1
Premessa.
La tesi “Il Trionfo marino di Agostino Carracci a Palazzo Farnese: una nuova interpretazione
iconografica” è nata dal mio interesse per la Galleria Farnese a Roma, affrescata a cavallo
tra il XVI e il XVII secolo dai fratelli Carracci. Chiamati dal cardinal Odoardo Farnese,
Annibale e Agostino ebbero il compio di decorare la volta della Galleria per celebrare
l’imminente matrimonio tra Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini.
Proprio sull’iconografia del ciclo farnesiano si focalizza la prima parte della mia ricerca: nel
corso degli anni i critici non sono stati unanimi nel trovare un’interpretazione convincente
per spiegare esaustivamente il fine della commissione ai Carracci. Alcuni studiosi ritengono
che questa non sia da collegare al nuovo legame che si veniva a creare tra le famiglie
Farnese-Aldobrandini; mi riferisco alla tesi di Zapperi, ripresa poi da Briganti, basata su un
ragionamento per lo più cronologico, dipendente dalle iscrizioni sotto gli affreschi, e
dall’Avviso di Roma del 16 maggio del 1601. Data che indicherebbe la fine dei lavori,
quando gli affreschi della volta furono scoperti alla presenza del nipote del Papa, il Cardinal
Pietro Aldobrandini.
Altri sostengono che gli affreschi siano da interpretare come ciclo epitalamico: una serie di
favole mitologiche, che volevano essere ben auguranti per la giovane coppia di sposi.
Hanno seguito tale chiave di lettura Navenne, Tietze, Dempsey e più recentemente
Ginzburg e Colonna. In questo modo l’amore, tematica centrale della decorazione, sarebbe
raffigurata nelle due possibilità in cui si può manifestare: un amore corrisposto, alla base di
una felice vita matrimoniale; e un amore non ricambiato tra amato e amante, che porta a
dolore, sofferenza, e talvolta anche alla morte.
La seconda parte della tesi si concentra su un affresco specifico: Il Trionfo marino, eseguito
da Agostino con alcuni interventi del fratello. Chappell, Dempsey e la Ginzburg interpretano
tale quadro riportato, sulla parete lunga di fronte alle finestre, come Trionfo di Venere
condotta sul mare, basandosi sull’epitalamio di Claudiano, scritto in onore delle nozze
dell’imperatore romano Onorio e Maria. In questi versi si narra, infatti , la traversata di
Venere sul mare per raggiungere una cerimonia nuziale, accompagnata da Nereidi, Tritoni e
Amorini. Un’ipotesi che, per la Ginzburg, è ulteriormente avvalorata dal fatto che una scena
simile viene esposta da Zoppio ne La Montagna Circea, testo che descrive gli apparati
allestiti a Bologna per celebrare il matrimonio illustre tra il duca di Parma e la nipote del
papa. Pur non riprendendo puntualmente l’iconografia dell’affresco di Agostino in Galleria,
questa scenografia la ricorderebbe da vicino.
2
La prima parte del mio lavoro è, pertanto, essenziale: serve per capire l’iconografia
dell’intero ciclo della volta farnesiana; il ruolo svolto dall’Amore nelle singole vicende
mitologiche; il modo in cui queste stesse storie sono state organizzate da Annibale, con
l’intento di evidenziare i risvolti fausti e quelli funesti, a cui le relazioni amorose possono
condurre. Un esempio di un prossimo coronamento felice, per via della sua posizione,
sarebbe proposto dal Trionfo marino, oggetto della seconda parte dell’elaborato.
Nel corso degli anni questo affresco è stato oggetto di molteplici interpretazioni
iconografiche. In un primo momento la figura femminile al centro è stata identificata con
Galatea, soprattutto per via dei molti elementi in comune con la Galatea di Raffaello, alla
Farnesina. Fu Bellori il primo ad avanzare dubbi sulla veridicità di questa interpretazione:
“Galatea oppure sia Venere portata sopra il mare”.
A fine Ottocento Richard Förster formulò l’ipotesi che si trattasse di “Salacia e Portuno”,
collegando l’opera di Agostino al libro IV delle Metamorfosi di Ovidio. Tieze afferma,
addirittura, che la rappresentazione fosse un’anonima processione di figure e mostri
marine, senza che il Carracci avesse in mente un personaggio, o una vicenda mitologica
precisa. Tesi questa che non può essere supportata, vista la grandezza e la posizione di
prestigio dell’affresco stesso: sopra all’ingresso della Galleria, a metà del lato lungo di
fronte al finestrato, subito sotto al Trionfo di Bacco e Arianna.
