5
Introduzione
“Oggi la “Terza Pagina” è una istituzione: i lettori
l'aspettano con desiderio ogni giorno; per molti di essi, è
la più gradevole. Avuta l'idea chiamai a raccolta scrittori
piacevoli, agili, brillanti, e altri severi, chiusi nella loro
dottrina: stimolai storici filosofi e scienziati ad uscire
dalle ombre universitarie ed accademiche, a partecipare
alla vita squillante di un giornale moderno, che ambiva
diventare strumento di elevate competizioni anche
erudite. Alla mia esortazione, che parve poco meno che
temeraria, repugnarono da principio i togati scrittori
stretti alle loro severe e pacate consuetudini e adusati a
collaborare solamente in autorevoli Riviste, come la
“Nuova Antologia”, l' “Archivio storico italiano”, la
“Rassegna Nazionale”, la “Civiltà Cattolica”. Ma poi
arrivarono insperati consensi. Primo e volenteroso e
accolto con gioia, quello di Alessandro D'Ancona
dell'Ateneo e della Scuola Normale di Pisa”.
Con queste parole apparse sulla ―Nuova Antologia‖ del
novembre 1955, Alberto Bergamini, primo direttore del
―Giornale d‘Italia‖, descrive la Terza pagina, lo spazio
culturale da lui ideato che ha visto la luce l‘11 dicembre
del 1901 nella pagina numero tre del suo quotidiano.
Un‘intuizione felice che ha dato vita a un vero e proprio
simbolo del giornalismo italiano.
Per molto tempo l‘informazione culturale è vissuta e si è
rispecchiata nella Terza pagina. Questo spazio ha
ospitato le più belle righe di scrittori e critici, impegnati a
scrivere pezzi ineccepibili dal punto di vista della forma,
tanto da conferire alla pagina culturale l‘appellativo di
―palestra del bello scrivere‖. Ma oggi, dov‘è finita la
Terza? I grandi cambiamenti che l‘hanno investita,
hanno causato la sua frantumazione e lo spostamento
6
delle tematiche culturali nelle varie parti del corpo del
giornale, con il conseguente dissolversi dello spazio
tradizionalmente deputato a trattare di libri e scienza.
Ma non solo. Da un lato sono nati numerosi supplementi
ad hoc e dall‘altro il modo di affrontare la cultura nei
quotidiani si è modificato anche dal punto di vista
contenutistico e lo spettacolo nelle sue varie forme ha
trovato una nuova configurazione proprio nella pagina
culturale. Cinema e televisione, in primis, irrompono
sempre più spesso oltre le forti mura delle ―torri
d‘avorio‖.
Cos‘è dunque il giornalismo culturale oggi e cosa fa
notizia in questo settore? Ovviamente la questione ci
rinvierebbe alla spinosa e complessa necessità di
definire il termine cultura, che per ovvi motivi non potrà
essere affrontato in questa sede. E‘ noto, infatti, che il
dibattito sull‘argomento è ancora molto acceso e di
difficile definizione specie se coniugato con altri lemmi
come natura, storia, linguaggio, arte, artefatto, ecc.
Considerati questi cambiamenti strutturali e
contenutistici, abbiamo ritenuto interessante prendere in
esame anche i mutamenti che hanno investito le pagine
culturali a livello linguistico. Si tratta di quello che Tullio
De Mauro ha definito ―terzapaginese‖, sottolineando
come la lingua dei giornali non sia caratterizzata da
omogeneità, ma si diversifichi a seconda dei generi e dei
settori giornalistici per cui si scrive. In particolar modo, il
nostro studio si è concentrato sulle pagine culturali del
quotidiano più letto nel nostro Paese, il ―Corriere della
Sera‖.
Nel primo capitolo di questo lavoro, allora, si ripercorre
brevemente la storia del ―Corriere‖, in relazione agli
eventi più importanti che hanno caratterizzato quella del
nostro Paese.
