2
Per spiegare quest'ultima siamo così dovuti ricorrere alla tradizione americana,
avvalendoci anche della "teoria dei sistemi" per individuare un continuum fra le
due classi aziendali estreme che ci permettesse di collocare al suo interno
tutte le componenti del settore non profit: cooperative sociali, associazioni,
fondazioni e organizzazioni di volontariato.
Si tratta di organizzazioni che invece non riconoscono ancora (oppure solo di
recente hanno riconosciuto) la propria natura di aziende che operano combinando
risorse scarse per soddisfare una domanda di beni e servizi, e quindi non si
rendono del tutto conto che l'opportunità di sottrarsi (almeno parzialmente) ai
meccanismi di mercato non può giustificare un approccio gestionale che spesso si
dimostra insostenibile in un'ottica aziendale (specie durante il processo di
allocazione delle risorse).
La nostra indagine pertanto ha sottolineato particolarmente la responsabilità
che hanno tali organizzazioni sull'efficienza nell'utilizzo delle risorse (oltre
che la responsabilità sulla legalità delle risorse ricevute e utilizzate) a
dimostrare che le aziende non profit non sono estranee a qualsiasi logica di
efficienza e di economicità della gestione, ma che, al contrario, non si
sottraggono affatto ai principi e alle regole tipiche dell'azienda.
Infatti è soprattutto in relazione ai modi di utilizzo e di combinazione delle
risorse impiegate nell'erogazione di servizi che le aziende non profit
presentano innegabili aspetti di carattere economico-aziendale, e la prevalente
mancanza di un confronto con il mercato attraverso il meccanismo dello scambio
deve spingere tali organizzazioni a trovare altri meccanismi finalizzati a
mantener viva la tensione verso l'efficienza.
Anche se l'organizzazione non profit è azienda a tutti gli effetti, nella
considerazione degli aspetti economico-aziendali non si possono trasferire
acriticamente i contenuti mutuati dal settore profit-oriented. Bisognerà infatti
tener conto delle peculiarità delle aziende non profit e della conseguente
impossibilità di effettuare su di esse una meccanica applicazione di tali
contenuti.
Così, se le organizzazioni non profit sono aziende, anch'esse necessitano di un
sistema di documenti chiamato ad individuare gli specifici oggetti gestionali e
ad informare sugli stessi tutti i soggetti interni ed esterni interessati. Ma se
le organizzazioni non profit sono aziende particolari (in quanto perseguono
obiettivi diversi dalla massimizzazione del profitto), il principio della
coerenza fra obiettivi aziendali, sistema informativo e rendicontazione
contabile fa sì che esse abbiano bisogno di un sistema informativo e di una
rendicontazione diversa da un'azienda profit.
Pertanto il riferimento privilegiato della nostra analisi è stato
un'interpretazione-adattamento alle aziende non profit degli schemi dei circuiti
tipici delle aziende profit, sino ad arrivare all'elaborazione di una sistema di
rendicontazione e di comunicazione sull'attività gestionale, coerente con gli
obiettivi tipici e con gli scopi conoscitivi di un'azienda non profit.
A nostro avviso questo servirebbe a fornire una soddisfacente informazione sul
duplice aspetto economico-sociale della gestione, contribuendo, come effetto
indotto, allo sviluppo di una maggiore cultura aziendale all'interno
dell'organizzazione.
Ai fini di una maggiore comprensione degli aspetti relativi alle aziende non
profit, abbiamo ritenuto opportuno strutturare il nostro lavoro in tre parti:
- una prima parte, a carattere introduttivo, che contiene l'inquadramento
dell'azienda non profit all'interno della dottrina economico-aziendale classica
e l'analisi dell'aspetto definitorio e giuridico del settore non profit;
- una seconda parte, all'interno della quale si esaminano le principali
caratteristiche gestionali delle organizzazioni non profit rispetto alle aziende
finalizzate al profitto e si analizzano anche le due nozioni di responsabilità
(sulla legalità e sull'efficienza nell'uso delle risorse) attribuibili a tali
organizzazioni. Sono stati qui descritti inoltre i principali aspetti giuridici,
fiscali e aziendali che caratterizzano ciascuno dei soggetti del settore non
3
profit; cooperative sociali, associazioni, fondazioni e organizzazioni di
volontariato;
- una terza parte, di carattere più strettamente economico-aziendale,
all'interno della quale si è cercato di esaminare quali sono le principali
caratteristiche del sistema informativo-contabile di un'azienda non profit, per
arrivare ad ipotizzare uno schema di bilancio in grado di dare rappresentazione
ed informazione del sistema di operazioni presenti in queste aziende.