Successivamente, lo studioso Martin suppose che fosse la rappresentazione della storia di
Glauco e Scilla. Più precisamente, l’affresco avrebbe fatto riferimento al passo delle
Metamorfosi ovidiane, in cui Scilla, spaventata, scappa via da Glauco, da poco trasformato
in una divinità marina. In realtà, nel testo il poeta fa riferimento, esclusivamente, alla fuga
della fanciulla: non si accenna mai ad un abbraccio forte e vigoroso da parte di Glauco.
Ambivalente è la posizione dell’americano Dempsey: in un primo momento suggerì che la
figura centrale fosse da identificare con “Teti”, rappresentata con un contraddittorio
sentimento di gioia e rammarico, mentre è portata verso il talamo nuziale di Peleo; mentre
in un secondo, affermò che si trattasse di “Venere condotta ad una cerimonia nuziale”. Tesi
supportata anche dalle ricerche di Miles Chappell.
Il riferimento letterario sarebbe l’Epitalamio di Claudiano, composto nel IV secolo, in onore
delle nozze di Onorio e Maria. Lo stesso Chappell vedrebbe un nesso tra la Maria di
Claudiano, e Maria principessa del Portogallo, andata in sposa al duca Alessandro Farnese,
padre del Cardinale Odoardo, il committente dell’intero ciclo di affreschi della Galleria.
A mio parere, il soggetto dell’affresco di Agostino è sì da collegare all’epitalamio di
Claudiano, ma non ai versi che descrivono il corteo di Venere, bensì al momento in cui il
3
poeta accenna alla ricompensa che la dea ha promesso a Tritone. Il mostro marino in
cambio del passaggio, riceverà l’amore della Nereide da lui tanto desiderata Cimotoe.
La coppia centrale sarebbe, così, da identificare con Cimotoe e Tritone, e l’intera opera
farebbe riferimento al momento in cui Tritone può finalmente “abbracciare” la sua
ricompensa: ecco spiegata la forza, l’energia, ma anche la sensualità della sua presa
vigorosa. D’altro canto, Cimotoe, se nei versi del poeta era in un primo momento riluttante
alle attenzioni della creatura marina, è ora dolce e arrendevole: la freccia di Cupido sta per
essere scoccata, e l’amore trionferà. Una scena mitologica “positiva”, che porterà ad una
lieta unione: in questi termini ovviamente devono essere interpretati il fascio di frecce
dorate, e la fiaccola portati dagli amorini in volo.
Per quanto riguarda le altre tre figure femminili, che occupano la parte sinistra della
composizione, potrebbe essere plausibile identificarle con le Nereidi sorelle di Cimotoe.
Per giungere a tali conclusioni mi sono avvalsa degli studi, articoli, cataloghi realizzati a
partire dalla fine del XIX secolo. Li ho analizzati singolarmente cercando di osservare
criticamente sia gli importanti spunti iconografici, sia gli elementi che a volte entravano in
contraddizione con la fonte letteraria, a cui si rimandava l’ispirazione per l’affresco.
4
Capitolo 1
I Carracci a Palazzo Farnese
5
La Galleria di Palazzo Farnese.
Il giovane Odoardo Farnese, nominato cardinale nel 1591, decise di onorare la figura del
padre Alessandro, grande condottiero morto nel 1592, con un ciclo di affreschi nella
cosiddetta Sala Grande
1
, commissionato ad Agostino ed Annibale Carracci, attestati a
Roma al principio del 1594
2
, ma stabilitivisi più tardi: Annibale a fine dell’anno successivo
3
;
mentre Agostino alterna i suoi soggiorni in città, documentabili tra il 1598 e il 1600, con i
viaggi a Bologna e a Parma, dove è impiegato a servizio di Ranuccio, fratello di Odoardo,
dove si trasferirà definitivamente nell’estate del 1600
4
. Il progetto della Sala Grande non
verrà mai portato a compimento: i fratelli Carracci realizzarono, tuttavia, la decorazione
della Galleria, una loggia coperta (m 20,14 x 6,59 x 9,8) che affaccia sul giardino al piano
nobile dei Palazzo Farnese
5
(Fig. 1). Gli affreschi si sviluppano sulla volta, sui lati corti e sulla
fascia superiore dei lati lunghi delle pareti, sopra le nicchie circondate da stucchi in cui
erano collocate originariamente alcune statue antiche della collezione farnesiana, oggi
conservate al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le finestre sono su un unico lato, ad
occidente; la porta principale di accesso alla sala si trova sulla parete opposta, quattro
porte minori si aprono sui lati brevi.
