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Prefazione
Come spesso accade con i bisogni di tipo commerciale, a volte
anche dei diritti cominciamo a sentire estremo bisogno solo quando
qualcuno –o qualcosa- ce li riconosce; ed è proprio così che è stato
per quanto riguarda il diritto alla riservatezza dei propri dati, in
particolar modo di quelli che riguardano la salute. La situazione
attuale spazia dalla posizione estrema per la quale occorrerebbe
cancellare la scritta ‘Neurologia’ incisa sulla facciata di un padiglione
presso l’Azienda Ospedaliera di San Martino per evitare di collegare i
soggetti ad una cerchia di patologie, o per la quale le nostre cartelle
cliniche andrebbero distrutte una volta che la prestazione è stata
completamente erogata, perdendo così l’intrinseco valore di un
documento che dovrebbe agevolare la nostra stessa cura in caso di
nuove necessità di diagnosi, e si arriva a coloro che ritengono che una
legislazione sulla privacy sia solo pedante burocrazia capace di
sconfinare nel danno per l’incolumità dello stesso soggetto che si
vorrebbe tutelare.
L’intento di questo elaborato, oltre che di rassegna della
legislazione, è proprio quello di trovare, attraverso un’analisi critica
ma obiettiva, il punto di equilibrio che possa permettere agli
operatori di agire efficacemente senza intralci burocratici e senza la
spada di Damocle di procedimenti a carico per violazioni di leggi, e
all’utenza di ricevere le prestazioni di cui necessita con la sicurezza di
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avere tutelata la sfera personale e, in casi particolari, di non rischiare
la stigmatizzazione per la diffusione di dati ‘supersensibili’.
I problemi da affrontare sono molteplici. L’evoluzione
normativa procede a scatti mentre il progresso tecnologico e gli
interessi economici aumentano esponenzialmente, il mercato dei dati
personali è florido come non mai nonostante la costante opera
dell’Autorità Garante italiana e di quelle straniere, inoltre in Italia la
legge 675/96 ha letteralmente fatto irruzione in un quadro normativo
di per sé già complesso, aumentando le zone d’ombra e le difficoltà di
interpretare la disciplina senza creare antinomie difficili da risolvere.
Si sono resi necessari interventi normativi di correzione già dopo
pochi mesi di efficacia e in meno di cinque anni si è già dovuto
predisporre un testo unico per riorganizzare tutte le disposizioni.
Si è poi verificato un curioso ribaltamento dei ruoli
internazionali, soprattutto in tema di dati sanitari: l’Europa, arrivata
ad una direttiva solo nel 1995 e che ai dati sanitari ha dedicato un
solo articolo, è diventata il punto di riferimento di Paesi
extracomunitari normativamente più avanzati che addirittura
avevano codificato intere leggi sulla protezione dei dati sulla salute;
questo proprio grazie alla direttiva 46, che ha imposto l’allineamento
a sé per ottenere l’autorizzazione a trattare dati nel proprio ambito di
vigenza.
In tutto ciò si innesta una situazione di mancata conoscenza di
diritti basilari da parte dei soggetti interessati e di doveri elementari
da parte degli operatori, alimentata sia dalle proroghe lassiste
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concesse più e più volte dal legislatore, sia dal disinteresse degli
organismi sanitari, sia, ancora, dalla colpevole negligenza di
operatori ancora legati a visioni paternalistiche della professione.
Occorre dunque formare operatori consapevoli, trovando in
contempo il modo di eliminare i problemi che forniscono argomenti
di critica ai detrattori della normativa, e di sensibilizzare il normale
cittadino ai diritti che gli spettano e che può pretendere gli siano
riconosciuti.
Forse, però, qualcosa può cambiare.
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CAPITOLO I
NASCITA E DIFFUSIONE DEL CONCETTO
DI PRIVACY
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Che cosa si intende per tutela della privacy in ambito
sanitario? Innanzitutto tutela della salute, nella quale il concetto di
privacy assurge ad una posizione centrale. Ma la cui estensione è
tuttora in evoluzione.
