La possibilità di emettere azioni prive di valore nominale rappresenta, in primo
luogo, uno strumento di semplificazione organizzativa. La mancata fissazione
consente, infatti, di modificare l’entità del capitale sociale senza dover intervenire sul
numero delle azioni: una variazione dell’ammontare del capitale si risolve
semplicemente in una corrispondente variazione della parità contabile delle azioni
esistenti.
Un ulteriore vantaggio è rappresentato dalla possibilità di emettere nuove azioni, in
sede di aumento di capitale, anche per somme inferiori alla preesistente parità
contabile. In mancanza di un valore nominale, l’emittente potrà determinare
liberamente il numero di nuove azioni da emettere, fermo restando il principio
secondo il quale l’ammontare dei conferimenti debba essere complessivamente pari
all’ammontare dell’aumento di capitale.
L’oggetto di questa relazione consiste nello studio dell’implementazione di questa
novità prevista dalla riforma, tramite un’analisi svolta sia in termini quantitativi che
qualitativi del campione delle società per azioni quotate in borsa, al fine di verificare i
tempi, le modalità e le circostanze che hanno accompagnato questa scelta.
4
Il valore nominale delle azioni
1.1 Definizione e osservazioni
Il valore nominale di un’azione rappresenta, in termini numerici ed assoluti, la
quota di capitale sociale corrispondente a ciascuna azione, ed è espresso come il
rapporto tra il capitale sociale e il numero delle azioni emesse
1
.
Al momento della costituzione di una nuova società per azioni il valore nominale
viene normalmente a coincidere con l’importo del conferimento effettivamente
prestato a fronte di ogni singola azione. Esso determina, quindi, l’ammontare
dell’investimento unitario rispetto al quale ciascun socio può misurare la
redditività del proprio capitale investito così come, dal punto di vista della società,
il capitale sociale determina la dimensione programmata dell’investimento
collettivo.
Questo significato del valore nominale si basa dunque sull’ipotesi dell’esistenza di
una corrispondenza biunivoca tra due differenti identità. Da un lato abbiamo infatti
la coincidenza tra valore nominale e prezzo di emissione per quanto riguarda il
singolo socio, dall’altro abbiamo la coincidenza tra ammontare delle risorse
vincolate e capitale sociale
2
per quanto riguarda la società, corrispondenza che
raramente viene mantenuta durante l’evoluzione della società.
3
1
Cfr a.a.v.v., Diritto delle società (manuale breve), Giuffrè editore, pag 134
2
Questi due gruppi di grandezze risultano semplicemente scalati rispetto al numero delle azioni emesse.
3
Si allude a tutte quelle vicende del patrimonio sociale che modificano l’importo iniziale dell’investimento
collettivo in difetto o in eccesso, come le riduzioni di capitale per perdite o gli accantonamenti
5
Le azioni pertanto tendono ad assumere un ‘valore reale’ che si discosta da quello
nominale, poiché il valore reale è legato all’andamento economico della società, al
diverso valore del patrimonio sociale rispetto al capitale nominale, alle aspettative
che il mercato secondario ripone sull’attività esercitata, nonché al prezzo che ogni
investitore è disposto a sostenere per ottenere l’azione.
Una volta svincolato dalla possibilità di rappresentare la realtà economica
dell’investimento collettivo, al valore nominale resta la funzione di punto di
riferimento per l’applicazione di numerose norme che disciplinano la società per
azioni, come la fissazione di un limite quantitativo per le azioni a voto non pieno, o
la determinazione della parte di utile spettante ai possessori di azioni di godimento
o ancora la determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni.
Tuttavia va notato che queste disposizioni sono valide e possono essere applicate
in maniera indipendente dall’effettiva esistenza di un valore nominale espresso
semplicemente ricorrendo alla parità contabile dell’azione, ovvero determinando di
6
volta in volta il rapporto tra il capitale sociale e il numero delle azioni emesse.
Infatti la fissazione a priori nell’atto costitutivo di un valore a correlazione tra il
numero delle azioni e il capitale sociale non comporta nessun beneficio rispetto
all’utilizzo della parità contabile; piuttosto l’utilizzo del valore nominale, dovendo
essere un numero arrotondato al centesimo di Euro, produce delle difficoltà
ulteriori in termini di resti in tutte quelle operazioni che ne vanno a modificare
l’importo.
Bisogna infine considerare che la fissazione di un valore nominale produce
un’ingiustificata correlazione tra il capitale sociale e il numero di azioni, ovvero tra
le operazioni sul capitale e le operazioni sulle azioni, legame che complica
notevolmente le vicende della vita societaria
1.2 La nuova normativa
La società per azioni è caratterizzata dal frazionamento delle quote partecipative in
azioni
4
. Ogni azione è di per sé rappresentativa di un complesso di prerogative di
identico contenuto; le azioni hanno dunque uguale valore e conferiscono ai loro
possessori uguali diritti.
La riforma societaria in vigore dal 1-01-2004 disposta dal decreto legislativo del
17 gennaio 2003, n.6, ha apportato una sostanziale innovazione per quanto
riguarda il tema del valore nominale, prevedendo la possibilità di emettere azioni
4
L’art. 2346, comma 1, dispone infatti che “la partecipazione sociale è rappresentata da azioni”.
