p. 11.
7
“Stato della Chiesa” terminato nel 1870. L’Islam non ha né sacerdoti né riti e lo “stato
islamico”, se proprio lo si volesse paragonare a qualcosa, si potrebbe semmai avvicinare al
“popolo di Dio” del periodo aureo del profetismo ebraico, almeno nelle intenzioni di chi lo
propugna
2
. Il fatto che nell’Islam l’aspetto socio-politico sia molto più rilevante di quello
spirituale lo si può notare anche e soprattutto nel Corano
3
, al cuore delle quali vi è la
realizzazione di una società perfetta e di una comunità politico-religiosa. In base ai principi
dell’Islam, inoltre, la perfezione della società non è qualcosa che occorre raggiungere nell’al di
là, ma è qualcosa che si è già realizzato su questa terra, in qual periodo che va dalla fondazione
della comunità musulmana (umma) fino alla morte dell’ultimo dei Califfi “ben guidati” o
rashidun (661 d.C.). L’idea di smarrire tale perfezione originaria è qualcosa di estremamente
ricorrente nel mondo islamico. Secondo i musulmani, infatti, se la perfezione della comunità è
nell’origine, allora da tale perfezione ci si può solo allontanare
4
. Ne deriva quindi una
caratteristica tipicamente conservatrice dell’Islam, ostile all’innovazione, sia nel campo della
teologia che, molto più importante, nel campo del diritto. Ancora oggi, infatti, si considerano
preminenti le interpretazioni giurisprudenziali del passato, rispetto a quelle più recenti, con un
meccanismo praticamente inverso rispetto alla civiltà giuridica occidentale. L’ostilità dell’Islam
verso le innovazioni la si può notare anche nel campo della tecnologia e, in particolare, nel
campo della trasmissione del sapere. L’Islam, infatti, ha da sempre utilizzato una serie di
meccanismi informali per la trasmissione della conoscenza tutti basati sul rapporto
interpersonale tra maestro e allievo, guardando con ostilità a tutti gli strumenti moderni,
impersonali di trasmissione di pensiero, compresa la stampa
5
. Altra caratteristica della religione
2
Ibidem, p. 11-12.
3
Le cosiddette “Rivelazioni” coraniche vennero trasmesse – secondo la tradizione – da Dio a Muhammad, per il
tramite dell’arcangelo Gabriele, nel periodo compreso tra il 610 e il 632 d. C..
4
M. Campanini, Islam e politica, Mulino, Bologna, 2003.
5
Francis Robinson, “Technology and Religious Change: Islam and the Impact of Print”, Modern Asian Studies, Vol. 27,
N. 1, Special Issue: How Social, Political and Cultural Information is Collected, Defined, Used and Analyzed, Cambridge
University Press, 1993.
8
islamica è la sua forte enfatizzazione della volontà divina, nonché la mancanza di un concetto di
libero arbitrio. Dato che, secondo i musulmani, la volontà divina sfugge alle categorie del giusto
e dell’ingiusto, ne discende che i concetti propri del politico (libertà, democrazia, sovranità …
ecc) sono anch’essi dipendenti dalla volontà divina, e quindi sono relativi
6
. Il presente lavoro
non si prefigge di correggere i numerosissimi pregiudizi sull’Islam e la cultura islamica così
forti ancora in occidente, spesso anche in ambienti insospettabili
7
. Ebbene, l’obiettivo di questa
tesi è cercare di capire in che modo l’Islam influisce sulla società e la politica in Pakistan, quali
sono i soggetti più influenti e come essi hanno potuto diffondere la dottrina islamica nella vita
politica del paese. Nella prima parte del nostro lavoro vedremo quanto i vari governi pakistani
che si sono succeduti dal 1947 al 1958 siano stati costretti a venire a patti con l’ambiente
religioso che li circondava. Nella seconda parte, invece, proveremo a dimostrare quanto i
governi pakistani che si sono succeduti negli anni successivi (in poche parole, dal governo di
Ayub Khan al governo del Generale Zia) abbiano invece strumentalizzato i principi dell’Islam
esclusivamente a fini politici. In particolare, e con riferimento all’aspetto giuridico della vita del
paese, proveremo a dimostrare che la maggior parte delle disposizioni cosiddette “islamiche”
delle varie Costituzioni che si sono succedute in quel lasso di tempo potevano essere
rimpiazzate o reinterpretate, a seconda dei diversi orientamenti ideologici dei vari governi.
