1
Introduzione
Con il presente studio si è voluta indagare la presenza di un motivo
iconografico che, nonostante la sua rarità, è carico di valenze simboliche e svolge
un ruolo importante nei contesti dove esso appare: la cavea cum ave inclusa. Il
limite geografico e cronologico è la Roma tra il XII e XIII secolo, momento in cui
questo tema figurativo conosce una straordinaria diffusione soprattutto all’interno di
programmi iconografici di estremo rilievo come quelle delle absidi delle basiliche
romane: San Clemente, Santa Maria in Trastevere, Santa Francesca Romana e San
Giovanni in Laterano.
Il presente lavoro è strutturato in tre capitoli. Nel primo ho avvertito l’esigenza
di delineare un percorso iconografico che inizia dall’ Antichità classica per
continuare poi nell’arte paleocristiana ed infine nella miniatura medioevale. Ciò è
stato possibile non solo attraverso l’analisi delle testimonianze artistiche a noi
pervenute, ma anche tramite le fonti letterarie, che spaziano dai testi dei filosofi
greci a quelli di autori romani, da quelli biblici a quelli dei Padri della Chiesa.
Nel secondo capitolo sono state schedate le chiese romane che a partire dal
XII secolo vedono rifiorire, nello splendore dei mosaici dei catini absidali, l’antico
motivo dell’uccello in gabbia; sono stati evidenziati, per ogni chiesa, anche gli
aspetti storici, archeologici ed artistici, per restringere poi il campo sul nostro
motivo iconografico. Nel terzo ed ultimo capitolo ho preso in considerazione la
presenza dell’uccello in gabbia in particolari contesti del XIII secolo, allargando il
campo della ricerca anche al Lazio con il mosaico del portico di Terracina. A fianco
a casi già analizzati da studi precedenti, come Terracina e il ciclo enciclopedico
dell’abbazia delle Tre Fontane, ho provato a proporre ipotesi interpretative per
quanto riguarda il soggetto negli affreschi dell’ Aula gotica ai Quattro Ss.Coronati e
quelli di un’ abitazione laica in un palazzo di piazza Lovatelli a Roma.
2
Con questo lavoro si è cercato quindi di fare una rassegna di tutti i casi
iconografici presenti nella nostra area d’interesse, raccogliendo gli studi fino ad ora
sparsi in articoli non sempre di facile accesso e ampliandoli con nuove intuizioni
rese possibili dal costante raffronto del motivo nei diversi ambiti in cui esso appare,
sia figurativi che letterari.
4
1.1 La cavea cum ave inclusa nelle fonti letterarie
Per capire il significato ‘intrinseco’
1
del nostro motivo, dobbiamo tenere presente le
condizioni storiche variabili nelle quali esso appare, comportando quindi un’analisi
attraverso una storia di sintomi culturali, di «valori simbolici», che presuppone il
vaglio dei documenti relazionati alla nostra ricerca: fonti che recano testimonianza
delle tendenze politiche, religiose, filosofiche e sociali
2
. Come vedremo, le nostre
fonti spaziano dalla filosofia dell’antica Grecia ai poemi di autori romani, dai testi
biblici al pensiero dei Padri della Chiesa, nelle quali è visibile un filo conduttore.
Nella letteratura medievale l’uccello in gabbia ha diversi significati simbolici
apparentemente contraddittori. Uno di questi è ereditato dal mondo classico dove
l’uccello era una frequente metafora dell’anima umana. Per gli stoici, ma soprattutto
per i neoplatonici, l’uccello rinchiuso in gabbia simboleggia la cattività dell’anima
nel corpo. Talvolta l’uccello in gabbia può avere delle interpretazioni positive
rispetto alla visione neoplatonica, ossia in cui la gabbia non è prigione bensì assolve
la funzione di protezione: un ambiente chiuso, sicuro, che protegge l’uccello-anima
dai pericoli esterni
3
. Stoici e neoplatonici considerano la gabbia come metafora
della vita umana sulla terra. Nel poema di Stazio (Silvae 2.4) la gabbia è la domus
del pappagallo di Atedio Meliore; Viene descritta come fosse un’elegante villa
romana, anche se pur sempre un carcere
4
, mentre il pappagallo «re degli uccelli»,
proprio per il suo essere ‘antropomorfo’ in quanto uccello parlante, assurge a
metafora dell’uomo, che viene compianto e lodato al momento della morte
5
. Per
1
Cfr.E. PANOFSKY, Studi di iconologia. I temi umanistici nell'arte del Rinascimento, (ed.or. 1939) Torino 1975, p. 7.
