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Sebbene le sceneggiature abbiano un carattere proteiforme
non per questo non sono rigidamente strutturate.
L’impalcatura narrativa si regge spesso su spunti diversi
mutuati dalle arti o dalla religione o dall’alchimia.
Le innovazioni linguistiche di Jarman riposano
sull’eterogeneità degli ingredienti.
Il rifiuto dei generi, delle convenzioni narrative e soprattutto
della tradizione del cinema inglese, lo porta a rifondare la nozione
di autore quale garante del discorso.
La sua autorialità non è però la dispotica manifestazione di
uno sterile e opprimente egocentrismo bensì l’onesta articolazione
di un discorso che per essere convalidato deve essere fatto in
prima persona.
Alla luce delle misure discriminatorie del governo
conservatore inglese (la famigerata clausola 28), l’omosessualità
del regista e la sua sieropositività danno legittimità e pregnanza
alle interpretazioni personalizzate di eventi e personaggi (come
Edoardo II) assunti a partigiani della causa.
Nelle opere di Jarman la narrazione è spesso “presa in
ostaggio” da vicende personali o da accadimenti estemporanei
concertati in modo che la loro collusione con il soggetto di fondo
produca nuove sfumature di senso.
Tra le diverse tematiche s'individuano: il processo creativo e
il ruolo dell’artista come catalizzatore di impulsi “proibiti”, il
disagio sociale di una nazione imperniata sull’individualismo, la
messa in discussione di tutti i valori morali dati come assoluti, il
perverso potere dei mass media, la rilettura delle mitologie
storiche, e la distruzione del paesaggio.
Tra queste emerge l’omosessualità che non è mai una
semplice costante, quanto piuttosto un’invariante profonda e
costitutiva della trama narrativa.
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L’articolazione del “pensiero omosessuale” di Jarman
avviene nei lungometraggi attraverso figure e personaggi storici
(Sebastiane, Caravaggio, Edoardo II), sequenze allegoriche ed
argomentazioni politiche dirette o satiriche.
Circondarsi di una stretta cerchia di collaboratori è sempre
stato un vizio di Jarman.
Il compositore Simon Fisher Turner lo aiuta a trovare le
comparse e segue le diverse fasi della lavorazione di un film.
Già a partire da Caravaggio Turner è presente sul set in modo
da registrare direttamente, durante le riprese, le voci, i rumori e
gli imprevisti sonori che poi integra nella colonna sonora come
leitmotiv o come moduli generativi di dissonanze e/o armonie
contribuendo ad arricchire l’atmosfera generale.
Fatte eccezioni per Laurence Olivier (War Requiem) non
lavora mai con nomi di spicco, preferendo dirigere un cast di
attori alle prime armi o di amici.
Tilda Swinton è in genere il cuore emotivo dei suoi film, una
sorta di veicolo spirituale.
È proprio la presenza di amici e collaboratori all’interno dei
set a dare una certa continuità all’opera del regista.
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CARAVAGGIO
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Nel 1986, dopo sette anni impiegati tra la ricerca delle
informazioni concernenti la biografia del pittore italiano e la
stesura della sceneggiatura, Jarman pubblica “Caravaggio”.
Lo studio approfondito dell’opera del pittore rinascimentale
porta il regista a scegliere nuove soluzioni stilistiche ,non
sperimentate precedentemente.
Abbandonando il manierismo tecnico dei primi film
confeziona una sceneggiatura che, lasciando ampi spazi alla libera
interpretazione del pubblico essendo uno scritto di fantasia,
permette di ricreare sulla pellicola gli umori dei quadri di
Caravaggio ma rimane fermamente agganciata, nei temi, ai fatti
salienti della vita dell’artista, raccontati dai cronisti del Seicento.
La psicologia dei personaggi è caratterizzata
puntigliosamente, l’onirico e l’indeterminatezza delle prime
produzioni sono sostituiti da un lavoro in cui nulla è lasciato al
caso.
Così l’iconografia rivoluzionaria del pittore diventa quella
delle scene, gli oggetti e gli attori dipinti nelle tele prendono
corpo sulla pellicola intessendo il dramma di un eroe
protoromantico.
Egli è descritto da Jarman come una persona umile benché
vanitosa, un serio e taciturno osservatore della realtà
continuamente assillato da dubbi e alla ricerca di certezze; il
personaggio contrasta la descrizione d'uomo volgare e rissoso
lasciata dai cronisti dell’epoca.
