4
Nella letteratura, assai ampia, sull’argomento, ho
potuto constatare un’enorme quantità di definizioni e
classificazioni, sicuramente dovute all’alto grado di
soggettività che circonda l’argomento.
Una generica suddivisione, ripresa da quasi tutti gli
Autori
2
, è quella tra rischi puri e rischi speculativi. I primi
sono legati, appunto, al vivere giornaliero di ciascuno di
noi, contro i quali ci si può o meno assicurare, ma alla cui
esposizione non si accompagna alcuna probabilità di
guadagno. Questo tipo di rischi, ancora suddividibili in
personali e reali, è indipendente dal tipo di attività che si
svolge: per venire in contatto con essi basta
semplicemente vivere.
Sicuramente più legati all’attività economica, sono,
invece, i rischi speculativi, la cui assunzione comporta la
probabilità di realizzare dei profitti. Molti di essi si
2
Cfr. D.Drago,“I rischi dell’attività bancaria” in “Nuovi modelli di
gestione dei flussi finanziari nelle banche”, a cura di P.Fabrizi, ed.Giuffrè,
1995, pp.301-330; J.Revell,“Rischio e solvibilità nelle banche”, ed. di
Comunità, 1975, pp.51-75.
5
trovano racchiusi nelle attività finanziarie che, anzi, ne
contengono di più tipi insieme.
Risulta, quindi, subito evidente che sono proprio gli
intermediari finanziari, le banche in special modo, i
soggetti più interessati dai rischi speculativi, sia essendo
imprese sia trattando una gran quantità di attività
finanziarie. Un filone della letteratura specialistica, infatti,
individua proprio nella trasformazione del rischio e delle
scadenze il motivo economico dell’esistenza degli
intermediari finanziari
3
. Essi, attraverso questa
operazione, creano quel cosiddetto “circuito indiretto”
che facilita la connessione tra soggetti in avanzo
finanziario e soggetti in disavanzo finanziario
4
.
Da ora in poi concentreremo la nostra attenzione
sulle banche, essendo loro i principali fautori
dell’intermediazione indiretta, in particolar modo di quella
di natura creditizia.
3
T.Bianchi,“I fidi bancari”, UTET, 1968.
4
A.Banfi,“I mercati e gli strumenti finanziari”, UTET, 1998, pp.3-5.
6
Le banche, nello svolgimento della loro attività, si
fanno carico di una quantità di rischi, a cominciare dal
rischio di credito che ha sempre costituito la causa prima
dei loro fallimenti. Molti Autori, però, hanno sottolineato
come, specialmente oggi, sia estremamente riduttivo un
approccio che concepisca il rischio bancario legato solo
all’insolvenza degli affidati
5
. Una classificazione molto
usata, che si può dire intersechi quella precedentemente
vista, distingue tra rischi economici e rischi finanziari
6
. I
primi sono quelli che si riferiscono all’equilibrio tra costi e
ricavi di gestione, i secondi tra entrate e uscite. Il rischio
finanziario viene comunemente identificato
nell’eventualità che si manifesti un deficit o un’eccedenza
di riserve di liquidità rispetto al livello giudicato, in quel
momento, ottimale. A questo problema si è sempre data
una grande importanza nelle banche, elaborando metodi
sempre più avanzati per la sua gestione, ma trascurandone
5
M.Comana,“Vigilanza sul capitale e gestione strategica della banca”,
Egea, 1990, pp.6-9.
6
D.Drago, op.cit.
7
spesso le cause. E’ immediato,infatti, constatare che è il
concretizzarsi di qualche rischio economico a tradursi,
presto o tardi, in una maggiore o minore entrata,
causando i veri problemi alla gestione della liquidità.
L’attenzione deve essere quindi portata sulla
gestione dei rischi economici, come sempre più banche
stanno facendo.
