2
Nel 1933 il virus dell’influenza A venne isolato per la prima volta negli esseri umani da Smith.
Dopo quelle prime osservazioni venne chiarito che gli stessi virus dell’influenza A potevano essere
trovati (oltre nell’uomo) in animali diversi: i suini, i cavalli e gli uccelli. Successivamente fu
specificato il coinvolgimento di un complesso gruppo di virus simili ma non identici, quando furono
individuati altri due tipi virali antigenicamente distinti in grado di causare l’influenza, nel 1939
negli Stati Uniti Francis isolò il virus dell’influenza B
3
, mentre, nel 1949 Taylor isolò il virus
influenzale C
4
.
3
2. EZIOLOGIA
I virus influenzali appartengono alla famiglia degli Orthomyxovirus, genere Orthomyxoviridae.
Sono abbastanza eterogenei per forma e dimensioni (80-120 nm), contengono circa dallo 0,8
all’1,1% di RNA, il 70% di proteine, il 6% di carboidrati e dal 20 al 24% di lipidi, generalmente
sferici, talvolta filamentosi (1-2 Πm), sono coperti da proiezioni superficiali di natura glicoproteica
(10-14 nm), cioè l’emoagglutinina e la neuroaminidasi, le quali svolgono importanti funzioni nella
fisiologia del virus e nelle sue proprietà antigeniche (Fig. A).
Fig. A. Struttura dell’Ortomyxoviridae.
L’emoagglutinina
5
(HA) ha la forma di un bastoncino ripiegato a formare una struttura simile ad
uno stelo fibroso che ad un’estremità possiede una parte sferica e all’altra il pericapside virale.
Viene sintetizzata come una singola glicoproteina; ma per l’infettività dei virioni, durante la
maturazione virale è scissa enzimaticamente da una tripsina in due polipeptidi caratteristici (HA1 e
HA2), che sono tenuti insieme da un singolo legame disolfuro. Ciascuna spicola di emoagglutinina
consiste di tre insiemi di polipeptidi HA1-HA2, tale da formare un trimero simmetrico (peso
molecolare 75-80 kDa), costituito da steli fibrosi e sfere globulari. L’emoagglutinina è chiamata
così perché è responsabile dell’attacco del virus alle membrane cellulari che porta in vivo alla
infezione cellulare ed in vitro alla agglutinazione dei globuli rossi, poiché si lega ad un residuo
4
saccaridico largamente presente sulle glicoproteine ed i glicolipidi delle membrane cellulari, cioè
l’acido N-acetil-neuraminico (NANA). Inoltre l’emoagglutinina del virus dell’influenza A,
possiede cinque siti specifici A,B,C,D,E chiamati epitopi (simili nella neuroaminidasi), dove le
molecole anticorpali si legano poiché l’anticorpo riconosce la composizione chimica (la
distribuzione delle cariche elettriche) e la forma dell’epitopo, che sono entrambe determinate dalla
sequenze aminoacidiche della proteina. Per cui un tipo influenzale non da reattività crociata con gli
altri due tipi e i diversi sottotipi. La neuroamminidasi
6
(NA), che protrude anch’essa dal pericapside
virale, è un enzima a forma di fungo composto da quattro polipeptidi identici glicosilati, uniti da
legami disolfuro (peso molecolare 240 kDa). Sebbene le sue funzioni non siano del tutto chiare, il
suo ruolo è quello di facilitare il rilascio del virus dalle cellule infettate dopo la gemmazione,
rimuovendo i residui di NANA dalle glicoproteine della superficie cellulare alle quali
l’emoagglutinina altrimenti si attaccherebbe. È stato inoltre suggerito che la neuroaminidasi possa
aiutare il passaggio del virus attraverso il muco, mediante la distruzione di mucoproteine inibitorie
(pag. 14). Tali proteine (HA e NA) sono inserite ad intervalli regolari e con direzione radiale simili
a dei chiodi impiantati lungo il pericapside, cioè un involucro lipidico derivante dalla membrana
plasmatica della cellula infettata che si forma durante la gemmazione del virus dalla superficie
cellulare (ogni particella virale è portatrice, a livello dell’involucro lipidico, di circa 500 molecole
di HA e 100 molecole di NA). Alla superficie interna del doppio strato lipidico è associata la
proteina di matrice M1
7
. È la proteina più abbondante (33-46% di una proteina totale del virione) e
più piccola (peso molecolare 26 kDa) e conferisce stabilità all’involucro virale. Un secondo piccolo
polipeptide M2
8
è inserito alla superficie delle cellule infette, ma non è individuabile nei virioni. Al
di sotto della matrice proteica ritroviamo contenuto nel nucleocapiside, l’RNA virale a filamento
negativo, cioè la sua sequenza è complementare all’RNA messaggero. La sua organizzazione è
molto particolare, poiché non si tratta di un singolo filamento continuo, ma esso consiste di otto
segmenti di dimensioni differenti
9
. Ognuno di questi segmenti (i virus influenzali A e B né
possiedono 8, mentre, il virus influenzale C né possiede solo sette) rappresenta un singolo gene che
5
codifica per una singola proteina (gli mRNA per M1 e M2 ed NS1 e NS2, sono ottenuti attraverso un
taglio del messaggio completo per M ed NS (Tabella 1); ciò permette di spiegare perché da otto
geni originano dieci proteine) ed assume l’aspetto di una doppia elica a causa dell’associazione di
proteine interne: nucleoproteina (NP) e polimerasi (PB1, PB2 e PA), quest’utime coinvolte con la
replicazione e la trascrizione dell’RNA. L’insieme di RNA e nucleoproteina viene detto anche
ribonucleoproteina.
