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INTRODUZIONE
Il presente lavoro ha l’intento di discutere il ruolo che le emozioni assumono
all’interno di una strategia pubblicitaria. Le emozioni sono sempre state usate in
pubblicità, non è certo una novità. A oggi, quello che distingue realmente
l’utilizzo di questa strategia creativa dal passato, verte essenzialmente su due
aspetti.
Il primo aspetto è quello legato al mutamento del mercato con cui il marketing e
di convesso la pubblicità si devono confrontare.
Il mercato è una entità in continua evoluzione; il progressivo diffondersi del
benessere economico, ha progressivamente allontanato i consumi dalle esigenze di
sopravvivenza per avvicinarsi sempre in modo piø marcato a ciò che esso
trasmette a livello simbolico. Il consumatore postmoderno si è allontanato cioè
dallo stereotipo dell’homo aeconomicus tanto caro alla scienza economica, per
assumere tratti sempre meno razionali e sempre piø ispirati a motivazioni con
forte valenza emotiva/affettiva. Da soggetto raziocinante nelle sue decisioni di
acquisto, finalizzate alla massimizzazione dell’utilità attesa, il consumatore di
oggi, è divenuto un soggetto che consuma per divertimento (homo ludens) e molto
spesso per mostrarsi o per esternalizzare (homo aesteticus) (Fabris, 2003).
A una simile modificazione del mercato, risulta evidente come la comunicazione
delle imprese di marca debba adattare la propria comunicazione attraverso l’uso di
toni sempre piø “soft” e emotivi. Quello che emerge dall’analisi del mercato
pubblicitario è proprio questo progressivo rafforzamento dell’importanza di usare
emozioni in pubblicità.
L’altra vera novità che distingue l’uso delle emozioni nel contesto pubblicitario
odierno rispetto a quello passato è la acquisita consapevolezza con la quale esse
vengono impiegate.
La neuroeconomia, assieme alle tecniche di ricerca non verbali come il
biofeedback, il neuroimaging, l’eye-tracking e la ricerca psicolinguistica hanno
permesso di conoscere e verificare gli effetti prodotti dalle emozioni.
La neuroeconomia, ha dimostrato ad esempio, come le emozioni svolgono la
funzione di facilitatori del ricordo e elemento fondante la decisione di acquisto.
Essa ha palesato come la maggior parte delle scelte prese è frutto di un processo
emozionale piuttosto che razionale; mediamente non meno del 70% delle
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decisioni di scelta avviene su spinta emozionale, mentre il rimanente 30% su
spinta razionale.
Le metodologie di ricerca non verbale, hanno consentito invece di verificare lo
stato emotivo in cui si trova la persona. Tecniche quali il biofeedback, il
neuroimaging, o l’eye tracking permettono di registrare alterazioni fisio-
psicologiche in grado di fornire la chiave di lettura alla comprensione dell’effetto
che le emozioni creano nel soggetto sottoposto a test.
Infine, la ricerca piscolinguistica ha prodotto un metodo di studio attraverso il
quale poter individuare con precisione il significato emotivo di concetti e codici
visivi o sonori da usare in pubblicità.
La finalità di questa tesi è analizzare in dettaglio quanto sopra esposto; a tal fine
sono stati previsti sei capitoli, suddivisi in due parti. La prima parte, dal primo
capitolo al terzo, ha l’obiettivo di fornire le indicazioni necessarie a capire le
ragioni che hanno reso l’uso delle emozioni in pubblicità un valido metodo per
incrementare l’efficacia della comunicazione.
Il primo capitolo descrive i mutamenti e i principali trend che caratterizzano il
mercato attuale. Viene inizialmente trattato il cambiamento che l’avvento della
postmodernità ha comportato nel consumatore; segue poi un’analisi delle
condizioni di mercato attuali. Si spiegano quindi le relazioni tra tali cambiamenti
e gli sviluppi che hanno condotto il marketing e di conseguenza la pubblicità sino
ai giorni d’oggi.
