1
INTRODUZIONE
Non multa sed multum recita un antico detto latino, la cui traduzione potrebbe
essere: non è fondamentale imparare svariate cose, per sommatoria, ma è essenziale
apprenderle in maniera intensa, partecipata, approfondita. Questo principio varrebbe
per ogni campo della conoscenza, ma ritengo valga tanto più per una disciplina
scolastica quale la Religione Cattolica, insegnata ad alunni che attraversano le fasi
evolutive della crescita, mentre camminano verso la costruzione di una identità oltre
che di uno spessore culturale e una formazione tecnica. A motivo della natura
interdisciplinare di questa materia, che dà conto del fatto religioso dall’angolatura
cristiana con dati storico-scientifici, nonché a motivo delle dinamiche
dell’apprendimento umano, che rispecchiano la Sapienza creatrice, aggiungerei alla
traduzione di questa preziosa frase latina anche l’aggettivo «sapido», nel senso
quindi di: apprendere cose in maniera «saporita», «saliente», «gustabile» e che «reca
sapore a ogni cosa», come fa il sale. Equivale a dire che per essere impartiti i
contenuti della Religione e le metodologie richiedono di venir mutuati/attivati
secondo una prospettiva e uno stile che deve risultare «significativo» per chi li
riceve, sia sul piano culturale, come ci indicano le direttive ministeriali,
1
in primo
piano specie nella seconda parte della presente esercitazione, sia sotto il profilo della
elaborazione personale come dati portanti per la propria esistenza, sulla qual cosa
rivolgo maggiormente la mia attenzione. «Sapienza» dell’IRC è fornire
«suggestioni» che diano sapore ai contenuti proposti, i quali, difendibili
scientificamente, soprattutto interpellano l’interiorità dell’alunno, inducono a
riflettere e confrontarsi, evidenziandone la valenza per la vita.
L’apprendimento significativo, peraltro prescritto ad ogni disciplina scolastica
2
è
l’apprendimento che si collega con il senso che sappiamo dare alla nostra esistenza.
3
Il senso dell’esistenza, quand’anche apparisse chiaro all’alunno che abbia avuto
l’opportunità di un accompagnamento e guida adeguati durante il percorso intrapreso
dall’età di ragione, non risulta ancora fatto proprio fino a quando non venga, in età
1
Intesa tra il MIUR e la CEI sulle indicazioni didattiche per l’IRC nella scuola dell’infanzia e del
primo ciclo, 1-8-2009, Allegato.
2
L.53/2003, Allegato D, che riguarda le IN per il Profilo educativo, culturale e professionale dello
studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni).
3
PORCARELLI A., Cammini del conoscere, Giunti, Firenze 2008, 139.
2
giovanile, elaborato autonomamente in seguito alla graduale naturale maturazione
psico/fisica e sullo sfondo ambientale, famigliare, culturale dato. È un percorso
lungo, irto di difficoltà e fatiche, dall’esito non scontato, portato avanti da una
comunità di soggetti educanti non necessariamente in comunione d’intenti e di
metodo fra loro. Per accompagnare gli alunni in questo percorso in qualità di
educatori che educano istruendo dentro al contenitore scuola,
4
mirando al bene
globale della persona umana nel raggiungimento del suo pieno sviluppo in vista del
suo fine ultimo e dell’incremento al bene comune, così come esplicita chiaramente il
Magistero nella Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis,
5
torna utile
perciò tenere presenti molti snodi antropologici/psicologici che emergeranno in
questa esercitazione, fra cui voglio ricordare qui soltanto una caratteristica.
L’età infantile e adolescenziale è fortemente attratta dal senso della «scoperta» e
le esperienze fatte in tali età costituiscono la matrice di una serie di esperienze che
cresceranno lungo la vita, che potremmo chiamare «generative».
6
Poiché il primo
passo a che un fatto, una cosa diventi significativa e generante è che venga accolta e,
ancor prima, che sia resa appetibile a chi la riceve, risulta importante che tali
esperienze basilari siano accompagnate dal senso di meraviglia per la scoperta e dalla
percezione del valore di quella scoperta, se vogliamo che siano efficaci e penetranti.
Altrimenti saremmo artefici, come insegnanti, di una serie di nozioni e
iperstimolazioni somministrate estrinsecamente, per giunta con una velocità che
sempre maggiormente «violenta» la crescita cognitiva (in misura che io trovo
eccessiva nell’impostazione odierna di una scuola che rincorre la comunicazione
digitale).
7
Le quali nozioni o scivolano sopra la mente e cuore dei ragazzini senza
4
CEI, Educare alla vita buona del vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il
decennio 2010-2020, Paoline, Milano 2010, n.13: «Benedetto XVI, a sua volta, spiega che
l’educazione non può risolversi in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella
trasmissione di principi; il suo scopo è, piuttosto, quello di “formare le nuove generazioni, perché
sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo
occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un
patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della
vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio”».
