Introduzione
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benefici derivanti dal sistema pubblico. Il secondo e il terzo pilastro pensionistico
costituiscono tali alternative al ruolo della stato, con modalità differenti: piani
aziendali o industriali nel primo caso, assicurazioni individuali nel secondo. Molto
numerose sono dunque le comparazioni cross-country in tali ambiti, condotte con
l’intento di individuare modelli da imitare o anche soltanto di confrontare i
risultati conseguiti da sistemi differenti. La varietà delle caratteristiche dei piani in
questione e la mancanza di un set riconosciuto di elementi fondamentali
costituiscono, però, un enorme ostacolo al successo di tali paragoni. Il presente
elaborato si focalizza sul secondo pilastro pensionistico ed ha un duplice
obiettivo: cercherà, in primo luogo, di individuare le problematiche principali
connesse alla comparazione cross-country, rilevando i limiti attualmente presenti
per tali studi comparati e gli aspetti fondamentali spesso trascurati; in secondo
luogo si prenderanno in considerazione gli obiettivi e i progressi già in atto in
ambito OCSE al fine di ovviare ai suddetti problemi. L’analisi si soffermerà in
particolare sulla situazione di sei Paesi adottati come casi esemplificativi:
Finlandia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svezia.
Il Capitolo I ha la funzione di introduzione teorica all’argomento. Una fase
definitoria iniziale chiarirà i concetti di sistema pensionistico privato e sistema
pensionistico obbligatorio così come saranno utilizzati nel seguito; la
presentazione della teoria dei tre pilastri permetterà, poi, di delineare con
precisione il contesto in esame. I paragrafi seguenti saranno invece dedicati ad
illustrare le fasi fondamentali dei sistemi pensionistici privati e le loro
1
Implicano il pagamento di pensioni attingendo alle contribuzioni versate e capitalizzate dallo
stesso beneficiario.
Introduzione
15
caratteristiche principali sulla base delle quali costruire possibili categorizzazioni.
Verranno pertanto esaminati aspetti quali le modalità di finanziamento e di
riscossione dei benefici, nonché i soggetti possibili gestori o co-gestori di tali
sistemi pensionistici. I due paragrafi finali riguarderanno, rispettivamente, le
possibili tipologie di trattamento fiscale e di vincoli di portafoglio cui il secondo
pilastro può essere sottoposto.
Dopo aver illustrato le motivazioni che hanno portato a prendere in esame
Finlandia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svezia, il Capitolo II è quasi
interamente dedicato alla presentazione delle specifiche caratteristiche del
secondo pilastro pensionistico in tali paesi. Cercando di facilitare il confronto, tali
sistemi vengono analizzati facendo riferimento alle loro peculiari caratteristiche
strutturali, alle tipologie presenti fra quelle possibili delineate nel capitolo
precedente, e alla regolamentazione vigente, concludendo con il regime fiscale
applicato. Il paragrafo finale prende invece in considerazione il “caso Italia”, con
l’obiettivo di fornire una rapida collocazione del sistema italiano rispetto alle
categorie illustrate nel Capitolo I. In conclusione sarà presentata una tabella
riassuntiva delle caratteristiche principali dei piani occupazionali in esame.
Il Capitolo III rileva i principali ostacoli alla comparazione e i limiti che
attualmente si incontrano nei confronti sulla rilevanza che il secondo pilastro
pensionistico assume nei vari paesi. Inizialmente sarà illustrata la necessità di
operare con dati direttamente confrontabili, spesso carenti a causa di procedure di
rilevazione non uniformi. Si dimostrerà, poi, l’inattendibilità della più comune fra
Introduzione
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le stime della dimensione del secondo pilastro pensionistico, quella basata sul
valore delle attività impegnate in fondi occupazionali espresse come percentuale
del PIL, proponendo, però, anche due possibili procedure alternative, più
significative benché più complesse. Un elemento che sicuramente complica il
confronto cross-country fra piani occupazionali è la difformità nella composizione
di portafoglio di tali sistemi nei vari stati; la parte conclusiva del capitolo si
soffermerà su questo aspetto cercando di individuarne i fattori determinanti.
