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12
Prima parte
Capitolo 1
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/HIRQWL
I giornalisti normalmente non sono testimoni diretti di un
avvenimento, ma devono ricostruire i fatti utilizzando le fonti a
disposizione in quella circostanza. Le fonti rappresentano
l’origine dell’informazione: possono essere una persona, un
documento, un’organizzazione. È necessario ricordare che non
fotografano l’evento così com’è avvenuto nella realtà:
rappresentano una prima mediazione, parziale ma necessaria al
giornalista per ricostruire i fatti; riportano una verità, un punto di
vista, una frazione di realtà, spesso viziata da distorsioni
percettive che inconsciamente influenzano i testimoni
dell’evento. Marc Bloch nella sua opera, /DVWUDQDGLVIDWWD,
scrive una frase che i giornalisti dovrebbero sempre tenere in
considerazione: “Prima ancora di fare il punto su ciò che ho
potuto vedere, è necessario che io dica con quali occhi l’ho
veduto”1. Per questo è necessario che il giornalista abbia sempre
a disposizione un buon numero di fonti in modo da poter ridurre
1
Citazione ripresa da Alberto Papuzzi, 3URIHVVLRQHJLRUQDOLVWD, Donzelli,
2001, pag. 29.
13
gli inevitabili aspetti di parzialità, garantendo una
rappresentazione che rispetti la “verità sostanziale dei fatti”2.
Le fonti sono state classificate dagli studiosi di comunicazione e
mass media in diverse categorie: Alberto Papuzzi ha operato una
distinzione in fonti primarie e fonti secondarie. Le fonti primarie
“garantiscono credibilità all’informazione o perché possiedono
un’autorevolezza istituzionale o perché viene loro riconosciuta
una competenza specifica”3. Ad esempio il Ministro dell’Interno
su problemi di sicurezza nazionale, il Presidente della A.S.
Roma sulle difficoltà finanziarie della squadra, il Sindaco della
città che spiega un nuovo provvedimento sul traffico urbano. Le
fonti secondarie sono quelle “la cui attendibilità è affidata alla
stessa citazione giornalistica, nel senso che è il giornalista,
dando loro voce, a legittimarle agli occhi del pubblico”4. Sono le
fonti che devono essere necessariamente verificate, deve esserne
accertata la veridicità. In caso di smentite, o notizie non
confermate, il primo a subirne le conseguenze sarà il giornalista,
colpevole di aver aperto i cancelli dell’informazione a una fonte
poco attendibile. Esempi di questo tipo sono: il testimone
oculare di un delitto, il vicino di casa, i presenti ad una protesta.
Francesco Giorgino5 distingue le fonti facendo riferimento
all’ufficialità o meno dell’origine dell’informazione e alla sua
eventuale specializzazione. Le fonti ufficiali,
convenzionalmente giudicate credibili, provengono dagli uffici
stampa delle istituzioni e delle grandi aziende; appartengono a
questa categoria, per esempio, l’ufficio stampa del Parlamento
2
L’obbligo inderogabile del giornalista è “il rispetto della verità sostanziale
dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede”,
Premessa della Carta dei doveri del giornalista, sottoscritta dal Consiglio
nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della
stampa italiana l’8 luglio del 1983.
3
In Alberto Papuzzi, 3URIHVVLRQHJLRUQDOLVWD, cit., pag. 30.
4
In Alberto Papuzzi, 3URIHVVLRQHJLRUQDOLVWD, cit., pag. 30.
5
In Francesco Giorgino, 'LHWUROHQRWL]LH, Mursia, 2004, cap. 3.
14
europeo, il portavoce del Presidente del Consiglio, il sito
internet delle Nazioni Unite. Le fonti ufficiose, invece, pur non
avendo carattere ufficiale, possono essere abbastanza sicure ed
attendibili; resta l’obbligo per il giornalista di verificarle con
cura e semmai di integrarle. Le fonti specializzate sono
principalmente le agenzie di stampa o anche i collaboratori che
alcuni quotidiani hanno nei luoghi dove frequentemente nascono
le notizie; un esempio classico è l’informatore nelle questure o
nei tribunali.
Un’ulteriore distinzione è teorizzata da Gans, che definisce le
fonti: DJUHHEOH (consenzienti), UHFDOFLWUDQW (non consenzienti) ed
HDJHU (ansiose). Le prime sono consapevoli dell’utilizzo che il
giornalista farà dell’informazione fornita, le seconde sono in
disaccordo con il giornalista, infine le HDJHU, le fonti ansiose di
entrare nel circuito dell’informazione perché portatrici di un
interesse particolare; a quest’ultime il giornalista dovrà fare
maggiore attenzione.