5
CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione conciliare sulla educazione cristiana Gravissimum
educationis, 28 ottobre 1965, n.1.
6
PORCARELLI, Cammini del conoscere, 95.
7
L’influsso dei media sulla modalità di utilizzare l’intelligenza da parte dell’uomo è stato sviscerato
dagli studi antropologici, filosofici, di teoria della comunicazione di molti studiosi del post-moderno
(v. fra gli altri J.F.Lyotard, G.Vattimo, K.O.Apel, Z.Bauman, J.Baudrillard…). La capacità plasmante
della tecnologia nel praticare la realtà e la conoscenza nel mondo globalizzato ha prodotto un
3
entrarvi o li saturano inutilmente producendo indifferenza, quando non rigetto vero e
proprio. Nel periodo esistenziale in cui concorriamo come docenti a formare negli
alunni una forma mentis, la mentalità profonda, l’approccio culturale
8
con cui leggere
il mondo, e in una temperie culturale contemporanea in cui il sapere soffre di una
frammentazione che rischia di scindere la persona anziché favorirne l’unità in una
armonia tra prassi, morale, scienza e fede, dobbiamo anzitutto a mio parere, come
insegnanti credenti, curare in particolare che le esperienze in cui guidiamo i ragazzini
ad entrare non rimangano fine a se stesse, ma arrivino ad acquistare un senso. Per
individuarlo, la memoria opera il collegamento che unisce queste esperienze e una
interpretazione che le abbracci aiuta a interiorizzarle soggettivamente con esiti
costruttivi. Le suggestioni fornite dalle esperienze rielaborate «parlano» attraverso il
modello culturale dell’interprete (l’insegnante) e vanno a colorare i campi di
esperienza di colui che impara.
9
Da dove traiamo le suggestioni più autentiche, da coniugarsi con la realtà per
scoprirne il senso vero? Dal modello dei modelli: il testo sacro cristiano. Il modello
culturale dell’IdR è un umanesimo
10
plasmato dalla Bibbia; essa deve
prendere/riprendere il posto per i cristiani di grande canale paradigmatico delle
esperienze umane, poiché per il cristianesimo ne è, oltre che la «regola suprema della
fede» (DV, n.21), il vocabolario universale, lo sfondo autentico pieno di sapide
suggestioni esistenziali, proprio in quanto racconto della manifestazione di Dio nel
mutamento dalla civiltà illuminista, caratterizzata dal monocentrismo della razionalità, ad una civiltà
mass-mediale, caratterizzata dal policentrismo delle immagini e delle opinioni. In particolare Marshall
McLuhan (Gli strumenti del comunicare. Mass media e società moderna, Net, Milano 2002) ha messo
in luce che dall’epoca delle civiltà orali tribali, in cui era l’udito la facoltà preponderante usata, si è
passati alla civiltà della scrittura con l’introduzione dell’alfabeto fonetico, che portò ad un’esplosione
dell’uso dell’occhio e della vista; ma mentre la tecnologia meccanica ha prolungato e rafforzato la
corporeità dell’uomo, i media elettronici hanno radicalmente cambiato le facoltà percettive dell’homo
mediaticus e l’immagine che l’uomo ha di se stesso e del proprio corpo a seguito del largo uso di
informazioni visuali e linguistiche.
Notiamo perciò, anche negli alunni a scuola, una generale propensione alla passività, una tendenza a
considerare valido solo ciò che è immediato (con conseguente rifiuto, in quanto sorpassato, di ciò che
è storico o anche solo non recente), una sorta di apatia da sovraesposizione ai media elettronici e una
crescente incapacità a servirsi della corporeità, curiosità e creatività nella esplorazione della realtà e
nella rielaborazione della conoscenza. Ciò ha conseguenze di cui va tenuto conto sul piano didattico.
8
PORCARELLI, Cammini del conoscere, 129.
9
Si veda su questo punto anche: CEI, Nota pastorale sull’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche, Insegnare religione cattolica oggi, 19 maggio 1991, n.17.
10
Cf. mons. M.CROCIATA, «Sulla formazione degli IdR: prendere forma come processo di
autoformazione», in CEI - SERVIZIO NAZIONALE PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
CATTOLICA,“Io non mi vergogno del vangelo” (Rm 1,16). IRC per una cultura al servizio dell’uomo,
EDB, Bologna 2010, 61.
