INTRODUZIONE
4
A questo insolito evento il ricercatore non riusciva a fornire una causa plausibile.
L’interpretazione, è innegabile, come campo di ricerca scientifica è una terra
ancora in gran parte vergine e inesplorata. In questo scenario, il problema
evidenziato da Daniel Gile si presenta come argomento di grande interesse per
due ragioni pratiche. Anzitutto perché è assai diffusa tra gli studenti di
interpretazione la pratica di ripetere gli stessi testi piú volte, specialmente in vista
di un esame, per mancanza di materiale a propria disposizione o per assimilare un
certo lessico specifico. In secondo luogo perché, istintivamente, si tenderebbe a
pensare che un testo eseguito una seconda volta sia piú facile, dal momento che se
ne dovrebbe ricordare, almeno in parte, la struttura e i contenuti.
Conclude la rassegna di citazioni da Gile il suo invito a compiere uno studio
scientifico di questo tipo:
Another interesting question is how the
interpretation of a speech by the same interpreter
changes over time if he interprets the same speech
several times. (1990a: 233)
Una ricerca che indagasse questa particolare tematica, con riferimento al ruolo
della memoria nell’interpretazione simultanea di un testo già noto, sarebbe
interessante anche per le sue possibili implicazioni pedagogiche. Se si riuscisse a
confermare o smentire l’utilità di questa pratica tanto diffusa nelle scuole per
interpreti, si potrebbe aprire una nuova prospettiva nella didattica dei corsi di
interpretazione.
Sottoporre agli studenti di interpretazione il medesimo testo piú di una volta è
una tecnica già nota e praticata. Van Dam (1989), spiegando l’organizzazione del
corso di interpretazione simultanea presso la sua università, afferma che:
Students interpret the same speech as often as
required to produce a professional-sounding
interpretation. How long this takes depends on the
student and on the assignment, but we have seen
INTRODUZIONE
5
students get off to a weak start in simultaneous
interpretation, and by dint of dedication and
intensive training, become excellent interpreters.
[169]
Sembrerebbe quindi che le ripetizioni dei testi siano auspicabili e utili.
D’altronde, anche Danica Seleskovitch (1986), tracciando uno schema molto
generale della struttura di un corso di interpretazione simultanea, ha previsto una
fase intermedia, al secondo anno, in cui:
le même texte est refait une deuxième fois, si
nécessaire une troisième fois. [174]
Curvers, Klein, Riva & Wuilmart (1986: 106-107), in un articolo sulla
traduzione a vista, affermano che nella formazione degli interpreti è opportuno
invitare gli studenti ad eseguire piú versioni di uno stesso testo, al fine di
insegnare loro a non restare troppo legati al testo di partenza.
Patricia Longley (1978), spiegando la struttura dei corsi di interpretazione al
Polytechnic di Londra, dice che, prima di cimentarsi con la simultanea vera e
propria, gli studenti debbono fare pratica per un certo periodo di tempo con una
serie di esercizi di comprensione e produzione verbale, che vengono ripetuti varie
volte, fino a che i futuri interpreti riescono ad eseguirli con scioltezza.
Una voce fuori dal coro è costituita, stranamente, dalla stessa Seleskovitch (in
Seleskovitch & Lederer, 1989), la quale, contraddicendo ciò che aveva scritto
appena tre anni prima, afferma che
Il n’est pas utile de faire refaire exactement le même
discours à deux reprises en simultanée: l’expérience
prouve qu’au lieu de mieux s’exprimer en fonction
d’un sens mieux compris, les étudiants ont tendance
à retomber sur les formules qu’ils avaient utilisées
lors de la première interprétation. [165]
INTRODUZIONE
6
Anche Paul Hendrickx (1969: 85), che pure incoraggia, in una fase intermedia
della formazione degli interpreti, ad eseguire in simultanea brani su cui si è già
lavorato in consecutiva, si dimostra scettico per quanto riguarda l’utilità delle
ripetizioni degli stessi testi in simultanea. Egli teme infatti che gli studenti di
interpretazione corrano il rischio di
se leurrer de l’illusion qu’on fait des progrès en
simultanée, alors qu’on a fait des progrès
uniquement en rapidité de traduction. [87]
Fatte salve queste uniche due eccezioni (che rendono ancor piú interessante
mettere alla prova la veridicità delle loro asserzioni), parrebbe che i teorici
dell’interpretazione siano concordi sull’importanza di confrontarsi coi medesimi
testi, almeno ad un certo punto della propria formazione, per acquisire una
scioltezza ed una capacità di elocuzione professionali. Tuttavia, se tutti
concordano intuitivamente, è difficile trovare nella letteratura specifica materiale
che spieghi questa teoria in maniera scientifica, o perlomeno non esclusivamente
intuitiva.
