Introduzione
Il presente lavoro vuole essere una sintesi delle conoscenze ac‐
quisite durante il percorso universitario attraverso la rielaborazio‐
ne di fonti reperite in materia di formazione professionale e di tu‐
toraggio aziendale nel contesto dell’apprendistato.
La figura di tutor che si intende proporre è un facilitatore
d’apprendimento che attraverso metodologie e strumenti operati‐
vi, accompagna l’apprendista dall’inizio alla fine del percorso
d’inserimento, agendo da ponte e collegamento non solo tra la
formazione interna ed esterna all’impresa ma anche tra giovane e
impresa stessa. Con l’obiettivo infatti, di trasmettere la ricchezza co‐
noscitiva aziendale ( know how ) mantenendo un equilibrio tra svi‐
luppo di competenze tecniche e sviluppo di competenze trasversali, il
tutor aziendale si impone come agente facilitante della crescita pro‐
fessionale dell’apprendista e come tale, progetta, gestisce e control‐
la l’adeguato apprendimento del sistema di competenze richieste
al giovane per avere un’adeguata performance lavorativa presi‐
diando momenti di riflessione ed elaborazione dell’esperienza
svolta.
L’elaborato è articolato in due parti.
Nella prima sezione partendo dal concetto generale di tutor si
arriva alla definizione della figura professionale del tutor azienda‐
le, focalizzando il quadro di norme legislative dell’istituto
dell’apprendistato che consentono di definire giuridicamente i
confini operativi di questo ruolo. Tuttavia, per rendere
l’argomento il più possibile aderente alla realtà, si fa riferimento
alle ricerche fatte dall’ISFOL in materia di tutoraggio aziendale al
fine di avere un quadro reale del ruolo ricoperto dal tutor azienda‐
le nel contesto organizzativo italiano.
Identificata la figura professionale e presentate le competenze
che deve possedere il tutor aziendale, si passa alla seconda sezione
in cui si tenta di ricostruire i passaggi fondamentali di
un’adeguata azione formativa destinata a sviluppare e potenziare le
competenze richieste per l’esercizio di tutorship attraverso la pre‐
sentazione del dispositivo formativo per tutor aziendali, basato su
di un repertorio modulare elaborato dall’ISFOL.
Introduzione X
Per concretizzare quanto detto il lavoro si conclude con
l’introduzione in appendice della proposta formativa di otto ore
per tutor aziendali.
Sul versante disciplinare, l’argomento trattato rinvia, in primo
luogo, al vasto settore delle attività educative/formative proposte
nel campo dell’educazione degli adulti formale che, ancorate alla
prospettiva dell’apprendimento permanente, sono mirate preva‐
lentemente allʹacquisizione di competenze spendibili direttamente
in ambito lavorativo; In secondo luogo i contenuti sviluppati pos‐
sono essere ricollegati al complesso settore della gestione delle ri‐
sorse umane. Infatti, ritrovare in una cultura organizzativa mo‐
menti di formazione, atti a promuovere lo sviluppo di figure di
supporto all’azienda, quali i tutor, garantisce la soddisfazione dei
bisogni aziendali e la diffusione di valori e modelli di comporta‐
mento nonché l’aumento dei profitti.
Il risultato del lavoro mette in risalto la moderna concezione di
tutor, che allontanandosi dall’immagine del tutor addestratore, ri‐
vendica la sua identità nella figura del facilitatore di apprendimento,
delineando una figura non molto distante da quella del formatore:
infatti la condivisione dell’obiettivo primario di aiutare gli altri a
farsi carico del proprio apprendimento costituisce, forse, il deno‐
minatore comune per le due diverse figure.
Parte prima
Il tutor aziendale nell’apprendistato
Capitolo primo
Individuazione e definizione della figura professionale
1.1 Una figura aggiuntiva o sostitutiva?
Negli ultimi tempi il fenomeno del tutoraggio si è largamente
diffuso in molteplici contesti, da quello aziendale a quello educati‐
vo. La sua diffusione terminologica e la sua conseguente istituzio‐
ne, hanno generato ambiguità di tipo definitorio e funzionale tra le
diverse istituzioni e all’interno di esse.
Il termine tutor viene oggi usato per designare figure molto di‐
verse tra loro: dal tutor d’aula, che cura la gestione del gruppo in
vari contesti di formazione, al tutor con funzione di sostegno e di
facilitazione nei processi di apprendimento adulto attraverso la ri‐
flessione, all’esperto di gestione dei processi formativi. Infatti, ri‐
mandando sia a una funzione di protezione, sia ad una funzione di
supporto e promozione, il termine, in certi casi, sembra definire
una figura sostitutiva mentre in altri una figura aggiuntivaF
1
F .