1
CAPITOLO PRIMO
LE AZIENDE NON PROFIT: RETE CONCETTUALE
2
1.1 AZIENDE DI PRODUZIONE E AZIENDE DI EROGAZIONE: VERSO L'AZIENDA COME SISTEMA
Se nel linguaggio corrente il termine azienda e il termine impresa sono spesso
usati come sinonimi (quando il primo non è genericamente collegato all'attività
pubblica e il secondo a quella privata) nella dottrina economico-aziendale i due
termini assumono invece precisi e distinti significati, venendo collegati a due
concetti in parte diversi.
Per evitare una certa confusione terminologica che si incontra nella prassi e ai
fini della comprensione del fenomeno da noi indagato, può essere utile
riprendere in estrema sintesi le varie definizioni di azienda così come sono
state date da autorevoli autori, per arrivare a parlare di alcuni tipi
particolari di questa poco indagati dalla dottrina ma sempre più diffusi nella
realtà: le aziende non profit (
1
).
Non è questo il luogo in cui possiamo fare un'analisi di tutte le definizioni
esistenti in dottrina, ne proporremo soltanto alcune (quelle maggiormente utili
per il nostro lavoro), rilevando in particolare le connessioni fra l'evolversi
degli studi e il mutare delle definizioni date, sino ai nostri giorni.
Se passiamo in rassegna le definizioni enunciate dai vari autori, possiamo
notare che: alcune di esse mettono l'accento sull'aspetto strutturale del
fenomeno aziendale, altre pongono in risalto i caratteri dinamico-operativi, non
mancano infine definizioni che richiamano tutti questi elementi insieme (
2
).
Appartiene così alla prima categoria la definizione di azienda come
"organizzazione" di persone e di beni al servizio di un ente che persegue
determinati fini (
3
), e alla seconda categoria la concezione aziendale del
Besta, che espone la prima definizione dinamica di azienda intendendola come
"somma dei fenomeni o negozi o rapporti da amministrare, relativi ad un cumulo
di capitali che formi un tutto a sé, o a una persona singola o a una famiglia o
ad un'unione qualsivoglia" o anche soltanto come "una classe distinta di quei
fenomeni, negozi o rapporti" (
4
).
Successivamente, col progredire degli studi economico-amministrativi (
5
),
l'azienda non viene più indagata come somma di parti e operazioni analizzabili
separatamente sotto il profilo economico, ma come aggregato dinamico di
operazioni o di parti, vincolate da reciproche relazioni di interdipendenza e
coordinate fra loro.
Questo passaggio è segnato per la prima volta da Zappa, il quale definisce
l'azienda in un primo momento come "coordinazione economica in atto istituita e
retta per il soddisfacimento dei bisogni umani, una coordinazione di operazioni
economiche in cui l'uomo e la ricchezza sono elementi vitali (
6
), e
successivamente come "istituto economico destinato a perdurare, che, per il
1
- Con l'espressione "aziende non profit" si fa riferimento a quelle aziende
"che non si confrontano con il mercato attraverso il meccanismo dello scambio, e
(..) che la dottrina italiana ha definito azienda di consumo (o di erogazione) e
aziende composte". Si tratta di aziende "che predispongono servizi e beni che
vengono erogati senza scambio in senso economico" (presentazione di A. ZANGRANDI
ad R.N. ANTHONY, D.W. YOUNG, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le
organizzazioni non profit, McGraw-Hill, Milano 1992, pag. XVIII).
2
- Ceccherelli fece osservare che lo studio dell'azienda sotto l'aspetto
strutturale e sotto l'aspetto operativo non sono inconciliabili fra loro, e non
possono dare luogo di conseguenza a posizioni dottrinali diverse (A.
CECCHERELLI, Le istituzioni della ragioneria, Del Bono, Firenze 1966, pag. 10).
3
- Così, ad esempio, si esprimono Vianello (V. VIANELLO, Istituzioni di
Ragioneria Generale, Società Anonima Editrice, Milano 1932, pag. 5) ed altri
autori.
4
- E. BESTA, La Ragioneria, Vol I, Vallardi, Milano 1922, pag. 3
5
- Tali studi vennero successivamente identificati come economico-aziendali
grazie a Gino Zappa, il quale come è noto sostenne la necessità di una autonoma
disciplina unitaria dedicata allo studio delle caratteristiche funzionali e
strutturali delle aziende, al fine di individuare e verificare le leggi che
governano i fenomeni aziendali.