Dal punto di vista di un’analisi prettamente letterale,
indichiamo un diritto della personalità con una parola che deriva da
una cultura diversa, quella statunitense, e che si traduce in
un'ambiguità di significato: l'Oxford Advanced Learner's Dictionary
1
porta a dover scegliere fra una ‘possibilità individuale di stare per
proprio conto e non essere disturbato’ e lo ‘stato di libertà
dall'interferenza pubblica sulla propria vita’. Esiste invero un
vocabolo italiano, riservatezza, che però è maggiormente centrato
sull'azione del soggetto, che forse porta chiarezza sul termine usato,
ma anche una sua pesante limitazione: se ci riferissimo
esclusivamente ad esso sarebbe difficile dare all'argomento
un'importanza cruciale nella possibilità di ottenere che venga tutelata
la salute.
Il concetto, però, acquista significato nell'interazione fra le
persone e la posizione assunta dalla privacy si fonda sull’essere
largamente considerata un diritto, e sul potersi associare ad altri
diritti nel costituire la difesa dell'identità del malato come persona.
Accettare la disciplina che tutela la privacy renderebbe ovvio il fatto
che il malato non può essere identificato con un numero o una
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cartella clinica, ma rimane un essere umano al quale deve comunque
essere assicurata l'autodeterminazione.
Il diritto alla privacy, inoltre, non coincide, come molti ancora
credono, con il segreto professionale, in quanto la privacy è un diritto
della persona umana che va tutelato nelle varie forme prescritte dalla
menzionata legge, mentre il segreto professionale è un dovere
deontologico e giuridico che fa capo a vari professionisti, tra cui quelli
della sanità, la cui infrazione è sanzionata dal codice deontologico e
dal codice penale che prevede, all'art. 622, il reato di violazione di
segreto professionale.
Ma che cosa si intende quando si parla di diritto?
Si può distinguere tra il senso giuridico e il senso morale di
tale espressione: in senso giuridico si può dire che un diritto sia
rivendicabile qualora esso sia precisato da una legge e vi siano delle
Corti che lo tutelano attraverso precise sanzioni; mentre in senso
morale avere un diritto significa avere una pretesa percepita come
valida verso qualcuno, pretesa la cui soddisfazione consente
l'integrità della persona e il rispetto della sua dignità. La presenza di
un diritto valido e rivendicabile in senso giuridico presuppone
l’accettazione collettiva della bontà e della valenza positiva di un
diritto morale, ma non viceversa: molteplici sono, infatti, i casi di
diritti morali che trovano difficoltà ad essere sostenuti
adeguatamente nei tribunali.
1
http://www.oup.com/elt/catalogue/teachersites/oald7/?cc=it
9
La privacy nasce proprio come diritto morale, divenendo
diritto giuridico in epoca moderna con il suo riconoscimento da parte
delle Carte Costituzionali di tutte le società avanzate, trasformandosi
da enunciazione di principio a diritto esigibile nel momento in cui
viene disciplinato da specifiche leggi che vengono emanate, in tempi
molto diversi, nei vari Paesi.
La nascita della privacy, intesa come diritto ad essere lasciati
soli
2
, può essere storicamente riportata al disgregarsi della società
feudale, configurandosi non tanto come un vero e proprio diritto
naturale di ogni individuo, quanto come un privilegio della classe
borghese dell’epoca. Sempre in questa accezione, l'età dell'oro della
privacy può essere collocata nella seconda metà dell'800, quando lo
sviluppo della borghesia nella società americana aveva raggiunto
l’apice. Ma il diritto di essere lasciato solo da privilegio può
trasformarsi in ostacolo, assumendo un significato pesantemente
negativo, in una situazione di svantaggio sociale, se implica
disinteresse per le condizioni dei meno abbienti.