A questo punto è lecito domandarsi, ipotizzando che ripetere lo stesso testo due
volte migliori la prestazione dell’interprete, quali fattori agiscano ad agevolare
l’operato del traduttore simultaneo, e in quale misura. Evidentemente, ci si può
aspettare che lo studente ricordi già il testo, almeno in parte, e che quindi sia
facilitato nell’esecuzione dello stesso dalla memoria.
La presente dissertazione prende spunto proprio da questa osservazione. Si
studierà la memoria come processo cognitivo e la sua applicazione
all’interpretazione simultanea di un testo già noto, per verificarne l’effettivo ruolo
e per cercare di aprire uno spiraglio nell’indagine scientifica dell’attività
dell’interprete. Si cercherà di coniugare, per quanto possibile, due campi di
indagine all’apparenza molto diversi, la psicologia (la memoria) e
l’interpretazione di conferenza. La differenza, come si apprezzerà in seguito, è piú
presunta che effettiva: l’interpretazione stessa altro non è che un particolare
compito cognitivo (Lederer, 1978: 323), che si avvale quindi delle strutture
cognitive insite nel cervello umano, tra le quali la memoria occupa una posizione
INTRODUZIONE
7
di rilievo. L’importanza di andare maggiormente in profondità nell’analisi degli
elementi psicologici che agiscono nell’ambito dell’interpretazione è bene espressa
da Pöchhacker (1995):
the focus of conference interpreting research is on
elucidating the micro-level processes involved in
this complex cognitive task, hence the affinity for the
research paradigms of cognitive psychology. [33]
La tradizionale mancanza di un approccio interdisciplinare nell’intraprendere
studi scientifici sull’interpretazione di conferenza viene lamentata dagli addetti ai
lavori fin da quando si cominciò a scrivere su questo argomento (per esempio,
Gile, 1994a). Non solo l’interpretazione di conferenza è divenuto soggetto
d’indagine scientifica soltanto in tempi piuttosto recenti, ma la maggior parte
degli interpreti professionisti è sprovvista delle conoscenze e degli interessi
necessari per intraprendere uno studio rigoroso e quanto piú possibile
onnicomprensivo della propria attività (Gile, 1994a). Per quanto riguarda lo studio
della memoria applicato all’interpretazione di conferenza, si può riassumere
l’importanza di approfondirlo citando Seleskovitch & Lederer (1986):
la mémoire immédiate suscite depuis de nombreuses
années l’intérêt des chercheurs. Cependant, si sa
capacité de stockage a été étudiée abondamment, sa
fonction dans le discours a moins retenu l’attention.
[41]
Il presente lavoro cercherà, con tutte le limitazioni pratiche al quale è soggetto,
di apportare un contributo in questa direzione, discutendo un esperimento a
tutt’oggi inedito e cercando di giungere a delle conclusioni che possano aprire una
nuova strada allo studio dell’interpretazione di conferenza.
INTRODUZIONE
8
1.2 Prima di cominciare
È bene chiarire alcuni punti fondamentali prima di addentrarsi nel vivo del lavoro.
Anzitutto, questa tesi si baserà su di un esperimento, che verrà illustrato piú
dettagliatamente in seguito (Capitolo III: L’esperimento), e sull’analisi dei dati
ottenuti dallo stesso. Si studierà l’interpretazione simultanea dall’inglese in
italiano, sia per motivi di maggiore praticità (il numero di studenti di inglese nelle
scuole interpreti è la maggioranza, seppure relativa), sia perché chi scrive ha una
competenza linguistica maggiore in inglese piuttosto che in altre lingue straniere.