4
cosmo e nella storia e luogo della sua Presenza per ciascuno nell’oggi. Essa è la fonte
di ogni insegnamento. Già l’espressione ebraica Torà indicante il Pentateuco, cioè
l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia che formano l’AT, deriva dalla radice
verbale jrh, esprimente l’idea di «insegnare». La sua traduzione più fedele in italiano
sarebbe quella di «ammaestramento, insegnamento», e non di «Legge» (come fu
designata dalla traduzione greca dei Settanta - III-II sec.a.C. - che ha reso il vocabolo
ebraico con nòmos = «legge, regola»). Gesù dichiara: «la Scrittura non può essere
annullata» (Gv 10,35) e precisa che: «È più facile che abbiano fine il cielo e la terra,
anziché cada un solo trattino della Legge» (Lc 16,17). S.Paolo in 2Tim 3,16 dice:
«Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere,
correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben
preparato per ogni opera buona». «Chiamata sovente dai Padri una “lettera di Dio”
agli uomini, la Bibbia è anzitutto un’amorosa e benefica comunicazione del Padre ai
figli».
11
È essa il cardine attorno a cui ruota la ricerca della presente esercitazione,
per le ragioni esposte nella Premessa della Parte prima.
L’interpretazione offerta con onestà intellettuale dal docente di Religione, con la
potenza della testimonianza coerente che è tenuto a dare,
12
è quella che, accanto alla
verità scritta e descritta nella Bibbia, mette in risalto lo splendore insito nel
contenuto, conosciuto e accolto dai cristiani magari dopo fatica e travagli, e che per
questo difficilmente si dimentica, inscritto come rimane, per così dire, nella loro
carne. L’interpretazione mette altresì in risalto la capacità di questo splendore –
Veritatis splendor - di gettare luce su altre conoscenze ed esperienze della vita.
13
Per
essere più chiari: l’interpretazione esegetica, razionalmente rigorosa e documentata, è
ritenuta necessaria dal Conc.Vat. II (cf. DV, 12), ma essa non basta per comprendere
integralmente il testo, occorre interpretarla nella vita.
14
I vari metodi ermeneutici e
l’esegesi storico-scientifica non risolvono automaticamente il problema;
15
prima
occorre l’arte di far parlare la Parola all’uomo di oggi, reagendo ai modelli culturali
11
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, La Bibbia nella vita
della chiesa, n.14.
12
CEI, Insegnare religione cattolica oggi. n. 18 «L’insegnante di religione uomo di fede».
13
PORCARELLI, Cammini del conoscere, 124.
14
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, Nota pastorale La
Bibbia nella vita della chiesa, 1995, n.18 d-e, n.19.
15
Cf. le norme oggettive per l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa e le indicazioni per la corretta
pastorale biblica riportate in COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA
CATECHESI, La Bibbia nella vita della chiesa, nn.17-23.
5
dell’uomo di oggi.
16
«Solo un’educazione che aiuti a penetrare il senso della realtà,
valorizzandone tutte le dimensioni, consente di immettervi “germi di resurrezione”,
capaci di rendere buona la vita, di superare il ripiegamento su di sé, la
frammentazione e il vuoto di senso che affliggono la nostra società»,
17
come ci
ricordano i Vescovi, che rimarcano come nella Chiesa «alla base dell’educazione ci
debba stare la visione cristiana dell’uomo, per cui appare urgente valorizzare la
dimensione trascendente dell’educazione per la formazione di persone aperte a Dio e
capaci di dedicarsi al bene della comunità».
18
Questa sottolineatura è essenziale per cominciare a porre rimedio ai frutti deleteri
che una distinzione portata avanti di fatto per molto tempo nel sistema scolastico ha
prodotto: la separazione fra istruzione ed educazione. Essa rischia di divaricare i
percorsi di crescita dei soggetti in sviluppo, compromette la loro capacità di unificare
in una matura identità e visione del mondo personale la varietà di approcci (spesso
pretesi scientifici e pretesi «neutrali») di cui vengono fatti oggetto. Non esiste, in
realtà, trasmissione «neutra» di conoscenza, che non abbia cioè anche un aspetto
educativo sull’una o l’altra delle dimensioni evolutive della persona (cognitiva,
psicologica, morale, affettiva, spirituale, sessuale, sociale) e
l’addestramento/informazione o erudizione non è che una componente della più vasta
azione dell’insegnamento. L’insegnamento accompagna tutte le forme
dell’esperienza educativa (come la vita famigliare e l’apprendistato), con la
specificità in ambito scolastico di porre in connessione la malleabilità infantile con
l’esistenza di un complesso specifico di informazioni e di competenze cui si
attribuisce o si riconosce un valore intrinseco (l’oggetto «degno» di essere
insegnato).
19
L’IRC si omologa al format delle altre materie curricolari, essendole ufficialmente
riconosciuta pari dignità rispetto a tutti i saperi dell’offerta formativa nel quadro
delle generali finalità educative della scuola;
20
segue perciò uno schema definito. Ci
16
SALVARANI B., A scuola con la Bibbia, EMI, Bologna 2001, 66.
17
CEI, Educare alla vita buona del vangelo, n.6.
18
CEI, Educare alla vita buona del vangelo, n.53.