Panofsky, nel suo importante studio, nel marcare la differenza tra iconografia e iconologia, individua tre livelli di analisi:
dopo l’analisi preiconografica e iconografica, il terzo livello prende come oggetto d’interpretazione il «significato
intrinseco o contenuto» costituente il mondo dei «valori simbolici» .
2
Ibid. p. 19.
3
K.B. AAVITSLAND, Imagining the Human Condition in Medieval Rome: The Cistercian Fresco Cycle, Surrey-
Burlington 2012, pp. 271-272.
4
La gabbia viene definita «beatus carcer» in STAT., Silvae 2.4.14-15.
5
F.M.A. JONES, The Caged Bird in Roman Life and Poetry; Metaphor, Cognition, and Value, in Syllecta Classica
XXIV, Iowa City 2013, pp. 5-6 .
5
Plutarco, che prende come punto di partenza Fedro di Platone
6
, l’uccello in gabbia è
immagine dell’anima intrappolata nel corpo
7
.
Le elaborazioni neoplatoniche del corpo come carcere dell’anima, affrontate nell’
importante studio di Pierre Courcelle
8
, derivano dalla filosofia mistica dell’Orfismo
9
, da cui Platone ha sicuramente recepito il dualismo corpo-anima. La condanna
orfica del corpo è infatti attestata in un noto scritto platonico (Cratilo, 402 b) in cui
è stabilita l’equazione Corpo=Tomba (Soma σῷμα= Sèma σῆμα). Equazione però
che non è attribuita agli orfici, per i quali il corpo sarebbe non proprio una tomba,
ma un carcere che da ogni parte cinge l’anima e la tiene in custodia. In base a questa
e altre testimonianze platoniche, ciò che si condanna non è tanto il corpo, quanto la
caduta dell’anima in esso, il quale è dunque custodia (φρουρά) nel senso
ambivalente del termine
10
. Il desiderio di libertà del volatile riflette quindi quello
dell’anima di ritornare alle sue origini celesti, desiderio definitivamente soddisfatto
con la morte. Questo spiritualismo antico, platonico e neoplatonico, trovava terreno
fertile nell’ideale ascetico dei primi cristiani, dove la condizione terrena non può
che costituire una prigione per l’elevazione dell’anima
11
.
Nella tradizione giudaico-cristiana troviamo un’immagine simile, ad esempio nel
salmo 124 (123): 7: «Siamo stati liberati come un passero dal laccio dei cacciatori:
6
PLAT, Fedro 246c: le anime sono alate e quando perdono le loro ali cadono sulla terra entrando in un corpo.
7
PLUT, 608a-612a - Consolatio ad uxorem - Consolazione alla moglie [112], Moralia: « L’anima, essendo eterna, dopo
la morte è come un uccello in gabbia che si è liberato. Se questa è stata per lungo tempo nel corpo, ed è si è fatta
addomesticare da molte cose e abitudini, l’anima tornerà immediatamente in un altro corpo, e ancora una volta sarà
coinvolta nei problemi terreni. La cosa peggiore della vecchiaia è che la memoria dell’anima riguardo l’altro mondo si
offusca, mentre allo stesso tempo il suo attaccamento alle cose di questo mondo diviene così forte che l’anima tende a
rimanere nella forma che aveva nel corpo.»
8
P. COURCELLE, L' âme en cage estratto da Parusia : Studien zur Philosophie Platons und zur Problemgeschichte des
Platonismus : Festgabe für Johannes Hirschberger, Francoforte 1965, p.113.; vedi anche ID, Tradition platonicienne et
tradition chrétienne du corps-prison. in Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres,
109, n.2, 1965. pp. 341-343. <http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/crai_0065-
0536_1965_num_109_2_11873>
9
Cfr. R. TURCAN, L'âme-oiseau et l'eschatologie orphique in Revue de l'histoire des religions, vol. 155 n°1, 1959, pp.