7
Il secondo capitolo tratteggia, invece, le linee principali
della storia della Terza pagina, concentrandosi
sull‘importanza e le caratteristiche che essa ha assunto
nel corso del tempo e, soprattutto, nel quotidiano oggetto
di questo studio.
Il terzo capitolo è dedicato alle peculiarità del linguaggio
giornalistico e, in particolar modo, a quelle del
terzapaginese, mentre quello successivo delinea la base
metodologica su cui si fonda questo lavoro, le ipotesi
che nel corso della ricerca si è tentato di dimostrare ed il
corpus utilizzato.
Negli ultimi due capitoli, infine, si è proceduto all‘analisi
linguistica, che è stata svolta tenendo d‘occhio in
particolare alcuni tratti marcati sul piano diamesico e su
quello diafasico.
9
Capitolo 1
Il “Corriere della sera”:
un breve excursus storico
1.1 Nascita e primi anni del “Corriere della
Sera”
1
Il ―Corriere della Sera‖ fu fondato a
Milano il 5 marzo 1876 da Pio
Morbio, Riccardo Bonetti ed
Eugenio Torelli Viollier, primo
direttore. La redazione inizialmente
era composta da tre redattori, un
impiegato e un fattorino, e si trovava
al numero 77 della Galleria Vittorio
Emanuele, nel cuore di Milano. Il
giornale presentava un
orientamento liberale moderato, che
rispondeva perfettamente alle
1
Questa breve ricostruzione della storia del “Corriere della Sera” è
una mia rielaborazione delle numerose pubblicazioni esistenti a
riguardo, tra cui Bettiza, 1999; Capecchi, Livolsi, 1971; Castronovo,
1973; Farinelli, 1997; Moroni, 2005; Murialdi, 1996; Licata, 1976.
In particolar modo ho cercato di sottolineare gli aspetti che hanno
favorito e caratterizzato lo sviluppo della Terza pagina nel giornale.
E. Torelli-Viollier
10
esigenze della borghesia impren-ditoriale lombarda, che
lo finanziava. Lo scopo di Torelli-Viollier era, infatti,
quello di creare un foglio che fosse la versione di destra
del Secolo
2
, il quotidiano milanese di matrice
progressista nato il 5 maggio del 1866 e diretto da
Edoardo Sonzogno.
L‘avvio del ―Corriere‖ fu molto difficile: le 3000 copie
iniziali crescevano molto lentamente ed il confronto con
‖Il Secolo‖, con le sue 40000 copie, era impossibile. Nei
primi cinque anni di vita, il nuovo giornale rischiò di
chiudere più volte.
Nel 1882 il ―Corriere della Sera‖ cominciò ad uscire da
questa situazione di precarietà: dal 19 gennaio iniziò,
infatti, la pubblicazione di numeri a sei pagine. La
decisione del cotoniere Benigno Crespi, nel 1885, di
entrare in società con Torelli-Viollier rappresentò la
svolta decisiva: il suo investimento iniziale permise di
fare uscire il giornale in tre edizioni
3
e di aumentare il
numero dei componenti della redazione.
Nel 1895 subentrarono due nuovi soci: gli industriali
Ernesto De Angeli e G.B. Pirelli. Torelli-Viollier, cedute le
sue quote poiché indebitato per la costruzione di un
palazzo, si trovò in minoranza e senza più voce in
capitolo.
Nel 1898 il primo direttore del ‖Corriere‖, fu costretto a
lasciare l‘ incarico nelle mani di Domenico Oliva, per
imposizione dei conservatori lombardi.
2
Nasi, 1966, 125.
3
Mattina, pomeriggio e sera, contro la sola pomeridiana.
11
1.2 L’arrivo di Albertini e i primi anni della sua
direzione
Nei primi mesi del 1900 un‘altra importante personalità si
affacciò, però, tra le file del ―Corriere della Sera‖, quella
di Luigi Albertini, nominato segretario di redazione e,
dopo la morte di Torelli-Viollier, gerente del giornale.