19
MOSCATO M.T., Diventare insegnanti, La scuola, Brescia 2008, 170.
20
Si vedano: il DPR 11-2-2010 per il I Ciclo e la CM 70/2010 per il II Ciclo. L’IRC utilizza la stessa
categorizzazione in format non perché sia l’unica per lei più adatta, ma per conformarsi alla
organizzazione di tutte le altre Discipline in vista di una collocazione istituzionale più solida, un
6
sono delle macroaree tematiche, da concretizzarsi in altrettante fasi di lavoro con
mediatori didattici appropriati, che sviluppano armoniosamente i contenuti proposti
nell’IRC onde favorire questo gettar luce sul resto della vita che dicevamo: per prima
quella antropologico/esperienziale, poi quella teologico/biblica e anche
storico/culturale, infine quella dialogica. Dialogo è davvero una parola-chiave
nell’IRC: «Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi»
21
e il
cristianesimo è un incontro di Dio-Trino nelle sue Persone con la persona umana,
una perenne «comunicazione».
22
Tutto il contenuto concettuale e conseguenze
apprezzabili culturalmente di questa relazione, che Egli per primo instaura con il
mondo nella storia, si elabora nell’ambito scuola, in sostanza, mediante passaggi
disciplinari codificati didatticamente: da un principio di programmazione si passa
alla correlazione e alla tematizzazione, poi al riferimento alle fonti per comprendere
linguaggi, evoluzione storica, inculturazione, e infine si arriva all’apprezzamento
della proposta cattolica nella sua specificità, al fine di riuscire a leggere anche le
diversità. In mezzo ci sta l’azione dell’insegnante, il quale media verso il soggetto in
apprendimento (il discente) per trasformare l’oggetto culturale in segni che lo
rappresentano, affinché l’alunno possa appropriarsene in termini economici, senza
rischi e dispersione di energie.
23
I cc.6-7 ne riferiscono qui una attuazione didattica.
Una direzione precisa va seguita per non smarrirsi nei cammini del conoscere
umano, dentro l’ambiente dell’istruzione codificata dallo Stato (ambiente
socialmente deputato appunto in primis a fornire l’istruzione obbligatoria).
24
E quindi
per prima cosa cercherò di individuare delle coordinate per mantenere orientamento e
direzione, figurandomi di intraprendere un viaggio per mare di piccolo cabotaggio
impianto strutturale più robusto e per favorire la trasversalità di ciò che è «educativo», costruendosi
attorno ad assi portanti e poggiando su traguardi (TSC) che sottolineano la dimensione esistenziale.
21
BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, 30 settembre 2010, n.6.
22
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, Nota pastorale La
Bibbia nella vita della chiesa, 1995, n.16.
23
CEI - SERVIZIO NAZIONALE PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA, Insegnamento
della Religione Cattolica: il nuovo profilo, La Scuola, Brescia 2006, 138-140.
24
In GE, n.5 leggiamo: «Tra tutti gli strumenti educativi un'importanza particolare riveste la scuola,
che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la
capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni,
promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra
alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione
reciproca.[…] È dunque meravigliosa e davvero importante la vocazione di quanti, collaborando con i
genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il
compito di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una
preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento».
7
che, non discostandosi mai dai riferimenti alla Parola (Mt 12,39-40) da cui è nata
l’idea centrale di questa esercitazione, mantiene la barca costantemente in vista della
costa. Una prima suggestione è fornita nella metafora (enunciata e poi ripresa nelle
Premesse della Parte prima e seconda) ispirata direttamente dall’ambientazione dei
passi biblici esaminati…e che ben ha raffigurato per secoli l’umano destino.
Incontreremo navi in viaggio partite alla fortuna, miracolosamente integre o
provvidenzialmente sfasciate, mari sempre tempestosi che grazie a Dio si calmano,
viaggi naufragati in cui uomini destinati alla morte rianno vita e la donano ad altri.
Conversioni e guarigioni, conflitti umani e sentimenti contrastanti, scelte rischiose e
virtù messe alla prova, fatiche, scoperte, preghiere, incontri con esiti felici: un
concentrato di umana fragilità e grandezza, che ha potuto solo nell’ultimo secolo
essere sondato mediante una nuova lettura fondata sulle scienze socio-psicologiche,
cui accenneremo.
Il girovagare senza una rotta non può essere chiamato viaggio compiuto: la nostra
rotta metaforica si calcola quindi su due coppie di «coordinate nautiche», intessute
nello scorrere dei capitoli di questo lavoro e incrociate come la trama e l’ordito di
un’antica vela, le quali legano argomenti ed episodi ad un primo sguardo distanti fra
loro.
Questa rotta presenta degli snodi: i punti focali illustrati dal c.3 e spiegati
teologicamente nel c.5, che tirano i fil-rouge della tesi.
