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INTRODUZIONE
Il progetto di ricerca si propone di offrire un quadro generale che ripercorra,
attraverso uno studio in chiave diacronica, la lunga e complessa vicenda
della conquista femminile del voto da parte delle donne. Perché oggi è
necessario parlare di un diritto ormai concesso? Perché parlare di
concessione e non di conquista? Il consolidamento del diritto di
partecipazione politica delle donne è avvenuto realmente? Perché parlare
oggi del problema della parità tra i sessi? L'obiettivo preposto nel corso
dell'elaborato è quello di tentare di dare una risposta a tali quesiti,
analizzando in una prospettiva storica la lunga e difficile strada percorsa
dalle donne per la conquista del diritto di voto. Il suffragismo ha
rappresentato una vera e propria lotta sociale e non solo una mera riforma
da approvare. Il voto «è stato concesso alle donne non dietro una vigorosa
spinta di opinione pubblica e di massa, ma piuttosto in obbedienza a un
convincimento di carattere generale, rafforzato dalla maggior parte della
Nazioni civili e particolarmente dalla Francia appena liberata».
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Momenti di lotta, di ribellione e di scontento si sono avvicendati nel tempo
e nonostante l’impegno e la tenacia delle donne, la lunga strada da loro
percorsa per l’eliminazione delle azioni discriminatorie e per la
soppressione della viva diseguaglianza negli ambiti più variegati
dell’esistenza, sembra non essersi ancora conclusa. Essere donne richiede
sacrificio e compromesso e l’interdizione loro posta continua a ripresentarsi
nel tempo accentuandosi e poi diminuendo, guardando indietro molto più
che avanti. “Voto” è sinonimo di cittadinanza e l’estensione del suffragio
per il genere femminile ha rappresentato l’uscita dalla sudditanza e l’entrata
in democrazia. Tuttavia, a distanza di ormai settanta anni dal decreto
luogotenenziale n. 23 del 2 febbraio 1945, appare fondamentale riprendere
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Il voto alle donne. Direttive per il lavoro femminile, in ‹‹Bollettino di partito››, anno II,
n. 1-2, gennaio-febbraio 1945, pp. 28-29.
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tale questione comparando gli atteggiamenti del passato con quelli del
presente. La Dichiarazione Universale sui Diritti Umani del 1948
evidenziava espressamente il valore della dignità e della eguaglianza nel
godimento dei diritti, riconosciuto a tutti gli individui ‹‹senza distinzione
alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizione››.
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Eppure, a distanza di tempo,
l’Assemblea della Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha ritenuto
opportuno proporre una “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti delle donne”. Nonostante le varie disposizioni
legislative in materia di parità, ancora oggi le donne si vedono di fatto
private del proprio onore e della propria rispettabilità di fronte ai molti
diritti riconosciuti ma di fatto ancora calpestati.
Il forte legame tra democrazia e cittadinanza risulta addirittura paradossale:
in un sistema in cui il popolo è sovrano, appare irragionevole pensare che
una parte di esso non trovi collocazione nei luoghi delle decisioni politiche.
E ancora, se cittadinanza è sinonimo di appartenenza ad un determinato
Stato, il cittadino in quanto tale deve avere pieno accesso al godimento di
diritti e all’ottemperanza dei doveri; conseguenzialmente può definirsi
illogica l’attribuzione dei doveri in quantità più estesa alle donne e il
conferimento dei diritti solo formalmente.
Per tali ragioni propongo nel mio elaborato una contestualizzazione
sociale e culturale delle vicende susseguitesi nel tempo: a partire dalle idee
di genere profondamente radicate nella società fino ad arrivare alla
legislazione attuale che ha tentato di offrire una (parziale) soluzione al
problema, proponendo l’introduzione di fattive “azioni positive”.
2
L. Carlassare, La parità dei sessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in A.
Del Re, V. Longo, L. Perini (a cura di) I confini della cittadinanza. Genere,
partecipazione politica e vita quotidiana, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 17.
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Nel primo capitolo ho tentato di ricostruire la storia delle donne
partendo dalla disamina degli atteggiamenti discriminatori nei loro
confronti, mossi da idee remote radicate profondamente nella società. Il
capitolo si concentra in particolare sul processo storico della concessione
del voto in alcuni stati europei e in America, ponendo l’accento su due
figure di spicco nello scenario politico di metà Settecento: Olympe De
Gouges e Mary Wollstonecraft.
