Ogni aspetto culturale e sociale coinvolto nella manifestazione coreutica, è
implicato in quelle che saranno le distinzioni e le precisazioni dei generi
performativi all’interno di una comunità, configurando la danza come una
manifestazione sia del singolo che del collettivo, che si diversifica, rendendo poi
possibile il riconoscimento di particolari costumi, tendenze o stili. È da queste
premesse che alcune manifestazioni del linguaggio del corpo possono essere
assurte a un valore artistico, quando cioè ogni individuo, in modo consapevole,
riversa all’interno della propria performance, il suo personale bagaglio culturale
ed emotivo. Nella nostra cultura la danza è considerata un linguaggio artistico
quando si organizza in un sistema di segni basato su opposizioni, variazioni e
ripetizioni, in cui inevitabilmente viene a formalizzarsi ogni tecnica del corpo,
oltre ad essere poi un’espressione fortemente finalizzata alla comunicazione
estetica. La danza in questo senso, può essere definita come movimento, nello
spazio e nel tempo, di un corpo in situazione di rappresentazione, in grado di
narrare, dire, rappresentare attraverso un sistema semiotico asemantico altamente
comunicativo.
La danza, essendo il linguaggio del corpo, vive esclusivamente nell’azione degli
esecutori e si identifica con essa in maniera totale; in particolare, quando diviene
espressione artistica, si realizza sempre in colei o colui che danza, quindi non
potrà mai essere “scorporata” dal danzatore o dalla danzatrice. Il corpo che danza,
dentro o fuori dalla scena, quando si dona allo sguardo del pubblico non lo fa mai
in modo ingenuo o primitivo, neppure nelle sue forme più arcaiche: è un corpo
allenato, preparato per rendere efficace la sua presenza e quindi dotato di un
inevitabile virtuosismo ed artificialità che pone la performance nella situazione
extra-quotidiana, allo scopo di innescare un processo connotativo di natura
simbolica. Il corpo dell’uomo, infatti, non è regolato solo da strutture biologiche,
ma incarna l’ordine del linguaggio, per questo le azioni coinvolte nell’atto
performativo risulteranno dal connubio fra fisico e spirito. Nella danza si può
forse cogliere l’intenzionalità originaria che dà vita all’espressione linguistica,
non come linguaggio verbale strutturato, ma come atto costitutivo della
comunicazione significante; gesto, movimento primordiale che rompe la tenebra
relazionale e il suo silenzio. Nell’azione coreutica riecheggia, insomma, il
3
movimento intenzionale di una coscienza incantata e si esprime l’essenza
emozionale degli oggetti che ad essa si rivelano
1
.
Nella storia della coreografia, molti artisti hanno riflettuto sulla natura della
danza, in particolare nell’ultimo secolo, quando cioè, si è venuto a sviluppare un
“movimento” antitetico rispetto alla disciplina accademica. Il rifiuto eversivo della
tradizione, personificato da Isadora Duncan
2
, celebre ballerina americana del
primo Novecento, trova anche in Europa il clima culturale adatto per svilupparsi;
l’avventura delle avanguardie è già cominciata e con essa il Novecento ha assunto
il suo carattere fondamentale, divenendo il secolo della contestazione. L’estetica
della danza che la Duncan viene elaborando attraverso i suoi scritti e la sua intensa
attività artistica ha come punto di partenza l’idea, propria della temperie culturale
fra Ottocento e Novecento, di un mitico stato originario di armonia naturale, dal
quale l’uomo si sarebbe progressivamente allontanato e dal quale deve ritornare se
non intende perdere definitivamente la possibilità di redenzione e salvezza.
Isadora crea un linguaggio estremamente personale, danzando in maniera istintiva,
selvaggia, mistica, senza regole schemi o tecniche, addirittura presentandosi al
pubblico senza scarpe, calcando i palchi più importanti scalza e coperta solamente
da una semplice tunica bianca semitrasparente (cosa che fece molto scalpore per la
mentalità conservatrice dell’Occidente di inizio secolo, ancora abituata alla figura
eterea della Silfide in scarpette da punta, sempre accompagnata da un’energica
figura maschile).
