6
Capitolo I
LA SCHIAVITÙ, UNA STORIA ANTICA E MODERNA
§. 1.1 La storia della schiavitù, un excursus
La schiavitù ha radici lontanissime; in Occidente come in Oriente, al Nord e al
Sud del mondo, infatti, è stata una pratica ampiamente diffusa. È risaputo che i faraoni
dell’Antico Egitto delegavano a migliaia di schiavi il compito di erigere le colossali
piramidi che altro non erano se non che le loro dimore per l’aldilà
1
, come pure è noto
che già le prime dinastie di imperatori cinesi (la Xia, fondata dal Grande Yu nel 2200
a.C.) basavano la loro economia sulla schiavitù; ma anche le antiche popolazioni
mesoamericane come i Maya, gli Aztechi e gli Incas avevano elaborato un modello di
società basata sulla schiavitù
2
.
Lo stesso dicasi per la civiltà greca dove Aristotele (384-322 a.C.) non solo la
giustificò come diritto delle genti o come diritto di conquista, ma arrivò a parlare di
“schiavo per natura” nel senso che, a suo dire, «è evidente […] che alcuni uomini per
natura sono liberi e altri schiavi, e che per essi la schiavitù è insieme utile e giusta»
3
.
Platone la sostenne ritenendo che coloro che venivano vinti in guerra, i barbari,
dovessero essere uccisi o, diversamente, potevano essere graziati e diventare schiavi
4
; il
grande filosofo ateniese non criticò mai la schiavitù e, anzi, si può dire che la diede per
scontata, come qualcosa facente parte dell’ordine dell’oikos (casa). È anche vero, però,
che nel IX libro della Repubblica, affrontando il tema della felicità del tiranno, Platone
fa affrontare da Socrate, in via incidentale, il tema della schiavitù, facendo paragonare il
padrone di schiavi a un tiranno
5
. Quindi, sebbene la Grecia antica sia considerata la
culla della civiltà occidentale, anche Atene, forse la città classica per antonomasia
1
In Egitto, come spiega Walzer, la «schiavitù era una specie di dominio politico». WALZER M., esodo e
rivoluzione, Feltrinelli, Milano, 2004, p. 27.
2
CHAUNU P., L’America e le Americhe. Storia di un continente, Dedalo, Roma, 1984, p. 19 e ss.
3
ARISTOTELE, Politica, I, 2, 5, 1254a-b-1255a.
4
PLATONE, Le Leggi, VI, 19, 776b dove scrive che «il problema degli schiavi è molto arduo».
5
PLATONE, Repubblica, IX, 758d e ss.
7
simbolo di libertà, era il luogo che aveva il più gran numero di schiavi-merce; alcuni
storici, addirittura, ne stimano un numero di 60-80 mila
6
. A Sparta, invece, e alla sua
società fortemente militarizzata, il numero degli schiavi, detti iloti, arrivò a sfiorare le
200.000 mila unità
7
.
Sembra, dunque, che la storia del mondo sia stata anche una storia di schiavitù e
di schiavismi e sebbene, a qualsiasi latitudine ci si trovasse, essere schiavo significava
perdere il diritto sulla propria vita, sulla propria morte, sulla propria famiglia, essere
sfruttato senza ricevere alcun compenso in cambio e non possedere nulla, manca, a
tutt’oggi, una definizione univoca di “schiavismo”. Il fenomeno, infatti, pur mantenendo
linee essenziali di fondo che lo rendono simile in ogni parte del mondo, è stato soggetto
a mutare nel tempo e ad assumere diversi tipi di conformazione. Presso alcuni popoli, ad
esempio, schiavo si nasceva, in altri lo si diventava a causa di una guerra, in altri ancora
la condizione di schiavo era la conseguenza di un debito non pagato. Molti i dubbi
anche sull’etimologia della parola “schiavo”. Fino al X secolo, infatti, la parola schiavi,
“sclavi” indicava i popoli slavi ma poi, tra il X e l’XI secolo venne ad assumere l’attuale
significato di “schiavi”; si pensa che il cambiamento di significato sia legato a un
rilevante fenomeno di vendita di schiavi di origine slava che furono portati in massa
nell’Europa occidentale. Gli slavi, dunque, o “sclavi” medievali si trasformarono nel
popolo asservito per eccellenza, ovvero gli “schiavi”. Questa spiegazione sarebbe
suffragata dal fatto che nelle maggiori lingue europee moderne la parola mantiene la
stessa radice: “slave” in inglese, “esclave” in francese, “esclavo” in spagnolo, “schiavo
in italiano” e “sklave” in tedesco
8
. L’etimologia del termine, tuttavia, continua a
sollevare un vivace dibattito e resta una questione aperta tra gli studiosi.