6
- G. ZAPPA, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Giuffrè, Milano 1927,
pag. 40
3
soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la
produzione o il procacciamento o il consumo della ricchezza" (
7
).
Si noti che, in confronto alla prima definizione enunciata dallo stesso autore,
la seconda specifica meglio l'oggetto e pone in rilievo la natura durevole
dell'azienda (
8
).
A sua volta Onida, nelle prime pagine dell'opera Economia d'azienda, detta una
propria nozione dinamica di azienda, scrivendo: "L'attività umana rivolta a
detti fini non si esplica comunemente in scelte e azioni frammentarie di uomini
isolati, ma in aziende variamente distinte e insieme cooperanti nella società,
per rapporti diretti o mediati, più o meno lontani e complessi" e più oltre
"vogliamo dire che l'azienda, contemplata sia nella gestione che
nell'organizzazione, si presenta come mobile complesso o come sistema dinamico
nel quale si realizzano in sintesi vitale l'unita nella molteplicità, la
permanenza nella mutabilità" (
9
).
Si deve invece ad Aldo Amaduzzi la concezione di azienda come "sistema di forze
dinamiche che sviluppa, nell'ambiente di cui è parte complementare, un processo
di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo insieme, a favore del
soggetto economico, ed altresì degli individui che vi cooperano". Egli avverte
anche che "Nel parlare di azienda come sistema istituiamo la cosiddetta analogia
meccanicistica, la paragoniamo cioè ad un sistema meccanico, ma con ciò non
neghiamo l'indeterminismo del sistema, né neghiamo le forze subiettive che vi
agiscono" (
10
).
Da citare anche la posizione di Ferrero che, concependo l'azienda come
"strumento dell'umano operare in campo economico" la definisce poi "strumento
economico complesso e mobile nella sua complessità: complesso perché i suoi
molteplici elementi costitutivi, inizialmente accostati in aggregato, si
compongono in unità d'insieme nell'azienda in funzionamento (..) mobile nella
sua complessità, perché codesta unità d'insieme (..) permane nonostante la
mutabilità degli elementi medesimi e del loro vario combinarsi nel fluire del
tempo e dell'evolversi delle circostanze interne ed esterne di svolgimento
aziendale" (
11
).
Già da queste prime considerazioni si deduce come la comune identificazione fra
azienda e impresa (o fra azienda e attività pubblica) non dia ragione della
complessità e trasversalità del concetto di azienda come strumento economico
dell'agire umano. Se, come è stato rilevato (
12
), "non c'è attività umana e
quindi attività economica che non si svolga attraverso aziende", si deduce che
l'azienda può essere considerata innanzitutto un modo di osservazione
dell'attività umana, e che "non c'è attività umana che possa svolgersi senza
l'uso di beni economici" e quindi senza dar origine ad un'azienda in grado di
utilizzare razionalmente le risorse di cui dispone.
La complessità del fenomeno aziendale si manifesta anche nella varietà di
significati che gli sono stati attribuiti. Tuttavia è opportuno rilevare che
tutte le definizioni di azienda in realtà differiscono fra loro soltanto per i
diversi aspetti nei quali l'azienda viene di volta in volta considerata, e
7
- G. ZAPPA, Il reddito d'impresa, Giuffrè, Milano 1950, pag. 14 e altrove
8
- La teoria successiva ha poi ripreso e sviluppato la riflessione sulla
destinazione a durare dell'azienda, sottolineando come dalla condizione di
durevole economicità dipenda la sopravvivenza stessa dell'azienda, poiché
"l'azienda è un fenomeno di tempo, e solo nel tempo può trovare le ragioni della
sua vita, della sua prosperità o della sua decadenza (E. GIANNESSI,
"Considerazioni critiche intorno al concetto di azienda", in "AA.VV., Scritti in
onore di Giordano dell'Amore", Giuffrè, Milano 1969, pag. 584-585).
9
- P. ONIDA, Economia d'azienda, UTET, Torino 1960, pag. 1-4
10
- ALDO AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue
rilevazioni, UTET, Torino 1953, pag. 26
11
- G. FERRERO, Istituzioni di economia d'azienda, Giuffrè, Milano 1968, pag.