Grazie a lui l‘assetto del quotidiano subì importanti
trasformazioni: il 17 maggio 1900, giunta la notizia dello
scioglimento delle Camere, pubblicò un proprio articolo
che criticava duramente l‘operato del governo Pelloux, al
posto del pezzo scritto da Oliva, che, al contrario,
sosteneva il presidente del Consiglio e il suo lavoro. Il
direttore, sbigottito, lasciò la guida del giornale, che
passò allo stesso Albertini, il quale la conservò per
ventuno anni, dall‘estate del 1900 all'autunno del 1921.
Motore dell‘economia del Paese era la
borghesia, in particolare quella
lombarda, ed il nuovo direttore ne era
espressione: era dunque naturale per
lui fare del ―Corriere‖ l‘organo di quel
ceto sociale, impegnato in aspre
battaglie perchè la politica procedesse
sulla strada della tradizione
conservatrice. La sua posizione era
dunque avversa alla politica di Giovanni Giolitti che,
salito alla guida del governo nel 1903, intendeva portare
avanti una linea liberal-progressista. Sotto la direzione di
Albertini, il ―Corriere‖ divenne quindi l‘organo principale
dell‘opposizione liberal-conservatrice.
L. Albertini
12
Il nuovo direttore potenziò le strutture finanziarie
4
ed
editoriali del quotidiano, con iniziative a larghissima
diffusione come il settimanale illustrato ―La Domenica del
Corriere‖ e i nuovi supplementi: ‖La lettura‖(1901), diretto
da Giuseppe Giocosa, suocero di Albertini, e ―Il
Romanzo Mensile‖(1903). Con queste nuove
pubblicazioni si rispondeva ai desideri della piccola
borghesia, mentre ―La Domenica del Corriere‖ ampliava
il numero dei suoi destinatari, rivolgendosi anche a strati
sociali diversi, come quelli
degli artigiani, degli operai e
perfino dei contadini.
Nel 1904 fu inoltre completata
la nuova (e ormai storica)
sede di via Solferino.
Altra novità di cui Albertini
seppe cogliere la portata, fu
quella della fotografia.
Comprese, infatti, che l‘ausilio
dell‘immagine poteva rendere
più piacevole e meno
faticosa la lettura delle pagine,
consuetamente dominate dal
solo testo. In breve tempo,
quindi, il ‖Corriere‖ divenne il
giornale più accurato d‘Italia: la pubblicazione delle
fotografie
5
, l'organizzazione in sei colonne, il lento
passaggio dai sei agli otto fogli, resero l‘impaginazione
più vivace rispetto a quella del secolo precedente,
mantenendola in ogni caso elegante ed austera.
4
Eliminando i soci minori fino a rimanerne, nel 1920, unico
comproprietario insieme ai Crespi.
5
Utilizzate dapprima timidamente e, dal 1905, con maggiore
frequenza.
“La Domenica del Corriere”,
settimanale illustrato del
“Corriere della Sera”
13
All‘aumento del prestigio corrispondeva quello delle
vendite. La prima edizione, quella del mattino, cominciò
ad essere richiesta anche nelle città dell‘Italia
meridionale, dove veniva distribuita nella tarda serata o il
mattino successivo. Durante il 1904 Albertini potè
intimare a Romussi, direttore del ‖Secolo‖, di togliere dai
manifesti e dalle locandine la dicitura ‖il più diffuso
quotidiano d‘Italia": il sorpasso nelle vendite era
avvenuto, il giornalismo italiano aveva un nuovo capofila.
In quegli anni, inoltre, si sviluppò anche ―La Stampa‖ di
Alfredo Frassati, che divenne il nuovo rivale del ‖Corriere
della Sera‖: si trattava di una rivalità politica e di una
concorrenza per il prestigio non legata alla diffusione
poiché, quando il giornale torinese toccò le 100 mila
copie nel corso del periodo giolittiano, quello di Milano
era già a 300 mila.
