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Introduzione
Nelle pagine a seguire si andrà a ripercorrere la storia linguistica dell’Italia,
con particolare focalizzazione sui dialetti, nucleo fondamentale di questo lavoro.
Questo percorso avrà inizio molti secoli prima della vera e propria genesi dei
dialetti e dell’italiano, due lingue strettamente connesse tra loro, in modo da
scoprire il loro nucleo originario e mettere in luce le motivazioni che hanno poi
consentito la loro nascita ed evoluzione. Ci si concentrerà in particolare sul
periodo intorno all’Unità d’Italia, momento decisivo nel rapporto tra dialetti e le
diverse sfumature di italiano. Si parlerà dunque della tormentata compresenza tra
le due lingue, che ha portato in seguito alla prevalenza dell’una sull’altra e alla
stigmatizzazione dei dialetti. Quest’ultimo fenomeno, ha suscitato l’inquietudine
di molti intellettuali, preoccupati della possibile definitiva scomparsa dei dialetti,
parte integrante della cultura e del patrimonio italiano. Ben lungi dallo
scomparire, i dialetti sono riusciti a sopravvivere, a rinascere e addirittura a
rendersi versatili, trasformarsi, per continuare a vivere nel quotidiano di ogni
italiano e per reinventarsi a tal punto da diventare strumento dei mass media. Si
vedrà, infatti, che molti mezzi di comunicazione di massa, grazie ad alcuni
fenomeni particolari, hanno iniziato da qualche decennio a servirsi del dialetto,
spesso in una veste nuova, sconosciuta, moderna.
Nella seconda parte di questo lavoro si entrerà più nel dettaglio della
questione, riferendosi più concretamente al vero e proprio oggetto di analisi, ossia
il ruolo del dialetto all’interno della comunicazione pubblicitaria. Si andrà dunque
a esaminare il perché e il come alcune aziende abbiano deciso negli ultimi anni,
sempre più frequentemente, di impiegare i dialetti nelle proprie campagne
pubblicitarie, attraverso l’adozione di un approccio glocal, nel caso di aziende
internazionali, o ancora più local, nel caso di aziende italiane che intendono
sottolineare ancor di più il loro legame con un determinato territorio. Si procederà
quindi con l’analisi di quelle che si sono considerate le pubblicità più originali,
suggestive e particolari degli ultimi anni, al fine di comprendere e mettere a
confronto le diverse strategie che possono essere impiegate nell’utilizzare il
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dialetto, per rintracciare in tal modo quelle vincenti e quelle invece più oggetto di
critiche.
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Capitolo I
Nascita ed evoluzione del dialetto e dell’italiano
1.1 Cenni storici
Per comprendere al meglio il ruolo dei dialetti nella società italiana odierna,
grazie anche al nuovo rilievo da essi assunto nell’ambito dei media, è necessario
fare qualche passo indietro e, attraverso un processo storico, riavvolgere il nastro
e partire dalla loro genesi, in modo tale da rinvenire le ragioni che hanno portato
alla nascita di queste varietà linguistiche e scoprire la relazione tra queste e
l’italiano, in particolare a partire dall’Unità d’Italia, avvenimento che ha
significativamente segnato tale processo.
1.1.1 Greco e latino
Le radici storiche dell’italiano e del dialetto sono da rintracciare nel latino.
Ma prima ancora dell’avvento del latino, intorno all’VIII secolo a.C., i greci
iniziarono a fondare colonie in diverse parti del Mediterraneo. Si prenderanno in
considerazione in quest’analisi le colonie nell’Italia meridionale, la cosiddetta
Magna Grecia, in particolare la regione Campania, punto di partenza d’eccellenza
e campione sufficientemente complesso e rappresentativo. Neapolis era una
città greca, mentre nella parte interna della regione vivevano altre popolazioni, gli
osci: le due culture erano poco comunicanti e praticavano stili di vita differenti.
Fu l’arrivo dell’Impero Romano a rompere questo duraturo equilibrio.
Politicamente, il territorio campano entrò subito a far parte dell’Impero, mentre
dal punto di vista linguistico, la situazione si evolse più lentamente. Infatti, il
latino rimase per secoli la lingua amministrativa, del potere, mentre la
popolazione continuò a parlare la propria lingua, il greco.
Questa particolare relazione tra due lingue presenti nella stessa area ma
separate, gerarchizzate, in un rapporto di subordinazione, è definita diglossia.