Il Capitolo IV è interamente dedicato alle modalità di trattamento fiscale
del secondo pilastro. Integrando ampiamente quanto osservato nel paragrafo
conclusivo del primo capitolo si esamineranno gli effetti degli elementi
caratterizzanti l’imposizione sui fondi pensione, ma anche di alcuni fattori spesso
trascurati poiché considerati non influenti in tale tipo di contesto, dimostrandone,
invece, la piena rilevanza. Sarà pertanto analizzato il ruolo dei tetti massimi alla
deducibilità delle contribuzioni e della differenziazione dell’aliquota fiscale sulle
diverse fasi di costituzione del fondo, soffermandosi inoltre sui possibili fattori
che suggeriscono l’adozione di tali misure; ma si dimostrerà anche la profonda
influenza che la tassazione societaria esercita indirettamente sull’imposizione
effettiva gravante sui fondi. Una valutazione dei costi degli incentivi fiscali sul
secondo pilastro ed una proposta di procedura volta a raggiungere in tale ambito
risultarti più significativi rispetto a quelli attualmente disponibili costituiscono la
parte conclusiva del capitolo.
Introduzione
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Le comparazioni effettuate sui sistemi pensionistici in generale, e dunque
anche sul secondo pilastro, riguardano nella maggior parte dei casi i dati lordi,
cioè prescindono dalle influenze del sistema fiscale nel suo complesso (imposte
dirette ed indirette gravanti non solo in modo specifico sui fondi). Il Capitolo V ha
lo scopo di dimostrare come un confronto basato, al contrario, su dati netti porti a
mutare, spesso anche in modo sostanziale, le conclusioni che emergono da un
confronto cross-country con dati lordi. La differenza nei due approcci, dovuta alla
difformità dei regimi fiscali in vigore nei vari stati, è particolarmente significativa
soprattutto dal punto di vista dei beneficiari dei piani pensionistici. Tuttavia il
capitolo sottolinea anche le difficoltà nell’individuare e nell’applicare una
procedura standard che consenta il passaggio da dati lordi a dati netti.
Il capitolo conclusivo adotta un approccio diverso rispetto a quello dei
capitoli precedenti: non costituisce una critica ad una particolare procedura di
comparazione né sottolinea elementi influenti su tali analisi, ma di difficile
individuazione. Cercherà, al contrario, di verificare, con riferimento al contesto
OCSE, l’esistenza di un obiettivo di lungo periodo per la soluzione dei citati
problemi ed analizzerà quali sono gli sforzi compiuti in tale direzione. Ne
emergerà, dunque, una valutazione sulle possibilità e sui tempi necessari a
raggiungere risultati più significativi ed immediati nell’ambito delle comparazioni
cross-country del secondo pilastro pensionistico.
Tutta l’analisi che sarà svolta nel seguito ha dunque lo scopo principale di
evidenziare alcuni aspetti indispensabili in un’analisi comparata di piani
Introduzione
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pensionistici occupazionali e di sottolineare come alcune comuni semplificazioni
nella comparazione possano condurre ad errori interpretativi significativi. Non è
pertanto obiettivo di questo elaborato stabilire la validità generale di relazioni o di
interrelazioni fra variabili; i sistemi dei paesi presi in analisi hanno dunque la sola
funzione di casi esemplificativi, scelti, è vero, in modo tale da fornire una rosa il
più possibile ampia di caratteristiche, ma non sicuramente adatti a riassumere tutte
le possibili tipologie di piani pensionistici occupazionali possibili. D’altro canto il
limitato numero di piani in esame ha consentito maggiore accuratezza nel
reperimento dei dati rilevanti, spesso di difficile individuazione. Ci si rende
pertanto conto che l’analisi proposta non può considerarsi esaustiva in merito a
tutti i possibili fattori la cui considerazione sia necessaria ai fini di una
comparazione cross-country il più possibile corretta. L’intento, più modesto, è
quello di illustrare come alcune procedure comuni non possano sempre essere
considerate corrette, soprattutto in relazione alla grande variabilità delle
caratteristiche del secondo pilastro pensionistico e all’ampia rosa di variabili che
influiscono sulla rilevanza del secondo pilastro stesso (aspetto, quest’ultimo,
testimoniato dall’impiego di dati e procedure spesso propri di ambiti diversi da
quello pensionistico).
Tipologie di sistemi pensionistici privati
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CAPITOLO I
Tipologie di sistemi pensionistici privati
1.1 Definizioni
Per comprendere appieno il ruolo dei sistemi pensionistici privati è
necessario, innanzitutto, darne una definizione precisa e collocarli all’interno del
più ampio panorama dei sistemi pensionistici in generale.