4-6
12
- U. DE DOMINICIS, Lezioni di ragioneria generale, Volume I: Introduzione
allo studio della ragioneria, Azzoguidi, Bologna 1967, pag. 44
4
quindi non devono intendersi in termini antitetici, bensì nella loro
complementarietà e in relazione al differente stadio evolutivo della dottrina.
Si noti come le definizioni siano anche fra loro correlate, data la natura di
sistema dell'oggetto di osservazione che, in quanto tale, da qualsiasi lato se
ne affronti l'analisi, permette di ricondurre le parti al tutto (ossia le
diverse nozioni all'unico fenomeno) pur nel loro apparente contrasto.
Delineata in questo modo la concezione di azienda (o le molteplici definizioni
che sono state date), è opportuno a questo punto riprendere la tradizionale
distinzione o classificazione delle stesse che si introduce in economia
aziendale in funzione delle modalità attraverso le quali viene raggiunto il
soddisfacimento dei bisogni umani (considerato tipicamente come fine ultimo
dell'attività umana). Nella misura in cui l'attività umana implica l'utilizzo di
risorse scarse, essa si traduce in attività economica, che viene comunemente
svolta attraverso le aziende, infatti "Le aziende sono ordinate a fini
concernenti la soddisfazione dei bisogni umani, in quanto questa soddisfazione
esiga consumo di beni economici e quindi anche produzione e acquisizione degli
stessi" (
13
).
In accordo con gli autori precedentemente citati, si distinguono in tal modo le
aziende di erogazione (o di consumo) (
14
) da quelle di produzione per lo scambio
sul mercato (o imprese): le prime provvedono in modo diretto a soddisfare i
bisogni dei soggetti per i quali sono state istituite, le seconde vi provvedono
in modo mediato, attraverso lo scambio sul mercato.
Si noti come in dottrina viene enfatizzata l'esistenza di scambi sul mercato
come pre-requisito logico per poter parlare di impresa, sebbene il termine
"impresa" venga a volte esteso da alcuni autori a qualsiasi azienda che attui
sistematicamente la produzione (
15
)
Inoltre può essere fatta un'ulteriore distinzione fra aziende che operano oppure
no "a rischio di mercato", considerando impresa solo l'azienda che produce per
lo scambio sul mercato a rischio della propria economia (
16
).
Non tutti gli autori sono d'accordo su una bipartizione così netta fra le due
tipologie aziendali. Alcuni (
17
) ipotizzano invece l'esistenza di una categoria
intermedia (l'azienda composta o mista), nella quale si hanno relazioni di
interdipendenza molteplici e strette fra l'economia delle aziende di erogazione
e quella delle aziende di produzione per il mercato, tanto da formare una sola
economia complessa e solidale.
A riguardo Aldo Amaduzzi rileva che "è questo un tipo completo di azienda,
concepita rispetto al suo fine, poiché il fine della produzione non può che
essere mediato rispetto al fine ultimo del consumo, e questo non ha valore che
in funzione del primo" (
18
) e "solo in astratto può supporsi l'esistenza di
un'azienda di erogazione assolutamente svincolata da uno o più processi di
produzione per il consumo a carattere erogativo" (
19
).
Non manca chi osserva (
20
) che questa categoria intermedia di aziende in realtà
rappresenta una zona grigia di demarcazione fra aziende di produzione e di
13
- P. ONIDA, Economia..... op. cit. pag. 3
14
- La scelta della denominazione dipende dall'aspetto che si vuole
evidenziare.
15
- Anche una posizione divergente come quella di De Dominicis, secondo la
quale tutte le aziende sono "di produzione" (poiché tutte le attività economiche
sono attività produttive), recupera successivamente l'importanza del mercato
nella distinzione fra azienda e impresa, essendo impresa soltanto l'"azienda che
produce beni o servizi per il mercato. Ma s'intende che deve produrli
esclusivamente o almeno prevalentemente per il mercato" (U. DE DOMINICIS,
Lezioni..... op. cit. pag. 45)
16
- Cfr. P. ONIDA, L'azienda. Primi principi di gestione e di organizzazione,
Giuffrè, Milano 1954
17
- G. FERRERO, Istituzioni..... op. cit. pag. 19; ALDO AMADUZZI,
L'azienda..... op. cit. pag. 74; P. ONIDA, Economia..... op. cit. pag. 11
18
- ALDO AMADUZZI, L'azienda..... op. cit. pag. 74
19
- ALDO AMADUZZI, Aziende di erogazione, Principato, Milano 1936, pag. 22
20
- N. ROSSI, Le gestioni erogatrici private, UTET, Torino 1962, pag. 10
5
erogazione, e che le due parti che costituiscono l'azienda composta (anche se
sono in stretto collegamento), possono sempre essere non solo distinte fra loro,
ma anche concretamente separate, rigettando l'ipotesi che i legami fra le due
aziende siano così intimi da farle classificare in un gruppo a parte.