Per dare risalto alla doppia personalità dell’artista, studioso e
attaccabrighe, il regista ritrae scene dalla sua vita pubblica,
debitamente illuminate, che fanno da contraltare alle sequenze
buie girate nello studio.
Nell’iconografia di Caravaggio oggetti e costumi non sono
sempre dell'epoca rinascimentale, nel film, l'anacronismo ed il
simbolico mostrati nell’uso di suoni, oggetti e costumi, solca
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secoli e culture per restituire lo spirito dell'opera, della vita e delle
idee del geniale protagonista.
Emulando il lavoro di Caravaggio, Jarman dirige gli attori in
ampi spazi vuoti, le riprese sono fatte, eccetto per poche scene in
esterno, all’interno degli studios.
La macchina da presa non fa sentire la sua presenza: le
inquadrature, per lo più fisse, ricreano l’atmosfera della scena
teatrale mentre l’accurato lavoro profilmico riesce, con poveri
mezzi, a rendere lo stile del 1600.
Il regista, anch’egli pittore, descrive con metafore il carattere
dell’artista italiano indagandone i metodi nell’uso dello spazio e
della luce e nella caratterizzazione dei personaggi ed emulandolo
nell’attenzione per i gesti delle figure riprodotte.
Jarman parla dell’intimo rapporto tra la vita dell’artista ed i
suoi capolavori .
Egli prese a modello la gente delle borgate romane ove
soggiornò e grazie ai temi riprodotti riuscì a rivoluzionare la
pittura del Seicento.
La borgata romana, prostitute e gente di malaffare, è
mescolata al misticismo dei soggetti, in modo particolare nei
capolavori che riproducono i martiri dei Santi e l’iconografia
cattolica del Cristo e della Maria Vergine.
La vita stessa è icona del mistico per il pittore rinascimentale.
“La sua abilità nel creare forme e colori, rendendo nei quadri
scene di vita reale, fa invidia alla natura, indignata come la morte,
dall’energia vitale che i personaggi dei quadri sprizzano, come se
l’artista avesse dato loro lo spirito”.
Quest'osservazione appartiene al Cavalier Marino, la sua
testimonianza serve a dare corpo alle vicende del personaggio.
La nota apre il libro, pubblicato all’uscita del film, che
contiene la sceneggiatura e le considerazioni del regista sull’opera
appena ultimata.
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In “Caravaggio”
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mostra il procedimento che, dalle poche
notizie storiche e dall’accurato studio delle opere, lo ha condotto
alle scelte stilistiche e narrative adottate nel film.
I suoni di Porto Ercole accompagnano le prime scene.
Una nota storica di Baglione fa da prologo, nel libro, alla
scena iniziale, si narra degli ultimi giorni di vita del pittore.
Caravaggio, con i pochi effetti personali che portava con sé,
si preparava a partire per Roma a bordo di una piccola
imbarcazione affittata a Porto Ercole.
Fu catturato ,però, dai soldati spagnoli che, commettendo un
errore, lo accusarono e lo tennero in prigione per due giorni.
Liberato, s'accorse che non c’era traccia dell’imbarcazione
che conteneva il suo bagaglio e, rabbioso, percorse più volte, in
una folle corsa, la spiaggia, sotto il cocente sole di luglio.
Ritrovato in stato d'incoscienza da dei pescatori ,fu portato al
comando spagnolo che dominava la baia.
Messo a letto in preda ad una forte febbre, senza l’aiuto di Dio o
di un uomo, morì in breve tempo ed in modo miserabile come, a
detta dei contemporanei, miserabile era stata la sua vita.
Traendo spunto dalla cronaca, Jarman mostra nelle immagini
il letto di morte del pittore.
Il delirio dovuto alla forte febbre è pretesto per raccontare il
vissuto dell’artista ,ora in agonia, nella cui mente affiorano il
ricordo delle vicende vissute, le ragioni del suo agire e la forte
critica all’arte e alla società del rinascimento.
Ad assisterlo c’è Jerusaleme, un personaggio di finzione che
farà da filo conduttore ad una vita sregolata.
Jerusaleme , sordo dalla nascita, è inabile alla mansione di
pastore di capre.
E' venduto al pittore da una povera famiglia abruzzese e
diventerà l'assistente che lo seguirà, in silenzio, attraverso i fatti
burrascosi che contraddistinsero la sua carriera.
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Jarman Derek, Derek Jarman’s Caravaggio, Constable, London, 1987
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La stanza in cui si trovano è di una semplicità monastica,
l’assistente, vegliando il maestro, taglia su di un tavolo, ove è
posata una tazza di brodo non consumata, strisce di paglia con un
coltello.