33-40; Sulla filosofia orfica e pitagorica, G. REALE, Il Pensiero Antico, Milano 2001.
10
Dizionario di Filosofia, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, , Roma 1960- , in Orfismo.
11
G. PENCO, Il monachesimo medievale. Valori e modelli, Abbazia di Praglia 2008, già in Monasterium-carcer in Studia
monastica, VIII ,1966, p. 254.
6
il laccio si è spezzato e noi siamo scampati.» E ancora il corpo è un carcere
dell’anima nel salmo 143 (142): 8: «Fa’ uscire dal carcere la mia anima, perché io
renda grazie al tuo nome.»
Il neoplatonismo, tramite Porfirio, Proclo e Giamblico, influenzerà il pensiero dei
Padri della Chiesa. Sant’ Agostino compara l’anima con l’uccello in gabbia in
diverse occasioni. Sulla scia di Porfirio (Sententiae 28; Ad Gaurum II, 3, XIV, 4),
dichiarerà che l’anima è paragonabile ad un uccello in gabbia incapace di evadere
nell’aria, che dovrebbe essere il suo dominio. Nei Soliloquia afferma che l’uomo
rinchiuso nella gabbia del suo corpo, non può intravedere la luce celeste
12
.
Nella confutazione contro lo scetticismo, Contra academicos, Agostino usa questa
metafora per illustrare le due opposte disposizioni spirituali: le sorelle Filocalia e
Filosofia sono simboleggiate da due uccelli: il primo, l’amore per il bello, è
imprigionato in una gabbia e quindi privato del suo elemento, il cielo aperto
13
il
secondo, l’amore per la Saggezza vola invece libero, contemplando la Bellezza
intellegibile.
14
Nel De bono mortis sant’Ambrogio utilizza la metafora della cavea per dimostrare
che la morte è un bene in quanto, quando il corpo muore, l’anima si libera e vola
fuori dalla sua prigione, mentre in esso restano le passioni e i peccati «come un
animale selvaggio resta rinchiuso in gabbia»
15
. Il corpo è prigione in san Girolamo,
che scrive «quod in hoc corpore quasi in carcere sint animae religatae»
16
,
convinzione poi diffusasi tra i successivi padri della chiesa dell’alto medioevo,
come in Boezio
17
.
12
AGOSTINO, Soliloquia,I, 14, 24; O. SARTORI, Percorsi simbolici e iconografici di un'antica immagine: la cavea cum
ave inclusa del mosaico di Terracina, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti serie III
vol. LXXX. Anno Accademico 2007-2008, p. 437.
13
«visco libidinis detracta caelo suo et inclusa cavea» in AGOSTINO, Contra academicos, PL 32, p.922.
14
COURCELLE 1965, p. 113.
15
«quasi fera in cavea claudatur sepulchri» in AMBROGIO, De bono mortis IX,38, in CSEL, XXXII,I, p.735,18.
16
GIROLAMO, Contra Joannem Hierosol.,7, in PL 23, p.360.
17
Gregorio Penco segnala la ricerca sugli autori alto medievali che scrivono su questo ambito di P. DAUBERCIES, La
theologie de la condition charnelle chez les maitres du haut moyen age, in Rech. De theol. Anc. Et mediev. 30 (1963) 7-
8.
7
Proprio in quest’ultimo (Consolatio Philosophiae, III, 2, 18) si richiama
esplicitamene l’immagine dell’uccello chiuso in gabbia : «Ales caueae clauditur
antro […]./ si tamen arto saliens texto/ nemorum gratas uiderit umbras,/ sparsas
pedibus proterit escas […]/ repetunt proprios qua eque re cursus/ redituque suo
singula gaudent».