Altri (
21
) riconoscono comunque l'opportunità di tenere distinta la gestione
erogativa da quella produttiva, in quanto, anche se la suddivisione esige
astrazioni e stime arbitrarie, essa è importante per giudicare e controllare in
modo efficace l'andamento della gestione.
Accanto agli esempi tipici di azienda composta che vengono comunemente fatti
(quali l'azienda Stato e quella familiare), anche l'azienda non profit, così
come la vedremo successivamente, presenta i caratteri dell'azienda mista,
essendo spesso formata da un nucleo aziendale erogativo e da uno o più nuclei
aziendali produttivi.
Poiché l'aspetto produttivo e quello erogativo (e la prevalenza dell'uno
sull'altro) influenzano in modo diverso la gestione aziendale, la proposta di
tenerli separati risolverebbe alcuni problemi legati a questa commistione.
Tuttavia sarebbe utile verificare sino a che punto sia possibile effettuare tale
separazione, dato che anche nelle manifestazioni aziendali i processi della
produzione e del consumo mantengono quella congiunzione che è nella loro stessa
natura.
Il problema dell'ammissibilità o meno di aziende composte all'interno di una
classificazione aziendale viene risolto in modo parzialmente diverso da parte di
Masini. La peculiarità delle sue tesi consiste nella particolare concezione di
azienda, intesa come ordine strettamente economico di un istituto (
22
), dove per
"ordine economico" s'intende l'insieme di accadimenti economici, disposti ad
unità secondo proprie leggi. Dall'istituto l'azienda viene distinta per
astrazione, astrazione che tuttavia deve essere opportunamente vincolata agli
altri caratteri dell'istituto (sociali, etici, religiosi, politici, ecc..).
Masini parte dal presupposto che l'attività economica degli individui si svolga
tipicamente in istituti (e per relazioni fra istituti), intendendo con questo
termine le società umane quali la famiglia, l'impresa e le collettività
politiche. Delle tre classi di istituti egli analizza l'ordine economico, cioè:
- l'azienda di consumo e patrimoniale, per astrazione distinta dalla famiglia;
- l'azienda di produzione, per astrazione distinta dall'impresa;
- l'azienda composta pubblica, per astrazione distinta dalle amministrazioni
delle comunità politiche.
Le tre classi di aziende sono accomunate dal fine generale del soddisfacimento
dei bisogni umani, e dal mezzo costituito dall'attività economica, sono però
differenziate per i particolari fini immediati che perseguono (e quindi anche
per le loro strutture caratteristiche) (
23
).
Abbiamo visto come tutte le definizioni e le classificazioni sin qui richiamate
facciano riferimento in modo esplicito o implicito al finalismo aziendale.
Invece una posizione diversa dalle precedenti è quella di Giannessi, il quale
sostiene che la classificazione delle aziende rispetto al fine non ha alcun
fondamento logico, perché il fine deve essere uno soltanto in qualsiasi tipo di
azienda: il conseguimento di un determinato equilibrio economico evolutivo a
valere nel tempo, requisito essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo
21
- P. ONIDA, Economia..... op. cit. pag. 12
22
- "Un istituto si presenta come complesso di elementi e di fattori, di
energie e di risorse personali e materiali. Esso e duraturo (..). Il suo
permanere è della specie dinamica (..) come complesso è ordinato (..) secondo
proprie leggi (..). E' un'unità per i rapporti che lo costituiscono (..) per
essere rivolti ad un insieme di fini comune. C'è un bene comune per le persone
che con intensità e qualità varia fanno parte dell'istituto (..). L'istituto
presenta inoltre il carattere dell'essere autonomo, ma di un'autonomia relativa
per i nessi con le altre componenti della società umana. (C. MASINI, Lavoro e
risparmio, Giuffrè, Milano 1970, pag. 11).
23
- I fini immediati in prima approssimazione sono:
- per l'azienda familiare, il soddisfacimento dei bisogni dei membri della
famiglia;
- per l'azienda di produzione, la produzione di remunerazioni per i prestatori
di lavoro e per i conferenti il capitale;
- per le aziende pubbliche composte, la produzione ed il consumo di beni
pubblici, oltre che la produzione di remunerazioni dei prestatori di lavoro e
dei conferenti il capitale (C MASINI, Ibidem).
