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INTRODUZIONE
La crisi finanziaria abbattutasi nel corso del 2008 e nei primi mesi del 2009,
dapprima negli Stati Uniti e di riflesso nel resto del mondo, ha avuto
ripercussioni considerevoli nei confronti dell’economia reale: riduzione dei
consumi, calo dell’esportazioni, aumento del tasso di disoccupazione e, di
conseguenza, un calo del fatturato per le imprese. Tutto questo ha messo in
forte difficoltà le imprese, in particolare, piccole e medie tanto che molte di
queste, non avendo a disposizione sufficiente capitale di rischio per far
fronte alla crisi, e già fortemente indebitate, sono uscite dal mercato.
Diversi sono stati gli interventi messi in campo dall’Unione Europea per
sostenere l’economia del “vecchio continente” (ad esempio la possibilità
riconosciuta ai diversi paesi membri di poter attingere ai fondi Fas per
rilanciare le aree fortemente sottosviluppate, o le deroghe concesse ai
diversi paesi membri di poter intervenire a sostegno dell’economia
attraverso interventi di finanza pubblica, nonostante gli elevati debiti
pubblici) e gli interventi a livello di singolo Paese.
Per quanto riguarda l’Italia, l’intervento del Governo con il decreto anticrisi
del 1 luglio n. 78/2009 e, successivamente, con il decreto correttivo del 3
agosto n. 103 del 2009, approvato il 2 ottobre dal Parlamento, ha evitato che
si presentassero scenari peggiori. Tra i diversi mezzi messi in campo per
combattere la crisi, vi sono i Tremonti bond, obbligazioni speciali emesse
dalle Banche che il Ministero del Tesoro si è detto pronto a comprare. Lo
scopo è quello di permettere che il sistema bancario si mantenga ben
patrimonializzato e soprattutto non sposti gli effetti della crisi sull’economia
reale.
Nonostante tali interventi messi in campo dal Governo italiano, il credito
bancario, al settore privato non finanziario, ha subito un orientamento
restrittivo riguardo ai criteri di offerta.
In uno scenario macroeconomico poco favorevole, caratterizzato da una
congiuntura economica negativa, seppur con timidi segnali che accennano a
una ripresa dell’economia mondiale nel medio periodo, in cui gli istituti di
credito richiedono maggiori garanzie per concedere credito alle imprese e
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gli interventi dei governi nazionali non sono sufficienti, quale potrebbe
essere una valida alternativa da mettere a disposizione del mondo
imprenditoriale per uscire dalla crisi e far si che le imprese ritornino ad
essere competitive?
Una possibilità potrebbe essere il venture capital.
L’espressione “venture capital” è costituita dall’aggettivo “venture” che
tradotto alla lettera è sinonimo di “avventura, rischio, azzardo” e dal nome
“capital” che sta per capitale. Unendo mentalmente l’aggettivo al nome,
“venture capital”, l’idea è quella di capitali che si muovono alla ricerca di
nuove opportunità profittevoli d’impiego, sopportando i rischi che possono
derivare dal credere in un’avventura del tutto sconosciuta e azzardando
opinioni sulla possibile evoluzione dell’iniziativa.
Il concetto non è nuovo: la nascita del venture capital può essere fatta
risalire agli investimenti trust inglesi della fine del secolo scorso, che
svolgevano il ruolo di istituzioni finanziarie la cui attività era investire titoli
in imprese industriali
1
.
Di fatto il venture capital ha le sue origini negli Stati Uniti, alla fine della
seconda guerra mondiale, e si sviluppa nei primi anni Ottanta come apporto
di capitale di rischio, in genere sotto forma di partecipazione azionaria di
minoranza o di sottoscrizione di titoli convertibili in azioni da parte di un
operatore specializzato, per un periodo di tempo medio-lungo, in imprese
non quotate e con elevato potenziale di sviluppo.
In Italia, l’attività di venture capital è relativamente giovane e a tutt’oggi
poco sviluppata. Due gli ordini di fattori principali che in passato hanno
ostacolato lo sviluppo di tale attività: 1) il divieto per le banche di investire
in capitale di rischio di imprese private; 2) l’assenza di una normativa
specifica relativa alla gestione di portafogli di investimento da parte di fondi
chiusi.
Un ulteriore fattore che ha ostacolato il ricorso al venture capital è di ordine
culturale: negli altri paesi l’attività di investimento in capitale di rischio in
istituzioni non finanziarie, da parte di investitori non istituzionali
specializzati, è stata sollecitata dal mercato e dalla crescita della cultura
1
Gervasoni, Sattin, “ Private equity e venture capital”.