Nella letteratura come nell’iconografia medievale, dalla visione neoplatonica
dell’anima prigioniera del corpo, ne deriva una lettura, che, come abbiamo
accennato all’inizio, ha ora una valenza positiva: alla diabolica prigionia del mondo
si sostituisce un’incarcerazione spontanea, «interiore e spirituale»
18
: la gabbia
diviene simbolo del monastero. L’associazione della figura del monaco a quella del
volatile è un topos che troviamo in una vasta quantità di scritti medievali: entrambi
hanno scelto una vita nel regno dei cieli, piuttosto che una in terra, ed i primi
cantano nelle ore di preghiera, gli altri cantano liberi nel cielo. Filippo di Thaon
struttura il suo Bestiario in due parti, corrispondenti l’una ai quadrupedes, l’altra
agli aves. I quadrupedi sono associati a coloro che sono legati strettamente ai beni
materiali, mentre i volatili, sono le anime che ascendono tramite la contemplazione
verso il cielo
19
. Pier Damiani (1007-1072) nel De bono religiosi status, fa
riferimento al monastero come un aviarum volucrum, come un captabulum e un
gurgustium nei quali sono trattenuti gli aves e i pisces
20
: «La gioia del volatile
prigioniero è una felicità che deriva dall’impossibilità di essere a contatto delle cose
terrene: la gabbia indica l’allontanamento dai piaceri mondani che rende possibile la
salvezza dell’anima e nello stesso tempo offre protezioni da tentazioni esterne»
21
.
Il teologo belga Guglielmo di Saint Thierry (1075-1148) ipotizzando una presunta
parentela tra le parole ‘cella’ e ‘cielo’, vede la cella monastica non come carcere,
18
PENCO 2008, p. 255.
19
FILIPPO DI THAON, Bestiaire, ed. L. Morini, Bestiari medievali ,Torino 1996.
20
PIER DAMIANI, De bono religiosi status, PL. vol. 145, col. 766: «Claustrum itaque monasterii utrum gurgustium, sive
vivarium piscium solummodo, sicut dictum est: an etiam captabulum coelestium pecorum vel certe aviarum volucrum per
spiritalem intelligentiam rectium possumus appellare?»
21
M. MIHALY, Appunti sul tema della cavea cum ave inclusa in Arte d'Occidente - Temi e metodi. Studi in onore di
Angiola Maria Romanini, 3 voll., a cura di A. Cadei , Roma 1999, pp.891-899.
8
ma come luogo che «riscalda, nutre, abbraccia e conduce alla pienezza della
perfezione e rende degni del colloquio con Dio» e quindi «lo spirito che prega o
anche l’anima che esce dal corpo non trova lunga e difficile la via dalla cella al
cielo. Dalla cella infatti si sale sovente al cielo»
22
. Egli, parafrasando il testo
originale di Ambrogio nel De bono mortis esorta i certosini di Mont-Dieu a
cancellare i pensieri orgogliosi considerando che essi sono niente di più che belve in
gabbia
23
. Il concetto del monastero come carcer sottolinea la stabilità a cui sono
richiamati i monaci
24
che perseguono la contemplazione ascetica entrando nel
monastero «come in una prigione a cielo aperto»
25
. Il monaco benedettino Pietro di
Celle, come anche Guglielmo di Saint-Thierry, riteneva fermamente che il
monastero, per un uomo senza vocazione, rappresentasse una prigione senza luce,
una tomba soffocante
26
. Carcere claustrale che effettivamente poteva essere angusto
nello spazio a propria disposizione, se non tenebroso, ma la vita del monaco
nascosta nell’ombra era necessaria per il futuro splendore della celeste
Gerusalemme che lo attendeva: «Si carcer nos pro Deo tenebrosus recluda, sed
edificata auro vel gemmi set margaritis ornata aeterna nos Hierusalem expectat»
27
.
Il De Avibus scritto da Ugo di Fouilloy
28
, datato tra il 1122 e il 1125, è un’ intera
opera basata su questa metafora del clero paragonato ai volatili. Fu un’ opera che
ebbe un’ importante circolazione nel XII e XIII secolo, soprattutto in ambiente
22
GUGLIELMO DI SAINT THIERRY,Epist. Ad frates de Monte Dei, 12, ed.M.-M. Davy, in Etudes de philosophie
mèdièvale. XXIX, I; ed. trad. in italiano: Lettera d’oro a cura di C.Falchini in I Mistici, Milano 1997.