Questa ricerca non è quindi immune da uno dei difetti piú ricorrenti che
affliggono gli studi sull’interpretazione di conferenza, ovvero la presenza di una
sola combinazione linguistica (Gile, 1998: 81); pertanto, si peccherebbe di
presunzione se si ritenesse di poter fornire delle risposte definitive su un
argomento tanto complesso. Le limitazioni del presente lavoro (che appariranno
sempre piú evidenti nel corso di tutta la trattazione) dovrebbero semmai invitare a
ripetere l’esperimento altre volte, cambiando leggermente le variabili, al fine di
controllarne, e possibilmente estenderne, la validità.
La presente dissertazione è strutturata come segue: dopo aver chiarito alcune
questioni terminologiche e spiegato le premesse, si aprirà il Capitolo II, che
tratterà la memoria, cercando di spiegarne funzionamento e limiti, sia dal punto di
vista della ricerca in ambito psicologico, sia per quanto riguarda la (purtroppo
scarsa) ricerca scientifica inerente alla memoria in interpretazione simultanea.
Seguirà un capitolo in cui verranno spiegati i dettagli dell’esperimento, il testo
scelto ed i criteri per la selezione e la valutazione dei soggetti dell’esperimento.
A questo punto, eseguito l’esperimento, se ne analizzeranno i risultati, in due
capitoli separati, dal momento che l’esperimento si avvale di due distinti gruppi di
volontari (si veda II.6 Fondamenti teorici ed obiettivi dell’esperimento).
Infine, il breve capitolo conclusivo tirerà le somme e riepilogherà quanto si è
scoperto, con un’appendice sulle possibili implicazioni pedagogiche per studenti e
insegnanti di interpretazione.
1.3 Problemi Terminologici
Questo lavoro si avvarrà di una terminologia particolare, in parte relativa agli
ambiti dell’interpretazione e della memoria, in parte specifica al lavoro stesso.
INTRODUZIONE
9
Trattandosi di una tesi sperimentale inerente ad un argomento prettamente tecnico,
è logico aspettarsi una certa presenza di termini per gli “addetti ai lavori” nel
campo dell’interpretazione. Inoltre, si potranno trovare dei termini relativi alla
memoria mutuati dalla psicologia, sebbene si sia cercato di limitare al minimo
indispensabile l’utilizzo di questi ultimi. Al termine del presente lavoro è riportato
un glossario dei termini tecnici relativi alla memoria impiegati nel corso del
presente lavoro. Per quanto riguarda l’interpretazione di conferenza, si ritiene
superfluo inserire una sezione nel glossario per spiegare il lessico specifico
1
.
Un particolare uso terminologico che può essere opportuno spiegare
immediatamente è l’uso di Tradurre, Traduzione e Traduttore (con l’iniziale
maiuscola), che prende a prestito un’idea di Gile (1995a). Nel linguaggio di tutti i
giorni si riscontra una grande confusione tra l’attività del traduttore (ovvero, colui
che traspone un testo da una lingua ad un’altra per iscritto) e quella dell’interprete
(ovvero, colui che traspone un testo orale da una lingua ad un’altra), professioni
distinte, sebbene non si possa negare l’esistenza di forti analogie tra le due
professioni. Talvolta si è preferito adoperare il termine Traduzione (il quale
ingloba sia la traduzione che l’interpretazione) per ragioni di comodità, oppure
ogniqualvolta non fosse rilevante distinguere fra traduzione scritta e orale.
1
Come dimostra Mead (1999), è tutt’altro che semplice fornire definizioni dei termini relativi
all’interpretazione di conferenza, persino di quelli usati comunemente. Tuttavia, l’approccio di
questo lavoro vuole essere eminentemente pratico piuttosto che lessicografico, pertanto si è
preferito dare per scontato che i lettori, verosimilmente specialisti del settore, siano in grado di
seguire il filo del discorso senza bisogno di soffermarsi a definire il gergo del mestiere.
CAPITOLO II
LA MEMORIA
CAPITOLO II
LA MEMORIA
Nessun’altra attività della mente
conferisce tanto senso alla nostra
esistenza come la memoria.