Il capitolo seguente è dedicato alla spiegazione delle fasi che vengono seguite al
fine di creare una pubblicità. Il capitolo oltre a fornire informazioni in merito alla
realizzazione di una pubblicità, ha l’intento di fornire un supporto da usare per
analizzare il caso studio della tesi.
Si passa quindi con il capitolo tre ad evidenziare i due possibili approcci creativi
con cui realizzare una campagna pubblicitaria, ovvero l’approccio razionale, e
quello emozionale. Tra i due approcci, quello che a cui si dedicherà maggiore
attenzione, sarà il secondo: il messaggio pubblicitario emozionale, ossia quel
particolare messaggio che ricorre all’uso delle emozioni per implementare
campagne pubblicitarie potenzialmente piø efficaci di quelle razionali.
La seconda parte della tesi, dal terzo capitolo al quinto, si concentra invece sulla
definizione delle emozioni e sull’analisi delle metodologie adottate per il loro
studio e applicazione.
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Oggetto di studio del quarto capitolo è l’analisi delle emozioni. Viene
inizialmente data una definizione del loro significato, per poi esaminarle in base
alle differenti tipologie, distinguendole cioè in emozioni primarie e secondarie. Ci
si sofferma infine sul legame tra emozioni e comportamenti espressivi.
Il capitolo seguente si occupa di esporre gli studi eseguiti sulla psicologia umana.
Vengono riportati i risultati piø significativi per l’applicazione al campo
pubblicitario. Si passa quindi all’analisi degli strumenti e delle tecnologie usate
per misurare le emozioni (biofeedback, eye-tracking, neuroimaging). Il capitolo
viene infine terminato con una trattazione sulla ricerca psicolinguistica, una
metodologia che pone a fondamento del suo studio gli aspetti emotivi dell’agire
umano.
Il lavoro si conclude con l’analisi di un caso studio, in grado di validare le teorie
esposte e fornirne una spiegazione pratica. Il caso studio è CheBanca!, un istituto
bancario che si è approcciato al mercato pubblicitario portando innovazione e
rivoluzionando i modi di comunicare con i propri clienti. Il focus del capitolo è
individuare il ruolo che le emozioni assumono in questo caso particolare, e le
modalità attraverso cui sono state implementate.
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1. VERSO LA PUBBLICITÀ EMOZIONALE
Questo primo capitolo, partendo da una analisi del mutato contesto sociale, si
prefigge l’obiettivo di evidenziare le relazioni tra tale cambiamento e gli sviluppi
che hanno condotto il marketing e di conseguenza la pubblicità sino ai giorni
d’oggi.
1.1 La società postmoderna: nascita di un nuovo consumatore
“Un nuovo archetipo umano ha fatto la sua apparizione. L’uomo nuovo del ventunesimo
secolo è profondamente diverso da coloro che l’hanno preceduto, nonni e genitori borghesi
dell’era industriale: si trova a suo agio trascorrendo parte della sua esistenza nei mondi
virtuali del cyberspazio, ha familiarità con i meccanismi dell’economia delle reti, è meno
interessato ad accumulare cose di quanto lo sia a vivere esperienze divertenti ed eccitanti,
cambia maschera con rapidità per adattarsi a qualsiasi nuova situazione (reale o simulata)”
(Jeremy Rifkin, 2000).
Jeremy Rifkin (2000), non poteva descrivere in miglior modo la società
postmoderna, una generazione di persone abituate all’accesso rapido alle
informazioni, con una soglia d’attenzione precaria e caratterizzate dalla ostentata
ricerca di esperienze e emozioni.
Per comprendere meglio quali siano le caratteristiche che distinguono l’uomo
postmoderno è opportuno distinguere prima la società moderna dalla attuale
società postmoderna.
La modernità, epoca storica che percorre gli anni dall'Illuminismo alla fine della
seconda guerra mondiale ha identificato nell'avvento del razionalismo, del
positivismo scientifico, del materialismo e del concetto di progresso inteso come
processo lineare, le grandi sovrastrutture filosofiche della società.