/DJHVWLRQHGHOOHIRQWL
Ogni fonte va trattata con la dovuta cautela, cercando sempre
una verifica di quanto essa riporta; in particolare prima di poter
dare una notizia devono essere disponibili almeno due differenti
fonti non anonime. Nel caso se ne abbia a disposizione
solamente una, il giornalista deve informare il pubblico di ciò e
citare esplicitamente da dove ha attinto la notizia. Questo
principio è ritenuto una regola imprescindibile per il giornalismo
anglosassone, meno per i giornalisti italiani che spesso abusano
di frasi del tipo: “da ambienti vicini al Quirinale”, “da
dichiarazioni fatte al nostro quotidiano”, etc. In alcuni casi la
fonte può essere taciuta, ma deve trattarsi di un’eccezione,
piuttosto che della regola.
Ci sono quattro modi diversi per identificare le fonti, secondo la
classificazione della sociologia americana: RIIWKHUHFRUG, nei
casi in cui la fonte richiede che l’informazione fornita non sia
15
resa pubblica, ma utilizzata dal giornalista per capire meglio il
problema e trovare altri confidenti; GHHSEDFNJURXQG, quando la
fonte non vuole che l’informazione che ha passato le sia
attribuita; EDFNJURXG, la fonte accetta di essere identificata, non
anagraficamente, ma facendo riferimento al proprio ufficio o
alla propria funzione; RQWKHUHFRUG, nei casi in cui la fonte
accetta di essere citata, senza restrizioni.
La regola, come si è detto, è citare la fonte per rispetto nei
confronti dei lettori che devono poter conoscere chi ha fornito la
notizia; è chiaro che nei rapporti con i propri informatori, il
giornalista può accettare dei compromessi per venire a
conoscenza di fatti che altrimenti gli sarebbero preclusi. Citare
le fonti rappresenta, inoltre, una garanzia per il pubblico: il
giornalista ha meno discrezionalità nel raccontare le notizie e
trova più difficile darle interpretazioni faziose. Per questo è bene
ricordare un’altra regola sulla gestione delle fonti: l’integrità. Il
giornalista quando mette fra virgolette, in un suo articolo, una
dichiarazione di una sua fonte, deve riproporne fedelmente
quanto questa ha dichiarato; non dovrebbe neanche fare
modifiche per rendere il testo più scorrevole o per chiarire
meglio il significato. La regola, molto seguita nei Paesi
anglosassoni, è ormai in disuso in Italia, dove è consuetudine dei
media a stampa riportare la verità sostanziale della dichiarazione
o dell’intervista, senza badare troppo all’integrità delle
dichiarazioni rese.
Una altro aspetto che riguarda la fonte è l’affidabilità che il
giornalista le attribuisce, citandola nei propri articoli ed essendo
certo di non andare incontro a possibili smentite. Proprio
l’assenza di smentita rappresenta una verifica a posteriori
dell’affidabilità di una fonte: se dopo aver pubblicato il proprio
pezzo, l’interessato non interviene smentendo o chiarendo
quanto riportato, è possibile considerare la fonte attendibile e
utilizzarla nuovamente in futuro. Certo, spesso i personaggi
pubblici evitano di smentire ufficialmente quanto riportato
16
erroneamente da un giornalista, avendo presente il principio
“una smentita equivale ad una notizia data due volte”; ma è
anche vero che quasi sempre l’ufficio stampa si preoccupa di
contattare la redazione o il giornalista per segnalare che quanto
riportato non corrisponde a verità. Il principio della verifica a
posteriori è ritenuto quindi un sistema abbastanza valido per
valutare empiricamente l’attendibilità dei propri informatori6.
Le fonti principalmente utilizzate dai giornalisti sono da una
parte le agenzie di stampa, dall’altra gli uffici stampa e le
agenzie di pubbliche relazioni; nel paragrafo successivo ci
occuperemo delle agenzie di stampa, mentre rinviamo ai capitoli
2 e 3 per un approfondimento sul ruolo e le funzioni degli uffici
stampa, tema preminente di questo lavoro.
/HDJHQ]LHGLVWDPSD
Un tipo di fonte particolare, che oggi rappresenta un punto di
riferimento fondamentale per le redazioni, è l’agenzia di stampa,
o agenzia di servizi, nella sua evoluzione multimediale. Questa è
una fonte indiretta, specializzata, che cerca e raccoglie le
informazioni grazie ad una rete capillare di giornalisti e poi le
distribuisce all’interno del circuito mediale.
