diritto penale canonico escludeva l’imputabilità per coloro a cui
facessero difetto il discernimento e la volontà libera, e cioè i dementi e
i furiosi, comprendendosi anche le situazioni di furore improvviso e
transitorio; ma si assimilavano alle malattie mentali anche la febbre
violenta, il sonno, il sonnambulismo, l’ira subitanea, il dolore intenso,
in quanto appunto suscettibili di incidere sulla consapevolezza e sulla
libertà dell’azione. Stesso dicasi per l’ubriachezza. Tutto ciò non
riguardò quell’epoca oscura del potere dell’Inquisizione, in cui
considerazioni di politica criminale prevalsero e la malattia mentale
era considerata effetto di stregoneria o di influenza diabolica. Il
principio dell’irresponsabilità del folle tornerà in auge nel diritto laico
successivamente all’anno Mille, ancora rifacendosi al vizio
dell’intelletto o della volontà
3
, né la situazione muterà nei secoli
successivi. Il Codice Napoleonico del 1810 costituisce un riferimento
obbligato per l’intera storia del diritto, posto che informerà tutta la
codificazione europea del XIX secolo, anche per le norme relative
l’imputabilità. ed infatti, il suo art. 64 recitava che “Non esiste né
crimine né delitto allorchè l’imputato trovavasi in stato di demenza al
momento dell’azione, ovvero vi fu costretto da una forza alla quale
non potè resistere”. In Italia, sia nei codici emanati sotto l’influsso
napoleonico che in quelli successivi alla restaurazione ( i codici pre –
unitari), rimasero non solo il principio generale, ma anche le
espressioni usate dal codice napoleonico o dai lavori preparatori: così
troviamo esclusa la responsabilità quando l’autore è totalmente privo
della ragione; troviamo il riferimento alla forza irresistibile, alla
demenza, al morboso furore, all’imbecillità, alla pazzia. Con l’Unità
venne esteso all’Italia il Codice penale per gli Stati di S.M. il Re di
Sardegna del 1859 che, a proposito dell’imputabilità, così stabiliva
all’art. 94: “Non vi è reato se l’imputato trovavasi in istato di assoluta
imbecillità, di pazzia, o di morboso furore quando commise l’azione,
2
ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non potè resistere”, e
all’art. 95: “Allorché la pazzia, l’imbecillità, il furore o la forza non si
riconoscessero a tal grado da rendere non imputabile affatto l’azione,
i Giudici applicheranno all’imputato, secondo le circostanze dei casi,
la pena del carcere estensibile anche ad anni dieci, o quella della
custodia, estensibile anche ad anni venti”. Ma questa normativa
rimase in vigore in Italia solo trent’anni, dopo i quali, e precisamente
il 30 giugno 1889, fu approvato il Codice c.d. Zanardelli, dal nome
dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, in cui si stabiliva:
“Art. 46 – Non è punibile colui che, nel momento in cui ha commesso
il fatto, era in tale stato di infermità di mente da togliergli la
coscienza o la libertà dei propri atti”; “Art. 47 – Quando lo stato di
mente indicato nell’articolo precedente era tale da scemare
grandemente l’imputabilità senza escluderla, la pena stabilita per il
reato commesso è diminuita”; “Art. 51 – Colui che ha commesso il
fatto nell’impeto d’ira o d’intenso dolore, determinato da intensa
provocazione, è punito con la reclusione non inferiore ai venti anni,
se la pena stabilita per il reato commesso sia l’ergastolo, e negli altri
casi con la pena stabilita per il reato commesso diminuita di un terzo.
Se la provocazione sia grave, all’ergastolo è sostituita la detenzione
da dieci a venti anni, e le altre pene sono diminuite dalla metà ai due
terzi, sostituita alla reclusione la detenzione”.