L'epoca moderna fu contrassegnata dalla convinzione - secondo alcuni un vero e
proprio dogma - che il mondo fosse governato da regole immutabili, le quali
possono essere conosciute e sfruttate per migliorare la condizione dell'uomo. Tale
compito conoscitivo fu affidato alla scienza e alla tecnica, metodologie
considerate prestigiose in quanto in grado di interpretare fenomeni in modo
oggettivo e imparziale. Al raziocinio del metodo scientifico era affidata quindi la
possibilità di conquistare e sottomettere la natura a piacimento dell’uomo (Fabris,
2003).
Il postmodernismo, al contrario, assume una posizione contrapposta alla
modernità in quanto esalta la parte ambigua e contraddittoria della razionalità,
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mette in dubbio o comunque si pone in modo critico nei confronti della scienza e
della tecnica.
La postmodernità non crede nei valori caratterizzanti la modernità; non crede
nella razionalità, rifiuta l’idea di una realtà unica e conoscibile evidenziando anzi
il senso di frammentazione, confusione e mancanza di continuità della società.
L'argomentazione dei postmodernisti sottolinea come le condizioni economiche e
tecnologiche della nostra epoca abbiano creato una società frammentata, e in cui
le caratteristiche fondamentali sono l’anonimità e l’impersonalità dei rapporti
umani.
Con l’avvento della società postmoderna, cambiano i comportamenti delle
persone, non piø legati ai ritmi naturali scanditi dalle stagioni e dal lavoro nei
campi, ma collegati ai ritmi accelerati della società, dei nuovi mass media e del
consumismo.
Calcolo e puntualità divengono le nuove regole di vita dell’uomo postmoderno,
modificando così i ritmi dell’esistenza, che perdono qualsiasi connessione con
quelli naturali. Si registra conseguentemente un progressivo indebolimento di
valore delle tradizionali istituzioni sociali come la famiglia o la Chiesa che
svolgevano il ruolo fondamentale di fornire un sentimento di appartenenza
all’individuo (Leonini, 1988).
Philippe Breton (1996) definisce l’uomo contemporaneo un “essere senza
interiorità”, costituito da un’identità vuota o meglio da un’identità che muta di
volta in volta per adattarsi alle circostanze sociali in cui si trova a dover agire.
L’identità dell’individuo si manifesta dunque nelle pratiche sociali che mette in
atto nelle situazioni di tutti i giorni.
Il consumatore ‘postmoderno’ si è molto allontanato dallo stereotipo dell’homo
aeconomicus tanto caro alla scienza economica, per assumere tratti sempre meno
razionali e sempre piø ispirati da motivazioni con forte valenza emotiva/affettiva:
da soggetto raziocinante nelle sue decisioni di acquisto, finalizzate alla
massimizzazione dell’utilità attesa, è divenuto un soggetto che consuma per
divertimento (homo ludens) e spesso per mostrarsi o per esternalizzare (homo
aesteticus). Il consumatore odierno dà piø spazio alle emozioni e alla sensorialità;
Fabris (2003) lo definisce “sensation seekers”, poichØ egli considera il consumo
non piø solo con la mente, ma utilizzando la molteplicità dei sensi.
Il crescente benessere ha reso il consumo sempre meno legato ad esigenze di
sopravvivenza e sempre piø instradato a divenire aspetto simbolico, comunicativo
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ed espressivo. Dato che il mercato ha quasi saturato tutti i bisogni, diventano ora
protagonisti i desideri, ancor meno intuibili e piø mutevoli. “I bisogni lasciano
gradatamente il passo ai desideri” (Fabris, 2003). Lo shopping è diventata
un’intrigante attività di tempo libero, nel corso della quale ciò che si consuma è
un’esperienza fine a se stessa. Oggi il marketing e con esso la pubblicità
necessitano allora di divenire “esperienziali”, cioè artefici di esperienze uniche
per il consumatore.