(Oliverio & Castellano, 1998: 58)
II.1 Introduzione
In questo capitolo si esaminerà piú da vicino l’argomento centrale di questa
dissertazione, la memoria, cercando di spiegarne le modalità e le
funzioni.
Sulla memoria è stato scritto un gran numero di trattazioni. Una rassegna, se non
proprio esaustiva, perlomeno approfondita delle varie pubblicazioni e teorie sulla
memoria va ben oltre alle ambizioni di questo lavoro. Ci si limiterà ad utilizzare
quei riferimenti bibliografici che paiono maggiormente consoni al presente studio.
Per ulteriori approfondimenti, si rimanda alla Bibliografia.
Un altro punto basilare che è necessario chiarire è che gli studi sulla memoria
finora condotti dalla comunità scientifica internazionale sono prevalentemente
incentrati sugli aspetti psicologici o biologici della stessa. Assai meno si è scritto
sul rapporto tra linguaggio e memoria, e rarissimi sono gli scritti che cercano di
coniugare la ricerca scientifica e l’ambito dell’interpretazione, simultanea o
consecutiva che sia
2
. Piú di due decenni or sono Flores d’Arcais (1978: 386)
lamentava il fatto che assai pochi studiosi delle scienze cognitive si interessassero
dell’interpretazione di conferenza; purtroppo, bisogna convenire che da allora la
situazione non è cambiata in maniera sensibile. In un recente articolo, Padilla,
Bajo e Padilla (1999) lamentano infatti che:
Cognitive Psychology has always tried to identify
the processes of which complex tasks are composed,
but in activities considered as “normal”, such as
reading or problem solving. [71]
2
In spite of the fact that the simultaneous interpreter’s skills would appear fertile ground for
psychologists interested in […] the study of memory […] surprisingly little research has been
carried out in this area by psychologists. (Gerver, 1975: 119)
LA MEMORIA
13
In molti casi, pertanto, è stato impossibile trovare degli studi o delle teorie che
potessero avvalorare le ipotesi formulate nel presente lavoro, se non in maniera
del tutto generica.
Non va nemmeno dimenticato che, ferma restando l’importanza della
collaborazione interdisciplinare (si veda per esempio Gile, 1992a), questo lavoro
si prefigge di osservare il fenomeno essenzialmente dal punto di vista di un
interprete. Le nozioni e le note bibliografiche riportate per tutto il corso di questo
lavoro sono da intendersi come un compendio di informazioni auspicabilmente
utili per interpreti e studenti di interpretazione per poter approfondire la
consapevolezza del proprio lavoro e, possibilmente, migliorare le proprie
prestazioni. Per chi volesse saperne di piú, verranno comunque fornite delle
indicazioni bibliografiche minime.
II.2 Panoramica sugli studi sulla memoria
Fino alla seconda metà del secolo scorso la memoria era considerata
tradizionalmente campo di indagine per la speculazione filosofica e per questo
motivo veniva ignorata dai biologi e da coloro che si occupavano della neonata
psicologia.
Hermann Ebbinghaus, filosofo tedesco, aprí la strada a un nuovo tipo di ricerca
(Baddeley, 1985). Negli anni Settanta del secolo scorso egli elaborò dei sistemi
per raccogliere dati sperimentali e oggettivi sulla memoria, per quanto ancora in
maniera rudimentale. I suoi esperimenti, condotti su sé stesso, che vertevano sulla
capacità di memorizzare serie di sillabe senza senso presentate in ordine casuale,
lo portarono a formulare l’ipotesi del tempo totale, secondo cui il tempo dedicato
alla memorizzazione e l’apprendimento che ne consegue sono legati da un
semplice rapporto aritmetico, ovvero sono grandezze direttamente proporzionali.
Sulla scía di Ebbinghaus, molti altri studiosi si cimentarono con questa nuova
branca del sapere. William James, psicologo americano, già nel 1891 aveva
ipotizzato che un ruolo fondamentale nella gestione della memoria fosse svolto
dall’organizzazione delle informazioni ricevute. Egli fu il primo a formulare
l’ipotesi, non ancora suffragata da prove scientificamente attendibili ma
generalmente ritenuta valida, che vi fossero due tipi diversi di memoria, che
LA MEMORIA
14
chiamò primary memory e secondary memory (citato in Conway & Engle, 1994:
354 e in Darò, 1997).