Questa rotta non è scontata: la nostra nave prende infatti le mosse da un porto che
non è un libro biblico, bensì l’opera letteraria per ragazzi italiana più celebre: Le
avventure di Pinocchio. Il romanzo ci offre il destro per leggere una interessante
versione ascrivibile alla vasta categoria della lunga «storia degli effetti» che la
Bibbia, il libro più diffuso al mondo (anche se forse tra i meno letti nel nostro
Paese),
25
abbia ispirato con le sue innumerevoli ricadute artistiche (v.c.1).
Questa rotta, infine, prevede delle tappe: alcuni argomenti collegati (par.1 c.3,
par.2 c.4) a temi toccati nella esercitazione, quali la discesa agli inferi, la signoria
sulla natura di Dio, lo straniero, spesso oggi trascurati tanto nell’insegnamento come
nella catechesi, aprono spunti per una elaborazione didattica percorribile.
25
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, La Bibbia nella vita
della chiesa, n.10.
8
In filigrana sta il ruolo dell’IdR, già sopra accennato, che sa intendere
l’educazione come «cosa del cuore», come diceva don G.Bosco, tesa a lasciare dietro
di sé (come fa il passaggio di Dio…), una crescita di coscienza, di amore e di libertà,
nella quale si entra mediante il dialogo e che si porta avanti con l’assistenza della
Grazia. Tenendo a mente parimenti la preziosa e veritiera esortazione di S.Paolo
26
che invita i discenti a far parte di quanto posseduto a coloro che li istruiscono,
ricevendo reciproco arricchimento.
27
E quale docente non ha toccato con mano
quanto si riceve e/o impara dai propri alunni di ogni età? Per questo mi piace sempre
ricordare la pregnante definizione di insegnante di Religione come colui che è la
«causa ministeriale»
28
dell’apprendimento del discente: impegnato in un fecondo
scambio, come una sorta di «lievitatore» che fa «aumentare» la pasta di cui è fatto
l’alunno, o di giardiniere che pianta semi e coltiva piantine - in vista di frutti che
forse non lui ma altri vedranno
29
- ma per il cui lavoro egli già riceve il centuplo
quaggiù e nell’aldilà non perderà la sua ricompensa.
30
PARTE PRIMA
PREMESSA. La «storia degli effetti»
Una frase pronunciata da Gesù nel Vg di Matteo 12,38-42, ripresa dallo stesso
evangelista anche in altro luogo, poi nel suo parallelo in Luca, forma il nucleo del
nostro tema:
38
Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un
segno». Ed egli rispose:
39
«Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun
26
Galati 6,6: «Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce».
27
Con altre parole conferma di ciò si trova anche in PORCARELLI, Cammini del conoscere, 30: il
maestro è qualcuno chiamato ad essere per un certo tempo «amministratore» della ricchezza interiore
di un allievo, sia di quella già sviluppata che di quella in fieri, e da un’attività di insegnamento svolta
con passione non si può uscire esattamente come si era prima.
28
PORCARELLI, Cammini del conoscere, 56-57. Porcarelli spiega tecnicamente questa definizione
dicendo che è l’allievo il soggetto che compie l’atto di apprendimento, essendo questo un’azione
individuale; egli passa dal poter conoscere al conoscere effettivamente, cosa che si compie
nell’interno della sua mente. Ciò non toglie che sia il maestro la «vera causa» del suo apprendimento.
E al contrario di ciò che avviene ai beni materiali, quelli intellettuali non vengono inficiati o diminuiti
quando più soggetti interagiscono fra loro; al contrario la sinergia collaborativa aumenta l’operatività
sia del maestro che dell’allievo: più intensa è l’azione culturale ed esperienziale del maestro offerta
all’allievo, più intensa e vivace sarà la risposta di lui, che si gioverà del maestro per accumulare una
conoscenza che da solo otterrebbe ben difficilmente o in tempi molto più lunghi.
29
Lc 13,21; 1 Cor 3,6-13; Lc 13,6-9.
30
Mt 10,42.25,45.
9
segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta.
40
Come infatti Giona rimase tre giorni e tre
notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra.
41
Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si
convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona!
42
La regina del sud si
leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della terra
per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!
Matteo 16,1-4 riprende poi così:
1
I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un
segno dal cielo.
2
Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia;
3
e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del
cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?
4
Una generazione perversa e adultera cerca un
segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona». E lasciatili, se ne andò.
E Luca 11,29-32 dice:
29
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione
malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona.
30
Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per
questa generazione.
31
La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa
generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza
di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui.
32
Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio
insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si
convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui.