I prodotti e la comunicazione delle marche per rispondere a tale inversione di
rotta, stanno così iniziando a introdurre delle caratteristiche “sensoriali”, sia
coinvolgendo psicologicamente il consumatore, sia usando le capacità
tecnologiche dei prodotti per stimolare i cinque sensi del corpo umano. Gli oggetti
diventano polisemici, predisposti cioè ad essere caricati di accezioni diverse da
individuo a individuo. La dematerializzazione dei beni e dei servizi fa sì che i
prodotti si trasformino in segni, messaggi, comunicazioni e che la componente
intangibile superi o, persino, finisca per soppiantare completamente quella
tangibile.
Il consumatore del XXI secolo, attraverso il consumo, comunica la propria
identità; ma in lui, come si è già accennato precedentemente, convivono identità
multiple e modificabili al variare di alcuni parametri come, ad esempio, la
professione o il reddito. Se prima la differenziazione sociale era incentrata sullo
status symbol, cioè sull’ostentazione del valore economico del bene posseduto,
ora essa è imperniata sullo style symbol, cioè sul prodotto come indicatore dei
propri gusti, della propria cultura e del proprio stile (Fabris, 2003).
Il trend piø importante in atto è quello del ‘consumatore eclettico’ ossia un
consumatore infedele, volubile nelle sue scelte proprio perchØ mutevole è la sua
personalità.
Il consumatore è diventato esperto, comincia a rifiutare di sottostare ai diktat della
produzione e, diventato ormai autonomo e competente, intraprende un dialogo con
le imprese, in cui egli non è piø solo ricettore passivo, ma pieno co-protagonista.
Tale collaborazione richiede continui feedback tra impresa e cliente per
sviluppare una relazione continuativa che si mantenga nel tempo.
Il compito delle imprese diviene allora sempre piø impegnativo, in quanto è
necessario tener conto di un nuovo protagonista estremamente complicato,
esigente e sempre piø sfuggente, tanto che gli stessi concetti di target e di
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segmentazione non riescono piø ad assolvere alle loro funzioni originali di
“bussola” nelle scelte strategiche di mercato.
Si vedrà nel seguito dell’elaborato come le aziende stiano adottando soluzioni
innovative al fine di operare in modo migliore verso questo nuovo consumatore.
1.2 Le nuove tendenze del marketing
L’evoluzione del mercato e, conseguentemente, delle prassi con cui le imprese vi
si porgono offrendo i loro prodotti e servizi, ha portato ad un rapido sviluppo e ad
un progressivo allargamento delle attività che caratterizzano il marketing.
Come gran parte delle discipline economiche, anche il marketing è di continuo
soggetto a una contesa tra continuità e mutamento; la continuità è legata al suo
obiettivo di fondo, ovvero l’adempimento delle necessità del cliente; il mutamento
deriva invece dalla globalizzazione in atto e dalle nuove tecnologie informatiche
che rendono rapidamente obsolete le tecniche di cui l’azienda fa uso.
Per comprendere meglio quali sono i trend attuali di marketing è opportuno prima
ripercorrere brevemente i quattro tipi di orientamento della funzione commerciale.
Il marketing vede gli albori nei primi anni del Novecento. Inizialmente, (1920 -
1930), si parlava di orientamento al prodotto poichØ l’attenzione delle imprese
era prettamente rivolta a produrre per far fronte a una domanda eccedente rispetto
all’offerta.
Successivamente alla grande crisi del ‘29, i rischi della sovrapproduzione e il
passaggio ad una situazione in cui l’offerta diventa superiore alla domanda, hanno
portato a stimolare le vendite: si è quindi passati all’orientamento alle vendite. ¨
stata questa una fase in cui il marketing ha assunto maggior importanza in quanto
ad esso era affidato l’obiettivo di indurre i potenziali clienti a scegliere il proprio
prodotto piuttosto che quello delle imprese concorrenti.
Gli anni che vanno dal 1955 al 1980 sono anni in cui il marketing adotta un
orientamento al mercato. Il mercato ora si presenta sviluppato, formato da
consumatori piø pretenziosi e con maggiori disponibilità di reddito. I mercati
diventano segmentati (si individuano categorie omogenee di consumatori),
complessi e dinamici, anche perchØ la lotta concorrenziale è sempre piø severa. In
tale situazione è dunque il consumatore a guidare le scelte produttive e l’unico
modo per assecondarlo sta nella ricerca di un’adeguata gestione della funzione
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commerciale, che consente di differenziare i vari prodotti in base alle quantità e
qualità richieste dal mercato.
