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Introduzione
Il sogno di Tim Berners-Lee
1. Interoperatività e intercreatività in Rete
Quest’introduzione nasce dall’esigenza di commentare preliminarmente
due dei concetti basilari per la discussione di questo lavoro: l’interoperatività e
l’intercreatività. Con questi termini ci si riferisce abitualmente ad un insieme
d’idee che troveranno ampio risalto nei capitoli che seguono e, pertanto, ci
sembra utile darne una presentazione preventiva.
Rendere il Web accessibile a tutti, sviluppare ambienti software che consentano
ad ogni utente di operare al meglio con le risorse disponibili in Rete, promuovere
tecnologie che tengano conto delle diversità in termini di cultura, formazione,
capacità cognitive e linguistiche: tutti questi scopi sono promossi dal W3C
(World Wide Web Consortium). Il W3C è il consorzio produttore di tecnologie e
di protocolli comuni con l’intento di promuovere uno sviluppo del Web che
garantisca l’interoperatività come mezzo commerciale e per la diffusione di
informazioni. A tutela di questi fini sono anche i principi fondamentali su cui il
Web si struttura:
¾ Decentralizzazione: per favorire la diffusione del Web su scala mondiale è
notevolmente rilevante limitare la dipendenza dell’architettura della Rete
da pochi nodi centrali. Questo, al fine di evitare il rischio di un collasso
del sistema, a fronte del raggiungimento della soglia critica nel numero di
nodi principali messi fuori uso da attacchi esterni o interni (Barabàsi,
2004).
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¾ Interoperatività: protocolli e linguaggi devono poter essere fra loro
compatibili e garantire il funzionamento con sistemi software e hardware
differenti.
¾ Evoluzione: il Web deve essere in grado si supportare le innovazioni
tecnologiche emergenti. Per far ciò, la progettazione si deve ispirare a
principi di flessibilità, semplicità, modularità.
L’interoperatività, nei contesti applicativi del Web attuale, dalla natura
decentralizzata, costituisce un fattore chiave di successo e garantisce la qualità e
l’efficacia di produzioni tecnologiche. I vantaggi, come evidenziano gli studi del
W3C, comprendono la possibilità di salvaguardare gli investimenti grazie alla
potenzialità di adeguarsi all’evoluzione degli ambienti operativi e di allargare il
numero di applicazioni con cui interagire. Due applicazioni sono interoperabili se
si scambiano dati e servizi in modo efficace e consistente, permettendo la
comunicazione tra piattaforme hardware e software eterogenee e supportando
l’evoluzione verso il Web of meaning.
Oggi siamo già in grado di gestire dati in enormi database e stiamo iniziando a
volerli condividere con tutto il mondo attraverso tecnologie come XML, RDF e la
loro applicazione più potente: il Semantic Web.
Possiamo condividere anche servizi e funzionalità di un sistema informativo,
grazie a tecnologie come i Web Services che possono realizzare programmi e
software i quali, a loro volta, usano parti di programmi e funzioni disponibili in
Rete. Infine, con sistemi di calcolo parallelo, calcolo distribuito o Grid
Computing, abbiamo individuato il modo per condividere risorse fisiche come
CPU, memoria RAM o spazio fisico su disco creando super calcolatori composti
da centinaia di normali PC. Il futuro è rappresentato dal vedere interagire tutte
queste tecnologie potendole usare in maniera combinata.
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Approfondire il concetto di interoperatività, significa prendere in considerazione i
due indirizzi nei quali esso si sdoppia: uno è più propriamente di natura
tecnologica e si rifà agli esempi illustrati in precedenza; l’altro analizza l’aspetto
semantico.
In un Web davvero universale devono essere contemplate le differenti culture e il
diverso modo di percepire i concetti, per porsi come obiettivo il superamento di
tali differenze dal punto di vista della lingua, della formazione, delle capacità,
delle risorse materiali, fisiche e cognitive. Espressioni, colori, immagini,
classificazioni di concetti possono determinare o meno la comprensione di un
messaggio. L’informazione, infatti, non è costituita solo dal contenuto (ciò che
realmente l’autore intende comunicare), ma anche dalla struttura (il modo in cui è
organizzata l’informazione: titolo, autore, corpo del testo, firma) e dalla
presentazione (il modo in cui l’informazione viene presentata all’utente: tipo di
carattere, colore, organizzazione della pagina). Per condividere la conoscenza sul
Web, si deve poter disporre di strumenti e tecnologie che consentano di
strutturare i contenuti, rendendone esplicita la semantica, così da consentire la
fruizione dell’informazione indipendentemente dalla cultura e dal contesto
tecnologico. E’ in relazione a queste necessità che acquista rilevanza il progetto
del Semantic Web. In tale contesto applicativo, la semantica si slega dai
riferimenti ai linguaggi naturali, per assumere il senso di "elaborabile dalla
macchina". Il Semantic Web è un ambiente dichiarativo, in cui la semantica dei
dati consiste di indicazioni utili affinché la macchina possa accedere ad un
insieme strutturato di informazioni e ad un insieme di regole di inferenza da
utilizzare per il ragionamento automatico. La sfida del Semantic Web è di creare
un ambiente in cui si muovono agenti software (crawler, spider o bot) capaci di
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setacciare i siti alla ricerca di informazioni e delle loro correlazioni, in base alle
specifiche richieste dell’utente.