1.1.1 Sistemi pensionistici privati
All’interno di questo elaborato si considereranno ‘sistemi pensionistici
privati’ tutti gli strumenti finanziari messi in atto da una società, o da un gruppo di
società, con lo scopo di fornire ai propri dipendenti e ai loro beneficiari benefici
pensionistici complementari rispetto a quelli elargiti dai sistemi pensionistici
pubblici. All’interno di questa definizione rientrano dunque anche i sistemi
predisposti
Capitolo I
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- da società a vantaggio di propri agenti, o dei loro beneficiari, anche se
questi non figurano come regolari salariati ma come collaboratori
indipendenti;
- da associazioni professionali e commerciali nei confronti di soggetti che
ne rispettino i criteri di ammissione o dei loro beneficiari.
La caratteristica principale di questi sistemi è dunque quella di essere
collocati al di fuori dei piani pensione pubblici e di integrare i benefici elargiti da
questi ultimi. In generale si può dunque affermare che i sistemi privati non hanno
la finalità di sostituire quelli pubblici, anche se è vero che una sostituzione
parziale può esistere in alcuni stati: il Regno Unito, con la sua pratica del
‘contracting-out’ mirata a ridurre il carico di spesa delle istituzioni pubbliche, ne è
un esempio. Non è però possibile parlare di pensioni private indipendentemente
dai sistemi pubblici predisposti in ciascuno stato: in primo luogo il ricorso ad una
pensione privata è spesso nato come integrazione a quanto percepito sulla base di
sistemi pubblici, in secondo luogo le pensioni private beneficiano generalmente di
trattamenti fiscali agevolati (in fase contributiva, di riscossione o in entrambe) ed
è spesso presente una disciplina legislativa cui i sistemi privati si devono
conformare e che può attribuire potere di supervisione alle autorità pubbliche. Nel
seguito di questo studio, pertanto, l’oggetto fondamentale di analisi saranno i
sistemi pensionistici privati così come appena definiti, ma un riferimento ai
sistemi pubblici sarà spesso necessario ai fini di una trattazione esaustiva.
Tipologie di sistemi pensionistici privati
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1.1.2 Sistemi pensionistici privati obbligatori
Nell’ambito dei sistemi pensionistici privati si può poi effettuare
un’ulteriore distinzione: quella fra sistemi obbligatori e non obbligatori. Datori di
lavoro, lavoratori autonomi e altre particolari categorie di individui possono essere
obbligate da disposizioni legali a contribuzioni a fini pensionistici che vanno al di
là di quanto esplicitamente previsto in ambito pubblico. I benefici derivanti da
questo tipo di vincoli differiscono da quelli pubblici in quanto provengono da
flussi finanziari da questi ultimi completamente slegati. Ciononostante il governo
esercita comunque forme di controllo su di essi: durata, copertura, livello di
contribuzioni,... . Il ricorso a piani pensionistici privati può pertanto essere
considerato obbligatorio quando è direttamente imposto per legge a datori di
lavoro e/o individui. Di conseguenza la categoria dei piani pensionistici privati
volontari viene ad assumere caratteristiche residuali rispetto a quanto è pubblico o
privato obbligatorio.
1.2 Il sistema a tre pilastri
Prima di procedere oltre nell’analisi dei sistemi pensionistici privati
obbligatori è opportuno inquadrare gli stessi in una cornice di riferimento più
ampia, che comprenda tutto l’ambito pensionistico di uno stato. La teoria a cui si
farà riferimento è quella cosiddetta dei ‘tre pilastri’, utilizzata inizialmente per il
contesto svizzero ma ormai entrata nel gergo comune. Secondo questa
Capitolo I
22
impostazione ciascun sistema pensionistico può essere idealmente suddiviso in tre
categorie, o pilastri:
- Primo pilastro: pensioni pubbliche gestite dallo stato nell’ambito dei
sistemi di sicurezza sociale (social security systems). Sono
principalmente mirate a garantire un livello minimo di reddito e sono
prevalentemente finanziate con un sistema a ripartizione (pay-as-you-go:
PAYG), senza costituzione di ampie riserve.
