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INTRODUZIONE
La motivazione è la spinta, la leva che fa muovere le persone, anche in condizioni
di estrema difficoltà. La motivazione del personale è quindi l’ argomento guida della mia
tesi perché è un fattore fondamentale che permette il raggiungimento di risultati positivi e
il raggiungimento degli obiettivi aziendali comuni, punti di riferimento ai quali
l’organizzazione deve tendere.
Questo aspetto tanto importante quanto inspiegabilmente ignorato dalle direzioni
aziendali nonché dalle direzioni infermieristiche, ha un notevole riflesso sui costi del
personale; è infatti facilmente intuibile come un infermiere demotivato gravi sul budget
aziendale senza di contro produrre assistenza e qualità.
Gli indicatori più attendibili per rilevare il grado di DEMOTIVAZIONE del
personale come riportano numerose ricerche, sono l’assenteismo, l’alto tourn over
infermieristico, la diminuzione di rendimento in termini quantitativi e qualitativi da parte
di ottimi elementi che fino a quel momento hanno sempre dato il massimo dell’ impegno.
Il personale, ovvero le Risorse Umane, costituiscono ancora il 60% delle
problematiche di una azienda sanitaria. Allora mi chiedo come mai nemmeno in funzione
della riduzione dei costi dell’azienda si è mai tentato quantomeno di prendere in
considerazione il problema!
Eppure in campo economico-aziendale, ormai si attuano politiche volte prima che
alla produzione, alla soddisfazione e motivazione dei dipendenti, perché il semplice
concetto che un dipendente motivato rende almeno il doppio e costa la metà è tanto ovvio e
intuibile, quanto mai vero.
E questo principio è ancor più vero nelle Aziende Sanitarie che offrono servizi
alla persona, dove è più facile cadere in stress o bournout, causato spesso dalla complessità
operativa, dall’impegno che richiedono le così dette aree critiche, dalla responsabilità che
grava sugli operatori sanitari. La maggior parte delle volte tutto questo non è ricompensato
né da un adeguato tornaconto economico, ma nemmeno da quell’appagamento che può
dare il sentirsi apprezzati professionalmente. Infatti i caposala (coordinatori) non sono in
grado di ricompensare la competenza e l’impegno pur riconoscendoli nel professionista.
La gravità di questa mancanza di riconoscimento professionale è da imputarsi ai
coordinatori, perché pur avendo molti strumenti a loro disposizione per far sì che questo
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meccanismo non si instauri, spesso preferiscono ignorare il problema e non riflettere su
cosa si potrebbe fare per stimolare i propri collaboratori. Il coordinatore deve essere
consapevole della distinzione fra fattore che motiva la persona e modalità per la sua
applicazione, conoscendo il primo può creare la condizione per quest’ultima. Il leader
infatti è il “professionista delle relazioni”: lavora con il gruppo in vista di ottimizzare le
sue risorse ed è al servizio del gruppo.
Un buon leader deve saper conciliare i bisogni degli operatori con le attività da
svolgere. A seconda delle situazioni e delle fasi nella quale si trova il gruppo, si farà più
attenzione ad un bisogno rispetto ad un altro.
Nei molteplici cambiamenti e rinnovamenti a cui sta continuamente andando in
contro il Sistema Sanità è oggi impensabile che un coordinatore come responsabile
organizzativo, di budget, gestionale e delle relazioni non tenga presente queste nozioni
fondamentali per il continuo raggiungimento dell’ottimizzazione dei servizi e della mission
aziendale, rispondendo a quei requisiti richiesti di qualità, efficienza, efficacia ed
economicità. Ho tentato nel lavoro anche di fornire una risposta ai seguenti quesiti che
appaiono centrali rispetto alla questione:
Come creare una “cultura del noi ed uno spirito di gruppo”?
Come motivare le persone alla condivisione di un mandato?