Il secondo capitolo propone invece uno spunto di riflessione sul caso
italiano a partire dalla concessione dello Statuto Albertino, fino all’entrata
in vigore della Costituzione Repubblicana. Nella trattazione, di grande
rilievo appare la formazione di un vero e proprio associazionismo
organizzato da parte delle donne in risposta agli atti discriminatori di alcune
legislazioni attuate nei primi anni del 1900. La c.d. "legge beffa", assieme
agli altri interventi che hanno accentuato l'esclusione delle donne in
politica, ha tuttavia tracciato la strada per l'affermazione del Decreto
Luogotenenziale n. 23 del 1945. Nonostante le perplessità mosse
dall'opinione pubblica, la partecipazione delle donne alle elezioni del 2
giugno 1946, si rilevò davvero massiccia. Tale data, tuttavia, non è solo
questione di numeri: rappresenta l’emancipazione e la conquista di un
diritto necessario per l’espressione di se stesse e del proprio pensiero
politico.
Il terzo capitolo è dedicato al processo di consolidamento del diritto
di partecipazione politica delle donne. Dopo aver compiuto un estenuante
cammino per ottenere il riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo, le
categorie femminili saranno finalmente elette nella Assemblea Costituente
ottenendo un ruolo di spicco nell’elaborazione di gran parte delle
disposizioni costituzionali. Ciò che si propone è, dunque, un excursus
legislativo storico che consenta di evidenziare il grande contributo offerto
dalle ventuno costituenti; fino a giungere a una valutazione su due
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referendum abrogativi necessari per affermare la parità dei sessi (divorzio e
aborto).
.
Nel quarto e ultimo capitolo, in un’ottica di continuità con i
precedenti temi, mi sono proposta di affrontare più da vicino la questione
della partecipazione politica delle donne a partire dal principio di pari
opportunità fino a giungere alle “quote rosa”. Parlare oggi di eguaglianza
tra i sessi è determinante per prendere atto di quanto la condizione
femminile non sia equiparabile a quella maschile. Le donne votano con gli
stessi diritti degli uomini, hanno le stesse opportunità ma il problema della
parità non è risolto. Come arrivare ad una risoluzione di questo squilibrio?
A tal proposito, le politiche di pari opportunità si fanno avanti costatando
che “eguaglianza formale” non comprende necessariamente il concetto di
“eguaglianza sostanziale” o di fatto per le donne. Entra in gioco così il
concetto di “azione positiva” che mira al raggiungimento della parità
sostanziale e di fatto, in ambito lavorativo escludendo ogni tipo di
discriminazione che potesse minare l’eguaglianza sociale. È giusto
ammettere le “quote rosa” come azioni non discriminatorie? È possibile
favorire l’ingresso delle donne nella vita pubblica attraverso tale azione
positiva? Nel quarto capitolo, ho tentato di affrontare, sulla scia di tali
quesiti, una tematica estremamente attuale, tracciandone un quadro
multiforme, inerente alle diverse posizioni e alle diverse motivazioni che
spingono l’opinione pubblica a credere nella validità di tali azioni.
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CAPITOLO PRIMO
LA NASCITA DEI PRIMI MOVIMENTI FEMMINILI
Sommario: 1.1. Premessa – 1.2. Inquadramento storico-generale – 1.3. La guerra delle donne
contro gli uomini – 1.4. Le prime figure di spicco: Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft –
1.5. I movimenti suffragisti negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
1.1. Premessa
La democraticità di determinati ordinamenti costituzionali contemporanei si
basa sull’estensione massima del diritto di voto a individui che
condividono legami di cittadinanza e l’esistenza di «standards» qualitativi
per l’espressione della loro volontà.
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L’uomo, è portato per natura a prendere decisioni di tipo individuale o
collettivo, rilevanti o meno per l’ordinamento giuridico statale e con
metodologie differenziate. Tuttavia le decisioni individuali non
proceduralizzate rappresentano chances attraverso cui l’individuo esprime
preferenze più o meno coscienti; d’altra parte le decisioni collettive sono il
risultato di un insieme di comportamenti individuali e rappresentano la
realtà dei fenomeni sociali. Sia le decisioni individuali, che le decisioni
collettive vengono imputate all’ente di appartenenza con effetti giuridici
precisi. In particolare le decisioni collettive degli ordinamenti pubblicistici
possono distinguersi in votazioni deliberative e votazioni elettive, dove le
prime sono necessarie per l’individuazione di procedure per giungere a
deliberazioni su determinati argomenti – come l’approvazione o il rigetto
di un atto normativo - e le altre sono necessarie per l’instaurazione di
rapporti rappresentativi attraverso l’elezione di cariche autoritative. In tal
senso le votazioni non rappresentano solo un metodo attraverso cui
3
Cfr. F. Polacchini, I doveri inderogabili di solidarietà, in L. Mezzetti (a cura di), Diritti
e doveri, Giappichelli, Torino, p. 693.