2. che Nietzsche non combatte il cristianesimo da una prospettiva teorico-
morale, ma piuttosto da un punto di vista «fisiologico», sociale e politico.
L’odio di Nietzsche nei confronti della morale è giustificato da una
preferenza per la salute e la forza. Il dualismo buono-cattivo, che ormai
perde ogni significato, è sostituito dall’opposizione sano-malato.
3. che Nietzsche non intende annientare in toto il cristianesimo, ma
esclusivamente la sua degenerazione, la mistificazione operata a suo
danno dalla Chiesa in seguito alla morte di Cristo. Il filosofo escogita i
concetti antitetici di «cristianesimo» e «cristianità» allo scopo di
sottolineare il profondo abisso che divide il primo cristianesimo da tutto
ciò che è venuto dopo.
4. che dalla condanna si salva la figura di Gesù, del Gesù storico, quale
emerge da un’attenta analisi filologica dei Vangeli. Questo ci porta
direttamente alla tesi principale: per Nietzsche è esistito un solo
cristiano, il quale con la sua condotta di vita e il suo insegnamento, ha
lottato contro quei principi su cui successivamente è stata edificata la
Chiesa. Il cristianesimo, insomma, è morto sulla croce, insieme al suo
fondatore. Tutto quello che in seguito ha preso a prestito il suo nome, è
in realtà anticristiano.
Per sostenere tale tesi occorre:
1. in primo luogo chiarire il ruolo che L’Anticristo ha all’interno dell’opera e
del pensiero di Nietzsche e quale percezione ne ebbe l’autore stesso.
2. interessarsi in maniera accurata alla critica che Nietzsche rivolge ai
concetti e ai valori che sono alla base della morale cristiana, mostrando
5
le sue numerose conoscenze in ambito filologico, storico, psicologico,
religioso e sociale.
3. mettere in evidenza l’antitesi fra l’ideale dello spirito libero propugnato da
Nietzsche e i valori della morale cristiana.
4. dimostrare che la critica del cristianesimo, che in altre opere ha soltanto
carattere negativo, «distruttivo», ne L’Anticristo assume una forma
costruttiva, che avrebbe dovuto portare Nietzsche alla tanto vagheggiata
trasvalutazione di tutti i valori.
Per quanto riguarda la metodologia utilizzata nella realizzazione della tesi, è
doveroso fare una puntualizzazione. La scelta di spiegare Nietzsche con
Nietzsche è forse rischiosa, ma anche consapevole e fortemente voluta: una
scelta rischiosa, perché limitata alla sola prospettiva del filosofo; ma cosciente
del fatto che anche i limiti possono essere sfruttati a proprio vantaggio. Il voler
capire Nietzsche attraverso Nietzsche, insomma, racchiude in sé ostacoli e
opportunità; si tratta di una scelta pericolosa, ma che offre, se non la certezza,
almeno l’illusione e la speranza di poter comprendere il pensiero di Nietzsche
solo in virtù di ciò che ha scritto. Tutto sta nel trasformare un limite evidente in
una preziosa occasione. E si sa, la strada verso la conoscenza passa sempre
per la via più tortuosa.
6
CAPITOLO 1
Morale e religione: prima de L’anticristo
Chi si dedica allo studio di Nietzsche sa bene che la sua opera non si presta
a suddivisioni convenzionali e a riassunti sommari. Questo in parte è dovuto al
modo stesso in cui il filosofo si esprime nei suoi scritti. Del resto, la
composizione è il fedele riflesso del suo atteggiamento asistematico nei
confronti della filosofia. Lo stesso Nietzsche dichiara di essere diffidente verso
ogni sistema in generale, e di non essere abbastanza ottuso per fondarne uno
tutto suo. Lui, «lo scriba del caos»2, predilige la forma aforistica al saggio, il
«pensiero nomade» e le «verità provvisorie» alle dottrine e ai dogmi. Ma l’opera
di Nietzsche non si presta neppure a facili interpretazioni o classificazioni. Il suo
pensiero, i concetti che esprime, non evolvono secondo un percorso lineare e
progressivo: il suo è un «pensiero in divenire», discontinuo, irregolare, che
porta in sé rottura e continuità. Le stesse tematiche, dopo esser state
abbandonate, vengono riprese e rielaborate in un’ottica totalmente nuova.
Perché la verità non è una sola e Nietzsche non vuole offrire al lettore un’unica
interpretazione, ma ipotesi, tracce quasi impalpabili della realtà.