Nella terza e ultima parte del nostro lavoro, infine, proveremo a sottolineare alcuni importanti
aspetti religiosi riguardanti la politica e la società pakistana, con particolare riferimento al ruolo
del sufismo e a quel legame eterno tra modernità e tradizione che da sempre si instaura
all’interno dell’Islam pakistano.
6
Ibidem.
7
Cosa che, peraltro, lasciamo a studiosi molto più esperti e molto più pazienti.
9
Capitolo primo
L’influenza dei partiti religiosi sulla politica e sulla società in Pakistan
I. La nascita del Pakistan : Stato laico o Stato islamico ?
All’indomani della spartizione del subcontinente indiano tutti i componenti della variegata
comunità musulmana erano favorevoli al fatto che il nuovo Stato avesse in qualche modo un
rapporto privilegiato con i principi e i valori dell’Islam. Tuttavia, gli slogan più utilizzati da
quei settori che erano favorevoli all’instaurazione della Repubblica Islamica erano quelli di
Governo islamico, Stato islamico e Costituzione islamica ma nessuno dei leader musulmani era
sicuro di ciò che quegli slogan realmente significassero. A volte i leader della Lega Musulmana
ammisero che lo spirito Islamico del Pakistan non si fosse ancora rivelato ma il più delle volte
essi affermarono di conoscere esattamente quale sorta di Stato fosse richiesto dai precetti
dell’Islam. Il fatto è che all’epoca della spartizione alcuni politici e ulama pakistani non
avevano un’idea precisa di ciò che era da essi stessi costantemente definito un vero e proprio
progetto politico “islamico”. In effetti, ancora prima della spartizione i leader pakistani
dimostrarono una accentuata insicurezza nel definire i confini politici e geografici del nascente
Stato del Pakistan la cui popolazione musulmana era concentrata prevalentemente in due aree
che, separate da circa mille miglia di territorio indiano, erano le meno sviluppate di tutta
l’India
8
. La storica e sociologa pakistano-americana Ayesha Jalal, infatti, sosteneva che lo
stesso Mohammad Ali Jinnah
9
non desiderasse realmente la spartizione del subcontinente
indiano ma che, piuttosto, egli la considerasse come uno strumento elettorale su cui far leva per
ottenere la leadership della variegata comunità musulmana indiana. Secondo quanto sostenuto
8
Leonard Binder, Religion and Politics in Pakistan, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1961, p. 3.
9
E’ stato Presidente della Lega Musulmana dal 1935 al 1947 nonché Governatore Generale del Pakistan dal 1947 al
1948.
10
dalla Jalal, dunque, Jinnah aveva preso in considerazione anche la possibilità di realizzare uno
Stato Federale Indiano poiché il suo obiettivo era quello di ottenere il maggior numero di
consensi da parte di tutta la comunità musulmana indiana, non solo di quella parte che
desiderava la separazione del Pakistan. Il politologo americano Paul R. Brass paragonò la
nascita del Pakistan ad un tentativo di manipolazione messo in atto dalle elite politiche del
subcontinente indiano di quei simboli religiosi che contrapponevano musulmani e indù piuttosto
di quelli che li univano. All’inizio degli anni ’30 del XX secolo il grande poeta musulmano
Muhammad Iqbal cominciò a sostenere una piattaforma politica che valorizzasse l’Islam in
generale e che desse spazio alla conservazione dei simboli religiosi e dell’identità islamica.
Iqbal vedeva l’Islam come una grande religione moderna, libera da cristallizzazioni e dalle
corruzioni provocate dal suo incontro con le culture locali. Egli cercò di costruire una versione
moderna dell’Islam, in cui la sfera individuale contava moltissimo dato che, come egli
sosteneva, era l’uomo che con le sue mani avrebbe dovuto ricostruire l’Islam, ovvero quella
religione che aveva una concezione “orizzontale” della società e che rifiutava ogni forma di
autoritarismo politico
10
. Il pensiero di Iqbal divenne ben presto la base teorica dalla quale traeva
spunto l’azione politica della stessa Lega Musulmana, di cui lo stesso Iqbal divenne Presidente.
