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Anche nel campo delle scienze sociali si ritrovano molte posizioni
diversificate, che possono però essere ricondotte a due scelte meto-
dologiche di fondo, rispettivamente di Durkheim, che elabora una
definizione previa di religione (“il sistema di credenze e di pratiche,
inerenti a persone e cose sacre, cioè separate e interdette, che uniscono in
un unica comunità morale, chiamata 1a Chiesa, tutti quelli che vi
aderiscono”), e di Weber, il quale, secondo la sua logica interpretativa,
accetta l'autodefinizione che gli attori sociali danno del loro agire religioso.
L'ESPERIENZA RELIGIOSA ELEMENTARE
Due sono i tratti costitutivi dell'esperienza religiosa elementare:
1
il
sentimento del limite e il sentimento del trascendente. Numerosi sono gli
eventi quotidiani e straordinari, che ci richiamano la radicale verità del
nostro limite essenziale. L'esperienza umana infatti è impregnata di
contingenza, che culmina nell'esperienza della morte, di impotenza, specie
di fronte a certi ostacoli da superare e di penuria di mezzi e di risorse, che
richiede la loro economia e la ricerca continua di fonti energetiche alterna-
tive.
La privazione relativa, che alimenta spesso la nostra angoscia, diventa ben
presto una situazione-limite nel cui punto di rottura l'uomo si pone il
problema a volte drammatico della sua origine e del suo destino. Questa
domanda si focalizza poi nella richiesta finale del perché della morte e di
rimando del perché della vita stessa. La situazione di rottura, il limite, il
contingente, richiedono, per essere spiegati, una realtà che li trascenda.
Empiricamente si può solo misurare il sentimento, cioè l'esperienza vitale,
individuale e collettiva, del trascendente, che dà significato al contingente,
permettendo così di risolvere i suoi inquietanti interrogativi.
1
Otto R, Il Sacro, Feltrinelli, Milano 1976.
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Il rapporto con il trascendente può avvenire in due diverse modalità,
secondo l'obiettivo che il soggetto si prefigge: quando entra in relazione
con lui per fini non empirici, ma sostantivi ed espressivi, egli fa esperienza
religiosa: quando invece l'uomo manipola il trascendente per semplici scopi
immediati e concreti, in questo caso fa esperienza magica, che in definitiva
risulta essere un'attività strumentale. Religione e magia sono due fatti
irriducibili tra loro, anche se nel vissuto elementi magici si possono
mescolare a quelli religiosi.
La sociologia classica ha utilizzato due concetti fondamentali per
comprendere e definire operativamente l’esperienza del trascendente.
Durkheim parla del sacro e della sua sfera, che per essenza si diversifica
radicalmente dal profano. Il profano è il regno dell’esperienza comune,
della vita quotidiana, dell’attività economica del lavoro del limite. Mentre
il sacro è potenza e forza, che dà sostegno, sicurezza e stabilità a tutto
quello che è feriale. Le forze sacre sono però ambigue, nel senso che esse
sono positive e negative, propizie e infauste, attraenti e ripugnanti, utili e
pericolose per gli uomini. Nei confronti del sacro l’uomo prova un timore
riverenziale, che diventa impegno etico e osservanza morale. Alla fine per
Durkheim l'esperienza del sacro si risolve nel sentimento di appartenenza
alla collettività: il suo Dio è la società stessa. E così la sociologia, scienza
del sociale, come già aveva affermato Comte, diventa una nuova teologia e
il sociologo un nuovo sacerdote, che educa il cittadino allo sviluppo della
coscienza partecipativa in funzione della solidarietà e dell'integrazione
sociale. Queste, secondo Durkheim. sono le virtù da sviluppare, mentre il
vizio da estirpare rimane la loro mancanza, cioè l’anomia e il conflitto
sociale.
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Weber invece interpreta il trascendente vissuto come carisma e la sua
esperienza collettiva come esperienza carismatica. Il carisma, che non si
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Weber M., Sociologia delle religioni, UTET, Torino 1976.