Dal 1907, Albertini si fece affiancare nella linea culturale
e letteraria da personaggi come Gabriele D‘Annunzio,
Ugo Ojetti e, in seguito, Luigi Pirandello. La parte
culturale acquisì nel tempo sempre maggior peso e
questa accentuazione letteraria si istituzionalizzò nella
terza pagina, che nacque da un‘idea e una scelta di
Bergamini, direttore del ―Giornale d‘Italia‖: riunire in uno
stesso spazio gli articoli di argomento culturale
6
.
La terza pagina del ―Corriere della Sera‖ divenne la più
famosa ed ambita, e nel corso degli anni le firme più
note furono quelle di Federico De Roberto, Luigi
Capuana, Giovanni Verga, Ada Negri, Grazia Deledda,
Marco Praga ed Enrico Corradini.
Albertini fece del ―Corriere" il quotidiano più venduto in
Italia, dimostrando doti notevoli da imprenditore
editoriale.
6
cfr. cap.2.
14
1.3 Il “Corriere della Sera”durante la Prima
guerra mondiale
Come la maggior parte del Paese, Albertini si dimostrò
favorevole all'intervento nel primo conflitto mondiale. In
questa direzione lo spinsero due fattori: l‘avversione per
Giolitti, totalmente contrario alla guerra, e l‘eccessivo
ottimismo nelle capacità belliche e militari dell‘Italia.
Quando nella primavera del 1915 l‘entrata in guerra del
nostro paese era ormai imminente, il ―Corriere‖, capace
di influenzare medi e piccoli quotidiani, cominciò ad
intensificare il suo linguaggio, rendendolo sempre più
duro e deciso nella direzione dell‘interventismo. L'Italia
entrò nel conflitto nel maggio del 1915, ma già da marzo
il governo approntò le misure per controllare la stampa
nel periodo bellico. Con un decreto reale, infatti, si
impose ai giornali il divieto di pubblicare notizie sui feriti,
i morti, i prigionieri e di fare previsioni sulle operazioni
militari, mentre i giornalisti dovevano informare
mantenendosi strettamente ai contenuti dei comunicati
ufficiali. Il comandante in capo Luigi Cadorna, infatti, non
aveva simpatia per la stampa e ordinò ai corrispondenti
di guerra di non entrare nella zona delle operazioni,
minacciando la loro espulsione. Solo quando il conflitto
si dimostrò più lungo e sanguinoso del previsto, i
Comandi compresero l‘importanza della presenza della
stampa nel fronte interno e nelle trincee. L‘informazione
di questo periodo era molto cauta e aveva lo scopo di
tranquillizzare i familiari dei combattenti, mantenendo un
permanente ottimismo riguardo alle operazioni. I
15
corrispondenti di guerra più noti del ―Corriere‖ furono
Barzini, Civinini e Fraccaroli
7
.
Il grande entusiasmo del ―Corriere‖ per l‘ingresso
dell‘Italia in guerra fu smorzato dalle prime notizie
dell‘attacco austriaco e tedesco a Caporetto: la disfatta
che i nostri combattenti subirono in quell‘occasione
spinse i quotidiani a preoccuparsi di tranquillizzare
l‘opinione pubblica.
Con la sostituzione di Cadorna con Armando Diaz,
cambiò anche il modo di considerare il ruolo della
stampa e della propaganda. Il nuovo comandante invitò i
giornalisti ad abbandonare i toni retorici e solenni, e a
questo proposito la direzione del ―Corriere‖ richiese ai
propri inviati di abbandonare l‘entusiasmo di un tempo
per fornire cronache fredde sugli eventi bellici.
Il primo conflitto mondiale incise profondamente sugli
assetti proprietari di molte testate, a causa delle
restrizioni belliche legate alla censura e all‘aumento dei
costi di produzione, soprattutto per la carta, impedendo
l‘allargamento del mercato editoriale. Nel dopoguerra il
―Corriere della Sera‖ si dimostrò una delle poche
aziende in grado di conservare una situazione solida. Il
quotidiano diretto da Albertini, infatti, tra il periodo bellico
e post-bellico, superò il mezzo milione di copie.
