2
vittime causate dagli attentati in New York, Madrid, Bali, Bagdad, Nairobi o Buenos
Aires, solo per menzionare alcuni eclatanti atti terroristici degli ultimi tempi, rimane
sempre un unico bersaglio: il diritto di ogni essere umano di vivere senza terrore.
Fenomeno complesso e variegato, il terrorismo può essere analizzato in
un’infinità di modi diversi. Intanto va detto subito che l’oggetto di studio di questa
indagine sarà il terrorismo di carattere internazionale. Si vedrà come la nozione di
“terrorismo internazionale” non sia immediatamente deducibile per il solo fatto di
coinvolgere più di un paese. Ugualmente critico sarà determinare cosa s’intende per
terrorismo e le differenze con altre forme di violenza o terrore politico. Per la verità,
buona parte di questo lavoro si concentrerà nel chiarire taluni concetti fondamentali per
risolvere il quesito proposto, vale a dire stabilire se atti terroristici – come quelli dell’11
settembre 2001 – possano essere considerati come dei crimini internazionali.
Occorrerà precisare, pertanto, cosa s’intenda per crimine internazionale e le sue
differenze con alcuni reati di rilevanza internazionale. La distinzione tra i crimini
internazionali e i delitti transfrontalieri non è puramente semantica, ma ha importanza a
livello delle conseguenze giuridiche che si desumono a seconda della categoria
d’appartenenza. Ad esempio, il principio di giurisdizione universale per i crimini
internazionali scatta (almeno secondo la dottrina dominante) senza necessità di clausola
pattizia, come accade invece nei casi di reati transnazionali dove l’espressa inclusione di
una clausola che permette di esplicitare la propria giurisdizione, dato determinati
presupposti, è spesso lo scopo delle convenzioni repressive.
Si è ritenuto appropriato inserire una sintesi storica del terrorismo per
evidenziare la sua continuità nel tempo, ma anche per far notare gli elementi di
specificità del fenomeno ai nostri giorni.
Per ragioni di brevità e compattezza proprie di questo elaborato, non è possibile
analizzare tutte le questioni che si pongono sul piano del diritto internazionale in
relazione col terrorismo. Per questo motivo si è evitato di dilungarsi sul problema della
sua definizione giuridica, scegliendo invece una definizione “funzionale” solo ai fini di
questa ricerca. Ciononostante, si è ritenuto importante soffermarsi su due punti che in
passato avevano creato non poche confusioni: da una parte l’opinione circa l’inesistenza
di una definizione di terrorismo e, dall’altra, parte la confusione concettuale fra
terrorismo ed altre forme di violenza armata (movimenti di liberazione nazionale,
ribelli, eccetera).
3
Le stesse ragioni di brevità impongono che lo studio delle convenzioni sulle
attività terroristiche sia limitato solo agli accordi di portata universale. L’intenzione è
mettere in risalto come l’ONU si è vista costretta ad operare una strategia “settoriale” e
disorganica man mano che sentiva il bisogno di contrastare certe manifestazioni del
terrorismo internazionale.
L’inclusione nel capitolo iniziale di due brevi paragrafi sull’opinione della
dottrina internazionale in questa materia risponde a esigenze metodologiche. Infatti,
sintetizzare tutto il pensiero degli autori sul terrorismo richiederebbe un lavoro ben più
lungo della presente indagine. Conseguentemente, si cercherà di ricostituire soltanto la
posizione della dottrina riguardo alla domanda di base, vale a dire determinare se i
giuristi ritengono (o abbiano ritenuto) il terrorismo come una categoria di crimine
internazionale e come queste posizioni siano state confermate (o modificate) in seguito
agli eventi dell’11 settembre.
Determinare un eventuale cambiamento su questo punto, ora centrato sulla prassi
degli stati, sarà il filo conduttore del secondo capitolo. Un’analisi particolareggiata su
ogni singolo paese sarebbe un’impresa immensa. Perciò si è preferito uno studio
centrato sulle organizzazioni regionali, senza mancare di effettuare qualche incursione
in qualche realtà nazionale in modo da illustrare la coerenza o meno con altri Stati
correlati. Nella divisione per gruppi di stati si è utilizzato un criterio (del tutto
soggettivo) politico-istituzionale invece di uno strettamente geografico; questo perché si
parte della base che affinità giuridiche – quindi, anche posizioni comuni su determinati
istituti – siano riscontrabili in stati appartenenti a sistemi culturali simili.