6
aziendale (
24
). La posizione dell'Autore si basa sull'idea dell'unitarietà del
fenomeno aziendale, per cui la distinzione fra aziende di produzione e aziende
di erogazione può ingenerare l'equivoco che solo le prime, e non anche le
seconde, abbiano un problema di scelte economiche e di equilibrio economico da
raggiungere.
La distinzione semmai va fatta in base alla diversa specie di attività, per cui
l'"erogazione" e la "produzione" sono soltanto il mezzo per distinguere le
aziende che attuano la produzione in senso lato da quelle che attuano il
consumo.
Giannessi propone inoltre una diversa classificazione, volta ad individuare
all'interno della società moderna tre tipi di "aggregati umani", ovvero:
- le Associazioni,
- gli Enti Pubblici (ed in particolare lo Stato),
- le Aziende.
Egli sostiene che ciascuno dei tre aggregati ha fini particolari o "assegnati"
che non sono da confondere con il fine supremo dell'uomo, poiché "Gli uomini,
considerati allo stato isolato, hanno un fine primigenio che è quello del
soddisfacimento dei bisogni; considerati nelle forme aggregate e operative,
hanno tanti fini quanti sono questi aggregati, e i complessi operativi che ne
derivano" (
25
).
Si noti che ogni classificazione ha propri scopi da raggiungere, che sono quelli
di rendere più agevoli determinati indagini scientifiche, per cui, se variano le
indagini da svolgere, possono mutare i criteri della classificazione.
Per quanto attiene in modo specifico alle classificazioni delle aziende, Zappa
sottolinea che: "La realtà della multiforme e complessa vita delle aziende non è
fatta a compartimenti stagni, a caselle chiuse. Le diverse classificazioni delle
aziende non si escludono reciprocamente, le classificazioni nelle quali
un'azienda rientra sono di solito varie, ma ogni azienda se può spesso formare
parte di date classi proprie di diverse distinzioni, ancora può sfuggire, in
alcuni suoi tratti caratteristici, alle classificazioni attuate" (
26
).
Se la complessità del mondo aziendale è tale per cui è difficile effettuare una
classificazione che riesca a porre rigide linee di demarcazione e che possa
essere universalmente accettata, ci sia permesso ricorrere alla "teoria generale
dei sistemi" (
27
), che consente di dare un'interpretazione dell'azienda in
chiave sistemica e quindi di conferire maggiore organicità e unitarietà al
fenomeno aziendale.
Il concetto di sistema non costituisce una novità nel campo delle discipline
economico-aziendali, in quanto Zappa aveva già intuito e messo in evidenza la
portata logica che avrebbe avuto il definire l'azienda un sistema dinamico,
scrivendo: "Forse appunto per la continua trasformazione subita dai fenomeni
d'azienda, questa (..) è anche stata definita come sistema dinamico" (
28
). Egli
in effetti accetta lo schema concettuale del sistema come base della vita
aziendale, e sviluppa in modo lucido e razionale una "teoria dei sistemi
aziendali".
Il concetto di sistema, come fatto caratterizzante la dinamica aziendale, è
stato poi ripreso da altri studiosi, i quali hanno approfondito l'analisi avendo
riguardo o al sistema aziendale in generale, o ai particolari sottosistemi che
lo compongono.
Così ad esempio Amaduzzi è colui che ha cercato di cogliere gli aspetti più
significativi delle condizioni sistematiche zappiane, ma anche nelle opere di
Giannessi il concetto di sistema è largamente presente, mentre Masini mette in
evidenza la complessa natura sistemica dell'azienda, mediante la sua
24
- Cfr. E. GIANNESSI, Interpretazioni del concetto di azienda pubblica, Cursi,
Pisa 1961
25
- E. GIANNESSI, Considerazioni critiche.......... op. cit. pag. 573-582
26
- G. ZAPPA, Le produzioni nell'economia dell'impresa, Tomo I, Giuffrè, Milano
1956, pag. 179
27
- La "teoria generale dei sistemi" nasce intorno agli anni '40 dalla ricerca
originale per impostazione e ampiezza di un biologo americano di origine tedesca
(Von Bertalanffy), ma la definitiva affermazione si è avuta nel decennio
successivo ad opera soprattutto di un economista americano (Kenneth E.
Boulading).
