3
Introduzione
“Selfie ergo sum”(Anonimo)
Nel 2011 un macaco ruba lo strumento di lavoro del fotografo naturalista David Slater,
autoscattandosi involontariamente una foto che lo ritrae sorridente nella foresta
indonesiana. Davanti al successo di questo “selfie”, condiviso su ogni social, David
intenta una causa legale a “Wikimedia” poiché non gli viene riconosciuto il copyright
sull’immagine, con l’argomentazione che fosse stato il macaco a scattarla, non lui. Nel
2017 l’Ufficio Copyright USA ha dato ragione al fotografo contro la divulgazione
pubblica e gratuita della foto, respingendo la motivazione che le immagini scattate da
animali non possano essere soggette al copyright (la Repubblica.it, 2017).
Ho voluto metaforizzare tramite questo fatto, realmente accaduto, le dinamiche sociali e
di potere divenute attualità con l’avvento dei social network, specialmente “Facebook”,
argomento questo del presente elaborato finale.
La macchina fotografica va pensata come lo strumento con cui riusciamo a soddisfare i
nostri bisogni sociali; la piattaforma virtuale in cui noi, come il macaco, condividiamo
contenuti e informazioni riguardanti i più minuziosi dettagli delle nostre vite, o
perlomeno ciò che vogliamo che gli altri vedano delle nostre vite. Come per l’epilogo
della storia raccontata, tutte le informazioni che noi condividiamo vengono di diritto
condivise con la piattaforma social, la quale le “sfrutta” a fini commerciali e di
marketing, ma non solo.
Il primo capitolo dell’elaborato finale vuole presentare l’architettura virtuale della
“macchina fotografica” “Facebook Inc.” e, in particolare, del suo sito principale
“Facebook.com”; comparerò quest’ultimo al “Panopticon” di Bentham, attraverso il libro
“Sorvegliare e punire” di Foucault(1976) e con il sostegno degli articoli riguardanti
questo argomento. Ritengo che parlare di prigione vera e propria sia forse eccessivo, ma
bisogna comunque ammettere che anche Facebook ha una struttura artificiale, basata su
algoritmi e sorvegliata dall’altro dalla società “Facebook Inc.”. Inoltre già Foucault
4
sottolinea nel suo volume come il “panopticismo” possa, e anzi forse è stato, esportato ad
altre strutture di potere, come ospedali, scuole…
Nel secondo capitolo si analizzano le conseguenze e i comportamenti sociali derivanti
dall’uso di Facebook, più precisamente: l’analogia tra il condividere i nostri pensieri sul
social network e il sistema della confessione descritto da Foucault nel libro “La volontà
di sapere” (1978); le maniere attraverso cui la disciplina, grazie al controllo delle attività
e del tempo, come nel caso panoptico, si insinua all’interno dell’individuo e ne
condiziona l’agire sociale; il concetto di “minaccia di invisibilità” contrapposto alla
“minaccia di visibilità” Foucaultiana, analizzato principalmente nell’ articolo di Taina
Bucher (2012); la somiglianza tra il social network e il “Panopticon” secondo i sociologi
Lyon e Bauman (2015); infine si espongono le correlazioni tra l’uso dei social network e
il fenomeno del “database marketing”, il quale sfrutta le informazioni che condividiamo
online per fini commerciali, profilando i consumatori, in altre parole definendo le loro
preferenze in base alle azioni “online” compiute in passato . Nella terza parte
dell’elaborato finale sono riportati alcuni esempi pertinenti al tema, utili per comprendere
meglio il funzionamento concreto del social network e il suo legame con la società.
Ad oggi Facebook conta 2 miliardi di utenti attivi al mese, solo in Italia 30 milioni ; una
popolazione più numerosa di qualunque Stato, e in continua crescita.
Inoltre ricava un utile netto di 1.5 miliardi di dollari in un trimestre (2016) ed è utilizzato,
oltre che dai singoli individui, da 19 milioni di imprese attraverso le “Fan Page”(oggi
pagine “Mi Piace”) (lastampa.it, 2017).