Sergio Lepri, storico direttore dell’ANSA, ha definito così
l’agenzia di stampa: “Un’impresa pubblica o privata che
raccoglie, elabora e distribuisce quotidianamente, a pagamento,
a organi giornalistici, organi non giornalistici e a privati, in
ambito regionale o nazionale o anche estero, in telescrivente o
radiotelescrivente o da computer a computer o in videoterminale
o su un televisore, informazioni generali o settoriali oppure per
cavo o via radio, informazioni specializzate (fotografiche,
filmate, in voce)”. Lo stesso Lepri, rispondendo ad una serie di
domande poste dal prof. Giorgino durante un incontro tenuto
con noi studenti in facoltà, ha rielaborato la definizione sopra
6
Ivi, pag. 120.
17
riportata: “Organo multimediale di informazioni correnti e
memorizzate destinate a un pubblico giornalistico e non”7. Le
agenzie di stampa rappresentano la fonte principale di tutti i
servizi giornalistici, ad eccezione degli scoop e delle notizie
pubblicate in esclusiva da una testata; la loro funzione è
raccogliere e selezionare le notizie lavorando solitamente a
livello nazionale e internazionale. I giornalisti ormai sono
sempre meno “raccoglitori” e sempre più “selezionatori”, il loro
lavoro si svolge principalmente al desk, dove un computer
collegato in rete riporta la situazione aggiornata in tempo reale
di quello che sta succedendo in tutto il mondo. Il giornalista ha
le informazioni che gli servono, il QHZVPDNLQJ è assolto dalle
agenzie, il suo compito è selezionarle (QHZVJDWKHULQJ) e
produrre contenuti da trasmettere al pubblico.
Gli strumenti principali dell’agenzia di stampa, nella sua
accezione classica, sono due: il IODVK e il WDNHil primo serve per
veicolare una notizia in modo coinciso, veloce, in una - due
righe, ad esempio: “Roma. Il Presidente della Camera
Ferdinando Casini si è dimesso”. Il WDNH, invece, espande
l’informazione, riportando i dettagli dell’accaduto, riassunti in
quindici - venti righe, usando la tecnica delle cinque W; per le
notizie più importanti l’agenzia dedica più WDNH, segnalando
normalmente le KDUGQHZV con tre crocette (+++), prima e dopo
il lancio. Oltre al IODVK e al WDNH, rivolti a tutti i clienti, le agenzie
di stampa offrono servizi più evoluti: interviste, reportage,
corrispondenze, ma anche fotografie e documenti video che
vengono venduti come prodotti finiti a giornali e televisioni.
Questo aspetto ha favorito una trasformazione della professione
giornalistica, passata da una fase di SURGX]LRQH ad una di
SRVWSURGX]LRQH, caratterizzata da un forte orientamento al lavoro
di desk, piuttosto che quello di inviato o corrispondente da una
capitale estera. Redattori e capiredattori dovranno scorrere le
7
Ivi, pag. 133.
18
informazioni dai loro terminali e decidere quali WDNH riprendere e
quali cestinare, anche corrispondenti esteri ed inviati si
avvalgono del supporto irrinunciabile delle agenzie.
Il sito dell’Ordine dei giornalisti,
http://www.odg.it/stampa_it/stampait_agenzie.htm, pubblica
online gli indirizzi e i siti internet delle principali agenzie
italiane. Sono circa quaranta, disposte in ordine alfabetico; nella
pagina web è possibile trovare anche le agenzie che si occupano
di informazione regionale e locale. Dal link
http://www.odg.it/www.odg.it_old/stampastr_agenzie.htm si
accede, invece, alle più importanti agenzie di stampa estere, in
particolare alle agenzie europee e americane.
/HWHRULHVXOOHUHOD]LRQLSXEEOLFKH
Un settore strategico e sempre in crescita nelle nostre società è
occupato dalle attività di comunicazione, rivolte verso pubblici e
target differenti, con l’obiettivo di informare, divertire,
influenzare, stimolare. In questo mare di comunicazione, che dai
centri di potere si dirige verso i cittadini, si colloca l’attività di
pubbliche relazioni. Lo studioso statunitense James Grunig, uno
dei massimi esperti della disciplina, dal 1976 compie ricerche
sulle relazioni pubbliche, per studiarne l’evoluzione nella
società americana. Nel 1984 il prof Grunig elaborò quattro
modelli di relazioni pubbliche, utili per rappresentare
l’evoluzione in diverse fasi storiche di questa attività. I quattro
modelli sono ancora validi e rappresentano modi diversi di
concepire le relazioni pubbliche e orientarsi nella loro gestione.