I principali rischi economici sono quattro:
1. Rischio di mercato
2. Rischio di cambio
3. Rischio di tasso
4. Rischio di credito
Sull’ultimo ci soffermeremo nel prossimo paragrafo,
mentre gli altri tre sono quelli che vengono spesso
raggruppati sotto il nome di rischi “finanziari”, in un
senso chiaramente diverso da quello visto in precedenza.
Il rischio di mercato si riferisce alle condizioni
macroeconomiche del mercato in cui si opera,
8
evidenziando quali effetti potrebbe produrre un loro
mutamento. Si tratta quindi di una variabile estremamente
generica in cui molti Autori inseriscono anche i rischi di
variazioni dei tassi d’interesse e dei tassi di cambio. Ciò è dovuto
al fatto che questo rischio ha avuto un grande sviluppo
solo negli anni più recenti quando le banche hanno
cominciato ad avere un’intensa attività di negoziazione sui
mercati finanziari ed è servita una variabile che
riassumesse tutti i rischi assunti con le varie posizioni
aperte sui vari mercati. Un gran contributo al suo
sviluppo, infatti, è stato apportato in primo luogo dalla
globalizzazione dei mercati finanziari che ha permesso alle
banche di operare senza problemi su tutti i mercati
mondiali e, in secondo luogo, dall’enorme sviluppo degli
strumenti derivati, passati dalla funzione di copertura a
quella sempre più speculativa. Il rischio di mercato, però,
con il tempo, ha evidenziato una caratteristica che lo ha
reso maggiormente interessante e distinto un po’ dagli
9
altri due: la capacità predittiva nei confronti degli indici
azionari. Questo è l’elemento che gli dà una certa
individualità, ma l’autonomia rispetto alle altre due
tipologie di rischio non potrà mai essere piena.
Possiamo dunque concludere che le grandi categorie
di rischio che caratterizzano l’attività bancaria sono, in
fondo, due:
- i rischi di mercato
- i rischi di credito
In questo lavoro approfondiremo le problematiche
relative ai rischi di credito.
10
1.2
IL RISCHIO DI CREDITO E LE SUE
COMPONENTI
“Se il credito può essere definito come nient’altro
che l’attesa di una somma per un tempo limitato, allora il
rischio di credito è la possibilità che questa attesa resti
vana”
7
. Da questa semplice, ma assai eloquente
definizione, possiamo immediatamente sottolineare un
problema che per lungo tempo ha interessato il rischio di
credito: la sua identificazione esclusivamente con la
probabilità d’insolvenza (default) della controparte
8
.
Oggi i crediti stanno sempre più perdendo una loro
tipica qualità: la staticità. Fino a poco tempo fa, infatti,
quando una banca concedeva un credito, a breve o a
lungo termine, concentrava tutti i suoi sforzi nel capire se
7
J.B.Caouette, E.I.Altman, P.Narayanan, “Managing credit risk: the next
great financial challenge”, John Wiley &Sons, 1998, p.1.
8
A.Sironi, M.Marsella (a cura di), “La misurazione e la gestione del
rischio di credito”, Bancaria editrice, 1998, pp.31-49.
11
la controparte avrebbe potuto o meno rimborsare a
scadenza il denaro prestato, svolgendo una continua
funzione di “monitoring” per tenersi aggiornata sulla
possibilità che ciò non accadesse
9
.
Da qualche anno, invece, le possibilità per i crediti
bancari si sono ampliate grazie alla nascita di nuovi
strumenti come la securitization e i credit derivatives che
hanno accentuato in maniera sempre maggiore l’aspetto
dinamico del rischio di credito. Oggi, infatti, quando a
scadenza o in qualsiasi altro momento di necessità di
denaro liquido per la banca, essa volesse liberarsi di una
parte dei suoi crediti, potrebbe tranquillamente disfarsene
sul mercato. La novità fondamentale è, quindi, che non
dovrà per forza essere la controparte a far rientrare alla
banca i fondi prestati. Chiaramente, sul mercato, il valore
dei crediti non sarà quello nominale, ma, come per
qualsiasi altra attività, si formerà un prezzo che dipenderà
9
B.Iaccarino, “Il passaggio dal merito creditizio all’analisi del rischio
creditizio” in “Rassegna Economica”, Vol. 59 n°4 ott.-dic. 1995, pp.937 e
segg.