L’ultimo e attuale orientamento della funzione marketing è quello che va dal 1980
sino ad oggi, e prende il nome di orientamento al marketing o al consumatore.
Tale orientamento riconosce nel consumatore il vero protagonista del mercato. Il
consumatore viene riconosciuto per quello che è, ossia maturo, smaliziato nei
confronti dell’offerta e alla continua ricerca di esperienze emozionanti. Le aziende
piø attente hanno cercato quindi di adeguare le loro strategie a questa realtà
ponendo al centro delle loro azioni il consumatore, e soddisfacendo le sue
esigenze al fine di rendersi competitive.
Soddisfare le esigenze del consumatore al giorno d’oggi non significa piø
rispettare la sola logica del “bisogno-acquisto-beneficio” (Abbate, Ferrero, 2005 ).
“Nell’economia globale […] garantirsi l’accesso alle proprie esperienze è tanto
importante, quanto, in un’epoca dominata dalla produzione industriale di beni, lo
è stato disporre di beni di proprietà” (Rifkin, 2000).
Soddisfare le esigenze del consumatore oggi significa senz’altro fornire al
consumatore una risposta esauriente e razionale al suo bisogno, ma come sostiene
Rifkin (2000) è fondamentale procurargli anche quell’insieme di esperienze e
valori che rappresentano quel valore aggiunto in piø in grado di apportare
vantaggi competitivi all’azienda che li mette in atto.
Fu Hiroyuky Itami, grande esperto di marketing giapponese, tra i primi a
teorizzare il concetto di “invisibile assets”. La sua visione, che tanto influenzò il
concetto di marketing, era quella di una immagine composta da una parte “hard”
(stabilimenti, tecniche…) e da una parte “soft” (reputazione, carica d’affetto,
emozioni…), quest’ultima piø importante perchØ non copiabile o acquisibile, se
non acquisendo il marchio stesso ossia il contenitore simbolico di un mondo
emotivo (Abbate, Ferrero, 2005).
L’esposizione prolungata e intensa a queste esperienze forma un legame profondo
e personale tra cliente e azienda, che avrà così modo di acquisire un vantaggio
competitivo entrando nelle posizioni piø alte della short list del cliente, cioè
quella graduatoria mentale delle tre o quattro marche che vengono valutate come
“preferite”, “acquistabili” o “migliori” dal cliente rispetto ad una determinata
classe di prodotti.
Al fine di essere piø partecipi e piø vicini ai nuovi clienti, diventa quindi basilare
avere la capacità di conquistare e fidelizzare i consumatori, di realizzare con loro
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una vera comunità di segni e simboli nei quali identificarsi e interagire
vicendevolmente. La loyalty dei clienti si conquista con l’appagamento degli
stessi. Un cliente soddisfatto genera maggiori volumi di scambio, è disposto a
pagare un premium price, costituisce un’apprezzabile barriera alla concorrenza,
ma soprattutto produce pubblicità favorevole, in primo luogo attraverso il
passaparola.
A tale orientamento corrisponde la branca del marketing definito relazionale, un
marketing decisamente focalizzato sul consumatore che diviene nell’odierno
contesto il vero punto di riferimento delle politiche aziendali.
Il marketing relazionale si propone come obiettivo “iniziare, negoziare e gestire le
relazioni di scambio con gruppi chiave di interesse al fine di perseguire vantaggi
competitivi sostenibili in specifici mercati, sulla base di accordi a lungo termine
con clienti e fornitori” (Hakansson, Wootz, 1979).
Secondo questa impostazione il marketing andrebbe inteso come management
delle relazioni, dovrebbe essere cioè rivolto a creare, mantenere e gestire un
network di rapporti di lungo periodo. L’obiettivo di sopravvivenza e crescita
dell’impresa viene quindi perseguito, secondo questo nuovo approccio, attingendo
al così detto “patrimonio relazionale”.