L’ambiguità generata porta a definirlo coordinatore, animatore,
progettista, insegnante di sostegno, mentore e/o facilitatore, al pun‐
to che tale indeterminatezza non permette l’affermarsi di una figu‐
ra tecnica.
Ricercando l’origine della parola tutor si scopre che le sue radici
sono molto antiche. Associato comunemente alla tradizione scola‐
stica anglosassone, il termine deriva dal verbo latino tutor (tutari),
intensivo del verbo tueorF
2
F , che significa proteggere, difendere, cu‐
stodire. Nella definizione dell’Enciclopedia pedagogicaF
3
F il tutor è co‐
lui che si assume la tutela, o l’assistenza di un minore, di un allie‐
vo, guidandone le attività con un rapporto personalizzato. A tal
proposito Laeng richiama la definizione di tutor data dall’Oxford
1
Per approfondimenti ISFOL, La moltiplicazione dei tutor, Roma, FSE, 2005.
2
GEORGES‐CALONGHI, Dizionario della lingua latina, Torino, Rosenberg‐
Sellier, 1962.
3
M.LAENG, Enciclopedia Pedagogica, Brescia, La Scuola, 1994.
Capitolo primo
4
English DictionaryF
4
F rilevando la differenza tra insegnante, o istrut‐
tore, e tutor: distinzione reale poiché il compito del tutor, essendo
un rapporto di tipo privato prevalentemente uno a uno, è fondato
su una responsabilità di carattere non solo intellettuale, ma anche
etico, e che la relazione tra tutor e discente è sempre basata sul ri‐
spetto reciproco.
Secondo il Nuovo Lessico Pedagogico (1998) il tutor detto talvolta
mèntoreF
5
F,o monitore, è una guida e consigliere nello studio. Svolge
un’attività di mediazione tra l’insegnante e l’alunno, con approccio
più strettamente personalizzato a quest’ultimo. Nella vita univer‐
sitaria può aiutare a scegliere un piano di studi e le letture appro‐
priate, a seguire i seminari, a preparare gli esami, e a scegliere una
tesiF
6
F.
Similmente, la mappa lessicale posta a fine testo dalla Cuccurul‐
loF
7
F ne sottolinea, nell’ambito formativo, la funzione di guida a ga‐
ranzia degli obiettivi di apprendimento e quindi il “legame” con
l’attività di insegnamento. Un’altra definizione che rimanda alle
4
Ibidem «Una persona a cui sono assegnati singolarmente gli alunni per
consigli personali riguardanti i progressi negli studi e nella condotta».
5
Méntore, amico di Odisseo che diviene maestro e guida di Telemaco in
sostituzione del padre; viene usato per sottolineare la dimensione affettiva
del rapporto educativo, la presenza calda e rassicurante di una guida “spiri‐
tuale” più che intellettuale.
6
M. LAENG, Nuovo Lessico Pedagogico, Brescia, La Scuola, 1998.
7
Alla voce tutor: «Il termine ha origine dal latino (…). La parola tutor si‐
gnifica sia tutore che precettore che insegnante privato. Viene usata nel mondo
anglosassone per designare un insegnante privato di un singolo allievo o di
una classe molto piccola numericamente, nelle università inglesi indica il pro‐
fessore responsabile della disciplina e condotta morale dei singoli studenti,
un insegnante che li orienta e li guida. Il suo uso nell’ambito formativo, desi‐
gna una funzione di guida a garanzia del raggiungimento di obiettivi di ap‐
prendimento. La figura del tutor ha avuto un notevole sviluppo negli atenei
inglesi ed americani, paesi “dove l’università si basa sul modello del campus,
ossia di una comunità fortemente integrata in cui lo studente vive gran parte
della propria giornate”, per cui è di estrema importanza il suo inserimento
nella vita universitaria». [R. CUCCURULLO, Formazione Organizzazione Im‐
presa: verso una pedagogia delle risorse umane, Brescia,Editrice La Scuola, 1999
p.207].
Le funzioni del tutor aziendale
5
funzioni di facilitazione dell’apprendimento ci viene data da Fer‐
rario il quale descrive il tutor come
figura chiamata a offrire al processo di apprendimento uno specifico
sostegno organizzativo: in quanto garante appunto del processo di ap‐
prendimento, dipana il filo rosso, talvolta nascosto e comunque sempre
sotteso, del percorso formativo, aiutandolo a mettere in relazione, e con‐
seguentemente a usare in maniera ottimale, attività, persone, obiettivi,
processiF
8
F.