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presenta solo sotto sembianze religiose, è una qualità straordinaria, che
viene attribuita ad un individuo da coloro che diventano in tal modo i suoi
seguaci. Il carisma è forza dirompente e innovativa, è elemento creativo e
terapeutico dell'angoscia esistenziale. Esso inoltre diventa valore
emblematico ed esemplare tanto da essere accettato da chi lo riconosce
come imperativo morale.
STUDI SOCIO-ANTROPOLOGICI SUL CONCETTO DI
RELIGIOSITA’
Grande eco hanno avuto nella cultura politica contemporanea le riflessioni
di A. Gramsci sul folklore religioso, in cui intravide la presenza di
emozioni scatenate da esigenze biologiche ed economiche della povera
gente, che, in tempi più maturi, hanno trovato espressioni più adeguate in
teorie e programmi di politica sociale. Su questa scia si possono collocare
le ricerche di A.M. Di Nola sui sottofondi magici della religiosità ed ancor
più la presa di posizione di
3
V. Lanternari, nei confronti di riferimento
onnivalente all'esperienza religiosa, di tutte le manifestazioni culturali. In
antitesi a G. De Leeuw, egli osserva che molte costumanze, ad es. la festa,
possono trovare spiegazioni sostanzialmente laiche. Sono assunzioni
interpretative di fenomeni abitualmente riferiti alla religione, che trovano
apprezzamento soprattutto se vengono riferite al generale spostamento del
pensiero da prospettive teleologiche ad altre più strumentali.
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Oggi
interessa meno l'oggettività delle nozioni costitutive della cultura, mentre si
pone tanta enfasi sulla loro soggettività: minore attenzione si pone sul
perché del credere e molto maggiore sul come si crede. L'imputazione
causale delle nostre nozioni culturali non si presenta più in termini di
ispirazione, ma si preferisce definirla come intuizione quando trova
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Lanternari V., Festa, carisma, apocalisse, Sellerio, Palermo 1983
4
Ferrarotti F., Cipriani R., Sociologia del fenomeno religioso, Bulzoni, Roma 1974
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collocamento adeguato nel sistema culturale del soggetto, oppure come
allucinazione se non vi si inquadra. Quello che per lo scienziato, nella
religiosità popolare, risulta intuizione o allucinazione, gravide di emozioni
collettive, per chi la vive e la diffonde risulta invece autentica ispirazione,
sia pure differenziabile in qualifiche diverse, come: divina, angelica,
demoniaca.
La ricchezza di contenuto dei temi del culto popolare è stata recentemente
rilevata da F. Ferrarotti in Il paradosso del sacro. Egli si pone in polemica
nei confronti di quei pensatori, come De Martino e Acquaviva, che hanno
preconizzato un processo di secolarizzazione, per l'uno irreversibile, per il
secondo equivoco, già negli anni '50. Né estinzione, né eclisse del sacro, a
suo giudizio, si possono provare, ma solo spostamenti ed evoluzioni, e
specialmente un debordamento della pietà religiosa dalle inferriate
istituzionali. La reviviscenza del sacro nei Paesi più industrializzati, e
perfino nelle loro élites culturali, non è imputabile solo all'attivismo delle
Chiese, ma anche ad improvvise irruzioni di carismi che scatenano
movimenti spontanei. L'ampiezza del sacro considerato da Ferrarotti è
enorme ed abbraccia neopentecostali e carismatici, meditazione trascen-
dentale e de-ipnosi, astrologia e ufologia, satanismo e messe nere.
Riprendendo una tesi di R. Caillois (1939),che rintraccia nel sacro tanta
souillure e débouche, Ferrarotti qualifica sacri tanti comportamenti
irrazionali, paranoici, parapsichici e perfino immorali, senza peraltro
approfondire quali elementi tematici, ambientali e modali propongano di
accoglierli nell'ambito del sacro. Precisa, tuttavia, che in questa sfera si
distingue bene un nucleo che deve dirsi seriamente “religioso”. nel senso
agostiniano di culto accettabile dalla ragione. Non tutto ciò che è sacro,
infatti, è irrazionale e incomprensibile, contrastante ai principi logico-
ontologici e alle procedure scientifiche del raziocinio formale. Su questa
via si erano già posti gli autori del Nuovo Testamento, quando rifiutarono
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l'impiego dei termini ieròs, sanctum e preferirono àgios, sanctum, per in-
dicare i valori specifici del cristianesimo.