28
- G. ZAPPA, Ibidem, pag. 153
7
scomposizione in molteplici sottosistemi, per il rafforzamento del carattere
unitario e dinamico della stessa (
29
).
La "teoria generale dei sistemi" fornisce però un'occasione per riesaminare le
diverse concezioni della teoria aziendale, che risultano in ogni casi rafforzate
alla luce dei nuovi studi.
La teoria parte dalla premessa che ciascuna scienza ha problemi generali e punti
di vista comuni, mediante il concetto di sistema si ritiene di poter superare la
tendenza alla specializzazione più spinta (che provoca un rallentamento del
progresso in campo scientifico) e di costruire uno schema logico universale.
Il sistema è definito "una combinazione di parti o elementi riuniti in un tutto"
e l'espressione è volutamente generica in quanto si può riferire ad atomi, a
cellule, a macchine, ad esseri umani, ad istituzioni sociali, ossia può avere
una valenza universale.
In base alla "teoria generale dei sistemi" lo studio di un'organizzazione viene
affrontato da due punti di vista: quello statico e quello dinamico (ossia
strutturale e processuale).
Si consideri come questa visione riferita al campo aziendale si presti ad essere
applicata alle due categorie di definizioni descritte precedentemente che,
espressioni della "tendenza statica" e della "tendenza dinamica", per molti
autori sono da sempre contrastanti ed inconciliabili fra loro.
Invece applicando la "teoria generale dei sistemi" vediamo che in realtà spesso
i sistemi statici e quelli dinamici non sono altro che due aspetti diversi di
uno stesso fenomeno, e che qualunque processo che debba svolgersi perfettamente
presuppone un ordinamento delle sue componenti elementari, ossia presuppone una
struttura.
Quanto si è affermato vale soprattutto nel campo delle scienze biologiche e
fisiche, dove il sistema presenta entrambi i caratteri. Nei sistemi sociali (
30
)
(ed in particolare nelle aziende, che ne costituiscono una delle espressioni più
vive e viali) la configurazione statica in pratica non esiste, in quanto non è
concepibile la stasi per i fenomeni sociali. Non ha senso dunque parlare di
sistemi statici e sistemi dinamici, perché il sistema sociale è sempre dinamico,
anche se lo svolgimento dei diversi processi richiede la predisposizione di
strutture (
31
).
Il sistema aziendale è perciò "aperto", cioè si determina un interscambio
continuo con il proprio ambiente, e l'adattamento all'ambiente con il quale il
sistema interagisce è condizione necessaria per la sua sopravvivenza.
Questa osservazione richiama le varie possibili classificazioni dei sistemi che
possono essere fatte in base all'esame dei fattori che di volta in volta vengono
indagati (
32
).
Da questo punto di vista l'azienda è un sistema complesso (data la molteplicità
dei sui elementi e delle relazioni fra essi esistenti), aperto (perché in
continuo divenire nell'ambiente economico-politico-sociale di cui è parte
complementare), probabilistico (per quanto concerne il grado di prevedibilità
del suo comportamento), finalizzato (cioè volto al raggiungimento di dati
obiettivi) (
33
).
L'approccio caratteristico della teoria dei sistemi è quindi, fondamentalmente,
un modo di pensare, immaginare, comprendere l'azienda come un complesso
29
- MASINI però avverte che esiste una differenza concettuale fra istituto e
sistema, perché "Il sistema non è l'istituto. In quest'ultimo si possono
scoprire più sistemi. Ma l'istituto non è il sistema di ordine superiore che li
comprende" (C. MASINI, Lavoro..... op. cit. pag. 33).
30
- Il concetto di sistema sociale nasce dall'applicazione della teoria
generale dei sistemi ai fenomeni sociali. Infatti il modello di Von Bertalanffy,
avendo un valore universale, permette di avvicinare le discipline non fisiche a
quelle fisiche, consentendo altresì l'applicazione nel campo biologico e in
quello sociale dei metodi propri del campo fisico.
31
- U. BERTINI, Il sistema d'azienda. Schema d'analisi, Giappichelli, Torino
1990, pag. 31
32
- Sulle classificazioni dei sistemi si veda, per tutti, ANTONIO AMADUZZI,
Economia aziendale. Principi, Modelli, Procedure, Cacucci, Bari 1985, pag. 66-67
33
- O. PAGANELLI, Il sistema aziendale, CLUEB, Bologna 1976, pag. 10
8
integrato di elementi, interdipendenti e interagenti fra loro e l'ambiente, per
il raggiungimento di un obiettivo prefissato.