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finanziaria; in Italia, invece, è stata stimolata dall’autorità di vigilanza e dal
legislatore.
Con il presente lavoro (nonostante le difficoltà incontrate nel reperire
materiale sufficiente, dato lo scarso sviluppo di tale strumento) si è voluto
analizzare: “il venture capital e gli strumenti giuridici a disposizione del
venture capitalist e dell’impresa”. In particolare, oggetto dell’analisi sono
stati:
1) il venture capital e la sua evoluzione legislativa negli Stati Uniti, in
Europa e in Italia;
2) gli strumenti di venture capital maggiormente utilizzati in Italia con
particolare riferimento alla disciplina dei fondi chiusi;
3) gli strumenti giuridici da utilizzare per regolare il rapporto tra venture
capitalist e impresa;
4) le principali criticità del mercato italiano e le possibilità di rilancio del
venture capital, come valida alternativa al capitale di debito nella fase di
avvio e di sviluppo di piccole e medie imprese.
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CAPITOLO 1
IL VENTURE CAPITAL E LA CREAZIONE DI VALORE
Definizione
Il concetto di venture capital non è nuovo: può essere fatto risalire agli
investment trusts inglesi della fine del XIX secolo, svolgevano il ruolo di
istituzioni finanziarie la cui attività era investire titoli in imprese industriali
2
.
Di fatto le origini e lo sviluppo di quest’attività avvenne negli Stati Uniti
alla fine della seconda guerra mondiale, laddove diversi imprenditori privati
iniziarono a conferire una parte dei loro patrimoni personali in imprese
neonate o considerate innovative, congiuntamente ad un supporto di
competenze manageriali.
All’inizio degli anni Ottanta, si definiva venture capital l’apporto di capitale
di rischio in genere sotto forma di partecipazione di minoranza al capitale
azionario o di sottoscrizione di titoli convertibili in azioni da parte di un
operatore specializzato, per un periodo di tempo medio-lungo, in imprese
non quotate e con elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti
o servizi, nuove concezioni di mercato, congiuntamente ad un apporto di
esperienza professionale che contribuisse ad accelerare lo sviluppo
dell’impresa partecipata.
Tra le tante definizioni che sono state formulate nel corso degli anni, degna
di nota appare quella fornita da Sahlman (1990) in cui si enfatizzano tutte le
caratteristiche distintive delle imprese del venture capital, che vengono
definite come: “ a professionally managed pool of capital that is invested in
equity-linked securities of private ventures at various stages in their
development. Venture capitalists are actively involved in the management
of the ventures they fund, tipycally becoming members of the Board of
directors and retaining important economic rights in addition to their
ownership rights. The prevailing organizational form in the industry is the
limited partnership, with the venture capitalists acting as general partners
and the outside investors as limited partners”.
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Gervasoni, Sattin , “Private equity and venture capital” opera citata.
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Nella letteratura economica non esiste una definizione univoca e
universalmente accettata dal termine venture capital. Significative
differenze sussistono tra la definizione americana e quella europea.
In Europa, generalmente, si adotta una definizione di venture capital in
senso più ampio rispetto alla definizione comunemente accettata negli Usa,
viene usato come sinonimo di private equity. E’ venture capital ogni attività
di investimento in capitale di rischio effettuata nei confronti di imprese non
quotate.
Nella definizione americana, invece, rientra nel finanziamento attraverso
venture capital prevalentemente l’attività di investimento nel capitale di
rischio effettuata nei confronti di imprese nuove o di recente costituzione,
innovative, a elevato contenuto tecnologico, al fine di incentivarne lo
sviluppo e la loro espansione. Si parla in questi casi di early stage financing.
Questo rappresenta essenzialmente il concetto originario, così come si è
sviluppato negli Stati Uniti, dall’esperienza californiana della Silicon Valley
degli anni Settanta. Sono escluse le operazioni di leveraged buy out,
management buy out e di management buy in, generalmente incluse nella
definizione più ampia comunemente accettata in Europa.
Nel corso degli anni, il concetto originario di venture capital si è
costantemente evoluto fino a includere una serie ampia e diversificata di
interventi lungo tutto il ciclo di sviluppo dell’impresa (dalla nascita alla sua
maturità).
Pertanto, mentre i “finanziamenti embrionali” sono sicuramente di
competenza del venture capitalist, si possono verificare delle
sovrapposizioni nei finanziamenti nella fase di espansione.
1.1 Caratteristiche e finalità del venture capital
La struttura tipica dei fondi e dei contratti di venture capital aiuta a
comprendere sia le finalità sottostanti la diffusione di tale strumento che le
caratteristiche della convergenza tra strumento ed oggetto di finanziamento.