Resta il fatto che nelle civiltà antiche, come pure in quelle arcaiche, la schiavitù
non solo fosse accettata ma anche regolata da leggi e da consuetudini alla stessa stregua
di qualsiasi altra pratica economica. Nella società romana, ad esempio, il lavoro degli
schiavi rappresentava una parte fondamentale dell’economia, uno dei più remunerativi
frutti delle campagne militari degli eserciti imperiali. Come spiegano Melani e
Fontanella, però,
6
MOSES I. FINLEY, Tra schiavitù e libertà, in SICHIROLLO L. (a cura di), Schiavitù antica e
moderna, Guida, Napoli, 1979, p. 50 (pp. 43-64).
7
BACHINI A., Gli antichi Greci, Giunti, Firenze, 2011, p. 60; per le fonti si rimanda a Eordoto, libro IX,
cap. 10.
8
RICCIARDI M., BONADONNA F. (a cura di), Oltre il testo: gli ipertesti, Franco Angeli, Milano,
1994, p. 42.
8
Se è vero che l’istituto della schiavitù nella società romana perdura
nell’arco dei secoli, è altrettanto vero che esso non rimane nel tempo
uguale a se stesso. La condizione degli schiavi stessi presenza
differenze profonde, fermo restando che tutti sono uomini privati della
loro libertà, che possono essere battuti, torturati, uccisi a discrezione
del padrone
9
.
Prima della seconda guerra punica, ad esempio, la presenza degli schiavi non era
così significativa a Roma, ma, con le guerre di espansione, cominciarono ad arrivare
nella capitale «caterve di schiavi, prigionieri di guerra venduti all’asta»
10
. Più Roma si
espandeva più il numero degli schiavi aumentava e, di conseguenza, venivano emanate
leggi per inquadrare giuridicamente il fenomeno. Si pensi, ad esempio, alla Lex Poetelia
(313 a.C.), relativa ai debiti e alla schiavitù, alla Lex Cornelia (82 a.C.), che proibiva ai
padroni di uccidere schiavi che non fossero colpevoli di alcun delitto, la Lex Aelia
Sentia (4 d.C.), contro la liberazione degli schiavi, la Lex Petronia (anno 32 d.C.) che
toglieva l’obbligo di combattere nel circo se ordinato dal padrone e molte altre ancora
11
.
Si dovettero verificare alcuni fondamentali cambiamenti perché il fenomeno della
schiavitù cominciasse a declinare: la fine del periodo della conquista (Tardo Impero,
VIII sec. d.C.)
12
, la diffusione del cristianesimo e la presenza a Roma di cittadini
“barbari” (ovvero non romani) cui fu data la cittadinanza. È interessante ricordare che
anche nella “patria del diritto” non fu mai proclamato alcun editto imperiale che
abolisse la schiavitù la quale, di fatto, tese a scomparire grazie all’intercessione sempre
più incisa della Chiesa e a una forma di emancipazione, per così dire naturale, degli
schiavi a persone libere
13
.
Finite le guerre di conquista, dunque, anche il numero delle popolazioni da
catturare calò in modo significativo; avvenne, così, che gli schiavi si trasformarono in
9
MELANI C., FONTANELLA F., Storia illustrata di Roma antica: dalle origini alla caduta dell’impero,
Giunti, Firenze, 2000, p. 97.
10
Ibidem.
11
FASCIONE L., Storia del diritto privato romano, Giappichelli, Torino, 2012, p. 139 e ss.
12
Anche, a detta di De Giovanni, «molti aspetti riguardanti la schiavitù nel tardo impero restano incerti».
DE GIOVANNI L., Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardo antico: alle radici di una nuova
storia, L’Erma di Bretschneider, Torino, 2007, p. 319.
13
Sul punto, ROBLEDA O. S.J., Il diritto degli schiavi nell’antica Roma, Università Gregoriana Editrice,
Roma, 1976; FRANCIOSI G., Famiglia e persone in Roma antica, Giappichelli, Torino, 1989.