Precederà questa parte l’analisi dell’attività del sistema delle Nazione Unite sul
terrorismo. Si preferisce l’uso del termine “sistema” perché non limitato al solo piano
normativo, ma anche qualunque dichiarazione unilaterale, presa di posizione congiunta,
documento ufficiale e così via, poiché in definitiva, il diritto consuetudinario
internazionale è anche (nel terrorismo soprattutto) una ricostruzione ex post in base ad
attività politica istituzionale e non puramente normativa.
Ancora una volta, gli eventi dell’11 settembre 2001 saranno il referente
cronologico da dove iniziare la ricerca. Si noterà subito che è impossibile prescindere da
qualche accenno storico (ma anche normativo) sul fenomeno del terrorismo in ogni
sistema regionale. Particolarmente interessante sarà l’analisi della posizione degli stati
musulmani per due evidenti motivi: prima di tutto perché gli Stati arabi si oppongono
pervicacemente all’inclusione delle attività dei c.d. fredom fighters nella nozione di
4
terrorismo; in secondo luogo, perché i gruppi terroristici più violenti d’oggi reclamano
una matrice islamica per giustificare le proprie esecrabili azioni.
L’ultima parte sarà dedicata ad una serie di considerazioni conclusive.
Consapevoli della sua rilevanza storica, gli eventi dell’11 settembre dovranno avere
anche delle conseguenze nel sistema normativo. Si cercherà di determinare in ché modo
tali avvenimenti siano stati decisivi per il diritto internazionale penale.
Inoltre, si è reputato doveroso risolvere alcune questioni che possono essere
sollevate riguardo alla sovrapposizione giuridica tra terrorismo e taluni crimini
internazionali, come ad esempio il crimine di guerra, il crimine contro l’umanità oppure
il genocidio. Rilevare i segni distintivi e gli elementi comuni tra terrorismo e questi
crimini potrà servire per rispondere, in ultima istanza, al quesito iniziale.
Data la formulazione del titolo di questa tesina, può sembrare scontato che, alla
domanda riguardo a se il terrorismo debba considerarsi un crimine internazionale dopo
l’11 settembre 2001 segua, necessariamente, una risposta affermativa. Come si vedrà a
continuazione, una risposta finale non potrà prescindere dell’evidenza empirica fornita
dalla dottrina e la prassi internazionale ma, soprattutto, non potrà ovviare il bisogno di
una condanna definitiva da parte della comunità universale di atti che oltraggiano la
coscienza universale.
5
CAPITOLO I
CONCETTI PRELIMINARI
1. Crimini internazionali, delitti transfrontalieri e crimini di Stati
Durante il ventesimo secolo il diritto internazionale ha conosciuto – come tutte
le discipline scientifiche - un notevole sviluppo. In tale senso, una delle sue maggiori
trasformazioni è stato il consolidamento della soggettività internazionale
dell’individuo
1
. L’individuo, come soggetto proprio dello jus gentium, ha avuto come
caposaldo essenziale la protezione della dignità umana, e vede la sua massima
espressione nella dottrina dei diritti umani e del diritto umanitaro.
La teoria giuridica generale insegna che, di solito, ad ogni diritto corrisponde un
obbligo; nel caso delle regole riguardanti la tutela della persona umana, quest’obbligo si
traduce nel rispetto di certi standard minimi di garanzie, il cui contenuto dipenderà
dalla norma internazionale alla quale cerca di far riferimento
2
. La stessa teoria ritiene
che, per diversi imperativi d’indole giuridica e sociale (previsione normative penali ex
ante, supremazia dello jus punendi statale, protezione della collettività, prevenzione o
altri ancora)
3
, un’infrazione di certi obblighi dovrebbe comportare la responsabilità del
suo autore.
Per molto tempo si pensava che il diritto internazionale imponesse obblighi a
carico soltanto degli Stati: l’individuo non poteva essere punito per violazioni gravi di
obblighi derivati da norme internazionali. Seguendo questo ragionamento si arrivava al
paradosso di penalizzare (in accordo con le leggi nazionali) un semplice omicidio, ed
ammettere l’impunità dei responsabili per l’inizio di una guerra d’aggressione contro
uno stato neutrale, o per le deportazioni di massa d’intere popolazioni, per la riduzione
1
Vedi il pionieristico articolo di J. Spiropoulos, “L’individu et le droit international”, Recueil des Cours,
T. XXX, 1929-V, pp. 195 e ss. Fra gli autori moderni, inter alia, C. Tornaritis, “The Individual as a
Subject of International Law and International Criminal Responsability”; e P. Sinha, “The Position of the
Individual in an International Criminal Law”, in A Treatise on International Criminal Law, a cura di C.
