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1. Premessa.
Grazie all‟ “istituto” del consenso informato il paziente è posto nella condizione di
accettare il trattamento medico solo dopo esserne stato informato adeguatamente ed
avere, conseguentemente, una chiara e consapevole rappresentazione del rapporto tra i
possibili rischi e gli sperati benefici. In questo modo il paziente decide in modo libero e,
soprattutto, cosciente e consapevole della propria persona.
Detto in altri termini, la sfera personale del paziente può essere “invasa” solo se
questi, preventivamente informato, vi abbia acconsentito.
La regola del consenso informato perfettamente si attaglia al principio personalistico
che ispira il nostro ordinamento, in quanto espressione della libertà inviolabile di
autodeterminazione di ogni individuo, intesa come libertà da costrizioni (art. 13 Cost.),
e come libertà nella scelta di sottoporsi al trattamento terapeutico (art. 32, secondo
comma, Cost.).
1
In questa sede non ci si potrà soffermare funditus sui requisiti di validità e sul suo
contenuto (vedi, brevemente,§ 2), mentre si focalizzerà l‟attenzione sul suo ruolo e sulle
conseguenze penali che possono delinearsi dalla sua violazione. E‟ questa, infatti, a
costituire una delle problematiche di maggiore attualità nell‟ambito della responsabilità
del medico, coinvolgente categorie di diritto penale generale, quali la tipicità e
l‟antigiuridicità, e suscettiva di essere risolta con soluzioni fortemente differenti e con
esiti diametralmente opposti.
La (possibile) soluzione di tali fondamentali quesiti risente di un‟incertezza di
fondo, dal momento che i dati normativi al riguardo sono scarni e dunque fortemente
bisognosi di essere integrati dalla giurisprudenza, con tutti gli inevitabili margini di
opinabilità delle soluzioni cui si perviene (§ 3).
La nostra ricerca si baserà proprio sull‟evoluzione giurisprudenziale, soffermandoci
in particolar modo sulla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n.
2347/2008 (§§ 4-7), per poi analizzare gli orientamenti giurisprudenziali successivi.
1
Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, pag. 105; Id., Il consenso informato:
pratiche consensuali, in Riv. It. Med. Leg., 2000, pag 9 ss; Santosuosso A., Il consenso informato. Tra
giustificazione per il medico e diritto del paziente, a cura di Santosuosso A., Milano, 1996, pag. 217;
Eusebi L., Sul mancato consenso al trattamento terapeutico: profili giuridico-penali, in Riv. It. Med.
Leg., 1995, pag. 727.
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In particolare, si approfondirà la sentenza della Suprema Corte (sezione IV) n.
21799/2010 (§§ 7-11), la quale, già lo si anticipa, pur richiamando i principi espressi
dalle Sezioni Unite, se ne discosta parzialmente e porta ad esiti che evocano un passato
orientamento giurisprudenziale rigoristico, che sembrava essere stato definitivamente
superato.
Si accennerà all‟istituto della riqualificazione giuridica del fatto (art. 521 c.p.p),
potere esercitato dal giudice di primo grado (nel processo che ha portato all‟ultima
sentenza citata) nel qualificare il fatto come lesioni personali colpose, invece che dolose
(§ 12).
Infine, verranno svolte alcune considerazioni conclusive su quale possa essere, allo
stato attuale, il ruolo del consenso informato nell‟attività medica e le implicazioni penali
in caso di intervento posto in essere senza di esso (§13).
5
2. Il consenso informato: requisiti e contenuto.
E‟ opinione ormai assolutamente maggioritaria che il consenso informato rivesta un
ruolo fondamentale nell‟attività medica. In più di una sentenza si legge che “la
legittimità di per sé dell‟attività medica richiede per la sua validità e concreta liceità, in
principio, la manifestazione del consenso del paziente, il quale costituisce un
presupposto di liceità del trattamento medico-chirurgico.”
2
La rilevanza e la necessarietà del consenso trova conferma nella sua copertura
costituzionale. Nello specifico, ad essere richiamato non è solo l‟articolo 32, secondo
comma, ma anche gli articoli 2, espressione del principio personalistico, e 13 Cost., a
tutela dell‟inviolabilità personale.
3
Corollario dell‟importanza del consenso informato è il superamento di una visione
puramente paternalistica del rapporto medico - paziente, in base alla quale si riteneva
che il sanitario, gravato del dovere di curare, fosse fornito di un potere incondizionato
circa la scelta terapeutica e le sue modalità di attuazione.
4
Nel porre al centro della terapia e dell‟intervento la determinazione e la scelta del
paziente, si afferma, invece, una concezione paritaria fra medico e paziente, in base alla
quale il secondo non rimane in una posizione di mera soggezione rispetto al primo, ma
assume un ruolo preminente nella scelta terapeutico-chirirgica.