Dopo aver dato una definizione del termine ormai tanto di moda,
soprattutto nella versione inglese di SXEOLFUHODWLRQ, si potrà
esporre sinteticamente i quattro modelli citati.
19
8QDGHILQL]LRQHGLUHOD]LRQLSXEEOLFKH
Questa è la definizione della professione di relazioni pubbliche
secondo Emanuele Invernizzi8, professore di Economia e tecnica
della comunicazione aziendale all’Università IULM di Milano:
“La professione di relazioni pubbliche, che si avvale di
competenze specifiche, è costituita da un insieme di attività il
cui obiettivo generale è di comunicare per informare e per
influenzare l’opinione pubblica e i pubblici influenti al fine di
creare benevolenza JRRGZLOO, in un clima di comprensione
reciproca tra l’organizzazione e i suoi pubblici”. I servizi che ne
determinano la validità possono essere divisi tra servizi di base
(le relazioni con i media e l’organizzazione di eventi) e servizi
specialistici (sponsorizzazioni, SXEOLFDIIDLU, comunicazione di
crisi, comunicazione finanziaria, comunicazione ambientale,
comunicazione pubblica e comunicazione per le piccole e medie
imprese). Sarebbe impossibile analizzare tutti questi campi di
ricerca e si rimanda ad altri lavori per maggiori
approfondimenti.
,OPRGHOOR3UHVVDJHQWU\SXEOLFLW\
Il primo modello individuato da Grunig è anche il modello che
ha visto per primo la comparsa nella vita della società americana
delle SXEOLF UHODWLRQ Il fine di questo modello era la
propaganda, la diffusione di notizie riguardanti l’organizzazione
o i suoi soggetti attraverso informazioni distorte, incomplete, o
anche mezze verità. Questo modello fa leva quindi sulla
8
Emanuele Invernizzi è professore di Economia e tecnica della
comunicazione aziendale presso l’Università IULM di Milano dove insegna
anche Metodi e gestione delle relazioni pubbliche ed è direttore dell’Istituto
di economia e marketing. Svolge, inoltre, attività di formazione manageriale
e di consulenza nel campo dell’organizzazione aziendale e della
comunicazione d’impresa. Oltre a 5HOD]LRQLSXEEOLFKH, Mcgraw Hill, ha
scritto molti articoli e libri sull’argomento, tra cui: /DFRPXQLFD]LRQH
RUJDQL]]DWLYD7HRULHPRGHOOLHPHWRGL
20
fantasia, la creatività e soprattutto sulla relazione SUHVVDJHQW -
giornalista per “occupare” spazio sui media ed ottenere
l’attenzione del pubblico, ma non necessariamente la sua
comprensione ed il suo consenso. Il modello è ad una via, con
forme di comunicazione RQHZD\; è inoltre asimmetrico, nel
senso che il flusso di comunicazione, andando da una fonte ad
un ricevente, ha degli effetti che sono tutti a favore della fonte,
cioè dell’organizzazione. Il giornalista, unico vero influente del
SUHVVDJHQWSXEOLFLVW, dipende, sotto molti aspetti, dallo stesso.
Questo modello è utilizzato ancora oggi, soprattutto laddove la
politica dell’annuncio diventa una necessità per
l’organizzazione. Nel lancio di un prodotto, nell’organizzazione
di una manifestazione, nella comunicazione di gente di
spettacolo o sportivi, non conta tanto la verità dell’informazione,
basta solo la verosimiglianza e la capacità di stupire,
meravigliare. Al giorno d’oggi, questo modello è molto usato
soprattutto nello spettacolo, nello sport ed in altri campi della
vita sociale. È il modello che nell’immaginario collettivo viene
più comunemente associato alle relazioni pubbliche. È il
modello che lo stesso Grunig, pur avendolo razionalizzato, non
tarda a definire come “frutto avvelenato” che negli Stati Uniti, e
nel mondo, ha contribuito ad attribuire alla professione che lo
realizza un’identità ambigua e discutibile.