Bassiouni e V. Nanda Vol. I, Springfield, Thomas, 1973, pp. 103-121, 122-143. Tuttavia, non tutti sono
d’accordo in questo punto: l’individuo sarebbe il diretto beneficiato (oggetto) ma non il destinatario delle
norme internazionali, cfr. H. Kelsen, General Theory of Law and State, Cambridge, 1945.
2
Così, ad esempio, il diritto alla vita è ritenuto condizione sine qua non per tutta la dottrina dei diritti
umani. Questo diritto non ha carattere assoluto in caso di conflitto armato; in questo caso il diritto
umanitario cerca , per lo più, di ‘umanizzare’ il corso delle ostilità; v. N. Ronzitti, Diritto Internazionale
dei Conflitti Armati, Torino, Giappichelli Editore, pp.139 ss.
3
Per un’analisi comparata dello jus punendi, v. K. Ambos, “On the rationale of punishment at the
domestic and international level”, in Le Droit Pénal à l’Epreuve de l’Internationalisation, a cura di M.
Henzelin e R. Roth, Genève, Georg, 2002, pp. 305-323.
6
in schiavitù e lo sterminio di tutta una nazione, tanto per citare solo alcuni degli eventi
storici che sconvolsero gran parte del secolo scorso
4
.
Tali infrazioni calpestavano non solo l’elementare diritto alla vita di milioni di
persone, ma valori considerati essenziali per la pace e la sicurezza di tutta la comunità
internazionale.
Fu solo con gli orrori commessi durante la Seconda Guerra Mondiale che la
comunità internazionale reagì per punire i responsabili di tali atrocità. Data la natura
stessa della società internazionale – priva di un’autorità centrale con potere punitivo - e
del diritto che la governa, per lo più basato su norme consuetudinarie, compete ai suoi
stessi membri identificare le regole che la disciplinano. Similmente, per quanto riguarda
la responsabilità individuale per infrazioni internazionali, è stato merito del Tribunale di
Norimberga, istituito dall’Accordo di Londra del 8 agosto 1945
5
, l’aver stabilito che
“[…] crimes against international law are committed by men, not by abstract
entities, and only by punishing individuals who commit such crimes can the
provisions of international law be enforced”
6
.
Nonostante le critiche avanzate ai processi dei “grandi criminali di guerra”
7
, per la
prima volta si affermavano una serie di principi giuridici (sostanziali e procedurali) che
avrebbero gettato le basi del diritto internazionale penale
8
. Tra questi principi spicca
quello dell’incriminazione individuale per certe categorie d’atti ritenuti, dalla comunità
internazionale nel suo insieme, veri crimini internazionali.
4
In realtà, alcuni tentativi per affermare la responsabilità individuale si ritrovano dopo la Prima Guerra
Mondiale, con l’intento di portare in giudizio l’imperatore tedesco Guglielmo II “pour offense suprême
contre la morale internationale et l’autorité sacrée des traités” e altre persone “accusés d’avoir commis
des actes contraires aux lois et coutumes de la guerre” [Trattato di Versailles, art. 227, 228], riportato da
S. Glaser, Droit international pénal conventionnel, Bruxelles, Bruylant, 1978, pp.18-19.
5
Il testo dell’Accordo e lo Statuto del Tribunale Militare Internazionale sono riprodotti in American
Journal of International Law (AJIL) n°39. Supplement of Official Documents. I principi che ne derivano
furono recepiti per una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazione Unite (G.A.) nel dicembre
1946, v. “Affirmation of the Principles of International Law Recognized by the Charter of the Nuremberg
Tribunal”, G.A. Res. 95, 1
st
Sess., Supp., Oct. 23-Dec. 15, 1946, at 188, U.N. Doc. A/236 (1946).
6
Sentenze riprodotte in AJIL n°41, pp. 172-221.
7
A sessanta anni delle sentenze dei Tribunali Militari di Norimberga e Tokyo, sembra ancora
sconcertante rendersi conto dell’enorme lavoro intellettuale impegnato nelle critiche, di tipo garantistiche
e procedurale vis-à-vis la difesa –volontaristica e sostanziale- di un tribunale chiamato a giudicare una
ventina d’imputati per la morte di milioni di persone. Per l’analisi dei principi quali “nullum crimen sine
lege” e “nemo iudex in res sua”, cfr. S. Garibian, “Souveraineté et legalité en droit pénal international :
le concept de crime contre l’humanité dans le discours des juges à Nuremberg”, in Henzelin e Roth, op.
cit., pp. 29-45.