Questo fenomeno si ha quando sono presenti una lingua ufficiale, utilizzata per le
funzioni “alte”, ossia amministrative, burocratiche e militari, e un’altra lingua
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utilizzata per le funzioni “basse”, ossia oralmente nel quotidiano. Tale situazione
si venne a creare per via di una sorta di resistenza da parte del popolo, che subiva
il dominio politico e militare, ma non cedeva dal punto di vista linguistico poiché
strettamente legato alla propria cultura greca. Il latino ha impiegato secoli per
sconfiggere le altre lingue, ma dopo questo lungo processo non ha lasciato quasi
nulla del panorama linguistico preesistente. Ciononostante, si è dovuto adattare
alle popolazioni locali, andando a modificarsi, ereditando caratteristiche delle
precedenti lingue e sfumature locali. In Campania, greci e osci persero la propria
lingua e iniziarono a parlare ognuno la propria versione di latino. Con la fine
dell’Impero, i latini locali, già diversi tra loro, si allontanarono sempre di più.
Le lingue sono fortemente mutevoli, hanno una tendenza naturale a
cambiare, e ciò avviene principalmente per due ragioni. La prima si può far
risalire al passaggio intergenerazionale. Le lingue mutano poiché vengono
assimilate in tenera età in maniera spontanea, attraverso un processo di
acquisizione non passivo: i bambini non imitano, ma ricreano e rielaborano.
Durante questo processo di acquisizione spontanea, avvengono piccoli
cambiamenti, sostituzioni e imperfezioni, che di generazione in generazione
portano a trasformare e diversificare le lingue. La seconda ragione è da
rintracciare nel contatto tra popoli diversi che porta a una sorta di battaglia
linguistica, attraverso cui un popolo si adatta e perde la propria lingua, portando
però con sé nella nuova lingua elementi della precedente. A tal proposito è
interessante citare Leopardi, il quale riteneva che: «conservare la purità della
lingua è un’immaginazione, un sogno, un’ipotesi astratta, un’idea non mai
riducibile ad atto» (Leopardi, 1898).
1.1.2 I volgari
Nei primi secoli del secondo millennio, l’Europa era caratterizzata da una
forte frammentazione linguistica, da cui nacque una grande molteplicità di lingue,
molto diverse sia tra loro che dal latino. Si tratta dei volgari, così denominati
perché erano le lingue parlate dal popolo. Nel Medioevo, il latino era ormai perso
nell’uso orale, ma rimase come lingua scritta, dunque riservata ai pochi che
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all’epoca avevano la possibilità di studiare. In questa lunga fase si verifica una
nuova diglossia tra la lingua scritta della cultura, il latino, e la lingua quotidiana
orale, i volgari. I documenti pervenuti di quei tempi sono tutti in latino: ciò
inganna, perché in realtà solo circa l’1% della popolazione era in grado di
utilizzarlo, mentre il resto parlava esclusivamente volgare. Grazie ad avvenimento
particolare, che vide protagonista un notaio, il quale trascrisse involontariamente
una frase in volgare, oggigiorno siamo in possesso di un documento di
inestimabile valore, una fondamentale testimonianza che ha permesso di
conoscere il modo di parlare del tempo.
Dopo un lungo periodo di diglossia, nacque in Provenza un fenomeno
dirompente che sconvolse l’atmosfera linguistica dell’intera Europa. Alcuni
canzonieri iniziarono a utilizzare il volgare, prima solo oralmente, poi anche per la
scrittura di testi. I canti provenzali si diffusero in molte regioni dell’Europa, dove
vennero apprezzati, ricantati e talvolta imitati. In Italia i primi sperimentare questo
modello furono i siciliani alla corte di Federico II di Svevia. I poeti siciliani
iniziarono a scrivere in volgare siciliano, in modo inizialmente imitativo rispetto
ai cantautori provenzali, molto originale in seguito. Con la morte di Federico II,
finì anche il periodo di grande splendore siciliano. Il volgare siciliano, se il
periodo federiciano fosse durato più a lungo avrebbe potuto imporsi sino a
diventare lingua nazionale, tale fu il prestigio da esso acquisito.
Durante la metà del XIII secolo, sulla scia di provenzali e siciliani, altri
iniziarono a sperimentare la scrittura in volgare. Laddove furono manchevoli i
siciliani, riuscirono a imporsi i toscani. Il successo del volgare toscano e la sua
supremazia sugli altri hanno diverse spiegazioni. Innanzitutto, Firenze fu città di
grandi mercanti e banchieri che portarono ricchezza, potenza economica e politica
e sviluppo culturale. Altro fattore riguarda l’apporto fondamentale dei grandi
letterati come Dante, Petrarca e Boccaccio, che diedero prestigio ed eternità al
volgare fiorentino, oltre a garantirgli straordinaria diffusione in tutta Europa. La
diglossia fu infranta proprio grazie a questi autori, i quali iniziarono ad utilizzare
la lingua bassa per scrivere testi di alto valore culturale. Infine, il volgare toscano
era una lingua dell’Italia centrale, con poche differenze rispetto sia al Sud che al
Nord, dunque facilmente compresa da tutti.