In questi passi Gesù, rispondendo alle domande provocatorie di scribi, farisei e
sadducei che gli chiedono di mostrar loro un segno dal cielo, richiama la vicenda
biblica ben nota a tutti gli ebrei e promette, con tono di forte rimprovero
31
verso il
popolo eletto, un «segno», alludendo ad un evento futuro che lo avrebbe riguardato
di persona e che sarebbe stato accolto e riconosciuto più facilmente dai lontani
pagani piuttosto che dai propri conterranei. Egli indica se stesso come colui che
interpreta Giona profeta, nel senso sia che lo spiega, sviluppando il significato della
vicenda veterotestamentaria, sia nel senso di sostituirlo, indicandone in sé una nuova
versione sotto una identità di dignità infinitamente maggiore del profeta. Il Dio-fatto-
uomo, preannunciando la fine che lo aspetta, getta la sua luce contemporaneamente a
31
P.Stefani illustra una linea interpretativa dell’ira divina secondo la quale, lungi dall’essere
impassibile, Dio è qualificato nella Bibbia con termini che coinvolgono l’ira. Considerando
l’etimologia di ʼerekh ʼappaim = «lungo all’ira», derivante da ʼAf (ʼappaim) = ebr. «naso», «narici»,
«ira», lo studioso osserva che la Scrittura dichiara che solo il Dio vivente capace di adirarsi è in grado
di mostrare pure il suo volto dolcemente misericordioso. In ciò Bibbia e Corano parlano davvero la
stessa lingua (STEFANI P., Pace e guerra nella Bibbia e nel Corano, Morcelliana, Brescia 2002, 85).
10
ritroso e in avanti, abbracciando assieme sia l’AT sia l’eskaton. Già questo mostrarsi
di Gesù in prima persona come l’elemento che unisce tutta la S.Scrittura (e Gv 5,39
lo esprime chiaramente, ove Gesù dice: «sono proprio esse [le Scritture] che mi
rendono testimonianza»), unitamente al fatto che la Tradizione e il Magistero
indichino come l’AT sia una prefigurazione del NT,
32
il quale ne porta a compimento
il significato
33
è stato per me punto capitale per avviare una ricerca. Tanto più che
questo punto, se consideriamo l’IRC, appare meno sviluppato di altri dentro ai testi
di Religione in uso attualmente nelle scuole
34
in compagnia peraltro con argomenti
un po’ trascurati come la storicità della Bibbia, l’escatologia, il confronto culturale e
la «storia degli effetti».
Un primo stimolo a indagare il parallelismo teologico tra Giona e Gesù proviene
perciò dalla lettera del testo e dal suo senso, nonché dal tema della continuità
teologica dei due Testamenti, previsto comunque nelle IN. Il profeta citato da Gesù,
visto da vicino, mi ha stimolato poi a proseguire il percorso scavalcando
cronologicamente il Vg fino al periodo della storia della salvezza successivo alla
resurrezione di Cristo, alla ricerca degli esiti della rotta individuata. Sono approdata
ad un altro saliente episodio del NT, quello riportato nel cap.27 degli Atti degli
Apostoli, in cui Paolo di Tarso naufraga sull’isola di Malta. I passi scritturistici di
Giona, di Gesù e di S.Paolo formano una triade di tappe sulla storia della salvezza
collegate, come vedremo, da importanti e significative caratteristiche approfondite e
interpretate dalla Tradizione.
La scelta di focalizzare la Scrittura è dettata altresì da due precise ragioni
congruenti con l’orizzonte didattico:
1) la Bibbia riveste una importanza culturale tale da meritare che sia tematizzata,
poiché riguarda la scelta di fede di tanti alunni e famiglie e perché gli effetti storici
che l’hanno resa grande in Occidente dipendono da un convincimento credente che
ha tenuta viva la sua capacità di ispirazione umana. Come conseguenza nella logica
culturale da perseguirsi in scuola va dunque sviluppata quale sia la specifica
32
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, La Bibbia nella vita
della chiesa, n.2, in cui è riportata tra l’altro la significativa frase di Ugo da San Vittore (L’arca di
Noè, II,8): «Tutta la Scrittura è un libro solo e quest’unico libro è Gesù Cristo».
33
DV n.15 e 16.
34
BISSOLI C., Leggere la Bibbia a scuola: strategie educative e didattiche,VI, tratto da: www.fidae.it.
11
comprensione che della Bibbia hanno i cristiani e la Chiesa cattolica.