In questa definizione emerge la funzione di guida con una sot‐
tolineatura del rapporto interpersonale che deve essere, necessa‐
riamente, personalizzato.
Da queste tre diverse elaborazioni concettuali della figura tuto‐
riale si rileva il motivo di fondo, la convergenza, sull’attività pecu‐
liare del tutor ovvero sul ruolo di questi come facilitatore
dell’apprendimento: nell’accezione di Laeng il tutor è guida allo
studio, in quella di Cuccurullo è guida a garanzia dei processi ap‐
prenditivi e in quella finale citata, di Ferrario, è sostegno organiz‐
zativo.
Queste definizioni ricordano, in qualche modo, il significato
simbolico in botanica: il tutore che fa da supporto alle giovani
piante per garantirne e indirizzarne la crescita. Si tratta di un so‐
stegno che deve adattarsi alla pianta e non viceversa. Questa carat‐
teristica di adattamento permette di cogliere un tratto importante
del tutor: poiché ogni persona è diversa e ogni contesto è diverso,
il sostegno richiesto da questa figura non è generico ma specifico
nel contesto in cui opera.
Benché il dibattito terminologico sorto intorno a questa figura
sia tuttora aperto, nella società attuale e nelle nuove organizzazio‐
ni, si fa strada, in modo sempre più pressante, la necessità di ri‐
pensare a nuove modalità di trasmissione di conoscenza. Conside‐
rando il discente come protagonista dell’apprendimento, si rendo‐
8
M. FERRARIO, Méntore e rapporto di mentorato: un modello e un punto di vi‐
sta sull’applicabilità nella società di oggi, in Il Méntore come antimaestro, P.
MOTTANA (a cura di), Bologna, Clueb, 1996.
Capitolo primo
6
no necessarie sia una maggiore personalizzazione delle relazioni,
sia un miglior orientamento e un’assistenza costanteF
9
F .
Alla luce di quanto sinora detto, è evidente come la figura del
tutor svolga un ruolo prettamente pedagogico, tale da non poter
essere collocata in un’area amministrativo‐burocratica, bensì
nell’area dei formatori.
Il tutor, di conseguenza, non dovrebbe essere concepito come
una figura sostitutiva rispetto agli altri operatori con cui si trova
ad operare, ma al contrario dovrebbe essere considerato una figu‐
ra aggiuntiva con un ruolo autonomo e indipendente, chiaramen‐
te distinto dalle altre figure dei formatori. Infatti, dal punto di vista
didattico, il termine suggerisce una relazione in cui il discente non
sia “abbandonato” in una situazione di apprendimento fondata
prevalentemente su meccanismi di prova ed errore, ma basata su
una esperienza guidata che lo aiuti a inserirsi in un determinato
contesto. Dal punto di vista psicologico il tutor diventa una sorta
di accompagnatore/guida di esperienza, ponte tra il mondo della
formazione e quello lavorativo.
Nel settore delle organizzazioni è possibile incontrare diverse
figure impegnate a curare la crescita professionale del lavoratore,
tra queste si analizzerà di seguito la figura del tutor aziendale
nell’apprendistato, il quale sembra incorporare nelle sue funzione
sia l’aspetto didattico sia quello psicologico: facilitatore del proces‐
so di apprendimento e catalizzatore del processo di inserimento
del giovane apprendista.
1.2. Il tutor aziendale e l’apprendistato: la normativa
Il rapporto di apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro,
in forza del quale il datore di lavoro ha il dovere di impartire o fa‐
re impartire, all’apprendista assunto alle sue dipendenze
l’insegnamento necessario a conseguire la capacità tecnica per di‐
ventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’attività nell’impresa
medesima.
9
ISFOL, op. cit., p. 93.
Le funzioni del tutor aziendale
7
Il d.lgs. 276/2003, di attuazione delle legge 30/2003F
10
F all’art. 47
individua tre tipologie di apprendistato fortemente differenziate:
• apprendistato per lʹespletamento del diritto‐dovere di istruzione e
formazione, che consente di conseguire una qualifica profes‐
sionale e favorire lʹentrata nel mondo del lavoro a giovani ed
adolescenti che abbiano compiuto 15 anni (la fascia dʹetà è
tra i 15 e i 18 anni)
F
11
F. Ha una durata massima di 3 anni, de‐
terminata in base alla qualifica da conseguire, al titolo di
studio, ai crediti professionali e formativi acquisiti, nonché al
bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per
lʹimpiego o dai soggetti privati accreditati;
• apprendistato professionalizzante, che consente di ottenere una
qualifica attraverso una formazione sul lavoro ed un ap‐
prendimento tecnico‐professionale. Eʹ rivolto a giovani tra i
18 e i 29 anni e diciassettenni in possesso di una qualifica
professionale (conformemente alla Riforma Moratti). Può
durare da 2 a 6 anni, in base a quanto stabilito dalla contrat‐
tazione collettiva. È possibile sommare i periodi di apprendi‐
stato svolti nellʹambito del diritto‐dovere di istruzione e
formazione con quelli dellʹapprendistato professionalizzante.