1.4 L’avvento di Mussolini
Il fatale errore politico del direttore del quotidiano
milanese fu quello sul fascismo: lo considerò un
fenomeno passeggero e facilmente imbrigliabile, uno
strumento necessario per riportare l‘ordine e la disciplina
7
Murialdi, 1996, 118-119.
16
caratteristici dello Stato liberale in un‘Italia percorsa dalla
quotidiana violenza sia rossa che nera.
Soltanto sul finire dell‘estate del 1922 i grandi quotidiani
di informazione che si erano mostrati condiscendenti
verso il fascismo, avvertirono che ormai il potere era
nelle mani di Mussolini e non dei gruppi liberal-
conservatori. Anche gli Albertini si resero conto che la
situazione stava precipitando.
Il 27 ottobre del 1922, con la Marcia su Roma, Mussolini
diede vita a una mobilitazione generale di tutte le forze
fasciste, con l‘obiettivo di conquistare il potere centrale.
In quell‘occasione intimò ai giornali di opposizione di non
uscire ed i fogli che non rispettarono quest‘ ordine furono
assaliti dalle squadre. Il ―Corriere della Sera‖ il 29 ottobre
non uscì. Riapparse il giorno seguente senza commenti,
ma soltanto con una breve nota dove si spiegava: ‖nelle
attuali condizioni di violenza il giornale non è libero di
esporre un pensiero non mutilato‖
8
. Il 30 ottobre Vittorio
Emanuele III affidò a Mussolini la formazione di un
nuovo governo.
Nel corso del 1923 ripresero le violenze da parte delle
squadre fasciste contro tutti i giornali di opposizione. Un
serio pericolo per la libertà di stampa fu il decreto regio
annunciato dal governo il 12 luglio che non entrò subito
in vigore, ma del quale Mussolini decise di ritardare
l‘attuazione per utilizzarlo come minaccia incombente
contro direttori e editori non allineati al pensiero fascista.
Questo decreto prescriveva che il gerente di un qualsiasi
giornale dovesse essere il direttore o uno dei principali
redattori e dava ai prefetti il potere di diffidarlo
9
. In
questo modo, i rappresentanti del governo nelle province
8
Murialdi, 1996, 131-132.
9
Murialdi, 1996, 131-132.
17
avrebbero potuto facilmente sopprimere giornali di
opposizione o critici nei confronti del fascismo.
Il capo dell‘esecutivo utilizzò anche altri mezzi per
asservire la stampa: sequestri, boicottaggi, aggressioni
ed intimazioni, interventi nelle aziende giornalistiche in
crisi con conseguenti cambiamenti di direzione,
potenziamento della stampa fascista.
In questa situazione esplose il caso Matteotti
10
, che
portò grandi cambiamenti negli ambienti del ―Corriere‖:
unanime fu la condanna dell‘assassinio del segretario
del partito socialista unitario e il riconoscimento del
crimine maturato nel movimento fascista. I giornali
liberali, guidati dal ―Corriere della Sera‖ e da ―La
Stampa‖, già dal 1923 avevano iniziato a denunciare le
contraddizioni interne del fascismo. La critica verso le
decisioni di Mussolini si inasprì sempre di più, nel
tentativo di richiamare l‘importanza della monarchia
come garante dello Statuto. Il capo del governo decise di
reagire alle accuse del ‖quarto potere‖, dando corso al
decreto regio del 1923 che aveva tenuto in sospeso,
aggravandone le modalità di esecuzione e prevedendo
non solo la diffida del gerente, ma il sequestro del
giornale.
1.5 Il “Corriere della Sera” e il regime fascista
10
Il deputato Giacomo Matteotti fu rapito a Roma il 10 giugno del
1924 da un gruppo di squadristi che, dopo averlo ucciso a pugnalate,
lo abbandonò nella macchia della Quartarella, a 25 km da Roma. La
causa dell’assassinio fu il discorso che Matteotti aveva pronunciato
alla Camera dieci giorni prima: una durissima requisitoria contro il
fascismo, attraverso la quale aveva denunciato le violenze messe in
atto dalle squadre fasciste.