Queste considerazioni rendono, il tema ancora molto attuale e meritevole di successivi
approfondimenti; restiamo convinti che molte risposte potrebbero (e dovrebbero)
provenire unicamente dalla società “Facebook Inc.”, alla quale spetterebbe l’obbligo di
esporre con maggiore chiarezza e in maniera diffusa l’uso che essa fa delle nostre
informazioni.
5
Capitolo I: Lo scheletro
Immaginate qualcuno in un costume da scheletro. Il costume è
assolutamente innocuo in quanto è la pura rappresentazione di ossa
morte che ricoprono un corpo vivo di carne. Ma, naturalmente sotto
quel corpo vivo di carne c’è uno scheletro. Proprio come lo scheletro
è un costume sulla carne, la carne è un costume sopra lo scheletro.
(Mark Fortier)
Attraverso questa citazione si vuole sottolineare l’interdipendenza e la sovrapposizione
esistente tra l’architettura virtuale della piattaforma social (lo scheletro) e i contenuti, i
profili e le interazioni presenti all’interno del sito (la carne), i quali sono inevitabilmente
influenzati dal modo in cui devono essere condivisi. L’architettura scheletrica di
“Facebook” appare metaforicamente composta sia da un involucro esterno, costruito
attraverso procedimenti prefissati e artificiali (se si considera un’interazione sociale
“offline”) con finalità disciplinari e dinamiche di potere simili a quelle del “Panopticon”
ideato da Bentham (Foucault,1976); una parte interna , attraverso cui sono raccolte le
informazioni finalizzate alla profilazione, simile all’individualizzazione messa in atto
nella prigione utile a trattare il singolo nel modo specifico più appropriato . Uno scheletro
all’interno di uno scheletro, dove il più esterno risulta il travestimento per quello
sottostante, sorretto dalla carne, i singoli utenti, tritati al suo interno, come tratteremo nel
secondo capitolo.
Panopticon e panopticismo
Il “Panopticon” di Bentham è una figura architettonica, raffigurante una prigione, avente
una torre centrale, occupata dal sorvegliante, al centro di un anello di celle, le quali
permettono la visibilità permanente del condannato grazie alla visione in controluce a
favore della guardia. L’invisibilità laterale permette “una collezione di individualità
separate” e garantisce l’ordine interno rendendo di fatto impossibile l’organizzazione
6
collettiva di un’evasione, mentre la “minaccia di visibilità” costante conduce al
funzionamento automatico del potere, anch’esso visibile, ma inverificabile (Foucault,
1976, pp.218-219).
Preme rilevare inizialmente l’esportabilità, già ammessa e anzi divinizzata da Foucault,
dei macchinosi giochi di potere che la struttura del “Panopticon” metteva in atto. Il
sociologo ammonisce di non considerare la prigione come un semplice edificio onirico
(poiché poche furono veramente costruite), ma di considerare la tecnologia politica
applicata; quest’ultima è polivalente nelle sue applicazioni: potrà essere adattata a scuole,
ospedali o dovunque “si avrà a che fare con una molteplicità di individui cui si dovrà
imporre un compito o una condotta” (Foucault ,1976, p.224). Il “panopticismo” è
destinato a diffondersi inevitabilmente nel corpo sociale, attraverso un meccanismo
democratico in cui ogni individuo abbia la facoltà di entrare nella torre centrale e
controllare il giusto svolgimento dell’esercizio del potere, con l’obiettivo di aumentare la
produzione, la moralità pubblica, l’istruzione.
Per ottenere, secondo Foucault, un riscontro ottimale, la maggioranza produttiva deve
esercitarsi in maniera continua, insinuandosi “fino al più piccolo germe” ed evitando
“forme discontinue e violente legate all’esercizio della sovranità” (Foucault, 1976,
p.227); secondo il sociologo, Bentham sognava di creare una rete di dispositivi
(disciplinari) ovunque e sempre all’erta, che percorressero la società senza interruzione
(Foucault, 1976, p.228).