TABELLA 1. Segmenti genomici di virus influenzali A, B e proteine codificate.
Tutti i segmenti di RNA hanno delle estremità 5’ quasi identiche, consistenti in una sequenza di
circa 13 nucleotidi che termina con Appp, invece, le estremità 3’ sono altamente conservate per
quanto riguarda i primi 12 nucleotidi. Queste sequenze conservate alle estremità 3’ e 5’ dei
segmenti di RNA hanno una notevole omologia in tutti i ceppi di tipo A, B e C finora esaminati. La
specificità di tutti e tre i tipi influenzali, è conferita dalle differenti dimensioni e composizioni in
base e in amminoacidi rispettivamente per l’acido ribonucleico virale e per la proteina di matrice.
Segmento
di RNA
Polipeptide
codificato
Funzione
1 PB2 Legame del cap dell’RNA cellulare;
componente della trascrittasi.
2 PB1 Avvio della trascrizione; componente
della trascrittasi; possibile endonucleasi.
3 PA Componente della trascrittasi;
allungamento dell’mRNA.
4 HA Glicoproteina di superficie e antigene
bersaglio dei linfociti T citotossici.
5 NP Componente del complesso
nucleoproteico, associato con ciascun
segmento di RNA; antigene bersaglio di
linfociti T citotossici.
6
NA Attività neuramminidasica; glicoproteina
di superficie dell’involucro virale.
7 M1 Componente maggiore del virione; si
trova sotto il doppio strato lipidico
dell’involucro virale.
M2 Proteina non strutturale; antigene
bersaglio di linfociti T citotossici.
8 NS1 Proteina non strutturale, funzione ignota.
NS2 Proteina non strutturale, funzione ignota.
6
Il virus di tipo A risulta patogeno per l’uomo, oltre che per alcuni animali, per esempio: volatili di
diverse specie, suini, equini e addirittura cetacei. L’alterazione della sua struttura antigenica (un
evento consueto o quasi annuale) porta a infezioni con varianti verso cui poca o nessuna resistenza è
presente nell’ambito delle popolazioni a rischio e ciò spiega anche perché l’influenza continua ad
essere la più grande malattia infettiva dell’uomo. Esistono due meccanismi di variazione genetica
che si riflettono in un cambiamento antigenico: la deriva antigenica o antigenic drift e lo slittamento
antigenico o antigenic shift. Un cambiamento antigenico dà a intendere che il virus muta in modo
tale che le difese anticorpali, costituitesi per precedenti infezioni, non riescono più a riconoscerlo.
Di conseguenza queste nuove linee di virus possono contagiare gran parte della popolazione e
determinare l’insorgenza di epidemie. Nonostante le variazioni, il virus continua a mantenere
comunque la capacità di infettare un ospite umano e di replicarsi all'interno delle sue cellule. La
deriva antigenica
10
riflette cambiamenti antigenici minori sia nell’emoagglutinina che nella
neuroaminidasi, ma più comunemente nel primo ed è il risultato di mutazioni puntiformi nel gene
dell’HA e NA preesistente e di sostituzioni amminoacidiche singole nella proteina. Questo
fenomeno nel virus di tipo A avviene in modo marcato ed assiduo ed è responsabile delle epidemie
stagionali. Infatti le nuove varianti diventano sufficientemente irriconoscibili agli anticorpi nella
maggior parte delle popolazioni, così da rendere un ampio numero di individui suscettibile al nuovo
ceppo, perché il virus è favorito nella trasmissione da persona a persona rispetto al vecchio a causa
della meno frequente presenza di anticorpi nella popolazione. Lo slittamento antigenico
(cambiamento antigenico maggiore) avviene raramente e riflette la comparsa di ceppi virali con
nuovi antigeni di superficie, ciò può derivare dalla ricombinazione genetica di un ceppo umano di
tipo A ed un ceppo animale di tipo A
11
. Il maiale per esempio può essere infettato da un virus
dell'influenza A di origine aviaria (anatra) e da uno di origine umana. Quando entrambi i virus
vengono a trovarsi nella stessa cellula polmonare del maiale, essi sintetizzano tutte le proteine virali
del ceppo umano e di quello dell’anatra (in tutto venti) e procedono alla replicazione dei loro
rispettivi segmenti genomici (in tutto sedici), costituenti il ceppo virale umano e quello dell’anatra.