Come fare per guadagnarsi non solo il rispetto e la fiducia dei propri collaboratori,
ma anche il loro supporto, il loro impegno, la loro collaborazione?
Come riuscire a creare un ambiente di lavoro in cui si respiri un clima positivo,
ispirato ai valori della squadra?
Come comunicare in modo efficace?
Come lavora il manager “coach” per ottenere tutto ciò?
Non vi è la pretesa di fornire risposte universalmente valide ai quesiti suddetti, ma
di indicare semmai il punto da cui partire per gestire, all’ interno dei gruppi di lavoro, la
risorsa umana ed in particolare il moderno professionista infermiere. Lo scopo finale è
quello di garantire, in una sanità che muta e che trova nel gruppo multidisciplinare e
nell’equipe il suo substrato, delle performance che rispondano a criteri di efficacia,
efficienza ed appropriatezza, e che garantiscano al cittadino la qualità del servizio intesa
come complesso multifattoriale.
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Il management non può che orientarsi alla motivazione del singolo e del gruppo, e
a costruire nel contesto lavorativo quel clima e quell’ambiente consono al raggiungimento
del mandato. In quest’ottica la conoscenza degli strumenti del management e la loro
applicazione per la figura del coordinatore infermieristico diventano fondamentali ed
indispensabili.
Nel primo capitolo di questa mia prima tesi, eseguo un breve escursus sulle
principali tappe storico-legislative e formative che hanno portato all’istituzione della figura
del coordinatore infermieristico, nonché del relativo Master Universitario di 1° livello che
ne identifica le nuove competenze e responsabilità. In particolare mi soffermo soprattutto
sull’importanza delle competenze umane e relazionali che deve possedere un coordinatore,
percepire come gestire al meglio le risorse umane a sua disposizione. Nel secondo capitolo
descriverò il concetto di motivazione al lavoro, analizzando le principali teorie
motivazionali, ed ai percorsi storici che hanno portato alla moderna concezione della
motivazione al lavoro, per introdurre nel terzo capitolo quali sono le tecniche
motivazionali a disposizione dei coordinatori infermieristici per sviluppare quel senso di
appartenenza, di impegno e di stimolo nei propri collaboratori. Nel quarto capitolo
descriverò l’importanza di saper ben valutare e gestire le risorse umane come prima risorsa
di una qualsiasi azienda che voglia emergere in qualità di prestazioni e quantità di profitti.
Nel quinto capitolo tenterò di descrivere l’esperienza dei Magnet Hospital Statunitensi, i
quali hanno sperimentato con ottimi risultati delle tecniche di “attrazione” per il personale
infermieristico, forze di attrazione le quali permettono di avere un ridottissimo tourn over
infermieristico, una buona motivazione professionale, quali la qualità lavorativa, lo spirito
di equipe (clima organizzativo e partecipativo), la responsabilizzazione l’empowerment, la
gratificazione ed il riconoscimento, e molte altre caratteristiche che motivano e fanno si
che tale azienda sia una azienda magnetica per il personale e di conseguenza ne beneficerà
di prestigio e di riconoscimento da parte dell’utente, in termini di guadagno economico.
Con un breve questionario cercherò di capire quanto della realtà dei Magnet Hospital sia
conosciuta e possibilmente applicabile agli ospedali della realtà Italiana. Lascerò quindi al
lettore se non oltremodo annoiato, la possibilità di uno spunto di riflessione su quanto è
possibile ancora fare da parte della nuova ed importantissima figura del coordinatore, per
migliorare questo aspetto tanto importante della professione infermieristica, ma soprattutto
importante in termini di rendimento per una azienda sanitaria.
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CAPITOLO 1
L’INFERMIERE DIRIGENTE : EVOLUZIONE STORICA E
FORMAZIONE.
1.1 PRINCIPALI TAPPE STORICO-LEGISLATIVE CHE HANNO
PORTATO ALL’ ISTITUZIONE DELLA FIGURA DEL
COORDINATORE INFERMIERISTICO.