Le caratteristiche uniche del “panopticismo” si ritrovano, secondo l’articolo di Taina
Bucher, in prigioni, ospedali e oggi anche nei social network, spazi di visibilità costruita
attraverso un’architettura specifica e permanente; questi ultimi forgiano l’incertezza
associata alla possibilità di essere guardati in ogni momento, rendendo automatico il
funzionamento del potere e influenzando il comportamento sociale dell’individuo
(Bucher, 2012, pp.7-8). Al crescere dei sorveglianti e al diminuire della quantità
disponibile di sorveglianza, vedremo nel secondo capitolo il sorgere, sempre secondo
Taina Bucher (2012), della “minaccia di invisibilità”, ovvero la possibilità costante di
perdere visibilità sulla piattaforma virtuale, oggi elemento essenziale per capire il
funzionamento di “Facebook”.
L’articolo “Panopticism is not enough….voluntary servitude” (2017) ricorda come molti
studiosi trattino invece i social media come una forma di “Panopticon”, ma invertita, in
7
cui l’utente si trova solitario nella torre centrale della prigione, mentre i sorveglianti sono
intorno a lui. Secondo gli autori questa specifica architettura di potere è propria di
fenomeni come la “Sorveglianza laterale”(Andrejevic, 2002) e la “sorveglianza liquida”
(Bauman, Lyon, 2015, pp. X-XI). Il primo, opposto alla “invisibilità laterale” delle celle,
riguarda l’assunzione simultanea del ruolo di sorvegliato e di sorvegliante e il
“monitoraggio bidimensionale”, per cui gli utenti sorvegliano, soprattutto gli amici più
stretti, in modo orizzontale (Andrejevic, 2002). Il secondo, che comporta la perdita dei
punti di riferimento di potere e sorveglianza, offre (anche) attraverso social network come
“Facebook”, secondo Bauman (Lyon, 2015), l’opportunità di immagazzinare dati
personali e riutilizzarli a fini di marketing, con una raffinata segmentazione dei
consumatori.
Il sociologo polacco individua in questi mezzi per accumulare dati “panopticon
personali”, dispositivi che ogni lavoratore deve portarsi sempre in tasca, “come le
lumache si portano dietro la casa”; questi, facendo leva su facoltà “irrazionali”, come
l’intraprendenza e lo spirito d’avventura, impongono disciplina, obbedienza e
conformismo senza la dispersione delle risorse economiche e sociali necessarie al
funzionamento del “Panopticon” (Bauman, Lyon, 2015, pp.45-46.47). Bauman ritiene le
nuove facoltà introdotte causa di una nuova forma di “schiavitù volontaria”, termine di
cui si argomenta nell’articolo “Panopticism is not enough….voluntary servitude”
(Romele, Emmenegger, Gallino, Giorgione,2017).
Gli autori del testo vedono nei social network il superamento del paradosso della “servitù
volontaria”, in altre parole la coesistenza tra la libera volontà di tendere a essere felice
insita nell’essere umano e la sottomissione alla sorveglianza attraverso la data filiazione
(Romele, Emmenegger, Gallino, Giorgione, 2017). Gli utenti sono invogliati ad entrare in
“Facebook” principalmente per tenere in vita amicizie che altrimenti sparirebbero e per
ricostruire, anche se virtualmente, quel genere di comunità rurali in cui tutti si
conoscevano (Dunbar, 1998); essi, sentendosi tutelati dagli sguardi indesiderati grazie
alle impostazioni predefinite riguardo la privacy, decise dalla stessa piattaforma, non si
rendono conto o forse negano di essere consapevoli che il sito raccoglie ogni
informazione condivisa, anche non pubblicamente come i messaggi privati, sul social.
L’individuo consapevole appare in ogni caso favorevole all’acquisizione di dati, se questi
aiutano e ottimizzano il suo interfacciarsi con “Facebook”, se favoriscono