35
Rileva l’ebraista Piero Stefani che le Scritture, nel passato e nel presente, restano
testi largamente ignorati o conosciuti solo in modo approssimativo e indiretto e che
l’importanza della Bibbia sembra maggiore della sua conoscenza, dato che i suoi
influssi, cioè gli «effetti» sulla cultura, sono più conosciuti rispetto alla fonte da cui
sono stati ispirati. In proposito Stefani simbolicamente chiama la Bibbia il «libro
sigillato»,
36
che resta sconosciuto e indecifrabile ai più, dal momento che, in forza
anche della secolarizzazione imperante che ha trasformato in qualcosa d’«altro» ciò
che veniva rielaborato e interpretato del testo sacro, si è perduta oggi la capacità di
rintracciare anche solo l’immagine fontale di «effetti» che han perduto di vista le
proprie radici. Riscontrando di persona la diffusa ignoranza/malcomprensione
37
del
libro sacro cristiano fra i cristiani stessi,
38
avverto come sia di primaria importanza
farlo conoscere in specie a partire dalla scuola primaria, fascia ove si pone l’abc della
istruzione. Questa urgenza, nella presente emergenza educativa, è ribadita anche dal
magistero: l’Esortazione apostolica postsinodale di papa Benedetto XVI Verbum
Domini si esprime così:
39
Un ambito particolare dell’incontro tra Parola di Dio e culture è quello della scuola e
dell’università. I Pastori abbiano speciale cura per questi ambienti, promuovendo una conoscenza
profonda della Bibbia così da poterne cogliere le feconde implicazioni culturali anche per l’oggi.
[…]Non si deve trascurare, poi, l’insegnamento della religione, formando accuratamente i docenti.
35
CEI - SERVIZIO NAZIONALE PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA, Insegnamento
della Religione Cattolica: il nuovo profilo, 186.
36
STEFANI P., La radice biblica. La Bibbia e i suoi influssi sulla cultura occidentale, Bruno
Mondadori, 2003, 29.
37
Cf. STEFANI, La radice biblica. La Bibbia e i suoi influssi sulla cultura occidentale, 31-35, ove si
enucleano i motivi dell’ignoranza della Bibbia: fu redatta in un arco temporale antico molto esteso ed
è ricca di riferimenti a culture ormai scomparse o lontane, per cui linguaggi espressioni e contenuti
appaiono difficilmente comprensibili oggi se attinti direttamente; d’altra parte vantando un cumulo
infinito di influssi, mediazioni, effetti già prodotti nella storia, essa tende a diventare un testo
enigmatico quando lo si accosti attraverso mediazioni, per il rischio di smarrirsi fra mille approcci
ermeneutici, critici, esegetici, storico-letterari. Inoltre i suoi effetti artistico-culturali lungo i secoli
hanno avuto maggiore risonanza della fonte stessa, ed è stata sempre trattata e approfondita per brani
isolati e mai in modo organico, a seconda dell’utilizzo fatto per lo sviluppo di branche diverse del
sapere. Per aggirare almeno in ambito scolastico questi ostacoli Stefani propone di considerare la
Bibbia come un «classico», un libro fra gli altri classici, adottando cioè un approccio parziale,
selettivo e secolare, che però mantiene la possibilità di suscitare nel lettore riflessioni ed emozioni
profonde confrontandovisi direttamente, anche senza considerarla come Parola di Dio.
38
Vedi anche: BISSOLI, Leggere la Bibbia a scuola: strategie educative e didattiche, II e SALVARANI,
A scuola con la Bibbia, 41, in cui si cita una ricerca dell’Università Cattolica sulla Chiesa italiana nel
1995.
39
VD, n.111.
12
In molti casi esso rappresenta per gli studenti un’occasione unica di contatto con il messaggio
della fede. È bene che in questo insegnamento sia promossa la conoscenza della sacra Scrittura,
vincendo antichi e nuovi pregiudizi, e cercando di far conoscere la sua verità.
40
- Alla luce dell’universalismo dei concetti emersi nel mio studio sulle storie
bibliche di Giona e del NT, vorrei infine citare la opportunità di portare nella scuola
multietnica di oggi la Bibbia anche per la sua capacità multiculturale di parlare
attraverso le differenze religiose, politiche, etniche e storiche.
Le religioni hanno prima di tutto delle storie sacre da raccontare. Dopo vengono le formulazioni, i
dogmi, i canoni, le teologie. Ma prima di tutto la comunità religiosa è una comunità narrativa e i
suoi fedeli per nutrire la loro fede hanno bisogno di storie. Mettersi in ascolto delle storie degli
altri aiuta a costruire la possibilità di dialogo tra le religioni. Anche perché è tipico delle storie
«guarire»: se le affermazioni dogmatiche separano, le storie uniscono; esse sono spesso, come
afferma una metafora musulmana, ago e filo e non forbici tra le visioni religiose. Le storie
attraversano, spesso, i confini religiosi stabiliti dalle autorità e dai canoni ufficiali. Esse nutrono
tutti coloro che le ascoltano, anche chi non appartiene a quella tradizione religiosa. Il dialogo
interreligioso ha bisogno di storie.