23
Ibid. «Feras uos potius indomita set incaueatas et bestias quae aliter et communi hominum more domari non poterant,
estimate et appellate»
24
La cella trattiene gli instabili ed è «claustrum veritur in ergastolum» per coloro che non sono fervidi, come leggiamo in
Aelredo di Rievaulx citato da M. Mihaly in appunti sul tema della cavea cum ave inclusa, p.894.
25
«Quod maius miraculum, quando tot iuvenes, tot adolescentes, tot nobiles, universi denique quos hic video, velut in
carcere aperto tenentur sine vinculis, solo Dei timore confixi?» : S.BERNARDO in Dedicazione ecclesiae, I, 2, in PL,183,
519C ; PENCO 2008, p. 260.
26
«Infernum sine consolazione, patibulum sine releuamine, carcerem sine lumine, sepultum sine respiramine», PIETRO
DI CELLE, De afflictione et lectione ed.J.LECLERQ, La spiritualité de Pierre de Celle, Paris 1946, p. 233.
27
Regula Magistri, 90, ed. VANDERHOVEN-MASAI, Bruxelles, 1953, pp. 295-296.
28
The Medieval book of birds: Hugh of Fouilloy's De avibus,ed. e trad. W.B.CLARK , New York, 1992. Ugo da Fouilloy,
che esercitò la funzione di priore dal 1152 al 1174, è autore anche dell’opera dal titolo significativo, in relazione alla
nostra ricerca, De claustro animae in PL. 176.
9
Cistercense, e che fu una fonte principale per i bestiari di quel periodo
29
. Troviamo
una descrizione di vari tipi di uccelli che personificano i diversi tipi di uomini
religiosi: ad esempio il falco viene paragonato al Paladino cristiano, mentre la
colomba rappresenta il monaco e il colombaio il coro monastico
30
. Se la colomba
indica quindi il monaco, il passero può indicare la condizione del laico secondo
l’isolata concezione cara a Gioacchino da Fiore (1130-1202): «in passere
designatur laicus, sive clericus qui laicaliter vivit, et in columba, ordo
conventualium»
31
. Come sottolinea nella sua indagine Kristin Aavitsland
32
, nella
retorica del mondo classico, tenere un uccello domestico era associato
metaforicamente con l’esercizio della memoria: diversi autori antichi comparano
una buona memoria con un aviarum o un colombarium: così come le immagini
mentali sono ben organizzate nella mente, gli uccelli nel colombaio sono ben
ordinati a seconda delle file dei loro nidi. Quest’associazione, continua la
Aavitsland (che cita in proposito lo studio di Mary J. Carruthers, The book of
memory: A study of memory in medieval culture, Cambridge,1990), deriva dal fatto
che gli autori latini utilizzavano la parola nidus per indicare anche gli scaffali delle
librerie, aventi delle file con gli spazi per le pergamene, simili quindi a quelli di un
colombaio. Ma nella cultura medievale monastica, dove i codici sostituiscono le
pergamene, il colombaio acquista un nuovo significato metaforico. La parola latina
cella, che indicava anche la gabbia dei volatili domestici, diviene, come abbiamo
visto, anche la cella del monaco, in modo che la gabbia con l’uccello diviene
riflesso della vita monastica. Tuttavia, la parola cella ha un terzo significato: deriva
da cellarium, che ha valore di magazzino o dispensa. In questa veste, la parola cella
ritorna ad essere utilizzata come immagine della memoria, come luogo dove è ben
29
In un bestiario del secondo quarto del XIII secolo, (764, Fol.51r, Bodleian Library, Oxford) vediamo un gatto che
minaccia un uccellino che si trova al sicuro nella sua gabbia. Vedi fig. 3 paragrafo 1.6.
30
AAVITSLAND 2012 , pp. 276-277.
31
GIOACCHINO DA FIORE, Super quatuor Evangelia, ed. E.BUONAIUTI, Fonti per la storia d’Italia, 67, Roma 1930,
pp.84-85.
32
AAVITSLAND 2012, pp. 282-283.