5
Nell‟ottica di tale
“alleanza terapeutica”, il malato è così investito di un diritto irrinunciabile alla libertà di
autodeterminazione terapeutica, quale aspetto del diritto di disporre dei suoi beni
personali e della sua stessa vita.
2
Cfr., ad esempio, sentenza “Firenzani” (vedi infra) e sentenza n. 11335/08, Huscher, conforme.
3
Cfr., sempre sentenza “Huscher”, cit., nella quale si afferma che “il consenso afferisce alla libertà morale
del soggetto ed alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto
della propria integrità corporea, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile
dall‟art. 13 Cost.”.
4
Cfr. Giunta F., Il consenso informato all’atto medico tra principi costituzionali e implicazioni
penalistiche, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2001, pag. 377. L‟Autore, nello specifico, afferma che
“l‟insegnamento ippocratico incarna chiaramente quest‟ultima concezione dei rapporti tra medico e
paziente: il primo deve esercitare la sua arte con animo altruistico, non solo perseguendo, ma ad un tempo
interpretando secondo coscienza il bene del paziente e il suo migliore interesse; il secondo beneficia
dell‟attività medica, subendola e assecondando il medico che si prende cura di lui. Da qui, il termine
paziente. L‟etimo latino patiens - come noto, participio presente del verbo patior - ne spiega l‟uso
linguistico: paziente non è soltanto colui che sopporta la sofferenza, ma anche chi subisce passivamente
l‟altrui azione.”
5
In tal senso, si veda il documento del Comitato Nazionale per la bioetica, Informazione e consenso
dell’atto medico, Roma, 1992, in Riv. It. Med. Leg., 1993, pag. 193. Cfr anche Magliona B., Il consenso
informato: da enunciazione di principio a criterio che legittima l’attività medico-chirurgica, in Dir. Pen.
Proc., 1996, pag. 775.
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Prima di proseguire la nostra ricerca affrontando il tema maggiormente
problematico –ossia le conseguenze penali derivanti dal trattamento arbitrario-, è
opportuno trattare i requisiti del consenso. Quest‟ultimo, come già si è accennato, è nato
per attuare pienamente il fondamentale e imprescindibile diritto di autodeterminazione
del paziente in ordine al proprio percorso terapeutico-chirurgico. E‟ evidente però che il
consenso può svolgere appieno tale “funzione”, solo se il medico attua un vero e proprio
dialogo e confronto con il malato, volto alla reale comprensione della diagnosi e terapia
di quest‟ultimo. Ciò che si vuole evitare è che il sanitario si limiti a fare sottoscrivere al
paziente un modulo formale, in applicazione di una pratica meramente burocratica.
Detto in altri termini, il “consenso informato” non è e non deve essere il “consenso
documentato”
6
.
E‟ questa una delle dimostrazioni e applicazioni della cd. medicina difensiva, che i
medici praticano in misura sempre maggiore come reazione all‟aumento di denunce per
malpractice medica da parte dei pazienti.
Con tale fenomeno si indica la tendenza dei medici a eccedere in esami e
prescrizioni (pur consapevoli della loro superfluità), al fine di evitare un‟eventuale
accusa di tipo giudiziario e facendo così passare in secondo piano l‟interesse del
paziente.
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Anche la predisposizione di moduli standard prestampati viene spesso a costituire
un mezzo utilizzato dai medici per cautelarsi da possibili denunce penali. Questi
ritengono, erroneamente, che la compilazione di tali documenti, magari del tutto
generici, corrisponda all‟adempimento del dovere di un‟adeguata informazione nei
confronti del paziente (e che, dunque, nessun profilo di colpa potrà essere a loro
addebitato).
8
6
Fresa R., La colpa professionale in ambito sanitario, Torino, 2008, pag. 106.
7
La definizione di medicina difensiva data dall‟OTA (Office of Tecnology Assessement), citata da Introna
F., Un paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi contro i medici, in Riv. it. med.
Leg, 2001, pag. 904, è che questa “si verifica quando i medici prescrivono test, trattamenti o visite oppure
evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, primariamente allo scopo di evitare accuse. Quando i medici
adottano il ricorso a test, trattamenti, ecc. clinicamente superflui nel caso specifico, praticano la medicina
difensiva positiva; quando invece evitano casi difficili e li dirottano altrove, praticano la medicina
difensiva negativa”. Si ricorda che la medicina difensiva è un fenomeno che si è diffuso ancor prima negli
Stati Uniti.
8
In dottrina, Portigliatti Barbos, Il modulo medico di consenso informato: adempimento giuridico,
retorico, finzione burocratica?, in Dir. Pen. Proc., 1998, 7, pag. 894 ss. Si segnala, tra l‟altro, che un
modulo generico, il cd. “prestampato standard” ove sono riportate formule rituali sull‟avvenuta
trasmissione di informazione complete, adatte per qualsiasi intervento chirurgico, non può soddisfare
alcuna esigenza probatoria. In tal senso cfr., ad esempio, Trib. Milano, 24 marzo 2005, Guida al dir., Il