Nello stesso periodo, il professore inglese Jacobs attuò sui suoi studenti i primi
studi sulla memoria immediata, ossia sul ricordo di informazioni appena ricevute,
adoperando un metodo semplice ed efficace che ancora oggi si usa di frequente in
psicologia: sottoponeva al soggetto dell’esperimento liste di elementi sempre piú
lunghe, fino a quando questi non era piú in grado di ricordarne con esattezza tutte
le componenti (De Felice, 1997: 29).
La prima metà del secolo ventesimo ha visto nascere varie correnti di pensiero
riguardo alla natura della memoria, le quali si differenziavano soprattutto per un
concetto fondamentale: alcune ritenevano che la memoria fosse un contenitore dal
quale si attinge allorché si ricorda qualcosa, altri negavano questa possibilità
(Roncato, 1982). Questi ultimi, gli associazionisti, rifiutavano di credere in
qualunque cosa non fosse intersoggettivamente osservabile. L’assioma
fondamentale di questa corrente di pensiero era che il comportamento, nel senso
piú lato del termine, fosse determinato dal condizionamento. In altre parole,
l’abitudine sarebbe la causa del comportamento (come spiegato da Baddeley,
1976: 266). Le teorie associativistiche, che ebbero la meglio per un paio di
decenni, a partire dal 1940, erano seriamente limitate nella pratica dal fatto che la
memoria e l’apprendimento umano venissero studiati con una serie di esperimenti
poco naturali e assai limitativi (Baddeley, 1976: 273). Veniva deliberatamente
ignorata la funzione dell’organizzazione dei ricordi, e questo riduceva
l’importanza dei dati acquisiti sperimentalmente.
L’unica opposizione rilevante all’associazionismo in questi anni fu costituita dal
gestaltismo, che interpretava i fenomeni cognitivi dal punto di vista della
percezione. Ossia, secondo questi psicologi la mente è attratta dalle irregolarità
presenti nella percezione, e pertanto assimila e ricorda determinati elementi a
seconda del loro grado di disomogeneità all’interno del loro insieme
d’appartenenza: tanto piú un elemento è isolato in un dato insieme, tanto meglio
sarà ricordato (Baddeley, 1976: 267). Il grande merito del gestaltismo è quello di
aver puntato i riflettori sull’aspetto strutturale della psicologia (Florès, 1997: 10)
Gli studi condotti nella seconda metà degli anni Sessanta e per tutti gli anni
Settanta fanno uscire la memoria dai suoi confini tradizionali. Non si usano piú
soltanto sillabe prive di significato, come si era fatto fin dai tempi di Ebbinghaus,
LA MEMORIA
15
e il concetto di “memoria” viene esteso ad altri sensi, quali la vista, l’olfatto, etc.
Al contempo, si condussero anche i primi esperimenti sulla memoria animale,
paragonandola a quella dell’uomo (Atkinson & Shiffrin, 1971: 82). Si tratta,
tuttavia, di ricerche in qualche maniera limitate dalla scarsa collaborazione tra le
scuole di pensiero: ognuna di esse indagava soltanto certi aspetti della memoria,
ignorando quelli che interessavano alle altre (Florès, 1997: 12). Questo
atteggiamento settario e restrittivo, purtroppo, non è stato del tutto debellato
nemmeno oggigiorno.
L’associativismo lentamente cedette il passo al cognitivismo, che si propose di
elaborare i primi modelli teorici della memoria. In questo periodo vide la luce il
modello di Atkinson e Shiffrin (1968, poi rielaborato e sviluppato ulteriormente
nel 1971), piú volte criticato negli anni a venire, ma sempre utilizzato come punto
di partenza in tutte le trattazioni scientifiche dell’argomento. Secondo i due
studiosi, la memoria è composta da registri sensoriali, memoria a breve termine e
memoria a lungo termine (vedere II.3 Tipi di memoria). Un concetto chiave di
questo modello è che l’individuo può, in qualche modo, controllare il processo di
memorizzazione mediante appositi procedimenti, per esempio creando delle
associazioni mentali.