L’atmosfera statica è interrotta dai sussulti del protagonista,
l’amico , attento, prontamente lo soccorre.
Jarman, tramite una voce fuori campo che sovrappone alle
immagini, usa la tecnica chiamata “soggettiva libera indiretta”.
Quest'espediente gli permette di narrare le considerazioni
sull'estetica e la politica rinascimentali raccolte durante lo studio
della biografia del pittore.
Caravaggio si esprime in silenzio, nei meandri della mente, si
confida in intimità, con lo sguardo lungimirante di chi, alle soglie
della morte, riesce a ripercorrere le forti sensazioni e i forti ricordi
della vita che sta per andar via.
Riesce a raccontarsi al proprio pubblico.
Il regista vi s'identifica e ne racconta la fuga per l’Italia, nei
quattro anni successivi all’uccisione di Ranuccio Tommasoni.
Siamo nel 1610 ma il linguaggio usato ci riporta alla nostra epoca
quando, ad esempio, si parla delle etichette attaccate ai bagagli
dell’artista in fuga.
Le metafore si dipanano per mezzo delle parole,
raccontandoci dell’universo di Caravaggio e accostandosi, nei
toni poetici, alle sue geniali iconografie.
Forti braccia trasportano il suo corpo incosciente, sono quelle dei
virili pescatori che sollevano e trasportano il pittore verso la
guarnigione, rimuovendolo dalla spiaggia dove era stato ritrovato.
Nel monologo è descritto ,prima, lo stato del corpo, da cui
gocciola l’acqua salata del mare che crea lacrime che cadono sulla
sabbia rovente, poi, con un cambio di footing, l’artista rimpiange
di non aver avuto, in vita, braccia così calde e possenti a
sorreggerlo.
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Il pensiero va a Jerusaleme, fido compagno e vero amore, egli si
rattrista pensando al freddo luogo dove sta per finire la loro
amicizia, la bianca e spettrale gattabuia di Porto Ercole cui la vita
dissoluta lo aveva condannato.
Con un ennesimo cambio di footing, il protagonista descrive
l’ambiente che lo circonda: la lotta dei pensieri che affiorano in
mente è, per il momento, finita, la calma torna nella stanza mentre
i cani abbaiano al sole ed i pescatori issano le reti.
Impressioni forti sono descritte attraverso metafore efficaci
che si estendono ai limiti estremi del dolore e dell’estasi.
Il pittore, raccontando della sua vita, diventa poeta, il
monologo scritto da Jarman è composto e recitato in forma
metrica.
Pittura e poesia sono mescolate sapientemente nel film come
nelle tele caravaggesche lo sono i colori e le espressioni dei
modelli, testimoni di una profonda e acuta sensibilità descrittiva.
La voce fuori campo racconta le tappe salienti della propia
vita.
La prima è l’incontro con il fido assistente.
Nel paesaggio collinare di un paesino dell’Abruzzo, la casa
mal ridotta di un pecoraio accoglie l’ancor giovane pittore, al suo
interno è raccolta la famiglia di Jerusaleme.
Michele contratta con la nonna del bimbo che, avida,
raccoglie le monete date alla famiglia in cambio del piccolo che
guarda dalla finestra il cielo stellato, malinconico e consapevole
di non fare più ritorno alla terra natia.
La nonna gli raccomanda d'essere valoroso e leale, egli bacia
la madre, intenta ad accudire un neonato, prende il suo fischietto
e, dopo averlo legato al collo come un amuleto, salta in spalla del
ricco protettore per accompagnarlo nel cammino.
La scena si sposta a Roma, nello studio dell'artista, già al servizio
del potente Cardinale Del Monte.
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Caravaggio, con voce fuori campo, parla di Jerusaleme come
di un S. Giovanni cresciuto tra i selvaggi, la sua buona e
servizievole indole farà innamorare il maestro che gli insegnerà il
gioco dei colori, il modo di estrarli dalla terra e dall'ambra e
quello di comporli, e lo renderà l’unico compagno di quella
solitudine da cui scaturirono i capolavori.
Il piccolo Jerusaleme gioca con uno scudo raffigurante la
testa della Medusa che si trova nel laboratorio del maestro.
Mentre i due, stanchi, si addormentano abbracciati, un serpente
fuoriesce dalla testa Medusea: e' il serpente della memoria che si
avvicina ai due per insinuarsi tra le vesti del bambino, in
lontananza si ode il fischio dei pastori dell’ormai lontana terra
d’Abruzzo.