Sul soffitto, dipinto con una tecnica mista, a fresco con numerosi ritocchi a secco, si
alternano e si sovrappongono oggetti inanimati e corpi vivi, quadri, finte statue in marmo,
medaglioni bronzei ossidati dal tempo, ignudi e amorini. Concepita in senso illusionistico, la
volta vuole giocare sulla varietà cromatica dei diversi materiali e sul mutare della luce;
questa cambia, infatti, con evidente intento naturalistico: nei quadri riportati e nelle
medaglie è descritta come proveniente da una fonte autonoma, interna all’oggetto, sulle
figure maschili nude e sulle scultore è resa come se provenisse dalle vere finestre, e negli
angoli, infine, illumina i corpi degli amorini come se derivasse dal sole
6
.
1
Navenne 1900; Vitzthum 1963; Bernini 1968; Uginet 1980, p.7; Dempsey 1981; Zapperi 1986;
Zapperi 1987; Zapperi 1994; Robertson 1995; Ginzburg 2008 p.9.
2
Tietze 1906-1907, p.54; Martin 1965, p.9; Uginet 1980, pp.104-107; Dempsey 1981; Zapperi 1986;
Ginzburg 2008 p.9.
3
Il nome di Annibale è registrato nei ruoli del palazzo nel novembre 1595. Tietze 1906-1907, p.107;
Cavalli in Mostra dei Carracci 1956, p.87; Gli scritti dei Carracci 1990, pp.155-156; Ginzburg 2000,
p.36; Ginzburg 2008, p.9.
4
Sui pagamenti effettuati nell’ottobre 1597 e nel luglio del 1599 ad Agostino a Parma, per due
ritratti di Ranuccio, da lui eseguiti cfr. Ostrow 1966, p.587 e p.589; Ginzburg 2008 p.9.
5
Ginzburg 2008, p.9.
6
Ginzburg 2008, p.10.
6
Sulla base dei disegni preparatori che ci sono pervenuti, per lo schema generale della
decorazione della volta Annibale e Agostino “giudicarono, che per costruire una maniera
d’una sovrana perfettione, converrebbe con il disegno finissimo di Roma unire la bellezza del
colorito lombardo”
7
. Annibale combinò progressivamente la tradizione emiliana con gli
esempi romani di Michelangelo e Raffaello. E così, Annibale arricchì lo schema a fregio degli
affreschi di palazzo Magnani eseguiti a Bologna
8
, con Ludovico e Agostino al principio degli
anni novanta, con l’impostazione quadraturista desunta dal ciclo di Pelegrino Tibaldi in
Palazzo Poggi, del quale, secondo la testimonianza del Malvasia, mentre lavorava al
progetto della Galleria, chiese a Ludovico di realizzarne uno schizzo, quale promemoria da
inviargli a Roma
9
(Fig. 2). Ovviamente giocò un ruolo fondamentale la Cappella Sistina, da
cui derivano evidentemente i giovani ignudi; così come anche il Correggio della Camera di
San Paolo di Parma, soprattutto per la posizione “en plein air” dei putti, immersi nel
continuo variare di luce e ombra come sotto l’effetto di un’illuminazione naturale, che
rende realisticamente credibile all’occhio dell’osservatore il sistema illusionistico della
volta
10
. L’attitudine correggesca di registrate gli accadimenti luminosi viene tradotta da
Annibale mediante soluzioni tecniche desunte dallo studio degli affreschi romani di
Raffaello e Michelangelo: dalla Loggia di Psiche, dalle lunette della volta Sistina, ma anche
dalla pratica dell’incisione e dall’esempio, in questo campo, di Agostino
11
. Annibale, infatti,
usa tratteggi e puntinati per descrivere le ombre, restituendo così i volumi o la superficie
vibrante del cielo
12
.
È una costante tensione verso la verosimiglianza, grazie alla quale i diversi elementi
dell’eredità figurativa cinquecentesca vengono riletti in chiave antimanierista
13
e
7
Agucchi in Mahon 1947, p.252.