• apprendistato per lʹacquisizione di un diploma o per percorsi di al‐
ta formazione, che permette di conseguire un titolo di studio
di livello secondario, universitario, di alta formazione e per
la specializzazione tecnica superiore. Tale tipologia di con‐
tratto si rivolge a giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni.
La durata deve essere stabilita, per i soli profili che riguar‐
dano la formazione, dalle Regioni in accordo con le parti so‐
ciali e le istituzioni formative coinvolte.
Alla base del contratto di apprendistato, dunque, non esiste so‐
lo lo scambio tra lavoro e retribuzione (come avviene nel normale
10
L’istituto dell’apprendistato è stato regolamentato dalla legge 14 febbra‐
io 2003, n. 30 Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro e
dal relativo d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276 Attuazione delle deleghe in materia
di occupazione e mercato del lavoro.
11
La legge finanziaria del 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296) dispone
l’innalzamento dell’età minima per l’accesso al lavoro a 16 anni.
Capitolo primo
8
rapporto di lavoro), ma anche un’alternanza tra attività lavorativa
e formazione professionale che si attua attraverso un imparare fa‐
cendo e un’ insegnamento complementare.
Al riguardo l’art. 16 della legge 196/97F
12
F prevede che la forma‐
zione dell’apprendista avvenga attraverso l’affiancamento di un
tutor, la cui attività ha lo scopo di favorire lʹintegrazione tra le ini‐
ziative formative esterne allʹazienda e la formazione sul luogo di
lavoro. I motivi per cui si definisce la figura del tutor sono, in par‐
te, da ricercarsi nel nuovo concetto di apprendistato inteso come
strumento importante di formazione professionale sul campo e co‐
me uno dei canali privilegiati di collegamento tra scuola e lavoro. E’
opportuno sottolineare che nell’ordinamento giuridico italiano la
figura del tutor aziendale non è stata quasi mai formalizzata fino
al D.M. 28/2000F
13
F. Se non vi è un riconoscimento formale del ruolo
in azienda, i rischi che ne derivano sono diversi: le funzioni tuto‐
riali difficilmente vengono svolte, vi è assenza di una figura/ruolo
di riferimento, il giovane viene adibito a lavori ripetitivi, etc.
Per delineare i tratti specifici del ruolo del tutor è necessario in‐
dividuare chi, a livello contrattuale, può ricoprire tale mansione. Il
tutor aziendale è un lavoratore esperto che opera nello stesso con‐
testo in cui lʹapprendista è stato inserito. È nominato dal datore di
lavoro e ha il compito di supportare il giovane nellʹapprendimento
in azienda per tutta la durata del periodo di apprendistato. Per es‐
sere tutor aziendale è necessario avere almeno tre anni di anziani‐
tà, possedere un livello di inquadramento pari o superiore a quello
che avrà lʹapprendista alla fine dellʹapprendistato e svolgere attivi‐
tà lavorative coerenti con quelle dellʹapprendista. Inoltre egli può
seguire al massimo cinque apprendisti (tre nel caso di azienda con
capacità formativa interna nel contesto dell’ apprendistato profes‐
12
Legge 24 giugno 1997, n. 196 Norme in materia di promozione dellʹoccupa‐
zione.
13
Il D.M. del 28 febbraio 2000, n. 22 Disposizioni relative alle esperienze pro‐
fessionali richieste per lo svolgimento delle funzioni di tutore aziendale definisce nel
dettaglio la figura del tutor aziendale, i suoi compiti ed istituzionalizza azioni
di formazione al fine di garantire l’acquisizione di competenze per l’esercizio
al ruolo di tutor aziendale.
Le funzioni del tutor aziendale
9
sionalizzante)F
14
F, mentre nelle aziende con meno di 15 dipendenti e
nelle aziende artigiane, questo ruolo può essere ricoperto dallo
stesso datore di lavoro, da un socio o da un familiare coadiuvante.