Il marketing relazionale per stabilire una relazione duratura con la clientela può
fare ricorso alla creazione di esperienze mirate e stimolanti; la disciplina che si
occupa di ciò è il marketing esperienziale.
Teorizzato da Bernd Schmitt (1999), professore alla Columbia University, il
‘marketing esperienziale’ è così chiamato in quanto si basa piø sull’esperienza del
consumo che sul prodotto in sØ. Obiettivo primo della strategia di marketing è
quello di appurare che tipo di esperienza valorizzerà al meglio il prodotto.
Schmitt distingue cinque tipi di esperienze (sensoriali, emozionali, cognitive,
comportamentali e relazionali), denominate strategic experiential modules (Sem)
che il marketing esperienziale può creare per i clienti attraverso appositi tactical
tools, quali: communications, visual and verbal identity, product presence, spatial
environments. Schmitt precisa, inoltre, che il reale appeal esperienziale sta nel
mettere insieme tutte le suddette caratteristiche, creando holistic experience che le
aggregano tutte e cinque.
Va sottolineato però, che nell’approccio esperienziale, nonostante gli enunciati
circa la multidimensionalità delle esperienze, l’enfasi è in genere posta sugli
elementi affettivi (sentimenti, passioni, emozioni) e sensoriali, di cui le imprese
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possono servirsi in modo strumentale per la gestione dei processi di acquisto e di
consumo, mentre restano in ombra gli aspetti cognitivi che invece sono
fondamentali ai fini dell’interazione con i consumatori. Ne deriva un’accezione di
“esperienziale” come sostanziale sinonimo di emozionale o simbolico (Resciniti,
2005).
Alla luce di ciò, si può quindi sostenere che il marketing esperienziale e quello
emozionale (che si definirà qui di seguito) hanno tra loro dei confini molto labili,
origine di confusione tra le due discipline.
¨ utile ricordare però come sia il marketing esperienziale a fare uso del marketing
emozionale e non viceversa. Estremizzando, il marketing emozionale può essere
considerato una declinazione, uno strumento al servizio di quello esperienziale.
Piø precisamente, il marketing emozionale ha l’intento di fornire al consumatore
un’esperienza unica e memorabile, ossia capace di arrivare in profondità nei
sentimenti dei clienti e rimanervi a lungo, in quanto associata a sensazioni e
ricordi piacevoli. Esso si basa sulla constatazione che il consumatore non è un
soggetto totalmente razionale, anzi tutt’altro: da questo presupposto partono le piø
recenti teorie di marketing che, accantonata la logica “bisogno-acquisto-
beneficio” (rispondente solo in parte alla realtà, in un contesto in cui il consumo
risponde prevalentemente a necessità psicologiche), mettono in luce l’aspetto
emotivo e irrazionale del processo d’acquisto (Gallucci, 2007).
La rilevanza dei benefici simbolici, relativi a ciò che il bene o servizio figura sul
piano psicologico e sociologico, rispetto a quelli funzionali, connessi a ciò cui il
bene/servizio serve, è un elemento caratterizzante l’approccio emozionale.
In sintesi il marketing emozionale, mediante prodotti, comunicazioni e campagne
di marketing, si prefigge l’obiettivo di caricare i prodotti e le marche di significati
simbolici, atti a regalare al consumatore esperienze in grado di colpire i suoi sensi,
il suo cuore e la sua mente, scatenando in lui quella tanto ricercata reazione
emotiva che contribuirà a fissare il ricordo di quella marca, pubblicità o evento.
Se quindi il marketing esperienziale si prefigge l’obiettivo di creare esperienze
uniche attraverso l’utilizzo contemporaneo di esperienze sensoriali, emozionali,
cognitive, comportamentali e relazionali, il marketing emozionale raggiunge lo
stesso obiettivo concentrandosi sull’impiego delle sole emozioni.
Nel momento in cui una strategia di marketing adotta anche “risvolti emozionali”,
tende a focalizzare la sua attenzione non tanto sul segmentare il mercato,
operazione come si è precedentemente osservato sempre piø difficile, ma bensì