La visione della Rete secondo Tim Berners-Lee non deve però fermarsi alla
ricerca di un’interoperatività tecnica e semantica: “Sul Web dovremmo essere in
grado non solo di trovare ogni tipo di documento, ma anche di crearne, e
facilmente. Non solo di seguire i link, ma di crearli, tra ogni genere di media. Non
solo di interagire con gli altri, ma di creare con gli altri. L’intercreatività vuol dire
fare insieme cose o risolvere insieme problemi” (Berners-Lee, 2001, p. 148).
Come sostenuto da Jacquinot (1993), per fornire un chiarimento del concetto di
intercreatività si ritiene doveroso sgombrare il campo dalla possibile confusione
tra i termini: intercreatività, interazione e interattività. L’interattività è il dialogo
tra uomo e macchina, dialogo in senso lato, poiché la macchina può simulare
un’attività conversazionale, ma anche un ruolo. Diversa è l’interazione, che
concerne il rapporto tra individui e/o gruppi, in quanto produttori di senso.
Dal punto di vista dell'autore/emittente l’interattività può essere:
¾ Funzionale, in cui si gestisce il protocollo di comunicazione tra
l'utente e la macchina;
¾ Intenzionale, in cui si gestisce il protocollo di comunicazione tra
l'utente e l'autore, presente per mezzo del software.
Dal punto di vista dell'utente/destinatario distingueremo, invece:
¾ Interattività intransitiva, in cui l'utente svolge una determinata attività
per ricevere e interpretare il messaggio, esempi sono il cinema e la
televisione;
¾ Interattività transitiva, in cui l'utente retroagisce sul programma. Le
tecnologie informatiche sono possibili esempi di tale attività.
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"Se l'interattività non significa soltanto stare seduti passivamente davanti ad uno
schermo, allora l'intercreatività non significa solo stare seduti di fronte a qualcosa
di interattivo" (Berners-Lee, 2001, p. 149).
E’ con queste parole che Tim Berners-Lee vuole chiarire l’utilizzo del termine
"intercreatività". La proposta di impiegare tale termine, è funzionale allo scopo di
far coesistere, in una sola parola, due fenomeni e due concetti diversi: l’agire in
rapporto alla macchina e lo stabilirsi di una relazione tra persone grazie alla
mediazione della macchina. Caratteristica fondamentale dell’intercreatività è il
decentramento, ovvero la perdita di una centralità cui far rimando, come, ad
esempio, quella definita dall’autore.
Nei media tradizionali, il controllo del contenuto e della forma del messaggio è
tutto nelle mani di chi lo trasmette, mentre in Rete, i messaggi d’informazione
possono essere potenzialmente prodotti e modificati da chiunque sia soggetto
attivo nella comunicazione. Nell’ambito del Web, attraverso l’uso di applicazioni
come la posta elettronica, la comunicazione è del tipo molti-a-molti, mentre nei
mezzi di comunicazione di massa come la radio, il cinema e la televisione, la
comunicazione è del tipo uno-a-molti, o broadcasting.
Proprio la condivisione è uno dei concetti unificanti l’utilizzo delle
strumentazioni informatiche e tecnologiche in senso lato. Profondamente
connessa alla sua natura è la necessità, per l’uomo, di comunicare, parlare,
scambiarsi esperienze e vivere in gruppi sociali. L’utilizzazione collettiva può
favorire l’assorbimento delle rapide trasformazioni tecnologiche da parte del
tessuto sociale, senza traumi e bruschi cambiamenti: ‘‘Più si sviluppano processi
d’intelligenza collettiva, più e meglio gli individui e i gruppi si appropriano dei
cambiamenti tecnici, meno l’accelerazione del movimento tecno- sociale ha
effetti di esclusione o umanamente distruttivi” (Levy, 1997).
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Le comunità presenti in Rete sono oggi uno spazio di condivisione collettiva del
sapere, in cui proprio i contesti di significati condivisi sono continuamente
rinegoziati. Il progetto di Wikipedia - The Free Enciclopedia, discusso nel quarto
capitolo, è solo uno tra i tanti esempi in tal senso.
Quando si sarà pienamente realizzato il suo duplice sogno, profetizza Berners-
Lee (2001), interoperatività e intercreatività convergeranno, ed il Web diventerà
un’applicazione potente in cui il contributo dell’utente umano e le capacità
tecniche della macchina saranno determinanti per una crescita evolutiva del
processo di cooperazione sociale.
In realtà, la presenza in Rete di comunità come Wikipedia, contraddice in parte la
profezia di Berners-Lee: sembra che l’interoperatività non sia condizione
indispensabile per far sì che emergano sistemi innovativi di organizzazione,
d’interscambio e di condivisione di testi ed informazioni. Se ciò accade è perché,
fin dalle sue origini, si è voluto modellare il Web sul funzionamento della mente
umana. Già nel 1945, nel famoso articolo “As We May Think”, Bush metteva in
luce come il modo di pensare dell'uomo è fondamentalmente diverso dal modo in
cui vengono organizzate le enciclopedie e i libri. Infatti, mentre questi
contengono informazioni esposte in modo sequenziale, numerico o alfabetico, la
mente umana funziona per associazioni mentali e collegamenti di oggetti
differenti attraverso l'analogia. “The human mind does not work that way. It
operates by association. With one item in its grasp, it snaps instantly to the next
that is suggested by the association of thoughts, in accordance with some intricate
web of trails carried by the cells of the brain. It has other characteristics, of
course; trails that are not frequently followed are prone to fade, items are not fully
permanent, memory is transitory.