Una delle definizioni più utilizzate identifica in tale forma di finanziamento:
il capitale fornito da investitori professionali a supporto di imprese
generalmente di piccole-medie dimensioni e di recente formazione, nelle
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fasi iniziali del proprio sviluppo, non ancora quotate, innovative ed
esprimenti elevate potenzialità di crescita (high growth potential firms).
A ciò deve essere aggiunto anche il non trascurabile ruolo tipicamente
svolto dal venture capitalist di supporto gestionale e manageriale, oltre che
di indirizzo strategico fornito all’impresa oggetto del finanziamento.
Tali finalità sono perseguite attraverso il ricorso a strutture organizzative e
di investimento del tutto peculiari, necessarie per affrontare gli elevati rischi
connessi ad un operazione di investimento.
1.1.1 Fasi di investimento che caratterizzano le operazioni di
venture capital
Un finanziamento a titolo di venture capital può avvenire in fasi differenti
della vita dell’impresa. A seconda della fase in esame il supporto finanziario
erogato assume denominazioni differenti in ragione del diverso ruolo svolto
nel percorso di sviluppo del progetto. Nelle fasi iniziali di investimento, il
rischio operativo risulta molto maggiore in considerazione della natura
estremamente aleatoria del progetto. In verità, questa è la fase nella quale il
ruolo attivo del venture capitalist, come supervisore, assume il massimo del
suo valore e queste sono le fasi nelle quali è maggiore la probabilità di
conflitti tra finanziatori e finanziati.
Gli stadi di finanziamento sono:
1. Seed financing: tipicamente, identifica lo stadio di sviluppo iniziale
caratterizzato dalla necessità di sostenere la ricerca sul prodotto ed esplorare
le effettive potenzialità di commercializzazione. Tale fase si caratterizza per
la nascita dell’impresa in senso giuridico e dalla definizione di prototipi o
modelli e da assenza di produzione.
2. Start-up: il finanziamento raccolto in tale fase è allocato ai fini della
valutazione estensiva dei risultati ottenuti nella prima fase sia sotto il profilo
industriale che commerciale.
3. Early- development: la fase di sviluppo iniziale prevede tipicamente
l’avvio di pre-produzioni ed il test di mercato del servizio finanziato. Il
supporto di piani di mercato e analisi di sensitività positive sono
fondamentali per definire la continuazione o l’uscita dal progetto riducendo
le potenziali perdite.
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4. Expansion: in tale fase il mercato di sbocco del bene/servizio è stato
testato estensivamente ed i segnali raccolti sono positivi. Si iniziano a
delineare i profili più probabili di penetrazione del mercato, la velocità di
raggiungimento degli obiettivi e gli ulteriori investimenti necessari ai fini
della continuazione del progetto.
1.1.2 Il monitoraggio
La funzione del controllo è quella che comporta maggiori difficoltà
gestionali in una relazione di venture capital.
Sussistono, infatti, molte asimmetrie
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informative tra imprenditore e venture
capitalist. All’interno di un rapporto di finanziamento del genere,
tipicamente, l’imprenditore gode di un vantaggio informativo rispetto sia
alle proprie capacità che alle possibilità di realizzare il progetto, oggetto
dell’operazione di venture capital. In una situazione del genere è massima la
possibilità che, in assenza di controllo, la maggiore informazione
dell’imprenditore porti a una distruzione di valore per lo stesso finanziatore.
Questo permette di comprendere come la teoria e, soprattutto la prassi
operativa, abbiano sviluppato dei meccanismi in grado di governare i
possibili conflitti ed inefficienze. La presenza di strumenti di controllo
espliciti, il frazionamento nell’erogazione del capitale e la struttura stessa
dei contratti offerti costituiscono le vie principali di gestione dei potenziali
conflitti.
1.1.3 Gli strumenti di controllo formale
Un primo ordine di problemi riguardanti le operazioni di venture capital,
viene generalmente gestito attraverso la partecipazione diretta dei
finanziatori (Venture Capitalist) alla gestione dell’impresa. I contratti di
venture capital prevedono l’assegnazione ai finanziatori di un potere di
controllo sull’operato degli imprenditori, le cui forme possono spaziare
dall’assunzione di cariche nel Consiglio di Amministrazione all’attribuzione
a questi ultimi di diritti di veto o di indirizzo in merito a determinate scelte.
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Si definiscono caratterizzate da asimmetrie informative tutte le situazioni nelle quali due o
più parti coinvolte in una relazione non hanno accesso al medesimo insieme di
informazioni.