,OPRGHOOR3XEOLFLQIRUPDWLRQ
In questo modello la posizione del giornalista non è
completamente dominata dal SUHVV DJHQWSXEOLFLVW, ma è
riscontrabile un aumento del potere del giornalista, inteso come
strumento/filtro verso l’opinione pubblica. Questo è dovuto
soprattutto al periodo storico in cui tale modello venne
individuato. Si trattava di un periodo in cui l’opinione pubblica,
stanca di non essere presa in considerazione, si affidava ai
giornalisti per entrare in contatto con le organizzazioni e
conoscere tutte le informazioni delle stesse. Era il periodo dei
21
grandi capitani d’industria, dei magnati del ferro e del petrolio,
dei tycoon. Erano inoltre gli anni dei pionieri del giornalismo di
indagine e scandalistico9 che avevano come unico scopo quello
di portare a galla il “lerciume” che le organizzazioni tenevano
nascosto all’opinione pubblica. Ecco allora che con Ivy
Ledbetter Lee, fondatore di una delle prime agenzie di relazioni
pubbliche10, si instaura un nuovo tipo di concetto nella pratica
delle relazioni pubbliche. Una nuova dimensione il cui fine è
quello della produzione, prima, e della diffusione, poi, di
informazioni riguardanti l’organizzazione. Ma si badi bene che a
differenza del modello precedente la verità delle informazioni è
indispensabile: occorre presentare un quadro fedele della realtà
dell’organizzazione. Lee sostiene, però, che le informazioni
devono anche essere esplicitamente e consapevolmente orientate
ad influenzare l’opinione pubblica in favore degli obiettivi
dell’organizzazione committente.
Il modello è sempre ad una via: l’informazione viaggia sempre
dall’organizzazione verso il giornalista, chi comunica persegue
solamente il suo obiettivo e si preoccupa soltanto di soddisfare
le aspettative presunte del giornalista. Si tratta tuttavia di un
modello meno asimmetrico del precedente, in quanto il
giornalista non è solo uno strumento nelle mani della fonte, ma
gli viene riconosciuto un ruolo di filtro/tutela degli interessi dei
lettori.
Questo è il modello che secondo Grunig è ancora oggi il più
praticato, soprattutto nel settore pubblico, dove le attività delle
9
Sono i famigerati muckcrackers, JUDWWDWRULGLVWHUFR, giornalisti progressisti
che attaccavano gli eccessivi intrecci tra settore pubblico ed impresa privata.
Sull’argomento vedi Alberto Papuzzi, 3URIHVVLRQHJLRUQDOLVWD, Donzelli
Editore, 2003, Cap. 1 e 2.
10
Si tratta della Parker & Lee, fondata nel 1904. E’ stata in assoluto la terza
agenzia di relazioni pubbliche ad essere aperta dopo la Publicity Bureau di
Boston (1900) e la Wolff, fondata a Washington nel 1902.
22
amministrazioni sono orientate verso la diffusione delle
informazioni.11
,OPRGHOOR7ZRZD\DV\PPHWULF
Dopo la prima guerra mondiale l’opinione pubblica statunitense
avvertì in pieno il potere della propaganda e cominciò ad
esserne impaurita, al punto che il Presidente Wilson dovette
nominare un Comitato per l’informazione pubblica, con lo scopo
di controllare la persuasione di massa dei mezzi di
comunicazione. In questo clima di diffidenza Edward L.
Barnays propose il cosiddetto approccio scientifico alle relazioni
pubbliche che, per la prima volta, si pose il problema del
feedback e della ricerca sui valori e gli atteggiamenti del
pubblico. L’obiettivo era identificare quegli aspetti
dell’organizzazione che il pubblico apprezza di più e presentarli
ai mass media come elementi caratterizzanti
dell’organizzazione. Comunicare quello che il pubblico
preferisce, tenendo nascoste le caratteristiche che possono
provocare disapprovazione e rifiuto. L’obiettivo dell’attività di
relazioni pubbliche è la persuasione scientifica, finalizzata a far
accettare il punto di vista dell’organizzazione. Questo modello è
chiamato WZRZD\, a due vie, perché rappresenta una forma di
comunicazione che dall’organizzazione raggiunge il pubblico, e
dal pubblico ritorna all’organizzazione; l’elemento
³DV\PPHWULF´ indica che non c’è una negoziazione dei
messaggi, ma il feedback del pubblico serve solo ad organizzare
il flusso di comunicazione in uscita. I punti di vista e le opinioni
del pubblico non vengono rappresentate al management affinché
l’organizzazione possa cambiare ed entrare in sintonia con
quegli stessi pubblici, ma l’utilizzo della ricerca scientifica serve
solamente come ausilio alla pianificazione delle strategie di
comunicazione.
11
Vedi più avanti, capitolo 2.4