Se l’Islam avesse voluto avere un futuro in India, egli sosteneva, la Lega Musulmana avrebbe
dovuto far leva sul concetto di “territorio”, ovvero di “Nazione Islamica”. Secondo quanto
affermato da Iqbal in un suo discorso del 1930, le province a maggioranza musulmana - il
Punjab, la Provincia della Frontiera Nordoccidentale, il Sind e il Belucistan - avrebbero dovuto
essere amalgamate in un unico Stato, in quanto era essenziale per l’Islam avere un controllo su
un territorio specifico piuttosto che restare una semplice comunità religiosa
11
. In un suo
discorso - successivamente nominato “Risoluzione Pakistan (“la terra dei puri”)” – del 1940 lo
10
Mohammad Iqbal, The Reconstruction of Religious Thought in Islam, Ashraf, Lahore, 1968.
11
Ira M. Lapidus, I popoli musulmani : secoli XIX-XX, Einaudi, Torino, 1995, p. 207.
11
stesso Jinnah affrontò in maniera più decisa il tema dell’unità nazionale dei musulmani indiani,
asserendo che musulmani e indù non avrebbero mai potuto vivere in un unico Stato e che le
province a maggioranza musulmana sarebbero ben presto divenute degli Stati “indipendenti”,
“autonomi” e “sovrani
12
”. Pur volendo conferire al discorso di Jinnah un carattere prettamente
nazionale, non si può non notare come la sua conclusione fosse decisamente ambigua. In primo
luogo, era un’affermazione vaga, che non specificava quali sarebbero stati i confini del nuovo
Stato, riflettendo la fluidità della situazione politica e lo scarso radicamento della Lega nel
nord-ovest. In secondo luogo, la Risoluzione assicurava in modo similmente confuso che il
nuovo Stato avrebbe avuto natura decentrata. Fu dunque la natura vaga della Risoluzione che
sanzionò il successo del movimento nazionalista guidato da Jinnah, ma che avrebbe deluso
molti all’indomani della nascita del Pakistan. La “Risoluzione Pakistan” fu approvata a Lahore
il 23 marzo del 1940 dal Congresso della Lega Musulmana che chiedeva formalmente la
creazione di uno Stato separato nelle aree del subcontinente indiano a maggioranza musulmana.
Con la Risoluzione di Lahore venivano annullati secoli di coesistenza per lo più pacifica e di
sincretismo culturale tra musulmani e indù, che avevano portato all’elaborazione di valori e
pratiche condivise. Il graduale aumento di un’identità comune era stato favorito dalla
dissociazione fra sfera pubblica e privata che, pur essendo antitetica all’ideale armonico
dell’Islam, aveva distinto i Sultanati di Delhi e poi il dominio Mughal (1526-1857). La
definizione di Stato che emerse a Lahore anteponeva dunque l’identità religiosa a quella storica
o etno-linguistica. La creazione del nuovo Stato fu accompagnata da spostamenti massicci di
popolazione in entrambe le direzioni, culminando in saccheggi e massacri civili che a lungo
avrebbero pesato sui rapporti tra India e Pakistan
13
. L’identità religiosa sembrava essere l’unico
12
Il discorso di Jinnah è citato in A. Jalal, The Sole Spokesman: Jinnah, The Muslim League and the Demand for
Pakistan, Cambridge University Press, Cambridge, 1994, p. 58.
13
Elisa Giunchi, Il Pakistan tra ulama e generali, F. Angeli, Milano, 2002, pp. 10-17.
12
elemento accomunante, la base ideologica della partition
14
; gli studiosi sono infatti concordi nel
ritenere che la religione giocò un ruolo fondamentale nel generare un sentimento nazionale tra i
musulmani dell’India britannica e che essa condusse alla creazione del Pakistan.
II. I gruppi sociali del nuovo Pakistan : visioni moderne e tradizionali
E’ generalmente riconosciuto che all’indomani della nascita del Pakistan l’Islam avesse
significati diversi per i diversi gruppi sociali che erano stati inclusi nel nuovo Stato e che tale
pluralità di significati si sarebbe ben presto riflettuta nel dibattito sul sistema politico da
adottare, che fu polarizzato fin dall’inizio dalla contrapposizione dei diversi gruppi sociali. Si
può quindi affermare che ogni gruppo sociale presente all’epoca in Pakistan riflettesse una
propria visione riguardante il posto dell’Islam all’interno del processo costituente pakistano.