2. L’imputabilità secondo la normativa vigente
Ogni individuo, raggiunta la maturità mentale, dispone di qualità
naturali che lo pongono in grado di regolare consapevolmente e
liberamente le proprie azioni, secondo il principio del libero arbitrio. Il
possesso di queste qualità psichiche è necessario affinché una persona
possa essere ritenuta imputabile. La normalità psichica e il potere
decisionale dell’individuo stanno alla base dell’imputabilità.
3
L’imputabilità consiste “nell’idoneità a essere imputato di un reato”,
cioè la condizione occorrente per attribuire al soggetto agente il fatto
da lui commesso e mettergli in conto le conseguenze giuridiche della
sua condotta. L’imputazione, diversamente, assume un significato
processuale differente, poiché implica un giudizio di accusa con la
formulazione precisa del reato che viene addebitato.
L’imputabilità distingue gli esseri umani in due categorie, imputabili e
non imputabili: gli uni assoggettabili alla pena, gli altri no. Il suo
contenuto è dunque duplice: giuridico-formale e psicologico-naturale,
poiché l’imputabilità, pur essendo una categoria astratta, si riferisce ad
una situazione reale e si risolve con un giudizio concreto sullo stato
mentale dell’imputato.
In termini naturalistici, l’imputabilità rappresenta un modo di essere
proprio di ogni individuo, caratterizzato dalla “capacità psichica”, la
quale è legata a due fattori: lo sviluppo adeguato all’età e la sanità
mentale, dai quali dipende il carattere libero e cosciente delle azioni
umane nella sfera del diritto.
La capacità mentale rappresenta, invece, il supporto naturale della
imputabilità e domina l’intera scena della vicenda penale. La si ritrova
sia nel momento formativo della legge, poiché il destinatario tipico
della norma penale è il soggetto capace di intendere e di volere, in
grado di apprezzare il comando e di osservarlo: in questo caso
l’imputabilità è intesa come “capacità di obbligo”; sia nel momento
commissivo del reato, in quanto la violazione cosciente e volontaria
del precetto provenga da un soggetto avente l’attitudine a compiere
un’azione penalmente rilevante nella specie prevista dalla legge: in tal
caso l’imputabilità è intesa come presupposto o capacità di pena.
La questione sulla natura giuridica dell’imputabilità è, comunque,
ancora aperta. L’imputabilità, infatti, ha da un lato, evidenti rapporti
con la capacità di diritto penale, che consiste nella idoneità dell’uomo
di essere titolare di diritto penale, cioè di essere giudicato e
4
condannato per un reato commesso, tanto che alcuni considerano la
capacità di diritto penale il presupposto dell’imputabilità. Dall’altro
non sono meno evidenti i rapporti tra imputabilità e capacità di agire
penale, che consiste nella attitudine dell’individuo a compiere atti
illeciti dai quali consegue l’effetto della pena, altrimenti detta capacità
di reato in quanto il soggetto agente esercita personalmente
l’attitudine a commettere la violazione della legge e ne assume
direttamente le conseguenze.
Il codice penale vigente adotta il criterio naturalistico della
volontarietà dell’azione umana rispetto al reato, nel presupposto che
l’uomo normale, cioè il soggetto che si adegua alle regole, possa agire
liberamente. Di conseguenza, l’adozione di tale criterio consente di
affermare il principio della responsabilità personale e di giustificare
razionalmente la punizione del reo.