8
Per alcune definizioni v. A. Gil Gil, Derecho Penal Internacional, Madrid, Tecnos, 1999. Cfr. J. M. van
Bemmelen, “Reflections and Observations on International Criminal Law”, in Bassiouni e Nanda, op. cit.,
pp. 77-94 che riporta l’opinione di G. Schwarzenberger.
7
Per crimini internazionali si intendono reati particolarmente gravi e lesivi della
condizione umana da mettere a repentaglio le basi della convivenza tra le nazioni,
quindi, facendo scattare una serie di corollari giuridici
9
.
Il requisito di massima gravità - che può essere originato dalla crudeltà dei
metodi usati, dalla importanza dei valori (materiali ed immateriali) lesi
10
o dalla vastità
degli atti criminosi - è indispensabile perché scaturisca la consapevolezza di essere di
fronte ad un crimine. L’aggettivo “internazionale” si riferisce sia al carattere delle
norme infrante sia al soggetto offeso, ovverosia la comunità internazionale nella sua
generalità.
Solo al fine di delimitare la competenza ratione materiae del Tribunale di
Norimberga, l’articolo 6 del suo statuto istitutivo enunciava tre grandi classi di crimini:
crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità
11
.
Non c’è dubbio che altre fattispecie possono annoverarsi nella categoria di
crimina juris gentium, come dimostra la rubrica, già nel 1937, di una convenzione per
la prevenzione e repressione (per mezzo di un’apposita corte internazionale) delle
attività terroristiche
12
, l’adozione della Convenzione per la prevenzione e repressione
del crimine di genocidio
13
del 1948. Un altro esempio dello sforzo internazionale per
identificare (onde evitare) questi atti fu l’inclusione, inter alia, dell’aggressione nel
Progetto di Codice dei Crimini contro la Pace e la Sicurezza dell’Umanità proposto nel
1954 dalla Commissione di Diritto Internazionale delle Nazione Unite (ILC)
14
. Questa
commissione, sorta per mandato dell’ONU, ebbe proprio come compito iniziale il
9
V. A. Cassese, Diritto Internazionale, Vol. II Problemi della comunità internazionale, a cura di P.
Gaeta, Bologna, Il Mulino, pp. 145 e ss.
10
V. Glaser, op. cit. pp. 52-55.
11
Per l’analisi delle fattispecie si rimanda ai rispettivi paragrafi dei numerosi manuali in materia; v. tra gli
altri A. Cassese, International Criminal Law, OUP, Oxford, 2003; K. Kittichaisaree, International
Criminal Law, Oxford, Oxford University Press,2001; J. Poust et alii, International Criminal Law. Cases
and Materials, Durham, Carolina Academic Press, 1996; S. Glaser, op. cit.
12
« Convention de Genéve pour la prévention et la répression du terrorisme » ; e « Convention de Genéve
pour la création d’une Cour pénale internationale » del 16 novembre 1937 riprodotte in Glaser, Droit.. cit.
pp. 233-248. Queste convenzioni, sorte come risposta all’attentato del 9 ottobre 1934 contro il Re
Alessandro I di Yugoslavia e il ministro degli affari esteri francese Louis Barthou non furono mai
ratificate a causa della catastrofe mondiale iniziata pochi anni dopo. In ogni modo, come afferma Glaser
analizzando gli antecedenti storici e gli sviluppi successivi: “le terrorisme international passe néanmois
pour une infraction d’ordre international”, ibidem, p. 72.
13
Risoluzione 230 (III) della Assemblea Generale del 9 dicembre 1948; testo in United Nations Treaties
Series (UNTS) 78, 233: Art. 1 dichiara che “[… ]genocide, whether committed in time of peace or in time
of war, is a crime under international law”.
14
UN Doc. A/2693 (1954), riprodotto in Glaser, op. cit. p. 231. L’ “aggressione”, così come appariva nel
progetto, era una riformulazione del crimine contro la pace del “diritto di Norimberga” notevolmente
esteso ed articolato fino ad includere persino la “minaccia d’aggressione” [Art. 2 (2)]. Cfr.L. Sunga, The
Ermerging System of International Criminal Law. Developments in Codification and Implementation,
The Hague, Kluwer Law International, 1997 pp.59-63.