E’ solo nel 1925 per opera del Regio Decreto Legislativo n. 1832 che le scuole per
Infermiere sorte in Italia nei primi del 1900 sono regolamentate ed istituzionalizzate.
Tale decreto prevedeva la possibilità per le scuole convitto di istituire un terzo
anno di corso per la preparazione di “infermiere diplomate Abilitate a Funzioni
Direttive”(AFD), titolo necessario per svolgere il ruolo di direttrice che operava nella
formazione ma non per la direzione dei servizi di assistenza della struttura.
In Italia il D.P.R. n. 755 del 1964 istituisce presso l’Università “La Sapienza” di
Roma la prima scuola diretta ai fini speciali per dirigenti dell’assistenza infermieristica
(DAI); altre scuole saranno istituite a Milano e Torino nei decenni successivi come scuole
dirette ai fini speciali per dirigenti e docenti di scienze infermieristiche.
Il D.P.R. 27 Marzo 1969, n. 132 stabilisce l’ordinamento interno dei servizi
ospedalieri: all’art. 44 regolamenta le attribuzioni del Capo dei Servizi Sanitari Ausiliari
(CSSA) istituendo così una figura nuova, dipendente direttamente dal Direttore Sanitario e
con responsabilità limitate; all’art. 8 prevede il Caposala nella dotazione del “personale
sanitario ausiliario” e all’art. 41 norma la posizione e le attribuzioni di questa figura.
Un altro D.P.R. emanato anch’esso il 27 Marzo del 1969, il n.130, sanciva che per
essere nominati Caposala non era necessario possedere il certificato di Abilitazione a
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Funzioni Direttive, richiedendo il solo diploma di infermiere professionale e una
determinata anzianità di servizio1.
Negli anni ’70 numerose innovazioni hanno modificato la formazione e l’esercizio
dell’arte infermieristica, dall’apertura delle scuole per infermiere anche ai candidati di
sesso maschile all’obbligatorietà di dieci anni di scolarità di base prima di potervi
accedere.
Il DM 8 Febbraio 1972 modifica radicalmente il programma del corso di
Abilitazione a Funzioni Direttive (Caposala) introducendo materie quali la psico-
sociologia, la pedagogia, nozioni giurico-legali, diritto del lavoro, legislazione sanitaria,
tecniche amministrative e manageriali.
Con la legge n. 795 del 1973 viene ratificato l’Accordo Europeo di Strasburgo e la
formazione dell’infermiere professionale diventa di durata triennale.
Pochi mesi più tardi si assiste alla nascita, per l’epoca, di un infermiere più
moderno a seguito dell’emanazione del D.P.R. n. 225: il cosiddetto “mansionario”.
Il D.P.R. n. 761 del 1979 disciplina lo stato giuridico del personale sanitario delle
USL: il Direttore, il Vicedirettore di scuole infermieri e il Capo dei Servizi Sanitari
Ausiliari sono inquadrati nel ruolo sanitario, con il profilo professionale di personale con
funzioni didattico organizzative, nella posizione funzionale di “Operatore Professionale
Dirigente”; il Caposala, iscritto pure al ruolo sanitario ha il profilo di operatore
professionale di 1° categoria, con la posizione funzionale di “Operatore Professionale
Coordinatore”.
Il Ministero della sanità, con un decreto emanato in data 3/12/1982, rende
obbligatorio il possesso del certificato AFD per i concorsi per Operatore Professionale
Coordinatore.
Il D.M. 13/09/1988 definisce gli standard del personale ospedaliero e prevede
all’art. 4 un Operatore Professionale Dirigente per ogni Presidio Ospedaliero, con
maggiorazione di uno ogni 500 posti letto, da inserire presso la Direzione Sanitaria; all’art.
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Artioli G., “Percorsi di formazione: laurea di I e II livello, master e dottorato”, Atti del XXIII Congresso
Nazionale GISE, sezione tecnico infermieristica, 2002