Il modello in questione, detto modello modale, è stato affiancato e
riveduto da un altro studio che ha segnato la storia della psicologia
della memoria, quello di Craik & Lockhart (1972). Questi due studiosi
giunsero alla conclusione che la memorizzazione non sia dovuta
soltanto al tempo di esposizione ad una certa informazione (vedere
sopra l’ipotesi del tempo totale), ma soprattutto a quanto
profondamente l’informazione stessa venga elaborata dal soggetto.
Quindi, facendo associazioni mentali e pensando a una serie di
possibili collegamenti tra le informazioni, le stesse vengono ricordate
con maggiore facilità e accuratezza. Questa teoria è in linea anche con
l’idea di Gile (1995a: 221), applicata all’attività dell’interprete,
secondo cui menzionare una parola od una regola grammaticale fa
riaffiorare alla mente anche tutti gli altri elementi ad essa collegati.
Lederer (1986) esprime il medesimo concetto dicendo che:
Les mots ont une rôle de mobilisation, ils font surgir un
champ cognitif qui les dépasse. [141]
Dal 1972 in poi, per una quindicina d’anni, quasi tutti gli studi sulla memoria
hanno cercato di verificare l’ipotesi di Craik e Lockhart, effettuando tutta una
LA MEMORIA
16
serie di esperimenti che tentavano di dimostrare la relazione semplice di diretta
proporzionalità tra sforzo nella codifica e ricordo (McDaniel, Einstein, Dunay &
Cobb, 1986: 645). Il concetto di livello di elaborazione divenne per diversi anni il
leitmotiv di tutta quanta la letteratura specifica, rimpiazzando le ricerche sui
diversi tipi di memoria ed i limiti delle stesse (Baddeley, 1986: 33).
Il rivoluzionario articolo di Craik e Lockhart è stato applicato anche all’attività
dell’interprete. Alcuni esperimenti, compiuti con un certo ritardo rispetto alla
pubblicazione dell’originale (Lambert, 1989a & 1989b; Viezzi, 1989; Darò &
Fabbro, 1994; Isham, 1994), hanno indagato ulteriormente in questa direzione,
dimostrando, per esempio, che gli interpreti simultanei ricordano ciò che
Traducono peggio di chi si limita ad ascoltare. In effetti, dal momento che
l’interprete è costretto ad elaborare notevolmente il testo in LP per renderlo in
un’altra lingua, questa osservazione sembrerebbe in contrapposizione a quanto
detto finora. La contraddizione è però spiegabile riconducendo la scarsa ritenzione
dell’informazione dell’interprete simultaneo al fatto che questi deve dividere le
proprie risorse mentali tra varie attività concomitanti, e che la sua stessa voce crea
interferenza fonetica (De Felice, 1997: 37). Effettuati gli opportuni accorgimenti,
la teoria dei livelli di elaborazione dell’informazione continua quindi ad essere
applicabile, ed è in grado anche di spiegare perché gli interpreti ricordino meglio
un brano interpretato in consecutiva (in cui non c’è sovrapposizione fra la propria
voce e quella dell’oratore) piuttosto che in simultanea, e meglio un brano eseguito
in simultanea piuttosto che uno di cui si è fatto lo shadowing (attività che non
richiede alcuno sforzo di rielaborazione).
Negli anni ottanta, la ricerca si estese notevolmente, e questa tendenza prosegue
tutt’oggi. Negli ultimi tempi, infatti, si effettuano vari studi, su molteplici fronti,
primo fra tutti quello della possibile interazione tra psicologia e biologia della
memoria (Tulving, 1987: 68). Inoltre, molti ricercatori stanno cercando di
indagare le possibili aree di sovrapposizione e di cooperazione tra la memoria a
breve termine e quella a lungo termine.
II.3. Definizione di memoria
LA MEMORIA
17
Baddeley (1985) apre il suo saggio con una definizione molto semplice e intuitiva di
“memoria”:
La memoria è la capacità di immagazzinare
informazione e di avere accesso ad essa. [3]
Una definizione alternativa è fornita da Valeria Darò (in Moser-Mercer,
Lambert, Darò & William, 1997):
Memory is the capacity of an organism to adapt or
change as a result of events and of external stimuli.