12
principalmente dal rischio di credito in capo alla
controparte al momento finale: è possibile che questo sia
mutato rispetto a quando è stato concesso l’affidamento.
La seconda componente del rischio di credito, infatti, è
proprio data dalla probabilità di cambiamento dello
standing iniziale della controparte, dalla variazione del suo
“merito creditizio”. Abbiamo così definito le due parti
fondamentali del rischio di credito: il rischio d’insolvenza
e il rischio di migrazione (spread
10
).
Una volta razionalizzato concettualmente, rimane
sempre il complesso problema di misurazione di tale
rischio. Questa, infatti, è una delle funzioni principali della
banca che, nel momento stesso in cui concede una certa
somma in prestito ad un soggetto, svolge, nel contempo,
un’attività di signalling al mercato dell’affidabilità di
10
Il nome “rischio di spread” viene usato da molti Autori stranieri per
indicare il rischio di cambio di valore del credito causato dal passaggio da
una classe ad un’altra di rating che provoca un inevitabile aumento o
riduzione del tasso di attualizzazione (spread).
13
questo
11
. E’, quindi, di fondamentale importanza, anche a
livello di sistema economico, che le banche determinino il
più precisamente possibile il merito creditizio delle loro
controparti. Errori in tali misurazioni possono
ripercuotersi direttamente, come vedremo, sul calcolo del
fabbisogno patrimoniale che è tanto più elevato quanto
maggiore è il rischio a cui è esposto l’intermediario
12
,
determinando effetti, più o meno gravi, sulla sua
redditività o, peggio, sulla sua stessa stabilità.
Al fine della misurazione del rischio di credito,
possiamo individuare tre elementi fondamentali
13
:
1. la perdita attesa
2. la perdita inattesa
3. gli effetti della diversificazione del
portafoglio
11
Cfr. R.Bertelli, “Le determinanti dello spread bancario: il premio per il
rischio di credito ed i coefficienti patrimoniali” in Bancaria Vol.51 n°10
ottobre 1995, pp.18-28.
12
Cfr. J.Stiglitz, A.Weiss, “Credit rationing in markets with imperfect
information” in American economic review, giugno 1981, pp.393-410.
13
A.Sironi, M.Marsella, op.cit., p.35.
14
Rimandando al paragrafo 1.4 per l’individuazione
dei principali metodi di misurazione del rischio di credito,
si possono ora esaminare queste tre variabili che lo
compongono.
La perdita attesa è l’unica che, storicamente, è
sempre stata presa in considerazione per valutare una
controparte. Essa è, a sua volta, costituita da due elementi:
probabilità di insolvenza e tasso di perdita atteso in caso
di insolvenza ( Loss Given Default).
Analiticamente:
PA = E(pi) * [ 1- E(tr)]
Dove:
PA rappresenta il tasso di perdita atteso in un
certo periodo
E(pi) la probabilità attesa di insolvenza nel
periodo i
E(tr) la percentuale attesa di recupero in caso
d’insolvenza
15
Per calcolare la probabilità attesa d’insolvenza
esistono vari metodi, che poi esamineremo meglio, ma, in
generale, si può dire che il loro punto di partenza può
essere costituito da:
1. i dati storici derivanti dai bilanci e dal
contesto settoriale in cui “vive” l’azienda
2. gli spreads tra eventuali obbligazioni
quotate dall’azienda e i tassi risk-free per medesime
scadenze
3. i dati provenienti dal mercato azionario
(disponibili chiaramente solo se l’azienda è quotata)
Per quanto riguarda la stima del tasso di recupero, il
discorso non è più semplice, infatti, questa variabile è
fortemente legata ad una serie di elementi esogeni
dipendenti dal contesto in cui si opera
14
. Ciò comporta
che per una valutazione affidabile sarebbe necessario un
Data Base, interno della banca o di un terzo, ben
14
Si può prendere, ad esempio, il caso italiano in cui il tasso di recupero
varia fortemente da regione a regione. Cfr. A.Generale, G.Gobbi, “Il
recupero dei crediti: costi, tempi e comportamenti delle banche” in Temi
di discussione della Banca d’Italia, n°265 marzo1996, pp.42 e segg.