Furono essenzialmente quattro i punti di vista espressi nel processo costituente in Pakistan: uno
tradizionale, uno modernista, uno “fondamentalista” ed una laica. In aggiunta a queste quattro
visioni, e a volte comprendente aspetti di ognuna di esse, vi era un diffuso romanticismo
islamico che è tutt’oggi molto diffuso in Pakistan, sebbene non tra le persone più influenti della
società. La visione tradizionale è quella che per lo più fa riferimento agli ulama, che non sono
semplicemente i seguaci della tradizione ma che identificano anche l’affermazione dell’Islam -
quale insieme di norme e di regole di vita - con il riconoscimento della propria istituzione. Un
fenomeno non necessariamente recente che ha avuto inizio durante l’epoca Imperiale è stata la
nascita di organizzazioni e partiti di ulama. L’unica importante organizzazione di questo tipo
prima della spartizione fu la Jami’at-al-Ulama-Hind, formata per la maggior parte da ulama
provenienti dalla scuola (madrasa) di Deoband
15
. La visione modernista fa riferimento alla
14
Con questo termine, tipico del linguaggio politico del subcontinente, si indica la separazione dell’India in due Stati
separati nell’estate del 1947.
15
Deoband è una città dell’India del nord, sede della più famosa Accademia Indiana di teologia e di giurisprudenza
islamica. Per maggiori informazioni vedi W.C. Smith, Modern Islam in India (2d edition), London, 1946, pp. 293 ff. e
Barbara Metcalf, Islamic Revival in India : Deoband 1860-1900, Princeton University Press, Princeton, 1982.
13
maggior parte dei politici, agli uomini d’affari educati all’occidentale e a molti professionisti
presenti in Pakistan. C’è un’ovvia connessione tra le posizioni moderniste e quelle romantiche.
Entrambe si basano sull’assunzione che nell’Islam sono presenti molti di quei principi
prettamente occidentali, inclusa la democrazia, ed entrambe insistono che l’Islam è adattabile
alle “moderne condizioni di vita”. La visione “fondamentalista” fa ovviamente riferimento
all’unico importante movimento di quel tipo presente all’epoca in Pakistan, il Jama’at-i-Islami
di Abu Ala Mawdudi, i cui sostenitori e simpatizzanti sembrano provenire dalla classe media
tradizionale, dal mondo studentesco e da quell’insieme di persone che non sono riuscite ad
entrare nella classe media moderna, pur avendo ottenuto un diploma di laurea. La visione laica,
infine, fa riferimento ad un piccolo ma estremamente potente gruppo di industriali e di individui
educati all’occidentale che hanno spesso occupato posizioni di rilevo nel servizio civile e
militare pakistano
16
. Il Pakistan nacque con una profonda incrinatura tra le sue elite dominanti
tanto che, immediatamente dopo la sua creazione, sorse una controversia sulla natura ideologica
e l’orientamento del suo sistema politico. Il conflitto tra visione tradizionale e moderna
all’interno del movimento per il Pakistan è stato efficacemente riassunto da Emerson in queste
parole : “Esso fu un movimento incoraggiato e diretto non da leader religiosi o dai devoti
dell’India musulmana, ma dagli stessi elementi della classe media occidentalizzata, dai
professionisti e dall’intellighenzia, esattamente come quelli che guidarono gli altri movimenti
nazionalisti; lo stesso Jinnah fu uno straordinario esempio di uomo, non particolarmente
contraddistinto da un fervente sentimento religioso
17
”. In generale si può dire che i gruppi
tradizionalisti e fondamentalisti cercarono di delegittimare la base di potere dei modernisti,
definiti non a caso “occidentali” e “non veri credenti”, al fine di ritagliarsi un ruolo importante
all’interno della vita politica pakistana e tenendo sempre a mente il loro obiettivo, ovvero la
16
Leonard Binder, op. cit., pp. 7-9.
17
R. Emerson, From Empire to Nation : the Rise to Self Assertion of Asian and African people, Harvard University Press,
Cambridge, 1960, p. 164.