9
una merce rara e ricercata che si andò a trasformare in servitù. Anche in questo caso si
trattò di una servitù coatta, nel senso che chi nasceva servo difficilmente poteva
emanciparsi dal proprio status. La schiavitù, dunque, si trasformò nella “servitù della
gleba” di medievale memoria; una massa numerosa di individui costretti a prestare i
propri servizi nelle più disparate occupazioni. Fu il 456 d.C. a decretare la fine
dell’Impero Romano e l’entrata ufficiale, nel Vecchio Continente, in quella che verrà
definita l’epoca buia del Medioevo. La servitù della gleba, che rappresentò la forza
lavoro dell’epoca medievale - una forma “benigna” di schiavitù che lasciava al “servo”
un minimo di diritto – ridiede a milioni di masse diseredate una parte della loro
dignità
14
. In questa evoluzione culturale e sociale la Chiesa ebbe un ruolo fondamentale,
prima estendendo a tutti gli schiavi i sacramenti, poi proibendo la schiavitù per cristiani
ed ebrei, quindi ottenendo l’abolizione della schiavitù nelle terre dei re cristiani
15
. C’è
da dire, però, che secondo alcuni la Chiesa tenne un comportamento non sempre chiaro
e lineare nei confronti della schiavitù e molti storici concordano nel ritenere che la
Chiesa medievale
pur sostenendo la fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini
davanti a Dio, accetta l’istituto della schiavitù […] Sul problema
dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti della schiavitù, dunque,
si scorgono per tutto il medioevo ombre e luci, posizioni non univoche
e in definitiva poco coerenti. La Chiesa infatti non solo non attacca
l’istituto della schiavitù, ma accetta anche di avere schiavi propri: nei
documenti attestanti donazioni fatte alla Chiesa, leggiamo molto
spesso che le terre erano donate “cum servi set ancili”, cioè con gli
schiavi e le schiave viventi su quella terra
16
.
Oltre a quelli della Chiesa neppure vanno dimenticati gli interventi promossi a
livello istituzionale come il Liber Paradisus emanato dai Comuni che, nel 1256, liberò
14
CICCIA G. S., I servi della gleba nelle pieghe della storia, Pragmata, Padova, 2008.
15
STARK R., The Victory of Reason: How Christianity Led to Freedom, Capitalism, and Western
Success, Random House, New York, 2005, pp. 57-58.
16
CARLYLE R. e A., Il pensiero politico medievale, a cura di L. Firpo, Laterza, Roma-Bari, 1956, pp.
128-152.
10
nella città di Bologna i servi della gleba e gli schiavi
17
. Nonostante la schiavitù fosse
uscita dalla prassi comune, non ugualmente poteva dirsi del commercio degli schiavi
che, in epoca medievale, fu assai fiorente. Uno dei mercati più noti per potersi
aggiudicare questa particolare “merce” era Verdun, dove gli schiavi provenivano in
massima parte dalla Polonia
18
e da qui inviati, attraverso la Spagna, nei paesi Arabi. Già
verso i primi decenni del XIV secolo cominciarono ad arrivare in Europa anche i primi
schiavi africani, visto che, all’epoca, nei paesi islamici la schiavitù non solo continuava
ad essere tollerata ma stava attraversando un periodo di grande espansione
19
. Si
assistette, in altre parole, a una ripresa della schiavitù solo che, alle soglie dell’era
moderna, non interessava più le popolazioni cristiane ma tutte le altre.
Nel 1430, ad esempio, gli Spagnoli colonizzarono le Isole Canarie e
schiavizzarono la popolazione locale
20
; appena papa Eugenio IV venne a conoscenza di
quanto stesse accadendo emise una bolla contro la schiavitù, la Sicut Dudum (1435) che,
tuttavia, non sortì alcun effetto
21
. Poco tempo dopo, però Colombo sarebbe approdato a
Hispaniola e poi nelle Americhe dando inizio ad alcune delle più fosche pagine della
storia europea, il quasi totale annientamento delle popolazioni amerinde
22
. Nel 1519 il
vescovo di Darien (Panama) sostenne che gli amerindi erano «a mala pena uomini e la
schiavitù è il mezzo più efficace ed in realtà l’unico utilizzabile con loro»
23
ma, quasi un
decennio dopo, nel 1526, Carlo V (re di Spagna e del Sacro Romano Impero), di fronte
ai genocidi commessi e all’asservimento di migliaia di uomini e donne per lo più
inoffensivi, proibì la schiavitù in tutto l’Impero emanando nel novembre del 1542 le
Leggi Nuove
24
.