16
organizzato, in grado di fornire i dati medi dei casi che si
avvicinano il più possibile a quello in questione.
La valutazione della perdita inattesa sarà
l’argomento centrale di questo lavoro, data l’importanza
sempre maggiore che sta avendo in tutto il mondo. Per
perdita inattesa intendiamo la possibile variabilità intorno
alla media stimata (perdita attesa, appunto), cioè la
probabilità che le nostre previsioni al suo riguardo
risultino sbagliate per vari motivi e che i flussi di ritorno
del nostro credito (o portafoglio crediti) non bastino a
coprire le perdite (medie stimate)
15
. Tali flussi, infatti,
vengono stabiliti all’inizio del rapporto attraverso la
procedura di pricing. Questa si basa sulla perdita attesa
stimata e non è, quindi, in grado di far fronte ad eventi
inattesi.
E’ importante evidenziare fin da subito che il
calcolo della perdita inattesa ha origine proprio da quello
15
A.Balestreri, R.Barteselli, “Politiche d’impiego e rischio di credito” in
Banca impresa società, n°3 anno 1996, p.472.
17
della perdita attesa che ne pone le fondamenta e ne
condiziona inevitabilmente i risultati.
L’ultimo elemento che va tenuto in considerazione,
quando si misura il rischio di credito, sono gli effetti
derivanti dalla diversificazione dei crediti in portafoglio.
Come si sa, infatti, il rischio di un portafoglio, costituito
da crediti diversi, non è dato dalla somma dei singoli rischi
(varianze), in quanto si deve tener conto della possibile
esistenza di correlazione tra essi. Per chiarire meglio
l’argomento, possiamo effettuare una diversa
scomposizione del generico rischio di credito,
individuandone una parte sistematica, una parte specifica
ed una semispecifica
16
.
La prima deriva da fattori che non sono
direttamente controllabili dal management della banca,
cioè principalmente dall’andamento generale della
congiuntura macroeconomica e dal ciclo dei profitti delle
16
A.Resti, “Misurare il rischio del portafoglio impieghi: introduzione ai
modelli VAR per i crediti bancari”, bozza di discussione presentata al
seminario Finstudi su “Misurare il rischio del portafoglio impieghi”, Roma
25-26 marzo 1999, pp. 1-3.
18
imprese produttive complessivamente. La parte specifica
è, invece, funzione esclusivamente della maggiore o
minore affidabilità dei clienti, normalmente gestiti a livello
periferico. Ciò che, invece, deve caratterizzare la strategia
della banca è la scelta dei settori economici e aree
geografiche in cui si ha il maggior interesse a penetrare e
dalla cui scelta deriva il grado di rischio semispecifico.
Queste variabili, infatti, sono tra loro legate da diversi tassi
di correlazione che, in alcuni casi, potremmo trovare
molto bassi o, addirittura negativi e che ci
permetterebbero, quindi, o di non aggiungere o,
teoricamente, di sottrarre rischio a quello totale del
portafoglio.
Il rischio di credito non è dunque studiabile come
variabile univoca, ma piuttosto quale espressione di vari
fattori ognuno dei quali di complessa e difficile stima, che
richiedono approfondimenti e valutazioni specifiche.