7
senza valore nominale
5
che si caratterizzano in quanto il loro valore non è
determinato con riferimento alla frazione del capitale sociale che rappresentano,
bensì al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse
6
. Esse quindi
rappresentano la partecipazione non come un valore assoluto, bensì, più
correttamente, in termini di quota.
Si tratta tuttavia di una disposizione che si affianca alla possibilità tradizionale di
emettere azioni con valore nominale espresso, benché l’articolo 2346 preveda che
la scelta tra le due tipologie debba essere effettuata in modo univoco per l’insieme
delle azioni emesse dalla società; non è pertanto possibile che nella stessa società
convivano azioni prive di valore nominale e azioni con valore nominale espresso.
Al posto del valore nominale, l’art. 2346, comma 3 c.c., consente di considerare il
numero delle azioni. Tale possibilità comporta una maggiore duttilità in tutte
quelle operazioni che vanno a modificare il valore nominale, eliminando numerosi
inconvenienti. Ad esempio è possibile effettuare operazioni di frazionamento e
raggruppamento delle azioni senza ritiro o sostituzione dei certificati, oppure
operare sul capitale senza necessariamente dover intervenire sull’importo del
valore nominale.
Per quanto riguarda in particolare le operazioni di aumento del capitale a
pagamento, l’eliminazione del valore nominale svincola il rigido legame esistente
5
Così l’articolo 2346, comma 2 e 3: “Se determinato nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde
ad una frazione del capitale sociale; tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla
società.
In mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, le disposizioni che ad esso si riferiscono si applicano
con riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse.”
6
Si tratta di un diverso metodo, equivalente sul piano dei rapporti interni tra soci, per il calcolo necessario al fine
della determinazione quantitativa dei rispettivi diritti e poteri legati ad ogni azione.
8
tra aumento di capitale e numero delle azioni di nuova emissione: si potrà così
avere un aumento del capitale lasciando fermo il numero di azioni o, viceversa, si
potrà accrescere il numero delle azioni in maniera più che proporzionale
all’aumento di capitale.
Ciò significa che il valore del rapporto tra aumento di capitale e numero di azioni
di nuova emissione può essere diverso, anche inferiore, dal valore del rapporto tra
capitale sociale e numero di azioni emesse. In definitiva scompare il divieto di
emissione sotto la pari che invece prima costituiva la caratteristica essenziale di
un’emissione azionaria
7
.
La tutela dell’integrità del capitale sociale e della posizione del vecchio azionista
rispetto ai nuovi sottoscrittori, che caratterizzava la prerogativa ideologica del
divieto di emissione sotto la pari, è comunque garantita dallo stesso articolo,
comma 5, che prevede l’esistenza di una correlazione tra capitale sociale e
complesso dei conferimenti
8
, anche alla luce del divieto di emissione sotto la parità
contabile prescritto dalla II direttiva in tema di società
9
. I conferimenti, pertanto,
devono essere complessivamente pari all’incremento di capitale sociale,
indifferentemente dal fatto che provengano dai soci in modo non proporzionale o
che vengano imputati a riserva da sovrapprezzo, a capitale o ad altre poste del
netto, in quanto l’esigenza di salvaguardare l’integrità patrimoniale della società si
7
Infatti l’articolo 2346 del precedente codice civile recitava: “ Le azioni non possono emettersi per somma inferiore
al loro valore nominale”
8
Art 2346, comma 5, c.c. : “In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore
all’ammontare globale del capitale sociale.”
9
Va notato che nonostante esistano esempi di possibilità alternative (come ad esempio nell’esperienza statunitense,
vedi Figà-Talamanca, Il valore nominale delle azioni, Giuffrè editore, pagg. 27 – 30), la normazione comunitaria in
materia societaria ha sempre confermato la tradizione del capitale nominale quale strumento a tutela
dell’investimento collettivo, con l’introduzione di tecniche che ne assicurino in ogni caso la copertura.
9
pone in modo identico quale che sia l’allocazione contabile
10
. Ciò che importa ai
fini della società è che il totale del passivo coincida con il totale dell’attivo:
all’aumento delle poste del netto (quale che sia la sua composizione) deve quindi
corrispondere un equivalente aumento delle poste dell’attivo.
Un’altra conseguenza dell’abbandono del valore nominale si riscontra nell’art.
2354, comma 3, c.c.
11
, il quale prevede che in caso di azioni prive di valore
nominale sul titolo azionario vada indicato il numero complessivo delle azioni
emesse, oltre all’ammontare del capitale sociale. In questo modo è sempre
possibile ricavare la parità contabile dell’azione semplicemente dividendo il
capitale sociale per il numero di azioni emesse, dati entrambi indicati sul titolo. Va
notato tuttavia che questa disposizione implica la necessità di modificare i
certificati azionari ogni volta che si modifichi il numero totale delle azioni esistenti
o l’importo del capitale sociale; tuttavia si deve osservare che i titoli azionari
raramente vengono emessi. In particolare per le società con azioni negoziate nei
mercati regolamentati la legge esclude l’emissione dei certificati azionari.
10
Cfr. Figà-Talamanca, op.cit., pag. 128
11
Art 2354, comma 3: “ I titoli azionari devono indicare:
1. la denominazione e la sede della società;
2. la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione e l’ufficio del registro delle imprese
dove la società è iscritta;
3. il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero
complessivo di azioni emesse, nonché l’ammontare del capitale sociale;
4. l’ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate;
5. i diritti e gli obblighi particolari ad essi inerenti.”
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