Lo stermino e la riduzione in schiavitù delle popolazioni sudamericane fu così
cruento che anche tra le fila dei conquistadores si levarono voci di dissenso; non
possiamo non ricordare l’azione di Bartolomeo de Las Casa, ex compagno di Cristoforo
17
Cfr. ANTONELLI A., GIANSANTE M., Il Liber Paradisus e le liberazioni collettive nel XIII secolo:
cento anni di studi (1096-2008), Marsilio, Firenze, 2008.
18
Non fu certamente un caso se la Polonia, assieme alla Lituania, fu, nel XVI secolo, uno tra i primi
Paesi a vietare il commercio di schiavi.
19
LLIFFE J., Popoli dell’Africa. Storia di un continente, Pearson Italia, Milano, 2007, p. 169 e ss.
20
PICCINNI G., I mille anni del Medioevo, Pearson Italia, Milano, 2007, p. 395.
21
SOCCI A., La guerra contro Gesù, Mondadori, Milano, 2012, p. 35.
22
PIETROSTEFANI G., La tratta atlantica: genocidio e sortilegio, Jaca Book, Milano, 2000, p. 38.
23
La citazione si trova riportata in SCAMMELL G. V., Genesi dell’Euroimperialismo, Ecig, Genova,
2000, p. 172.
24
MIRABELLA P., L’uomo e I suoi diritti. Una riflessione etica a partire della , Effata editrice, Milano,
2009, p. 55.
11
Colombo, prete e domenicano che si fece portavoce della causa degli indigeni
denunciandone gli abusi e le violenze nel suo Brevissima relazione sulla distruzione
delle Indice (1522), ma anche il dominicano spagnolo, Francisco de Vitoria, all’epoca
professore all’Università di Salamanca, che difese gli indigeni americani in nome del
diritto delle genti di restare e vivere nelle terre dei loro antenati
25
. Qualche anno dopo,
nel 1537, papa Paolo III, nella sua lettera Veritas ipsa, indirizzata al cardinale Jean de
Tavera, arcivescovo di Toledo, ribadiva che gli amerindi erano esseri umani e che,
dunque, non potessero essere ridotti in schiavitù; gli stessi argomenti furono ribaditi
nella bolla Sublimis Deus
26
. Nonostante le voci contrarie e a favore dei popoli indios, lo
sfruttamento degli amerindi raggiunsero una tale aberrazione che alcuni esponenti del
clero, come Las Casas, preoccupati che, perpetrandone la tratta, si sarebbe giunti
all’estinzione di intere popolazioni propose di trasferire in America gli africani , anche
per farli lavorare. Tuttavia la relazione che il domenicano inviò al re di Spagna non fu
ben accetta dai coloni che lo accusarono di averli traditi e di aver abiurato alla sua stessa
religione, costringendolo ad abbandonare la diocesi e a tornare in Spagna
27
. In seguito,
tuttavia, lo stesso Las Casas si pentirà della sua proposta, pur non disconoscendo il
fatto, e nella sua Historia de las Indias scriverà:
Questo permesso di portare schiavi negri lo dice per primo il chierico
Las Casas, non avendo coscienza dell’ingiustizia con cui i portoghesi
li catturano e li rendono schiavi; egli, dopo essersene reso conto, non
lo concesse mai più per niente al mondo, perché li ritenne sempre
ingiustamente e dispoticamente fatti schiavi, dato che hanno gli stessi
diritti degli indios
28
.
Le parole di Las Casas, tuttavia, sebbene non fossero state accolte da tutti allo
stesso mondo, innescarono un dibattito che sarebbe proseguito per oltre due secoli
ponendo su schiere opposti chi sosteneva la necessità di abolire la schiavitù e chi,
25
BLACBURN R., The Making of New World Slavery. From the Baroque to the Modern, 1492-1800,
Verso, London-New York, 1997, p. 125.
26
HANKE H., Pope Paul III and the American Indians, in “Harward Theological Review”, 30, 1937, pp.
65-102.
27
ABELLÁAN J. L., Il pensiero rinascimentale in Spagna e in America, in ROBLES L. (a cura di), E la
filosofia scoprì l’America, Jaca Book, Milano, 2003, p.187 (pp. 159-200).
28
La citazione si trova riportata in Ibidem.