Non fu certo solamente la Duncan a segnare una svolta nell’interpretazione del
movimento in Occidente, ma attorno a lei -se non anche precedentemente- si
ebbero numerosi impulsi rivoluzionari che diedero vita a scuole di pensiero oltre
che a vere e proprie associazioni per l’insegnamento e la promozione di nuove
“formule” per la danza. Non vi è dubbio che la danza contemporanea abbia trovato
le basi proprio da questo turbamento di alcune personalità che hanno prodotto
nuovi impulsi all’inizio del secolo scorso; il forte richiamo alla riappropriazione
del corpo è un monito all’uomo, affinché recuperi il senso della propria umanità,
come del resto si potrà ritrovare con maggiore consapevolezza a partire dagli anni
Trenta con l’affermazione della modern dance. Questa libertà di poter danzare
1
E. BUCLI, Corporeità e conoscenza. Nota sulla posizione della filosofia feneomenologica, in
ALESSANDRO PONTREMOLI a cura di, Drammaturgia della danza. Percorsi coreografici del
secondo Novecento, Euresis Edizioni, Milano 1997.
2
Isadora Duncan (San Francisco, California, 1877 – Nizza, Francia, 1927).
4
fuori dagli schemi preconcetti della danse d’école, non indica esclusivamente dare
libero sfogo, attraverso slanci spontaneistici e movimenti non controllati, a
sentimenti e passioni, ma soprattutto dare vita a un nuovo linguaggio che fosse la
messa in forma di una nuova corporeità:
L’esponente della danza moderna deve combattere contro due cose. Una è la
convinzione che essa significhi semplicemente esprimere se stessa, e l’altra
che non necessiti di alcuna tecnica. La danza ha due facce, una è la scienza
del movimento, la tecnica che è una scienza esatta e deve essere imparata
molto accuratamente, e l’altra è la distorsione di questi principi, l’uso di
questa tecnica costretta da un’emozione
1
.
La danza moderna, che ha condotto la sua prima battaglia proclamando l’urgenza
di liberare il ballerino da ogni codice precostituito, finisce in tal modo col creare
altri codici, perché ogni linguaggio, per essere tale, implica necessariamente un
codice. Il vero scopo della battaglia non era quello di sopprimere in maniera totale
l’istituzione delle norme, ma di sostituire il linguaggio della danza accademica
con un altro o con altri codici più corrispondenti allo spirito mutato dei tempi.
È con Martha Graham
2
e gli altri esponenti della modern dance americana negli
anni Trenta del secolo scorso che si pone l’attenzione su un nuovo centro
dell’impulso espressionistico. La danza moderna non è un sistema standard, ma la
proposta di molti punti di vista sul movimento, ognuno in qualche modo
legittimato dalla ricerca di una verità del gesto e dell’espressione, che hanno la
loro fonte nella vita e cercano di dare forma estetica al vissuto personale
dell’artista. La danza creata dalla Graham e dai suoi contemporanei sembra
rispondere a tutti i requisiti della vera arte del corpo, esperienza estetica della
percezione di qualcosa mai avvertito prima d’allora, movimento nello spazio e nel
tempo che si rivolge a tutti i sensi, ma non soltanto ad essi, e li sfrutta come canali
per rendere comunicabile una dimensione interiore
3
. La lezione della Graham
servirà come caposaldo per le generazioni future, ma anche come motivo di
insoddisfazione e opposizione.
Una menzione a riguardo, è dovuta a Merce Cunningham
4
, figlio “ribelle” della
Graham, personalità altrettanto centrale nell’evoluzione odierna della danza
contemporanea. L’azione di Cunningham, considerata eversiva così sul versante
1
Sono parole di Martha Graham citate in M.LLOYD, Martha Graham, in The Borzoy Book of Modern
Dance, Knopf, New York 1949, riportate in ALESSANDRO PONTREMOLI, La danza, Editori Laterza,
Roma-Bari 2004, p. 86.