[40]
Volendo elaborare ulteriormente questi primi spunti, si può convenire che la
memoria, come tutti i sistemi di ritenzione dell’informazione, debba avere almeno
tre componenti (Baddeley, 1976: 16): una che gestisce l’acquisizione delle
informazioni (chiamato generalmente acquisizione), una responsabile della
ritenzione delle informazioni (la memoria propriamente detta) ed una che
permetta di accedere alle informazioni immagazzinate (il ricordo). La memoria è
pertanto un ingranaggio di un sistema complesso, che ha una notevole influenza
su ogni evento della vita di un individuo.
La memoria è stata paragonata, utilizzando una pittoresca metafora, ad una
biblioteca, nella quale i libri (i ricordi) vengono riposti sugli scaffali
istantaneamente, ma catalogati (e quindi disponibili per essere rintracciati)
soltanto in seguito e con lentezza (Miller & Spring, 1973).
Il prossimo paragrafo illustrerà il funzionamento di quel prodigioso strumento
mentale che è la memoria.
II.4 Tipi di memoria
A lungo gli scienziati hanno dibattuto la questione della struttura della memoria, e in
particolare se essa sia un sistema unico oppure composto da piú
sistemi coordinati fra loro. Negli ultimi decenni sembra aver avuto la
meglio la seconda ipotesi (Baddeley, 1992a: 7), poiché si è osservato
che la memoria funziona secondo modalità differenti a livelli
differenti. Come dice Darò (1997):
LA MEMORIA
18
memory is not a unitary function, but rather a range of multi-
modal, interrelated systems which can be
functionally independent from each other.
[622]
L’autrice in seguito si spinge fino ad affermare che:
There is no such a thing like “a” memory. [627]
Della stessa opinione sono anche Aglioti e Fabbro (1999: 58), la
memoria dev’essere pensata come un “mosaico di sistemi”, piuttosto
che come un sistema unitario.
Questa tesi è avvalorata dalla constatazione che pazienti affetti da
lesioni cerebrali possono avere degli scompensi soltanto in un tipo di
memoria, mentre gli altri rimangono essenzialmente inalterati
(Baddeley, 1976; Roncato, 1982; Gran, 1992; Darò, 1997). È un fatto
ormai appurato, per esempio, che chi subisce un trauma cranico
dimentichi gli istanti immediatamente precedenti all’incidente, ma che
i suoi ricordi di qualunque altro evento passato non subiscano, in
genere, alcun mutamento (Atkinson, Atkinson e Hilgard, 1983: 243).
In generale, gli studiosi concordano nel distinguere almeno i seguenti
tipi di memoria (Roncato, 1982)
3
:
• Registri sensoriali (memoria iconica e memoria ecoica)
• Memoria a Breve Termine (d’ora in poi MBT, acronimo inglese
STM)
• Memoria a Lungo Termine (d’ora in poi MLT, acronimo inglese
LTM).
Probabilmente sarebbe piú corretto ritenere che i tipi di memoria
sono piú numerosi, dal momento che la variegata MBT è
probabilmente un insieme di sistemi coordinati piuttosto che un
sistema unico (Baddeley, 1985: 170), ma per ulteriori dettagli al
riguardo si rimanda alla Bibliografia.
Questi tre sottogruppi, pur essendo dotati di una propria autonomia,
interagiscono fra loro ed entro certi limiti si sovrappongono. Non si
deve pensare alla memoria come ad un insieme di contenitori a
compartimenti stagni, bensí bisogna essere consapevoli del fatto che:
3
La terminologia utilizzata nel corso di questo lavoro è quella piú diffusa tra gli addetti ai lavori. È
possibile però incontrare altri termini che si riferiscono ai medesimi concetti. Gran (1992: 166) e
Moser (1978) usano generated abstract memory (GAM) al posto di STM; Baddeley e Hitch (1974,
citato in Roncato, 1982: 194) rinominano la MBT memoria operativa. Nella prima metà del
Novecento si diceva spesso memoria immediata al posto di MBT.