18
Nel discorso del 3 gennaio 1925 Mussolini annunciò
l‘instaurazione della dittatura.
La sua preoccupazione era di mettere a tacere il
―Corriere della Sera‖, che aveva una grande influenza
sulla borghesia: minacce e sequestri si intensificarono e
portarono, nel luglio del 1925, alla
diffida prefettizia del gerente
responsabile, Alberto Albertini, che
aveva presto il posto del fratello Luigi
nel 1921. L‘allontanamento degli
Albertini dalla direzione coincise con la
loro estromissione dalla proprietà, che
rimase concentrata nelle mani della
famiglia Crespi.
Dal 1926 al 1929, tre giornalisti si susseguirono alla
direzione del giornale
11
. Il primo fu Pietro Croci, indicato
ai Crespi dallo stesso Albertini, che ricoprì il ruolo solo
per pochi mesi. Gli successe Ugo Ojetti, scelto da
Mussolini per la fedeltà mostrata al fascismo, ma che
comunque scelse di non attuare una fascistizzazione
brusca e traumatica delle pagine del ―Corriere‖. Questa
scelta fece sì che il quotidiano milanese, nonostante
l‘instaurazione del regime e la direzione del giornale
affidata a uomini che lo appoggiavano, non perdesse
copie
12
.
Ottenuta una, seppur cauta, apertura alla dittatura,
Mussolini affidò la direzione del quotidiano a Maffio
Maffi, che aveva lavorato nel suo ufficio stampa e che
rimase alla guida del quotidiano solo fino al 1929. In
quell‘anno venne infatti sostituito da Aldo Borelli, che
rispose positivamente al compito affidatogli: fascistizzare
profondamente il ―Corriere‖ e migliorarlo tecnicamente,
11
Murialdi, 1996, 142.
12
Nel 1926 si registrò una tiratura media di 440.500 copie e un
aumento degli abbonati.
U. Ojetti
19
mantenendone le caratteristiche che lo avevano reso il
quotidiano più venduto nel capoluogo lombardo.
L‘attenzione maggiore fu riservata alla qualità delle
corrispondenze dall‘estero e delle collaborazioni per la
terza pagina, che vantava nomi come Corrado Alvaro,
Benedetto Croce, Massimo Bontempelli, Luigi Pirandello.
Nel giugno del 1940, con l‘ingresso dell‘Italia in guerra, i
capi del fascismo spinsero perché la stampa
intensificasse la campagna sull‘importanza dell‘inter-
vento, minimizzando gli aspetti negativi e sottolineando
quelli positivi riguardo alla partecipazione italiana al
conflitto. Ma le previsioni del duce non si realizzarono: la
guerra non fu né breve né vittoriosa. Le sconfitte italiane,
ed in particolar modo la conquista alleata dell‘isola di
Pantelleria, generarono un malcontento diffuso: per il
regime fu il colpo di grazia. L‘ 8 settembre 1943
Mussolini si dimise e il re incaricò Badoglio di formare il
nuovo governo. Il primo ministro mise in atto misure
severe contro la stampa, per impedire che i giornali
appoggiassero le richieste di pace e le forze antifasciste.
1.6 Il “Nuovo Corriere della Sera”
Nell‘ottobre del 1943, dopo le brevissime direzioni di
Ettore Janni e Filippo Sacchi, la guida del ―Corriere‖
passò ad Ermanno Amicucci. La sua candidatura era
stata varata dal governo fascista, che tentava un ritorno
al potere: scopo del duce era creare, nell‘Italia occupata
dai nazisti, uno stato fascista, la Repubblica Sociale
Italiana, con capitale a Salò, sul lago di Garda. Mussolini
sapeva inoltre che per recuperare la popolarità di un
tempo era necessario servirsi della carta stampata e per
questo pose alla direzione dei giornali più importanti, e
quindi anche del ―Corriere‖, persone fidate. Amicucci,