- Secondo pilastro: è costituito dai cosiddetti ‘piani occupazionali’, cioè
pensioni integrative predisposte collettivamente da società o gruppi
socio-professionali. Sono generalmente di tipo ‘funded’, cioè a
capitalizzazione, e integrano il primo pilastro contribuendo ad innalzare
il tasso di sostituzione salariale
1
.
- Terzo pilastro: risparmi accantonati dagli individui per incrementare il
proprio reddito in età avanzata. Sono risparmi personali che devono
essere distinti da quelli a scopo precauzionale e sono generalmente
amministrati nell’ambito delle assicurazioni.
Le pensioni private appartenenti al secondo pilastro, di cui si occupa questo
studio, formano, dunque, un cuneo fra il primo pilastro, interamente collettivo ed
obbligatorio, ed il terzo, completamente individuale. Le ragioni primarie che
hanno portato allo sviluppo e alla crescita nel tempo di questa posizione
intermedia possono essere ricondotte ai principali problemi legati agli altri due
pilastri:
1
E’ il cosiddetto Replacement Rate: il rapporto fra il beneficio pensionistico percepito da un
individuo e il salario che lo stesso riscuoteva durante l’attività lavorativa. A seconda dei casi il
salario di riferimento è una media vitalizia oppure una media degli ultimi x anni di attività, dove
x è un numero predefinito.
Tipologie di sistemi pensionistici privati
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- I sistemi di sicurezza sociale pubblici possono fornire soltanto benefici
pensionistici limitati a quanto consentito dalla solidarietà
intergenerazionale, e devono inoltre adeguarsi alla congiuntura
economica e politica;
- Il terzo pilastro, oltre a comportare rischi finanziari dovuti alla gestione
privata dei fondi, si regge esclusivamente sull’ottica previdenziale degli
individui, rischiando di non fornire adeguato sostegno in età avanzata
per quei soggetti che si siano rivelati imprevidenti.
Queste ragioni giustificano anche un crescente ricorso alla obbligatorietà del
secondo pilastro quando considerate congiuntamente ad un’ulteriore importante
fenomeno: l’invecchiamento della popolazione mondiale. Fattori demografici,
come un drastico calo nei tassi di natalità ed un incremento nell’attesa media di
vita, e fattori conseguenti ad una crescente globalizzazione, come l’impatto
sull’occupazione di incrementi di produttività, contribuiscono in maniera
crescente ad aumentare il peso dei contributi pensionistici pubblici rispetto al
monte salari totale che, di conseguenza, crescerà meno rapidamente rispetto al
totale dei benefici pensionistici dovuti. Inoltre, la solidarietà intergenerazionale
non può essere considerata illimitata: questo comporterebbe assumere che le
generazioni future siano disposte, in assenza di un sistema ‘funded’ a
contribuzioni notevolmente superiori a quelle versate dalle generazioni attuali in
cambio di benefici pensionistici di valore uguale se non inferiore. Il sacrificio di
contribuzioni relativamente più elevate potrebbe essere eventualmente sopportato
solo in presenza di sistemi a capitalizzazione che possano garantire benefici futuri
Capitolo I
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in linea con le contribuzioni presenti. Questo avrebbe inoltre l’ulteriore vantaggio
di promuovere la crescita economica grazie al reinvestimento dei fondi
contributivi direttamente in attività produttive. L’introduzione di un cuneo privato
obbligatorio, che è generalmente basato su meccanismi di capitalizzazione,
congiuntamente ad altre riforme strutturali, può dunque consentire di evitare il
tracollo di sistemi di tipo PAYG che sarebbe altrimenti inevitabile nel lungo
periodo.
Una volta chiarite le peculiarità di ciascuno dei tre pilastri e averne
delineato le principali debolezze è però necessario sottolineare due aspetti
importanti. In primo luogo, come spesso accade, distinzioni teoriche e pratiche
non sempre coincidono: in molti paesi, e in alcuni di quelli che verranno trattati
più approfonditamente nel seguito, la distinzione fra pilastri non è di facile
individuazione, soprattutto quando si tratta di separare il secondo pilastro dal
terzo. Ancora un volta il Regno Unito funge da esempio: il sistema pensionistico
pubblico può essere parzialmente sostituito con uno schema pensionistico privato
predisposto da una società, e ciascun lavoratore può a sua volta sostituire
quest’ultimo con un’assicurazione personale, rendendo i confini fra pilastri molto
individualizzati e dunque aleatori. In secondo luogo si deve considerare che
all’interno di un singolo Paese lo sviluppo di un dato pilastro è determinato, più
che dai vantaggi e dagli svantaggi ad esso direttamente imputabili, soprattutto
dall’importanza relativa degli altri due pilastri. E’ infatti chiaro che un primo
pilastro obbligatorio che richiede contribuzioni elevate in proporzione al salario e
che può garantire autonomamente un alto reddito durante il pensionamento ha
certamente la capacità di ostacolare lo sviluppo del secondo pilastro; non
Tipologie di sistemi pensionistici privati
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dovrebbe, però, ostacolare il terzo. Al contrario un primo pilastro mirato al solo
conseguimento di un reddito minimo garantito determina condizioni più
favorevoli ad un secondo pilastro integrativo.