Attualmente l’istituto è regolato dagli artt. 85 e seguenti del Titolo IV
(Del reo e della persona offesa dal reato), capo I (Della Imputabilità)
del Codice Penale. L’art. 85 stabilisce che: “Nessuno può essere
punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento
in cui lo ha commesso, non era imputabile. E’ imputabile chi ha la
capacità di intendere e di volere”. Si considera l’intendere come il
discernere rettamente il significato, il valore, le conseguenze fattuali,
morali e giuridiche delle proprie azioni
4
. Si tratta in sostanza del
possesso delle facoltà cognitive, di comprensione ed anche di
previsione. L’ignorare il significato antigiuridico di un’azione non è
4
Crespi A., voce “Imputabilità”, Enciclopedia del Diritto, vol. XX, Giuffrè, Milano, 1970,
p. 3;
Fornari U., Psicopatologia e Psichiatria Forense, UTET, Torino 1989;
Introna F., I diritti del malato di mente, ovvero il malato di mente nel diritto, in:
Mastronardi V. (a cura di), Criminologia Psichiatria Forense e Psicologia Giudiziaria,
Scritti in memoria di Franco Ferracuti, Antonio Delfino Editore, Roma, 1996, pp. 292-
327;
Mantovani F., L’imputabilità sotto il profilo giuridico, in: Ferracuti F. (a cura di), Trattato
di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense, Vol. 13: Psichiatria
forense generale e penale, Giuffrè, Milano, 1990, p. 17; Ponti G., Compendio di
Criminologia, Cortina, Milano, 1990;
Portigliatti Barbos M., Marini G., La capacita di intendere e di volere nel sistema penale
italiano, Giuffrè, Milano, 1964;
5
equiparato al difetto della capacità d’intendere, poiché per l’art. 5 c.p.:
“nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge
penale”, ed in ogni caso “non sapere” non significa incapacità di
intendere
5
. Inoltre, è da specificare che la capacità d’intendere non ha
nulla a che vedere con la capacità di apprezzamento morale, talchè
colui il quale comprenda che un fatto è illecito ma non sappia
partecipare affettivamente e moralmente alla proibizione non perciò
vedrà diminuita la propria imputabilità
6
. Il volere si definisce come il
libero autodeterminismo in vista di uno scopo, come la possibilità di
optare per una condotta e di resistere agli stimoli
7
. Al volere
partecipano un insieme di elementi concorrenti: le facoltà volitive e le
decisioni, infatti, si determinano nell’ambito di contenuti di coscienza,
di rappresentazioni, di giudizi, ed anche di sentimenti. La
prospettazione di un atto è il processo intellettivo implicante una
valutazione dei dati posti dall’osservazione della realtà; con tale
osservazione si programma l’atto volitivo, di cui costituisce il suo
motore logico. Oltre che elementi intellettivi, intervengono nell’agire
anche componenti affettive (il desiderio o rispettivamente il timore, la
simpatia, l’interesse, l’ostilità, e via discorrendo) che ne sono il
motore timico. Ne consegue che la capacità di volere richiede tanto
l’integrità dell’intelletto quanto l’assenza di turbamenti morbosi
dell’affettività. La capacità di intendere e quella di volere vanno intese
5
Crespi A., voce “Imputabilità”, Enciclopedia del Diritto, vol. XX, Giuffrè, Milano, 1970,
p. 3;
Ponti G., Compendio di Criminologia, Cortina, Milano, 1990;
6
Cazzaniga A., Programma di medicina legale, La Sorgente, Milano, 1955;
Mantovani F., L’imputabilità sotto il profilo giuridico, in: Ferracuti F. (a cura di), Trattato
di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense, Vol. 13: Psichiatria
forense generale e penale, Giuffrè, Milano, 1990, p. 17; Mantovani F., L’imputabilità sotto
il profilo giuridico, in: Ferracuti F. (a cura di), Trattato di Criminologia, Medicina
Criminologica e Psichiatria Forense, Vol. 13: Psichiatria forense generale e penale,
Giuffrè, Milano, 1990, p. 17;
7
Crespi A., voce “Imputabilità”, Enciclopedia del Diritto, vol. XX, Giuffrè, Milano, 1970,
p. 3;
Fornari U., Psicopatologia e Psichiatria Forense, UTET, Torino 1989;
Mantovani F., L’imputabilità sotto il profilo giuridico, in: Ferracuti F. (a cura di), Trattato
di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense, Vol. 13: Psichiatria
forense generale e penale, Giuffrè, Milano, 1990, p. 17;
Ponti G., Compendio di Criminologia, Cortina, Milano, 1990;
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