Soltanto con il D.M. 28 febbraio 2000 n.22, vengono esplicitate
le funzioni tutorali al fine di trasmettere al giovane, durante
l’apprendistato, le competenze necessarie allʹesercizio delle attività
lavorative e di esprimere le proprie valutazioni sulle competenze
acquisite dallʹapprendista ai fini dellʹattestazione della qualifica da
parte del datore di lavoro. Per poter esercitare il ruolo del tutor, le
Regioni devono programmare interventi formativi nei confronti di
tutori stessi, al fine di sviluppare competenze specialistiche ed or‐
ganizzative necessarie per lo svolgimento dell’attività di tutorag‐
gio; è comunque previsto che i tutori partecipino ad una specifica
iniziativa formativa di durata non inferiore alle otto ore nella fase
di avvio della prima annualità di formazione esternaF
15
F.
1.3. Il tutor aziendale e l’apprendistato: la realtà
Ad oggi, l’apprendistato rappresenta per le imprese uno stru‐
mento flessibile ed efficace per reperire e formare le professionalità
di cui hanno bisogno, e per i giovani un’opportunità di crescita e
formazione mirata non solo all’acquisizione di una specifica pro‐
fessionalità, ma anche allo sviluppo di competenze per affrontare
un mercato del lavoro sempre più dinamico.
Il rapporto ISFOL (2002) sugli studi di casi aziendaliF
16
F rivela co‐
me la scelta delle imprese nell’assunzione di apprendisti non sia
legata alle esigenze occasionali di incremento di personale, ma al
14
Nelle aziende con meno di 15 dipendenti e nelle aziende artigiane, que‐
sto ruolo può essere ricoperto dallo stesso datore di lavoro, da un socio o da
un familiare coadiuvante.
15
La Regione Emilia Romagna, al fine di assicurare lʹadozione degli stan‐
dard qualitativi e la formazione/aggiornamento delle competenze professio‐
nali, finanzia interventi specifici per la formazione del tutor aziendale preve‐
dendo interventi formativi della durata di 16 ore (8 in aula).
16
ISFOL, La figura del tutor aziendale nell’apprendistato: analisi del ruolo e per‐
corsi di formazione. I risultati degli studi di casi aziendali, il repertorio di moduli
formativi e i prototipi di corso, Roma, FSE, 2002.
Capitolo primo
10
bisogno di reclutare nuove risorse necessarie, e solo in seconda i‐
stanza, per il vantaggio economico. La testimonianza risiede nel
grado di soddisfazione aziendale comprovata nella conferma del
rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato.
Tuttavia nella stessa indagine, emerge l’altra faccia della meda‐
glia: esempi di aziende che hanno effettuato un turn over sistemati‐
co di apprendisti. La causa, in questi casi, è da attribuire ad una er‐
rata gestione delle strategie di inserimentoF
17
F.
Le strategie con cui viene gestito il processo di inserimento e di
sviluppo delle competenze dell’apprendista varia, infatti, allʹinter‐
no dei diversi contesti aziendali. In alcuni casi, il rapporto è orga‐
nizzato sulla base di una strategia intuitiva: l’apprendista viene af‐
fidato alla sensibilità e alla esperienza di un lavoratore dipendente.
In altri contesti i tutor ritengono che lʹintroduzione di obiettivi det‐
tagliati e la specificazione dei piani di attività che i giovani devono
seguire per il loro raggiungimento, costituisca un aiuto importante
per lo svolgimento della loro funzione di supporto e monitorag‐
gioF
18
F. Sorge, dunque, il problema di definire chi può svolgere il ruo‐
lo di tutor, all’interno delle piccole e medie imprese. Nella grande
maggioranza dei casi questo ruolo non viene assunto da specialisti
della formazione. Le funzioni del tutor aziendale sono assegnate a
persone che svolgono prioritariamente un altro ruolo professionale
all’interno delle organizzazioni produttive. Pertanto l’attività di tu‐
toraggio costituisce, generalmente, un impegno aggiuntivo ai
compiti che normalmente il lavoratore esperto presidia all’interno
dell’organizzazione.
Tuttavia i dati raccolti riguardo la formazione del tutor azien‐
dale, nellʹindagine Una lente sullʹapprendistato (ISFOL 2004)F
19
F, non
destano conforto: il 62% dei lavoratori che assolvono funzioni di
tutor non è interessato a frequentare corsi di formazione, piuttosto
sembrano essersi informati sufficientemente da soli. Questo disin‐
teresse di base verso interventi formativi potrebbe essere collegato
all’esperienza maturata dal lavoratore che rafforza la consapevolez‐
17
Ivi p.10.
18
Ivi p.12.
19
ISFOL, Una lente sullʹapprendistato: i protagonisti ed i processi della forma‐
zione, Roma, FSE, 2004.