1.3 Caratteristiche principali dei sistemi pensionistici privati
L’organizzazione di un sistema pensionistico a capitalizzazione, privato
ma non solo, può essere suddivisa in tre fasi principali: contribuzione, riserva e
pagamento dei benefici. Il diagramma sottostante illustra tale schematizzazione:
Figura 1.1 Elementi di un sistema a capitalizzazione
A P M
Attività lavorativa Pensionamento
Durante gli anni lavorativi (dall’inizio dell’attività, punto A, al momento
del pensionamento, punto P) vengono versati i contributi che sono
contemporaneamente capitalizzati. Questo consentirà al fondo di essere in grado
di pagare benefici dal momento in cui il lavoratore cessa la propria attività (P)
fino alla sua morte (M) o fino alla morte del coniuge che eventualmente gli
CONTRIBUZIONI RISERVA
BENEFICI
Capitolo I
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sopravvive se tale clausola è prevista dal piano pensionistico stesso.
L’accantonamento di parte del reddito corrente di un individuo lavoratore genera
così gradatamente il reddito di sostituzione di cui godrà lo stesso individuo nei
periodi successivi al pensionamento.
1.3.1 Contribuzione definita o beneficio definito
Benché i sistemi pensionistici privati possano essere piuttosto differenziati
fra loro, la relazione che lega contribuzioni a benefici può assumere soltanto due
tipologie: si parlerà così di piani a contribuzione definita (DC: defined
contribution) o di piani a beneficio definito (DB: definbed benefit). La Figura 1.1,
letta da sinistra a destra, identifica l’ordine con cui vengono determinate le
componenti in un sistema di tipo DC: prima si determina il livello di
contribuzione, da questo si passa alla costituzione della riserva e i benefici sono
determinati di conseguenza. In un piano di tipo DB, invece, l’ordine di lettura
dello schema va da destra a sinistra: sono le contribuzioni che vengono
determinate sulla base del livello desiderato di benefici, il quale determina un
certo ammontare necessario di riserva.
In un sistema di tipo DC ciascun occupato che ne beneficia è intestatario di
un proprio ‘conto’ su cui vengono regolarmente versate le contribuzioni pagate
dal lavoratore stesso e dal suo datore di lavoro. Tali contribuzioni equivalgono
generalmente ad una percentuale predeterminata del salario; non necessariamente,
però, tale percentuale deve essere mantenuta costante durante tutto il corso della
Tipologie di sistemi pensionistici privati
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vita lavorativa. Dal momento del pensionamento in poi il lavoratore riceve
un’annualità il cui valore dipenderà dall’ammontare accumulato nel proprio fondo
pensione. Sebbene, in linea di principio, le contribuzioni potrebbero essere
investite in qualunque tipo di attività finanziaria alla ricerca del maggior margine
di ricavo possibile, generalmente le scelte di investimento effettuabili dal titolare
del fondo sono preventivamente limitate: l’obiettivo è quello di indirizzare le
scelte verso il soddisfacimento del concetto di ‘diversificazione efficiente’ che
mira al massimo profitto atteso per ogni dato livello di rischio sostenuto. Sebbene
ciò sia generalmente giustificato con la volontà di arginare la rischiosità
dell’investimento, tutti i rischi permangono comunque a carico del lavoratore
stesso: il conto di pensionamento resta totalmente di tipo ‘funded’ e dunque
l’unico obbligo a carico del datore di lavoro consiste nel regolare versamento
delle contribuzioni che gli competono. In sostanza le modalità di investimento di
un piano a contribuzione definita non sono molto diverse da quelle riscontrabili
all’interno del cosiddetto terzo pilastro.