2
Martha Graham (Allegheny, Pennsylvania, 1894 – New York, 1991).
3
Ivi, p. 95.
4
Merce Cunningham (Centralia, Washington, 1919).
5
tradizionale come sul versante moderno, si fonda sul principio che la danza non è
un linguaggio rappresentativo, ma un evento il quale ha il suo significato in se
stesso. Non deve “raccontare” nulla ma soltanto accadere; si sviluppa così un
movimento antiemotivo e antinarrativo, puro dinamismo nello spazio, al di là di
ogni motivazione emozionale. Il rifiuto della dimensione interiore come motore
drammaturgico e delle emozioni come esito della narrazione porta a concepire la
danza come arte del rigore formale, arte dell’astrazione, libera da qualsiasi
condizionamento ideologico, senza pretese didascaliche o intenti descrittivi. Nella
sua concezione coreografica, spazio e tempo devono essere al centro dell’interesse
del danzatore e dello spettatore; lo spazio è circolare e non limitato alla
tradizionale prospettiva frontale teatrale; il disegno coreografico, anzi dev’essere
plurifocale; la musica, la danza, la scenografia, non sono più ancelle l’una
dell’altra, ma convivono in pari dignità e libertà, senza relazione alcuna; le frasi
coreografiche studiate rigorosamente, possono essere ordinate senza una sequenza
prestabilita fissa; il vocabolario dei movimenti attinge tanto alla tecnica classica
per piedi e gambe, quanto a quella moderna per il bacino e il busto. Questo preteso
astrattismo, che affonda le sue radici nell’intenzionalità non comunicativa di John
Cage
1
, non può rinunciare al soggetto; gli stessi materiali sonori, anche quando
generati con procedimenti elettronici, o vengono a coincidere con la concretezza
dei rumori o addirittura sono negati nel silenzio, nella loro estrema formalità e
artificialità rimandano comunque ad un soggetto intenzionale
2
. La distinzione fra
soggetto ed oggetto è, infatti, interna all’intenzionalità della coscienza, in quanto
la coscienza è sempre coscienza dell’essere e dei modi in cui l’essere si dà alla
coscienza. Ogni evento artistico proposto ad un pubblico, anche se
programmaticamente “non-comunicante”, si realizza in un evento rappresentativo,
mediante un corpo che esprime, nel movimento di continuo spostamento
prospettico, un punto di vista. Ciò consente di cogliere l’evento nei suoi diversi
aspetti o, come nel caso della musica e della danza, nel suo dispiegarsi temporale.
Bisogna quindi riconoscere un senso che si lascia cogliere nelle diverse
prospettive.
1
JOHN MILTON CAGE, (Los Angeles, 5 settembre 1912 – New York, 12 agosto 1992) compositore di
musica sperimentale e scrittore.
2
Interessanti a proposito sono due dei lavori più celebri di John Cage: “Imaginary Landscape n°”1
(1939) nel quale il musicista utilizza le nuove tecnologie elettroniche per la produzione sonora al fine di
avvicinarsi il più possibile ai suoni che si possono percepire in un ambiente urbano; “ 4:33” (1952)
esattamente quattro minuti e trentatre secondi di silenzio, nel quale il vero e proprio concerto è costituito
dai rumori di sottofondo provenienti dagli spettatori in platea.
6
Quanto si manifesta deve avere un qualche significato: significato appunto
come segno che rinvia ad alcunché, come senso che è direzione e ricerca
dell’intelleggibile […]. Il presupposto segreto di ogni avvenimento
rappresentativo resta in definitiva quello di eliminare la contraddizione del
non essere
1
.
La danza è essenzialmente arte del corpo e la creazione coreutica coincide con la
dinamica corporea del suo stesso creatore. Nella danza si rivela la forte valenza
comunicativa del corpo, segno pregnante del nostro essere al mondo, ineliminabile
strumento della rivelazione del nostro esserci. Ogni espressione, ogni gesto, anche
il solo porsi della presenza corporea, rivelano un movimento intenzionale.