8
“Seguitò egli l’ordine delle sale di Bologna, ma con più ordinate, e peregrine inuentioni, e con
maggiore stile, allettando insieme le fauole, gli ornamenti, la copia, l’ordine, l’euritmia del tutto, e
delle parti, e insieme con la vista ne resta ricca la memoria d’una bellezza infinita”. Bellori 1672
[1976], pp.69-70.
9
“Annibale [..] stando in Roma, prima di fare lo scomparto della Galleria Farnese, fece disegnarsi in
Bologna, e mandarsi quello del Tibaldi *…+; ancorchè poi pentito veriasse pensiero, col dire, che a
Roma bisognava trovare invenzione più laboriosa ed affaticata, accomodandosi in ciò con la natura
di quel paese”. Malvasia 1678 [1841-1844], I, p.333
10
Cfr. Ginzburg 2008, pp.12-13.
11
De Grazia 1979, p.340
12
Giantomassi 1987, p.238; Briganti 1987, pp.29-30; Dempsey 1995, p.19.
13
Annibale ha sempre dimostrato di essere in aperta polemica con i pittori che amavano grandi e
dotte citazioni, basandosi più su precetti teorici, che non su quanto loro stessi potessero osservare
con i proprio occhi, e potessero riportare con le proprie capacità artistiche. A riporva di ciò,
interessante è il passo di Bellori in cui “trouandosi Annibale in Roma, restò sopraffatto dal grande
7
fortemente naturalistica. Sulle erme, dipinte come se fossero fratturate, Domenichino ad
Agucchi diceva che “il sig, Annibale, per ingannare l’occhio con il verisimile ne ha finti molti
pezzi rotti nella Galleria, e pur sono in luogo, dove non potevano rompersi se non a posta: e
tali rotture benché fossero di stucco vero, non sarebbero da essere racconcie, per accrescere
la bellezza dell’opera”
14
, a voler sottolineare l’artificio di Annibale nel rendere plausibile il
passaggio del tempo, e le cause che da questo derivano, come se si trattasse di una vera e
propria galleria di antichità.
Per quanto riguarda i lati corti, questi sono occupati per intero da due grandi riquadri con le
storie di Perseo, e i lati lunghi sono decorati da stucchi che incorniciano quadretti a figure
piccole con storie delle personificazioni di alcune costellazioni, accoppiate agli emblemi dei
quattro membri della famiglia Farnese, i due cardinali Alessandro e Odoardo, e i due duchi
Alessando e Ranuccio, a sottolineare la continuità della dinastia farnesiana nell’ambito della
vita contemplativa e della vita attiva
15
.
Fin dall’inizio del Novecento è stato supposto che le storie dipinte sul soffitto della Galleria
andassero lette in rapporto alle nozze tra il duca di Parma e la nipote del papa, avvenute
nel maggio del 1600. Sulla base dei documenti ad oggi rinvenuti, è stato infatti stabilito che
la prima offerta degli Aldobrandini ai Farnese venne presentata nel marzo del 1598 ma poi
lasciata cadere, sino al marzo del 1599 in cui si ebbe un primo concreto avvio di trattative
per la dote. Tuttavia, molti elementi indicano che Annibale cominciò a lavorare al progetto
di un ciclo di affreschi per la volta farnesiana in una fase precedente alla definizione del
programma definitivo; a lungo si era ritenuto che la volta fosse stata iniziata nel 1597 e
conclusa nel 1600, fino a quando alcune scoperte hanno portato a rivedere gli estremi di
questa cronologia. La principale è stato il rinvenimento da parte di Briganti di altre date
nella Galleria oltre a quella già nota, “MDC”, che si trova sotto il quadro riportato con
Polifemo e Galatea. Vergate frettolosamente sull’intonaco grezzo sotto la scena di Venere
condotta sul mare ad una cerimonia nuziale esse sono: “1598”, “1599” e “1600 16
maggio”; a queste va aggiunta l’iscrizione “30 aprile 1599” ritrovata sotto l’ignudo posto a
sapere degli Antichi, e si diede alla contemplazione, e al silenzio solitario dell’arte” mentre il fratello
Agostino, “venuto dopo ad aiutarlo nella Galleria *…+ si diffuse nelle lodi del Laooconte; e vedendo,
ch’el fratello, senza dir nulla, poco attendeua alle parole, se ne dolse. E lo riprese, quasi non
apprezzasse così stupenda scoltura”. “Annibale voltandosi al muro, disegnò col carbone quella statua
si giustamente *…+ e si ammutì Agostino, confessando che’l fratello meglio di lui haueua saputo
dimostrarla”; “allora Annibale *…+ disse: li poeti dipingono con le parole, li pittori parlano con
l’opere”. Bellori 1672 [1976], p.51.