L’Anticristo, pur presentando riflessioni già contenute in altre opere
precedenti del filosofo, è molto più di una raccolta priva di originalità. È un’opera
profonda e matura che rielabora e porta avanti il pensiero di Nietzsche.
L’Anticristo rappresenta in qualche modo l’atto conclusivo di un lungo e
tormentato iter filosofico e interiore che vede come protagonisti la religione,
l’etica e l’uomo moderno in generale. Ed è per questo che diviene essenziale
esaminare brevemente le tappe che hanno scandito questo percorso; perché
2
È la definizione che ne dà F. Masini nel suo libro omonimo. Vedi Masini, Lo scriba del caos.
Interpretazione di Nietzsche, Il Mulino, Bologna 1983.
7
sono queste che conducono al pensiero maturo di Nietzsche; sono queste che
ci aiutano a capire la genesi, il senso e la portata de L’Anticristo.
Prima di iniziare questo breve excursus, sono doverose due precisazioni:
una riguarda i contenuti de L’Anticristo e la critica della morale; l’altra concerne
l’aspetto formale con cui verranno proposte le opere del filosofo. Innanzitutto va
detto che la critica di Nietzsche non intende colpire il cristianesimo come
religione, ma piuttosto il cristianesimo in quanto morale, in quanto dottrina che
pretende di fornire verità assolute e dogmi incontestabili e che quindi cerca di
«incastrare» la realtà in orizzonti chiusi e definiti. Per Nietzsche, infatti quelle
che vengono spacciate per solide verità, non sono che prospettive, punti di vista
e, in quanto tali, mutevoli e soggettivi. La realtà «scorre» incessantemente, e,
alla stregua del fiume eracliteo, non è mai la stessa; essa muta in ogni
momento e a seconda dell’osservatore e della sua ottica. Nel mondo non
domina affatto la certezza, ma il caos e il caso, e la verità lascia il posto a una
serie infinita di interpretazioni di essa. In quest’ottica, la morale e il
cristianesimo hanno molto in comune: innanzitutto il fatto di voler arrogarsi il
diritto di unici depositari della verità. Entrambi pretendono di imprigionare la
realtà in schemi fissi o di assoggettarla a concetti astratti e a valori trascendenti.
Entrambi credono nell’esistenza di un «mondo vero», di un mondo dietro al
mondo: ma per Nietzsche non c’è nessun «mondo vero», e solo con questa
«scoperta», la filosofia può divenire matura e autocosciente.
L’altra precisazione è di carattere formale: riguarda il modo con cui s’intende
procedere alla presentazione delle opere. Perché, se il pensiero di Nietzsche è
libero, aperto, allora descrivere e analizzare la sua opera potrebbe diventare
un’operazione arida e contraria alla sua filosofia. Qui non si tratta di dimostrare,
8
ma soltanto di mostrare: mostrare il filosofo attraverso quello che scrive. E
allora il nostro sarà un viaggio ideale per esplorare cronologicamente le opere
di Nietzsche e per capire, attraverso noti aforismi che riguardano la morale
religiosa, come si arrivi alla stesura de L’Anticristo.
1..1 Le opere giovanili
«Il cristianesimo è stato, fin dall’inizio, essenzialmente e profondamente, disgusto e
sazietà della vita per la vita, che si travestiva, si occultava, si mascherava
solamente della fede in un’“altra” e “migliore” vita. L’odio per il “mondo”, la
maledizione degli affetti, la paura della bellezza e della sensualità, un “al di là”
inventato per meglio calunniare l’“al di qua”, un desiderio che infondo tende al
nulla, alla fine, al riposo, fino al “sabbato dei sabati”».3
Già in questo passo de La nascita della tragedia, un’opera giovanile del
1872, si possono intravedere tutti i principali motivi che portano Nietzsche alla
critica del cristianesimo, inteso come morale che degrada la vita e il mondo;
come morale che tende all’annientamento delle passioni; che aspira alla fine,
che vede nella morte l’unico accesso ad un mondo dietro il mondo, ma che per
questo, conduce al nichilismo.
Del resto, la problematica centrale dell’opera non è ancora il cristianesimo,
come nota lo stesso Nietzsche molti anni dopo:
«Sul cristianesimo si mantiene invece un silenzio profondo, ostile, che pervade
tutto il libro: esso non è né apollineo, né dionisiaco, nega tutti i valori estetici, e gli
unici valori importanti per la Nascita della tragedia; la sua dottrina è nichilista nel
più ampio significato della parola, mentre nel simbolo dionisiaco si raggiunge il
3
Nietzsche, La nascita della tragedia, Longanesi&C., Milano 1976, §5, p.10.