Il considerare l'azienda un sistema aperto, fa sì che essa possa essere
analizzata attraverso gli input che introduce dall'ambiente esterno (economico,
sociale, culturale, politico-legislativo e finanche l'ecosistema ambientale), e
gli output che offre ad esso dopo aver opportunamente trasformato gli input in
base alle sue caratteristiche.
Il considerare invece l'azienda un sistema teleologico, ci permette di spiegarla
in funzione dei fini che persegue e di definirla al variare degli obiettivi
finalizzanti, poiché il fine orienta gli obiettivi, e gli obiettivi determinano
le diverse modalità di comportamento gestionale, cioè i diversi modi di essere
un sistema azienda (
34
) (
35
).
1.2 IL VETTORE DI OBIETTIVI ECONOMICO-SOCIALI (LO SCOPO DI LUCRO NELLA TEORIA
ECONOMICO-AZIENDALE: DA OBIETTIVO A VINCOLO)
Definita l'azienda come sistema finalizzato al raggiungimento di determinati
obiettivi, andiamo ora ad iniziare l'osservazione del vettore di obiettivi
perseguibili e dei vincoli che ne condizionano il raggiungimento.
Consideriamo inizialmente la teoria tradizionale italiana, e la contrapposizione
che comunemente viene fatta fra:
- aziende che producono per il mercato al fine di conseguire un reddito (fine
ultimo cui tende la gestione) (
36
) o imprese;
- aziende di erogazione, dove i processi produttivi di reddito (se esistenti)
non sono fine a se stessi, ma sono volti a realizzare migliori condizioni
erogative, ossia sono soltanto mezzi per il raggiungimento dei fini primari dei
soggetti per cui sono state istituite.
34
- Si veda in merito A. MATACENA, Impresa e ambiente. Il "bilancio sociale".
CLUEB, Bologna 1984
35
- La teoria generale dei sistemi ci permette di avvalorare questa
impostazione.
In uno studio approfondito sul funzionalismo dei sistemi, si afferma che
qualsiasi sistema organizzato teleologicamente rispetto ad una certa sua
caratteristica (che può essere una proprietà, uno stato, un processo) cercherà
di automantenersi rispetto ad essa o di trovarsi in una fase evolutiva verso
questa.
Nel caso in cui vi siano diverse caratteristiche nei cui confronti il sistema è
funzionale, queste possono costituire un certo tipo di "gerarchia", la quale può
fondarsi su relazioni di dipendenza causale, di precedenza temporale, o di
importanza relativa rispetto ad una scala di valori. Si può supporre che alcune
caratteristiche siano "indispensabili" alla sopravvivenza del sistema, tanto che
un loro elenco possa diventare una definizione (magari parziale) di ciò che si
intende per quel dato sistema (Cfr. E. NAGEL, "Una formalizzazione del
funzionalismo" in F.E. EMERY (a cura di), La teoria dei sistemi. Presupposti,
caratteristiche e sviluppi del pensiero sistemico, Angeli, Milano 1974, pag.
337-357).
36
- Partendo dai limiti attribuiti alla tradizionale dottrina della
finalizzazione dell'impresa al reddito prodotto, si è diffusa presso alcuni
autori la "teoria della creazione del valore", la quale mette in discussione la
validità del reddito prodotto di periodo come unità di misura delle "reali"
performances dell'impresa, affermando che l'obiettivo finalizzante l'impresa è
dato dalla massimizzazione del valore del suo capitale economico. La teoria
ipotizza l'impresa come un particolare investimento, gestita al fine di creare
valore che si diffonde successivamente su quello dei titoli rappresentativi
dell'investimento. L'impresa crea valore se ogni sua azione è volta ad
ottimizzare il reddito di lungo periodo e a contenere il livello di rischio che
su esso grava, eliminando contestualmente la presenza di eventuali attività che
distruggono valore. L'ottimizzazione/massimizzazione del reddito di lungo
periodo dipende dal tasso di reinvestimento del risultato periodico. Tra i
numerosi autori che hanno recentemente affrontato questi temi, si possono
vedere, fra gli altri, L GUATRI, La teoria di creazione del valore. Una via
europea, EGEA, Milano 1991 e A. MATACENA, Il bilancio di esercizio. Strutture
formali, logiche sostanziali e principi generali, CLUEB, Bologna 1993, nota a
pag. 85-87) e le ampie bibliografie contenute in questi testi.