41
La strada narrativa per l’educazione interculturale è la più coinvolgente, poiché
assottiglia le barriere innalzate dalla diversità. Lavorare sulla narrazione è utile nella
fase scolastica in cui la lettura personale è ancora poco frequente. Nella fase
preadolescenziale e adolescenziale teniamo presente pure che è fortemente sentita la
dimensione del «raccontarsi» per sentirsi vivo, importante, riconosciuto dentro ad un
patrimonio culturale e collettivo; il conferirgli senso e significato, il ricercarlo, è
frutto del condividere strade. Saper conoscere, confrontare e raccordare i principi
fondamentali della propria religione con le altre rappresenta una delle competenze
importanti da acquisire in vista della maturità.
42
Ora, riflettendo sulla valenza di quanto emerso strada facendo nella mia ricerca,
ho ritenuto di operare una specie di rovesciamento metodologico: anziché esporre il
tema secondo la logica deduttiva, ho scelto la logica induttiva, che vuole ricavare
dalle risultanze i postulati posti a monte di esse, partendo proprio dagli «effetti» che
40
Riassumendo per punti quanto enucleato come elementi di didattica biblica, il biblista C.Bissoli
elenca 5 funzioni che la Bibbia esercita svolgendo il proprio ruolo di documento religioso nella
scuola: La Bibbia va incontrata in quanto 1) è testimonianza primaria e insostituibile della religione
ebraico-cristiana; 2) è matrice originale ed ampia di storia post-biblica (storia degli effetti); 3) è
criterio ermeneutico vasto ed accreditato dall’esistenza; 4) è deposito di un ricco e prestigioso
linguaggio espressivo; 5) è fonte teologica o di fede della religione ebraica e cristiana.
41
DAL CORSO M. – DAMINI M., Insegnare le religioni, EMI, Bologna 2011, 42.
42
DAL CORSO – DAMINI, Insegnare le religioni, 79-80.
13
più influiscono sul nostro oggi. Lo studio dei cosiddetti «effetti post-biblici» mette in
luce la vitalità di una pianta dai frutti, ossia i contenuti della fede dall’influsso che
essi hanno provocato nell’arte, nella cultura, nel pensiero, oltre che nella vita della
Chiesa e nella evangelizzazione. Compito dell’insegnante con gli alunni è di passare
dai frutti alla pianta, cercando di cogliere prima gli «effetti o segni», e poi cercando
le motivazioni per cui esistono, segnatamente i punti della Bibbia cui si riferiscono.
43
Nelle Indicazioni per l’Irc della scuola primaria, precipuamente nel secondo biennio,
essi vengono considerati guardando a colui che esprime le radici della religione
cristiana: Gesù Cristo; e uno dei motivi ivi proposti per esaminare gli effetti della
Bibbia è il cogliere i segni cristiani del Natale e della Pasqua, i segni della festa
originata dalla memoria di Gesù, che vanno raccolti e anche purificati. Precisamente
alla festa della Pasqua l’argomento del «segno di Giona» sulle labbra di Gesù ci
conduce.
Per condurvi dei bambini, che camminano nell’iniziazione cristiana durante gli
ultimi anni di scuola elementare, la favola di Pinocchio, anche se ha direttamente
influenzato l’infanzia più delle generazioni dello scorso secolo che non i «nativi
digitali» degli anni duemila, risulta senz’altro aggancio al patrimonio di conoscenze
circolanti, ricevuto dal tramandarsi orale di storie in famiglia fin dall’età prescolare,
dalla lettura di libri o dalla visione di film e cartoon. Pinocchio non cessa di ispirare
iniziative e rielaborazioni/riletture/semplificazioni artistiche-cinematografiche
44
e
approfondimenti scientifici di ogni tipo anche nel panorama culturale odierno.
45
La
sua scelta però è dettata anche da un motivo più complesso della pura caratteristica di
43
CEI - SERVIZIO NAZIONALE PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA, Insegnamento
della Religione Cattolica: il nuovo profilo, 67.
44
Si veda in merito ad es. l’interessante contributo di N.DUSI, «Pinocchio nella balena», in PEZZINI I.
– FABBRI P. (edd.), Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l’altro, Meltemi, Roma 2002, 190-
196, in cui tra studi sui miti indoeuropei e fiabe di magia condotti da Propp (1946), studi
sull’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici condotti da
Hjelmslev (1943) e altre opere letterarie quali il Moby Dick di H.Melville, si commentano il film
italiano su Pinocchio di L.Comencini (1972) e quello statunitense a disegni animati di W.Disney
(1940). Dusi nota che certe versioni artistiche giungono a ri-semantizzare il testo di partenza mediante
un rebound («effetto risonanza») basato su trasposizioni, varianti figurative, sistemi di relazioni tra
piani diversi quali l’enunciativo, il figurativo, il tematico, il ritmico, il discorsivo e il narrativo che si
intrecciano, richiamano e rimandano.
45
Dalla lettura di temi e personaggi secondo la psicologia del profondo, all’analisi strutturale
semiotica, all’indagine letteraria interculturale, all’approfondimento pedagogico, sociologico, alla
interpretazione teologica…