14
creazione di quello che essi definivano uno Stato “Islamico”. Mawdudi dichiarò non a caso che
“solo Dio può essere il sovrano di uno Stato Islamico, non una persona, una classe o un gruppo,
né l’intera popolazione può mettere le mani sulla sovranità di Dio, il reale sovrano di cui tutti
sono semplicemente emissari”. Tale ideologia era in profonda antitesi con la struttura politica
immaginata da Jinnah che fin dal 1946 affermava : “ Il nuovo Stato dovrà essere un moderno
Stato democratico, i cui membri avranno uguali diritti di cittadinanza a prescindere dalla loro
religione, credo o colore”. L’11 agosto 1947, inoltre, Jinnah delineò con tali parole la differenza
tra “cittadino” e “fedele” : “Potete appartenere a qualsiasi religione, casta o credo in quanto ciò
non ha nulla a che fare con gli affari dello Stato(…). Iniziamo con questo principio
fondamentale che siamo tutti cittadini uguali e cittadini di uno Stato. Con il passare del tempo
gli indù cesseranno di essere indù e i musulmani di essere musulmani, non in senso religioso,
poiché quella è la fede personale di ogni individuo, bensì in senso politico, quali cittadini dello
Stato
18
”. Alla luce dell’estrema differenza che caratterizzava le idee e le opinioni degli ulama da
quelle dei politici musulmani non è sbagliato affermare che la Lega Musulmana fallì
nell’ottenere le simpatie dell’istituzione religiosa. Ciò che è sorprendente è che essi riuscirono
ad ottenere il supporto elettorale dei barelvi
19
, un gruppo di ulama più conservatore rispetto ai
deobandi con i quali essi avevano forti differenze dottrinali e personali. Il primo importante
alim che fu convinto con successo a prendere in considerazione la teoria delle “due nazioni”
della Lega e la sua idea di Stato “Islamico” fu il maulana Shabbir Ahmad Usmani, uno degli
insegnanti più anziani della scuola di Deoband nonché Presidente della Jami’at-al-Ulama-
Islam, un’organizzazione fondata nel novembre del 1945 a Calcutta come gruppo dissidente
della più grande Jami’at –al-Ulama-Hind. Insieme ad un’altra organizzazione, la Jami’at-al-
18
F.Montessoro (a cura di), Lo Stato Islamico. Teoria e prassi nel mondo contemporaneo, Guerini, Milano, 2005, pp.
141-165.
19
Barelvi è l’aggettivo in lingua urdu che caratterizza il movimento originario della città di Bareilly, luogo di nascita di
una scuola con una tradizione più antica rispetto a quella deobandi. Vedi Smith, op. cit., pp. 293 ff.
15
Ulama-i-Pakistan, fondata a Karachi nel 1948, quest’organizzazione si è distinta per essere
stata una delle poche favorevoli alla causa pachistana. Anche Mawdudi fu invitato a partecipare
alla costruzione del nuovo Pakistan così come era stato immaginato dai politici della Lega
Musulmana con la quale il leader della Jama’at-i-Islami fu invitato a collaborare per ben due
volte ma per due volte egli rifiutò. Sebbene Mawdudi si opponesse alla visione della Lega
Musulmana e alla costruzione del suo Stato “Islamico”, la sua influenza sul pensiero della
classe media musulmana durante gli anni precedenti la spartizione aumentò vertiginosamente. Il
6 gennaio del 1948 Mawdudi affermò che né i politici occidentalizzati né gli ulama avrebbero
potuto condurre i musulmani verso l’obiettivo di una rivoluzione islamica. Su quest’ultimo
punto è giusto soffermarsi ulteriormente per comprendere le reali intenzioni di Mawdudi. Egli
disse : “Il caso del Pakistan non è, tuttavia, lo stesso di altri paesi musulmani, alcune analogie di
avvenimenti non sussistono. Ciò perché il Pakistan è stato creato esclusivamente affinché esso
diventasse la terra madre dei musulmani
20
”. Ragionando su questa premessa Mawdudi ha
abbandonato la sua stessa teoria riguardante la rivoluzione islamica per quella della Lega
Musulmana. La soluzione al problema così posto la si trova nel convincere il governo del
Pakistan dell’epoca e i leader occidentalizzati della validità e dell’applicabilità della sharia
21
.
Gli ulama vennero completamente trascurati. Dal mese di Marzo fino a Maggio Mawdudi
attraversò l’intero paese per parlare alle folle del problema di redigere una Costituzione
Islamica
22
. Nei paragrafi successivi vedremo come su quest’ultimo punto si concentrò
l’attenzione di molti settori dell’ambiente religioso pakistano.
20
Citato in Leonard Binder, op. cit. p. 100.
21
Ibidem, p. 101.
22
Ibidem, pp. 107-108.