Vasta è la rilevazione di atteggiamenti implicitamente religiosi in tanti
comportamenti personali e sociali vissuti in ambienti ufficialmente laici. Lo
specifico religioso può riferirsi alla naturale tendenza al trascendente,
oppure ad opzioni valoriali propri della rivelazione cristiana.
IL CONCETTO DI SACRO
Questo termine è stato impiegato dalla teologia solitamente per indicare
quella sfera di realtà visibile e invisibile che va considerata possesso esclu-
sivo della divinità e quindi va sottratta all'uso quotidiano del mercato.
Tuttavia anche in ambienti extraecclesiali si è soliti attribuire carattere
sacrale a dati simboli e valori verso i quali si rivendica la riverenza del
pubblico. Quando in sociologia si parla di “sacro” si fa riferimento a quei
concetti che in esso ha convogliato R. Otto. Questo studioso procede sulla
scia delle dottrine scaturite dall'idealismo romantico, che avevano segnalato
nel fatto religioso soprattutto un dato emozionale, irrazionale, fino a ridurlo
a sentimento. In questa luce si è poi cercato di comprendere quel materiale
etnografico, di cui è difficile afferrare la funzione razionale, né sempre si
riesce a distinguere chiaramente l'elemento totemico, quello magico e quel-
lo religioso. Ne sono venute alcune idee utili all'analisi della religiosità
nella società moderna.
La prima preoccupazione di Otto è quella di avvertire che il sacro non è
facilmente conoscibile e definibile:
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“si può soltanto provocare, destare,
come tutto ciò che viene dallo spirito”.La “provocazione” di Otto inizia con
la constatazione che alla base di ogni religione c'è un sentimento
irrazionale di terrore e nello stesso tempo di fascinazione, in cui si esprime
5
Otto R., op.cit.
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la relazione dell'uomo con Dio. Nelle articolazioni linguistiche dottrinali il
“numinoso”, termine con cui si vuol indicare l'elemento irrazionale
originario di ogni religione, viene razionalizzato, dando corpo da una parte
alle idee razionali di giustizia, legge, morale, peccato, e dall'altra
all'immagine della divinità come misericordia, provvidenza, ecc. Dal
rapporto tra l'irrazionale originario e il razionale nasce il sacro.
E importante distinguere nell'esperienza religiosa, nel numinoso, la
presenza del mysterium (il sentimento di qualcosa di straordinario e di
incompreso, senza alcuna specificazione qualitativa) e del tremendum (è
una specificazione del mysterium con la quale si indica un sentimento di
particolare timore, non confondibile con altre forme di timore, e legato
all'assoluta sovrappotenza, alla maestà del tremendum). Parlare del
mysterium tremendum significa semplicemente avere un po' circoscritto
l'inafferrabile categoria del sacro. Ci si avvicina ulteriormente ad essa se si
usa l'espressione “totalmente altro”, indicando così ciò che è al di là della
sfera dell'usuale, del comprensibile, del familiare, fuori dell'ordinario, ciò
che provoca stupore. Per questo le raffigurazioni del “totalmente altro”
devono essere considerate tutte forme posteriori di razionalizzazione, con
le quali non si è ottenuto altro risultato se non quello di assottigliare e inde-
bolire l'esperienza stessa del “totalmente altro”.
Se la maiestas intimorisce, il numinoso ha anche un aspetto “fascinoso”,
attraente. Così l'esperienza del sacro comprende questi due elementi
contrastanti: il tremore, lo smarrimento di fronte al numinoso. e tuttavia il
bisogno di avvicinarsi ad esso, addirittura di possederlo, di farlo proprio.
Infine, tra gli attributi del sacro (sanctum) è da considerare la pienezza di
valore, che oltrepassa ogni capacità di comprensione: il sacro è augustum,
possiede cioè un valore oggettivo che impone rispetto in sè.
Sono questi i termini essenziali coi quali Otto cerca di sopperire
all'incapacità del linguaggio umano di esprimere compiutamente ciò che