Jarman trae dall’iconografia di Caravaggio gli spunti per
riempire i vuoti nella biografia del pittore, sparsa nei pochi
documenti lasciati dai nobiluomini che conosceva.
L’immagine del maestro e del fanciullo teneramente
addormentati è seguita da quella di Jerusaleme adulto che, resosi
conto del suo handicap, cerca inutilmente di comunicare ad una
capra col fischietto, gesticolando nervosamente.
Le falle temporali sono frequenti nello scorrere dell’intreccio.
Il ritorno al passato dell’artista in agonia permette al regista
di filmare una storia in cui i confini tra sogno e realtà non sono
ben definiti.
I personaggi ispirati dalle opere del pittore sono: il Cardinale
Del Monte, “St. Jerome”, Caravaggio nell’autoritratto il “Ragazzo
col cesto di frutta” e, alla fine del film, Cristo nella “Sepoltura del
Cristo”, Lena è “La Maddalena” e Maria Vergine nella “Morte
della Vergine Maria”, Ranuccio è Re Hirtacus nel “Martirio di S.
Matteo”.
Oggetti, antichi e moderni, e suoni, registrati in presa diretta in
Italia, sono usati per citare Roma ,l’immortale città.
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È stata indispensabile la costruzione d'enormi canovacci
raffiguranti i capolavori del pittore, a volte ricreati alla stregua di
tableaux vivants.
Sono stati usati per il lavoro profilmico: un coltello su cui si è
inciso il motto “Niente Speranza Niente Paura”, l’amuleto ed il
motto saranno indici di un carattere ribelle, un cestino da frutta
simile a quello raffigurato nel quadro “Il ragazzo con un cesto di
frutta”, vecchie caraffe di vino trovate in un bar di Soho,
somiglianti a quelle della tela “La Maddalena”, lampade e
bicchieri del XVIII secolo per dare un’impronta di storicità alle
immagini, un fischietto, ritrovato in un sito romano a sud della
Spagna, su cui erano incise le parole “Veni Voco” ovvero “vieni
quando chiamo”; il coltello di Caravaggio e il fischietto di
Jerusaleme hanno la funzione di talismani protettori.
Durante la notte Jerusaleme riceve la visita delle Marie.
Le due figure protettrici veglieranno il corpo esausto dell’artista,
l’una si occuperà di tenere accesa la luce di una candela, è “Maria
Candela”, l’altra, laverà il corpo con l’acqua purificatrice, è
“Maria Acqua”.
Vestite in abiti da lutto, entrano nella stanza mentre il ragazzo
guarda dalla finestra malinconico, l’espressione di dolore
riecheggia l’umore del bimbo che lascia con dolore la terra natia,
ad un tratto si volta, fissa la telecamera e, gesticolando in preda
all’angoscia, piange mentre Caravaggio torna a parlare coi
pensieri.
Sono rivolti, prima, alle sensazioni provate durante il
trasporto alla guarnigione spagnola, poi, alla figura di Pasqualone,
la prima fiamma.
Nel ricordo affiorano i dolci momenti in cui i due bambini,
perduti tra le colline d’Abruzzo, contavano le pecore e giocavano
con l’eco, accarezzandosi, poi le immagini svaniscono
nell’oscurità dell’oblio.
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Baglione racconta che nei primi anni della carriera
Caravaggio aveva difficoltà nel vendere le proprie opere e visse
per lungo tempo in povertà.
Il giovane è notato da un ricco mercante d’arte che veste abiti
moderni.
Caravaggio è un bel ragazzo, avvenente e semi nudo e ha
come compagno d’affari un mascalzone da bassifondi che gli fa
segno di portare il compratore a casa.
Michele afferma d'avere altri quadri nella propria abitazione
invitando il mecenate ad un incontro intimo che sarà una trappola.
La voce fuori campo parla del mecenatismo, fare arte e
ricavarne del denaro è un traguardo difficile.
Nel Rinascimento ,come ai giorni nostri, l’artista deve ben
considerare le opportunità del mercato, saper vendere alle persone
giuste può dare grandi vantaggi.
Il mercante, interessato anche al corpo del pittore, è coinvolto
in una danza orgiastica.
La voce commenta ciò che accade, descrivendo il compratore
tanto ricco quanto disgustoso, afferma che per un artista costatare
che una tale persona è interessata al proprio lavoro è segno
dell'essere sulla strada giusta per il successo.