9
limite estremo dell’affermazione. In un punto si accenna ai sacerdoti come ad una
“specie di nani”, di “esseri sotterranei”».4
In effetti il motivo centrale dell’opera è l’opposizione fra spirito «dionisiaco» e
spirito «apollineo», ovvero fra i due impulsi di base dell’arte greca.5 Ma ciò che
più ci interessa di questo scritto è la celebrazione dello spirito tragico che
coincide con la celebrazione della vita nella sua totalità. Perché la vita è anche
lotta, caos, distruzione, morte, ma lo spirito tragico, anziché scappare da essa,
la accetta per tutto quello che è. Non solo. La ama. Esalta ogni suo aspetto e,
anziché eliminare le contraddizioni dell’esistenza, le fa sue, le assume su di sé
con gioia ed entusiasmo. E chi meglio di Dioniso potrebbe incarnare tutto
questo? Chi meglio del dio dell’ebbrezza, della gioia, il dio delle passioni? Chi
meglio del dio fatto a pezzi che, con la sua morte, ridà la vita? Dioniso incarna
quella «fedeltà alla terra» sempre cara a Nietzsche. Egli diviene il simbolo del
«sì» totale all’esistenza e al mondo ed è proprio lui che diverrà il «rivale» del
«Dio in croce».
«Una religione che di tutte le ore di una vita umana ritiene l’ultima la più importante,
che predice una fine della vita sulla terra e condanna tutti i vivi a vivere nel quinto
atto della tragedia, stimola certamente le forze più profonde e nobili, ma è ostile a
ogni nuova coltivazione, ogni ardito esperimento, ogni libero desiderio; si oppone a
ogni volo nell’ignoto, poiché là non c’è amore né speranza per lei; solo controvoglia
essa si lascia imporre ciò che diviene, per scartarlo o sacrificarlo al tempo giusto
come qualcosa che seduce all’esistenza, come qualcosa che mente sul valore
dell’esistenza».6
4
Nietzsche, “Perché scrivo libri così buoni” in Ecce Homo, Rusconi, Rimini 2005, p. 40.
5
Abbagnano N. – Fornero G., Protagonisti e Testi della Filosofia, Mondadori, Milano 2000, Volume D
Tomo 1, p. 10.
6
Nietzsche, “Utilità e danno della storia” in Considerazioni inattuali, Einaudi, Torino 1981, pp. 133-134.
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Anche nella Seconda Inattuale, Nietzsche ribadisce uno dei motivi che lo
spingono a rifiutare la morale religiosa. Per lui si tratta di accettare questa vita e
non di deprezzarla in vista di una vita futura dopo la vita come fa il cristianesimo
il quale considera «l’ultima ora» come la più importante e, in questo modo,
dimentica la fedeltà alla terra e all’unica esistenza che sia veramente data.
Senza contare l’ostilità che la Chiesa nutre nei confronti dell’esperimento, della
ricerca: essa è contraria a tutto ciò che può minacciarne l’autorità e la
credibilità. Per questo, la Chiesa diviene un freno per tutto ciò che è nuovo, che
si trasforma, per tutto ciò che viene avvertito in contrasto con le verità eterne
della morale che essa propina da secoli. A questo tipo di considerazioni a
carattere storico, se ne aggiungono altre di ordine etico che riguardano
soprattutto il successo del cristianesimo nella Storia. Nietzsche nega il rapporto
successo-grandezza, affermando che il trionfo di qualcosa non sempre è
conseguenza della sua eccellenza. Anzi. «Le cose nobili ed elevate non
agiscono affatto sulle masse»7, e il fatto che il cristianesimo abbia preso piede
proprio tra i ceti più umili e incolti, è già una prova del suo scarso valore.
1..2 Il periodo «illuministico»
«Umano troppo umano è il monumento commemorativo di una crisi. Potrebbe
essere intitolato anche libro per spiriti liberi; quasi ogni sua frase esprime una
vittoria: grazie ad esso, infatti, io mi liberai da ciò che era estraneo alla mia natura.
L’idealismo non mi appartiene; il titolo dice: “Dove voi vedete cose ideali, io vedo
cose umane, ah! Troppo umane…”. Io conosco meglio di voi l’uomo… […] Gli errori
7
Ivi, p. 148.
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