14
Malvasia 1678 [1841-1844], II, p.235.
15
Martin 1965.
8
destra di Polifemo e Aci, resa nota solo dopo la pubblicazione dei contributi di Briganti
16
(Fig. 3). La Ginzburg si chiede, a tal proposito, se in quella posizione isolata, questa
iscrizione non stia ad indicare un evento preciso come una discesa dai ponteggi. La data
potrebbe indicare la sospensione dei lavori della Galleria
17
ai fini di avviare, oltre al progetto
per la decorazione della Sala Grande, la realizzazione degli affreschi nel Camerino, la cui
esecuzione, anche per questo, verrebbe a collocarsi tra l’estate e l’autunno del 1599;
oppure potrebbe riferirsi alla discesa dai ponti della Galleria da parte di Annibale per quel
viaggio a Parma che questi avrebbe compiuto nel corso del 1599
18
. Verso l’inizio del 1600
Annibale sarebbe tornato in Galleria ad eseguire la scena di Giove e Giunone e i medaglioni
e i telamoni circostanti, mentre Agostino dipingeva il quadro riportato con Venere condotta
sul mare ad una cerimonia nuziale. Forse a questo punto scoppiò un litigio tra i fratelli
19
: la
collaborazione tra i due si incrina e Agostino lascia Roma per recarsi probabilmente prima a
Bologna e poi a Parma ove lavorerà definitivamente per Ranuccio.
La sequenza cronologica più plausibile, dunque, sembrerebbe essere la seguente: la
decorazione della volta, avviata probabilmente alla fine del 1598, sarebbe stata ripresa
verso l’inizio del 1600 dopo la citata pausa della seconda metà del 1599
20
, all’altezza
dell’inizio della parete lunga con Giove e Giunone, per venir conclusa nello stesso anno, in
una data non lontana dal matrimonio tra Ranuccio Farnese a Margherita Aldobrandini,
celebrato nel maggio. Gli interventi conclusivi, a secco e le dorature, potrebbero invece
essere stati compiuti da Annibale nel 1602
21
, con il sostegno del cugino Ludovico, attestato
a Roma tra il maggio e il luglio di quell’anno “a raggiustare la Galleria Farnese”
22
. Il
pagamento del 18 luglio 1602, potrebbe indicare il termine di questi lavori di ultimazione
della volta che richiedevano l’uso di ponteggi.
La decorazione dei lati corti sarebbe iniziata nella primavera del 1603
23
. Ad una
partecipazione di Domenichino nel Perseo e Andromaca, all’altezza del 1603, potrebbe
16
Ginzburg 2000, p.121.
17
Sospensione dei lavori ipotizzata da Brigati e Zuccari, sulla base dei documenti attestanti che la
Galleria sarebbe stata utilizzata come deposito per la mobilia proveniente dalla Sala Grande. Briganti
1978, pp.32-33; Zapperi 1994, pp.102-103 e 123.
18
Ipotesi che sembrerebbe essere supportata, per la mancanza di documenti, esclusivamente a
livello stilistico per il rinnovato rapporto con Correggio riscontrabile nell’opera di Annibale attorno a
questa data. Cfr. Ginzburg 2000, p.121.
19
Agucchi in Mahon 1947, pp.254-255.
20
Briganti 1987, pp.33-34.
21
Mancini 1617-1621 [1956-1957], I, p.218; Bellori 1672 [1976], p.78.
22
Malvasia 1678 [1841-1844], I, pp. 383-384.
23
Ginzburg 2008, p.20.
9
riferirsi un passo di Bellori relativo all’intervento dell’allievo a “colorire alcune cose da’
cartoni di esso”
24
. Mentre, per i lati lunghi, l’esecuzione sembrerebbe essere stata condotta
verso il 1606-1608, per via della traduzione libera che gli allievi compiono delle invenzioni di
Annibale
25
.
24
Bellori 1672 [1976], p.308
25
Per la datazione dei lati corti e lati lunghi dalla Galleria cfr. Ginzburg 2008, pp.20-21