Il giovane vende il proprio corpo e i quadri ma l’atmosfera da
baccanale nella povera dimora si fa seria allorché minaccia e
deruba il cliente che, confuso, batte in ritirata dopo aver
consegnato gli averi.
Michele, contento del bottino, beve, con un ghigno di
rivincita, ad una bottiglia di vino, poi, s'incorona con delle foglie
d'uva intrecciate assumendo la posa del Dio Bacco, cui dedicò
l’esistenza folle e ai limiti del possibile.
L'artista commenta: ha fondato il suo mondo sul Mistero
Divino e trovando Dio nel vino, l’ha portato al proprio cuore.
Ritraendosi come Bacco, n'eredita la sorte, un selvaggio
smembramento orgiastico.
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Il carattere belligerante e al tempo stesso geniale sarà la causa
del suo destino.
La voce narrante, con un cambio di registro, si rivolge
direttamente al pubblico; il pittore solleva il bicchiere da cui beve
e brinda orgoglioso a coloro che ameranno la sua pittura.
Fa seguito all’immagine di “Caravaggio-Bacco” quella
dell'artista ritratto nella posa e con l’espressione del giulivo
“Ragazzo con un cesto di frutta”.
Il regista ,con sguardo lungimirante, trae considerazioni su arte,
storia ed etica intrecciando il pensiero del rinascimento a quello
dell’età contemporanea.
I fatti narrati fanno riflettere su temi che, come se il tempo si
fosse fermato, restano problematici ai giorni nostri come lo sono
stati nel passato.
L’uso della luce e del colore ha un ruolo fondamentale nel
definire l’umore delle immagini come la ricerca dei chiari e degli
scuri fu fondamentale per la pittura di Caravaggio.
Il giallo, lucente, predomina nelle scene della giovinezza
dell’artista come nei suoi lavori giovanili che mostrano giocatori
di carte, avventurieri e gioviali musicisti, opere serene messe a
confronto degli ultimi, scuri, capolavori.
Le immagini diverranno, nel corso del film, da colorate e
lucenti, sempre più buie; questo percorso sarà metafora della
discesa agli inferi del pittore assassino.
La luce nei set è usata con tecnica caravaggesca, come nelle
tele, le scene sono rischiarate da una luminosità che proviene
dalla sinistra, che, come si nota ne “La chiamata di S. Matteo”,
non sgorga dalla finestra della bettola ma dall’altare nella stanza.
E' un faro spirituale, l’occhio divino puntato sull’uomo.
Di là dai geniali effetti di realismo, i capolavori del pittore
rinascimentale restano un pilastro della creazione artistica perché
contraddistinti da questo sguardo che, oltre la vita , illumina le
azioni umane.
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La fabula del film abbraccia il periodo di una notte, l’ultima
del pittore, quella dei ricordi.
Dalla calma del pomeriggio si passa all’angoscia notturna e,
infine, alle prime e tranquille luci dell’alba, quando l’artista
spirerà.
La voce fuori campo dello storico narra dell’itterizia che colpì
l'artista, costringendolo ad un lungo periodo in ospedale.
Qui, durante il periodo di convalescenza, dipinse il “Bacco
Malato”.
Il Cardinale Del Monte, potente cortigiano e patrono
dell’accademia di pittura dell’ordine di S. Luca, è in visita ai
malati cui lava e bacia i piedi per penitenza; nota la tela del
ragazzo e s'indigna per il realismo delle carni malate colore verde
pera ma, intuisce la genialità dell’insolito compositore.
Nota, pure, il coltello-amuleto e lo sequestra dicendogli che è
illegale portare armi di grosse dimensioni; così facendo, avrà un
pretesto per rivederlo.
Lo sguardo del regista, che parla con la voce del protagonista,
è critico nei confronti dell’alta società, della casta dei ricchi.
Essi, dice Michele, gustano i propri piaceri giocando in
maniera complicata; Duchi, Duchesse, Cardinali e perfino il Papa
custodiscono gelosamente le loro esemplari vite pubbliche,
sognando, in privato, di sodomizzare i poveri.
È la visione di un artista da sempre contrario alle regole dello
show-business.
I due s'incontrano nella casa-museo del mecenate, tra le
innumerevoli opere d’arte del ricco signore entrerà a far parte
della collezione anche una tela del povero artista.
Il coltello gli è reso in cambio del quadro “Il suonatore di
liuto” la cui frase incisa sullo strumento del suonatore, “Tu sai
che ti amo”, incuriosisce gli astanti.