Per quanto riguarda l’Europa, la privacy comincia ad assumere
il significato moderno di diritto fondamentale della persona umana
già alla fine del '700: la prima autorevole e netta affermazione di
questo diritto individuale avviene nel 1766 durante una seduta del
Parlamento Inglese, vertente sull'uso delle garanzie, nella quale Lord
2
Le prime esegesi, di stampo statunitense, parlano di right to be let alone. Cfr.
A.M. Bendich, Privacy, Poverty and the Constitution, Report for the Conference
on the Law of the Poor, University of California at Berkeley, 1966
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Chatham dichiara ‘il più povero degli uomini può, nella sua casetta
lanciare una sfida opponendosi a tutte le forze della corona. La
casetta può essere fragile, il suo tetto può essere traballante, il vento
può soffiare da tutte le parti, la tempesta può entrare e la pioggia può
entrare, ma il re d'Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non
osano attraversare la soglia di tale casetta in rovina’
3
. Il diritto alla
privacy è quindi sentito come diritto dell'individuo di essere lasciato
solo, di determinare in che misura egli desidera condividere parte di
sé con gli altri, e di determinare il suo controllo sul tempo, sul luogo e
sulle circostanze debite per comunicare con gli altri; ed è anche il
diritto di controllare la diffusione dell'informazione circa se stesso
4
.
Ma l'uomo ha anche un aspetto sociale che lo porta a vivere in
una comunità composta da altri ed ha dunque il bisogno e l’obbligo di
partecipare e comunicare. Quando ciò si coniuga con il potere
riconosciuto dello Stato di agire per il bene pubblico, diventano molte
le ragioni a favore della preoccupazione circa le invasioni e le
intrusioni nella sfera individuale dell’individuo.
In Italia l'attenzione pubblica sulla privacy nasce
tardivamente. Fino a tempi recenti la cultura italiana non coglie il
senso e l’estrema importanza di una tutela della dimensione privata e
dei risvolti a cui essa potrebbe portare. Alla fine degli anni '50 molti
tra gli addetti ai lavori consideravano la tutela della riservatezza un
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Citato in: Arrest without a Warrant, Horace L. Wilgus, in Michigan Law Review,
vol 22, n. 8 (giugno 1924), p. 798-822.
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problema ormai obsoleto, un valore borghese non più attuale, riflesso
della più vecchia logica accademica. Negli anni '60, però, i nostri
giuristi cominciano a discutere su dove collocare la tutela della
riservatezza, se nell'ambito più generale del diritto della personalità o
dargli una rilevanza sua propria; ma è nel 1970 che il diritto alla
privacy trova il suo primo riconoscimento legislativo nello Statuto dei
Lavoratori
5
. E salta all’occhio una particolarità: un valore
privilegiante e storicamente borghese che riceve la legittimazione di
diritto autonomo e fondamentale da una legge rivolta ai lavoratori. È
quel momento che si scopre una nuova consapevolezza del rischio del
uso delle informazioni personali come strumento di discriminazione
politica dei lavoratori.
Nello stesso periodo si pone il problema di riconoscere,
possibilmente con il tramite di una legge, un diritto di proprietà sulle
informazioni personali; secondo alcuni il diritto di privacy sarebbe
anche una conseguenza del diritto di proprietà per il quale
pretendere il controllo sulle proprie informazioni perché le si
considera come propria proprietà. Forse non si può escludere che
l'origine del diritto di privacy sia legata al diritto di proprietà, ma oggi
sembra ormai acquisito che la privacy concretizzi una caratteristica
connessa alla dignità della persona: per potere vivere con dignità e
4
Adam Carlyle Breckenridge, The right to privacy, University of Nebraska Press
Lincoln, 1971
5
Legge 300/1970, art.8: ‘al datore di lavoro ai fini dell'assunzione, come nel corso
dello svolgimento del rapporto di lavoro. È fatto divieto di effettuare indagini,
anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali dei lavoratori,