È questo che più di ogni altro ha saputo esprimere una fra le più grandi
coreografe dell’ultimo secolo, Pina Bausch
2
, personaggio che tutt’ora è fonte di
ispirazione per molti artisti. La Bausch ha saputo gridare al mondo le ingiustizie
della vita, le false apparenze della società, ma soprattutto è stata la poetessa
dell’angosciosa incomunicabilità fra i sessi, sempre rappresentata mediante
coreografie molto vicine al teatro d’avanguardia; fu grazie a questa artista che
l’Italia conobbe il Tanztheater, vero e proprio fenomeno storico di spettacolo,
circoscrivibile a un’area geografica e culturale determinata. Le radici di Pina
Bausch affondano nel fertile terreno della Ausdruckstanz (danza d’espressione),
sviluppatasi negli anni Venti e Trenta nel clima dei fermenti di rivolta artistica
giovanile (Jugendstil) e delle avanguardie storiche; il teatrodanza tedesco degli
anni Settanta muove proprio da questo retroterra. Se i temi del Tanztheater degli
anni Settanta e Ottanta sono ancora espressionisti (investitura simbolica della
materia; rivolta dell’individuo; denuncia sociale contro il mondo ostile; disagio
esistenziale, ecc.), i modi e le forme sono quelli del nuovo teatro: delle
avanguardie statunitensi, dell’happening, del Living Theater, del teatro laboratorio
di Grotowski, delle nuove frontiere percettive di Bob Wilson e di Meredith Monk.
Ciò che fa del Tanztheater un evento dirompente sulla scena degli anni Ottanta, è
innanzitutto la riscoperta del linguaggio del corpo e la riaffermazione del teatro
come luogo nel quale non esistono più confini di genere.
Come dimostrato ormai da quasi trent’anni di critica, la categoria del
teatrodanza è stata estesa a molti fenomeni sia a partire dalla danza sia a partire
1
V. MELCHIORRE, Essere e parola. Idee per una antropologia metafisica, Vita e Pensiero, Milano
1982, in ALESSANDRO PONTREMOLI a cura di, Drammaturgia della danza. Percorsi coreografici
del secondo Novecento, Euresis Edizioni, Milano 1997.
2
Pina Bausch (nome d’arte di Phillippine Bausch) (Solingen, 1940).
7
dal teatro. Per questo motivo, nel corso degli anni Ottanta si è cominciato a parlare
di nuove danze, espressione di numerosi gruppi che costituiscono il panorama
della danza contemporanea europea e rappresentano delle filiazioni più o meno
dirette dei grandi nomi del teatrodanza centroeuropeo o del formalismo
d’oltreoceano. I primi a fornire un contributo innovativo in Italia, sono stati degli
artisti formatisi all’estero che, una volta tornati nel nostro Paese, hanno stabilito
scuole o corsi offrendo nuove forme di espressione corporea. Tutto questo,
naturalmente, limitatamente al settore privato, dato che le strutture pubbliche
dell’insegnamento della danza (le Accademie legate agli enti lirici) non hanno mai
preso in considerazione la diffusione di tecniche diverse da quella accademica. Tra
questi artisti i primi sono Elsa Piperno e Joseph Fontano che hanno aperto il
Centro Professionale di Danza Contemporanea a Roma; negli anni Settanta nella
città di Torino, particolarmente viva nel campo della danza, troviamo il Gruppo di
Danza Contemporanea di Bella Hutter; a Firenze nacque la significativa
esperienza del Collettivo Danza Contemporanea diretto da Cristina Bozzolini
1
.
L’esperienza più originale degli esordi della danza contemporanea nel nostro
paese, fu il caso della compagnia Sosta Palmizi nata dopo la formazione di alcuni
ballerini italiani con Carolyn Carlson
2
, durante la sua collaborazione col Teatro
Malibran e La Fenice di Venezia dal 1980 al 1984. La Carlson utilizza la danza
come mezzo di approfondimento della dimensione intima e soggettiva
dell’esistenza: « Non ci sono frontiere tra la coreografia, il fatto di danzare e
quello di vivere. Il gesto è bello soltanto se motivato dalla verità interiore»
3
.
Se in tutta Europa assistiamo ad un rinnovamento della danza, a metà degli anni
Ottanta anche il nostro paese conobbe il fenomeno della cosiddetta nuova danza
italiana, ad opera di una serie di danzatori-coreografi, di cui fanno parte in
posizione di spicco la Compagnia Baltica di Fabrizio Monteverde, Occhèsc di
Enzo Cosimi, Parco Butterfly di Virgilio Sieni e gli Efèsto, accomunati dalla
scelta di operare su trame e con ritmi di consistenza e andamento precisamente
drammaturgici, rivestiti con le abilità di movimento strutturate nel contatto
artistico con la danza e la cultura postmoderna come base comune a tutti. Si
consolida in Italia una tradizione di danza d’autore, con la quale si intende
1
MARIO PASI, DOMENICO RIGOTTI, ANN VERONICA TURNBULL dizionario a cura di, Danza e
Balletto, Jaca Book, Milano, 1998.
2
Carolyn Carlson (Oakland, 1943).
3
Sono parole della Carlson, O.J. LEMAÎTRE, Carolyn Carlson ou les mystères de inspiration, riportate
in ALESSANDRO PONTREMOLI, La danza, Editori Laterza, Roma-Bari 2004, pag. 105
8
definire un nuovo territorio della composizione coreutica in cui autori molto
diversi fra loro nella cifra stilistica, rigettano parimenti il codice classico e quello
del modern proponendo una originale costruzione di segni, sintesi di una nuova
estetica della danza, spesso risultato di rielaborazioni di molte tendenze che
l’hanno preceduta.
Per la danza d’autore, Fabrizio Monteverde si colloca come una personalità
eccellente fra il panorama teatrale degli ultimi vent’anni. A partire dalla sua
esperienza come aiuto-regista alla fine degli anni Settanta, Monteverde rielabora
una concezione della danza che si pone a stretto contatto con il teatro,
proponendosi nei suoi lavori di costruzione degli spettacoli, forse più come figura
di regista che come puro coreografo. La novità del suo linguaggio coreografico
non si realizza nell’invenzione di nuovi codici di movimento, quanto
nell’utilizzazione personale di quelli già esistenti, come il codice classico ed il
modern, supportati in scena da apparati teatrali, spesso diretti dallo stesso artista,
(luci e scenografia, trucchi, costumi ed effetti scenici) che completano la
costruzione semantica, con il risultato di essere riuscito a consolidare uno stile
inconfondibile.
Il mio lavoro vuole essere un approfondimento del processo di ideazione,
progettazione, composizione coreografica e realizzazione di uno spettacolo di
danza di questo grande artista, in particolare per quanto riguarda la produzione
Ulisse, messa in scena durante la stagione 2004/2005 del Teatro Comunale di
Treviso. L’attività di Monteverde è stata particolarmente significativa e proficua
nel panorama teatrale degli ultimi trent’anni, ed è per questo che nel mio elaborato
verrà analizzato il metodo di lavoro di questo importante esponente della danza
contemporanea italiana. Poeta dei corpi narranti, realizzatore di drammaturgie che
non raccontano ma che lasciano allo spettatore la facoltà di poter leggere, tra i
movimenti, un senso nelle grandi storie della letteratura mondiale, Monteverde ha
saputo mettere in scena con grande maestria, negli anni della sua carriera, le
passioni, i deliri, l’erotismo, la crudeltà e l’ironia nella condizione umana; non
poteva mancare quindi, nella sua vasta attività, il poema epico per eccellenza.
Ulisse è stata una produzione interamente costruita nel territorio trevigiano, grazie
alle collaborazioni di Progetto Danza e Teatri S.p.A. che hanno avuto un ruolo
essenziale nella realizzazione del progetto; verrà quindi preso in considerazione il
ruolo che queste associazioni hanno avuto nell’avvio e nell’allestimento di questo
9